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Associazione mafiosa: coesistenza tra due sodalizi

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato accusato di far parte sia di un’associazione mafiosa che di un’associazione per il narcotraffico. La sentenza chiarisce che i due reati possono coesistere senza violare il principio del ‘ne bis in idem’, a condizione che l’associazione mafiosa persegua un programma criminale più vasto e che le due organizzazioni, seppur collegate, abbiano elementi distintivi.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Mafiosa e Narcotraffico: La Cassazione chiarisce la coesistenza dei reati

La recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. 6 Penale, n. 36865 del 2024, affronta una questione complessa e di grande attualità: la possibile coesistenza del reato di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) e di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90). La Corte ha esaminato il ricorso di un indagato, sottoposto a custodia cautelare in carcere, che contestava la doppia imputazione sostenendo una violazione del principio del ne bis in idem, ovvero il divieto di essere processati due volte per lo stesso fatto. La decisione della Suprema Corte offre importanti spunti di riflessione sulla distinzione tra le due fattispecie di reato associativo.

Il caso: una doppia accusa di reato associativo

Il ricorrente era stato ritenuto gravemente indiziato di partecipazione a due distinti sodalizi criminali: un’articolazione territoriale di ‘Cosa Nostra’ e un’associazione parallela dedicata al narcotraffico. La difesa sosteneva che le due accuse si basassero sul medesimo compendio indiziario e che, di fatto, il traffico di droga fosse semplicemente una delle tante attività del clan mafioso, non un’entità criminale autonoma. Pertanto, la doppia contestazione avrebbe rappresentato una duplicazione illecita.

I motivi del ricorso: la tesi del ne bis in idem

I motivi principali del ricorso si concentravano su tre punti:
1. Violazione del ne bis in idem: Il ricorrente asseriva che la sua partecipazione al sodalizio per il narcotraffico non poteva automaticamente implicare una responsabilità anche per il reato di associazione mafiosa, in assenza di prove di un suo contributo concreto alle altre attività del clan.
2. Insussistenza dell’associazione per narcotraffico: Secondo la difesa, gli elementi raccolti non provavano l’esistenza di una struttura stabile e permanente (pactum sceleris), ma al massimo un concorso di persone in singoli episodi di spaccio.
3. Carenza delle esigenze cautelari: Si contestava la motivazione sulla necessità della custodia in carcere, ritenuta cumulativa e implicita, e si sottolineava il notevole tempo trascorso dai fatti.

La decisione della Cassazione sulla coesistenza di associazione mafiosa e narcotraffico

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure della difesa e confermando la validità dell’ordinanza cautelare. I giudici di legittimità hanno chiarito che il ricorso proponeva una rilettura dei fatti, attività preclusa in sede di Cassazione, dove il controllo è limitato alla violazione di legge e alla manifesta illogicità della motivazione.

La distinzione tra i due sodalizi

La Corte ha stabilito che i giudici di merito avevano correttamente motivato l’esistenza di due associazioni distinte, sebbene interconnesse. L’associazione mafiosa aveva un programma criminale più ampio, che includeva estorsioni e un controllo capillare del territorio, manifestazioni tipiche del metodo mafioso. L’associazione dedita al narcotraffico, invece, pur essendo funzionale agli interessi economici del clan, operava con una sua specificità, con sodali in parte diversi e con un’attività limitata al settore degli stupefacenti.

L’elemento che differenzia l’associazione di tipo mafioso è il profilo programmatico che va oltre il singolo settore criminale (come il narcotraffico) per imporre un dominio sul territorio, acquisire il controllo di attività economiche, appalti e condizionare il voto.

La prova dell’associazione dedita al narcotraffico

La Suprema Corte ha ribadito che, per configurare il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90, è necessario un vincolo associativo stabile e permanente. Nel caso di specie, tale vincolo era stato ampiamente provato da numerosi elementi: l’uso di un linguaggio criptico comune, tecniche consolidate per eludere le indagini, una cassa comune, la suddivisione dei ruoli e una pianificazione delle attività che andava ben oltre la singola operazione di spaccio.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione del Tribunale. L’appartenenza del ricorrente all’associazione mafiosa non era stata dedotta automaticamente dal suo ruolo nel narcotraffico. Al contrario, era supportata da elementi specifici e ulteriori: le intercettazioni in cui l’indagato si vantava della sua appartenenza al clan, la sua conoscenza di dinamiche interne e riservate, e il suo rapporto fiduciario con il boss. L’apporto al settore del narcotraffico, pur essendo utile al clan mafioso, era solo uno degli indici, a cui se ne aggiungevano altri che dimostravano un’adesione piena e consapevole al più ampio programma criminale mafioso. Pertanto, non vi era alcuna violazione del principio del ne bis in idem, poiché le condotte contestate per i due reati, pur connesse, erano ontologicamente distinte.
Infine, riguardo alle esigenze cautelari, la Corte ha affermato che il Tribunale aveva correttamente bilanciato il tempo trascorso con la gravità dei fatti e la pericolosità sociale del ricorrente, evidenziata dal suo ruolo di vertice e dai suoi precedenti penali, ritenendo quindi giustificata la misura della custodia in carcere.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: un’associazione criminale può avere al suo interno diverse articolazioni specializzate, che possono a loro volta configurare autonomi reati associativi. La partecipazione a un’associazione dedita al narcotraffico non comporta automaticamente la responsabilità per associazione mafiosa, ma può costituire un importante indizio. La prova di quest’ultima richiede tuttavia elementi ulteriori che dimostrino la consapevolezza e la volontà di contribuire al più ampio e complesso programma criminale del clan, che trascende il singolo settore di attività illecita.

È possibile essere accusati contemporaneamente di associazione mafiosa e di associazione per il narcotraffico senza violare il principio del ‘ne bis in idem’?
Sì. La sentenza chiarisce che i due reati possono coesistere quando l’associazione mafiosa persegue un programma criminale più ampio (controllo del territorio, estorsioni) e l’associazione dedita al narcotraffico, pur essendo collegata, presenta elementi distintivi, come sodali parzialmente diversi e un’operatività specifica. La doppia contestazione è legittima se basata su elementi di prova distinti per ciascun reato.

Cosa distingue un’associazione finalizzata al traffico di droga da un semplice concorso di persone in reati di spaccio?
La differenza fondamentale sta nella stabilità del vincolo. L’associazione (art. 74 d.P.R. 309/90) richiede un accordo duraturo e una struttura organizzata (anche minima) finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati, con la consapevolezza dei membri di far parte di un sodalizio permanente. Il concorso di persone (art. 110 c.p.), invece, riguarda un accordo occasionale per la commissione di uno o più reati specifici.

Il tempo trascorso dai fatti è sufficiente a escludere la necessità di una misura cautelare come la custodia in carcere?
No, non da solo. Secondo la Corte, il mero decorso del tempo deve essere valutato insieme ad altri elementi. In presenza di reati di eccezionale gravità come l’associazione mafiosa e di concreti indici di pericolosità sociale attuale dell’indagato (come un ruolo di vertice e precedenti penali), il tempo trascorso può non essere considerato sufficiente a giustificare l’annullamento o l’attenuazione della misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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