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Associazione mafiosa: coesistenza con spaccio di droga

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un individuo accusato di appartenere sia a un’associazione mafiosa sia a un’organizzazione parallela di narcotraffico. La difesa sosteneva che essere vittima di estorsione da parte dello stesso clan escludesse l’appartenenza. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando che l’associazione mafiosa può coesistere con un’altra associazione criminale e che il pagamento di un “contributo” interno non nega la partecipazione al sodalizio. È stata inoltre confermata la responsabilità per concorso in estorsione basata sulla presenza intimidatoria durante la richiesta di pizzo.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione mafiosa: quando coesiste con il narcotraffico

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso complesso che esplora i confini tra l’appartenenza a un’associazione mafiosa e la partecipazione a un distinto gruppo dedito al narcotraffico. La Corte ha chiarito che le due realtà criminali possono coesistere e che essere vittima di estorsione da parte del proprio clan non esclude la piena partecipazione al sodalizio.

I Fatti del Caso: Doppia Affiliazione Criminale

L’indagato era stato sottoposto a custodia cautelare con l’accusa di far parte di una nota famiglia mafiosa di Palermo. Secondo gli inquirenti, il suo ruolo non si limitava a quello di affiliato, ma si estendeva a compiti specifici: gestiva una piazza di spaccio per conto del clan, assisteva un esponente di vertice nell’organizzazione di estorsioni e aveva partecipato attivamente a una richiesta estorsiva ai danni dei titolari di una macelleria.

In aggiunta, gli veniva contestata la partecipazione a un’associazione autonoma finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, che operava parallelamente e in collegamento con l’organizzazione mafiosa.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha impugnato l’ordinanza cautelare davanti alla Corte di Cassazione, sollevando tre principali obiezioni:

1. Insussistenza del reato associativo di narcotraffico: Si sosteneva la mancanza di gravi indizi, evidenziando come l’indagato fosse egli stesso vittima di estorsione da parte del clan, costretto a pagare un “contributo” sulla sua attività di spaccio. Questo, secondo la difesa, dimostrava la sua estraneità al sodalizio.
2. Insussistenza dell’associazione mafiosa: La difesa ha contestato il valore probatorio della partecipazione dell’indagato a diversi incontri con membri del clan, definendola una presenza non significativa e priva di prove concrete di un suo coinvolgimento nelle discussioni.
3. Insussistenza del concorso in estorsione: Si è argomentato che la mera presenza dell’indagato durante la richiesta estorsiva non era sufficiente a configurare un concorso nel reato, in assenza di un suo intervento attivo.

Analisi della Cassazione sull’associazione mafiosa e il narcotraffico

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno ribadito principi consolidati in materia, offrendo un’analisi chiara e rigorosa delle questioni sollevate.

In primo luogo, la Corte ha confermato la piena ammissibilità della coesistenza di un’associazione mafiosa con un’altra associazione per delinquere, come quella finalizzata al narcotraffico. Le due fattispecie tutelano beni giuridici diversi: l’ordine pubblico per il 416-bis e la salute pubblica per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90.

La Corte ha inoltre smontato la tesi difensiva secondo cui essere estorto dal clan escluderebbe l’appartenenza. I giudici hanno spiegato che è del tutto logico che un membro, gestore di un’attività illecita (la piazza di spaccio), sia tenuto a versare una parte dei proventi all’organizzazione. Questo “contributo” non è un’estorsione verso un estraneo, ma una regola interna di redistribuzione dei profitti criminali, che anzi conferma l’inserimento stabile del soggetto nelle dinamiche del gruppo.

Il Valore Probatorio degli Incontri e della Presenza

Riguardo alla partecipazione all’associazione mafiosa, la Corte ha giudicato inammissibili le censure della difesa, in quanto miravano a una rivalutazione dei fatti, compito precluso al giudice di legittimità. Il Tribunale del riesame aveva correttamente valorizzato la presenza dell’indagato a riunioni strategiche, in cui si discutevano questioni centrali per la vita del clan, come l’imposizione di contributi ad altri gestori di piazze di spaccio. Tale partecipazione attiva è stata ritenuta un chiaro indice di intraneità.

Anche sul fronte dell’estorsione, la Cassazione ha confermato l’impostazione accusatoria. La presenza dell’indagato all’incontro con la vittima non è stata considerata “neutrale”, ma funzionale a rafforzare la carica intimidatoria della richiesta. Questa interpretazione è stata corroborata da un’intercettazione successiva, in cui uno dei mandanti, raccontando l’episodio, menzionava esplicitamente la presenza dell’indagato come parte di un gruppo pronto ad agire con violenza.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su alcuni pilastri giuridici fondamentali. In primo luogo, il controllo di legittimità della Cassazione è circoscritto alla verifica della logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, senza poter entrare nel merito delle prove. In secondo luogo, è stato riaffermato il principio consolidato secondo cui un’associazione per delinquere finalizzata a specifici reati (come il narcotraffico) può esistere e operare parallelamente a un’associazione mafiosa, anche con la partecipazione di membri comuni. La Corte ha inoltre sottolineato che, per provare la partecipazione a un’associazione criminale, non è necessaria la prova della commissione di singoli “reati-fine”, essendo sufficiente dimostrare l’inserimento stabile del soggetto nella struttura organizzativa. Infine, la motivazione evidenzia come la richiesta di un “contributo” a un membro che gestisce un’attività illecita per conto del clan non ne inficia l’appartenenza, ma, al contrario, può rappresentare una modalità di finanziamento interno dell’organizzazione.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce la solidità dell’impianto accusatorio e la correttezza del ragionamento dei giudici di merito. La decisione ha importanti implicazioni pratiche, poiché consolida l’interpretazione giurisprudenziale sulla permeabilità e coesistenza tra diverse forme di criminalità organizzata. Si conferma che l’analisi della partecipazione a un sodalizio mafioso deve basarsi su una valutazione complessiva degli elementi indiziari, come la partecipazione a riunioni strategiche e il ruolo operativo ricoperto, superando una lettura frammentaria e atomistica delle singole prove. La Corte ha quindi rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

È possibile essere parte di un’associazione mafiosa e, allo stesso tempo, di un’associazione dedita al narcotraffico?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la contemporanea esistenza di un’associazione di stampo mafioso e di un’altra associazione finalizzata a specifici reati, come il narcotraffico, è ammissibile, anche quando vi sia una parziale sovrapposizione dei membri.

Il fatto che un membro di un clan mafioso paghi un “contributo” o “pizzo” allo stesso clan esclude la sua partecipazione all’associazione?
No. La Corte ha chiarito che questa circostanza non esclude l’appartenenza. Anzi, il versamento di un contributo sui proventi di un’attività illecita gestita per conto del clan può essere considerato una regola interna e una prova dell’inserimento stabile del soggetto nell’organizzazione.

La semplice presenza durante un’estorsione è sufficiente per essere considerati complici?
Sì, se la presenza non è casuale ma ha una chiara finalità intimidatoria. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la presenza dell’indagato, insieme ad altri membri del clan, durante la richiesta estorsiva, avesse lo scopo di rafforzare la minaccia e quindi costituisse una forma di partecipazione attiva al reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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