Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27062 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27062 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 22/09/1968
COGNOME NOME nato a ROMA il 18/12/1980
NOME nato a ROMA il 09/05/1963
COGNOME nato a ROMA il 13/11/1965
COGNOME Consiglio nato a ROMA il 09/01/1975
avverso la sentenza del 28/10/2024 della Corte d’appello di Roma
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio nonché l’annullamento senza rinvio della sentenza nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente alla statuizione che li condanna al rimborso delle spese processuali nei confronti del Comune di Roma e la reiezione nel resto dei ricorsi.
Sentiti, per la parte civile, l’avv. COGNOME che ha chiesto la reiezione dei ricorsi con esclusione di quello proposto nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME depositando conclusioni conformi e nota spese nonché, per gli imputati, l’avv. COGNOME in difesa di COGNOME NOME e COGNOME Consiglio, l’avv. COGNOME in difesa di
COGNOME COGNOME e NOME COGNOME l’avv. COGNOME in difesa di COGNOME COGNOME i qu hanno ribadito la fondatezza dei rispettivi motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimen
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME, NOME COGNOME, Consiglio Casamonica, NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnano la sentenza descritta in epigrafe con la quale la Corte appello di Roma, decidendo in sede di rinvio dopo la sentenza di annullamento resa d questa Corte in data 16 gennaio 2024, ha parzialmente riformato quella appellata, particolare, rideterminando la pena irrogata:
-a NOME COGNOME previa esclusione del ruolo apicale allo stesso in origi ascritto dalla sentenza annullata quanto all’associazione di cui al capo A, punita ai dell’art 416 cod. pen., ma riconoscendo al contempo l’aggravante di cui al comma 4 dell disposizione da ultimo citata, in precedenza negata dalla precedente sentenza di appel
-a Consiglio Casamonica, rispetto al quale, è stata riconosciuta l’aggravante di cu comma 4 dell’art 416-bis in relazione al capo A), in precedenza negata dalla sentenza appello annullata.
Ancora, la detta sentenza ha confermato la prima decisione, rigettando sia l’appel della Procura generale relativamente alla posizione di NOME COGNOME avuto riguardo all’aggravante di cui all’art 416-bis.1. contestata con riferimento al favoreggiamen cui al capo AA) ascritto al predetto; sia l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione alla confisca allargata ex art. 240-bis cod. pen., caduta su so depositate in un libretto postale e alcuni preziosi, eseguita ai danni dei detti imput
Con il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME vengono prospettati due motivi di impugnazione, entrambi riguardanti il riconoscimento dell’aggravante di cu ai commi 4 e 5 dell’art 416-bis relativa all’associazione di cui al capo A) della rubri
Si lamenta violazione dell’art 627 cod. proc. pen., dell’art 416-bis comma 4 e vi di motivazione.
Con il ricorso proposto nell’interesse di Consiglio COGNOME la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla misura dell’aumento apportato titolo di continuazione per il reato di cui al capo A), una volta riconosciuta l’ aggravata di cui al comma 4 dell’art. 416-bis cod. pen.
Nell’interesse di NOME COGNOME condannato per il favoreggiamento di cui al capo AA), si prospettano tre profili di censura.
Con il primo motivo la difesa si duole del mancato rilievo da parte del giudice del rinvio della intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
Con il secondo motivo la difesa contesta la valutazione resa nel negare l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’ari 131-bis cod. pen. con argomentare manifestamente illogico, apodittico e incompleto.
Con l’ultimo motivo si deduce la violazione dell’art. 597., comma 3, cod. proc. pen. nel determinare la pena irrogata, quantificata senza considerare che la sentenza di appello poi annullata, pur riconoscendo l’aggravante poi espunta in esito al giudizio rescindente, aveva rimodulato la pena base disposta in primo grado, riducendola.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME Due i motivi di ricorso.
Il primo riguarda la confisca del denaro e dei preziosi rinvenuti nella disponibilità di COGNOME disposta ai sensi dell’ari 240-bis cod. pen. Nel rendere il nuovo giudizio di merito la Corte territoriale, ad avviso della difesa, sarebbe pervenuta alla conferma della confisca all’esito di una interpretazione erronea della norma di riferimento e senza seguire una coerente linea logica nel valutare i dati acquisiti.
Il secondo motivo riguarda le spese per il giudizio di appello liquidate (anche) a carico dei ricorrenti in favore del Comune di Roma Capitale quando la sentenza rescindente aveva già escluso la legittimazione del detto ente a pretendere il risarcimento del danno dai due imputati e la conseguente rifusione delle spese processuali una volta venuta meno l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen., annullando senza rinvio la prima sentenza di appello sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.L’accertata fondatezza degli ultimi motivi di impugnazione rispettivamente prospettati nell’interesse di NOME COGNOME nonché in quello di NOME COGNOME e NOME COGNOME porta all’annullamento della sentenza impugnata nei termini di cui al dispositivo che segue, ferma restando la infondatezza dei ‘relativi ricorsi quanto alle ulteriori censure.
Si sono rilevate inammissibili, di contro, le doglianze prospettate dai ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME (detto “NOME“).
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
Due i motivi di ricorso che meritano una trattazione unitaria.
2.1. Le doglianze si riferiscono unicamente alla ritenuta riferibilità al ricorrente dell’aggravante di cui al comma 4 dell’art. 416-bis cod. pen. avuto riguardo all’associazione di cui al capo A) della rubrica; associazione rispetto alla quale il
ricorrente, con statuizione ormai coperta dal giudicato progressivo, è stato considerato intraneo, seppur non in posizione apicale, come in origine contestato e ritenuto dalla sentenza di appello annullata.
Si lamenta violazione dell’art 627 cod. proc. pen., dell’art 416-bis, comma 4, cod. pen. e vizio di motivazione.
La Corte del merito senza attenersi alle indicazioni offerte sul tema di giudizio alla stessa devoluto con la sentenza rescindente e anzi andando in contrasto con tali linee guida, non avrebbe adeguatamente argomentato quanto alla consapevolezza o alla colpevole ignoranza, in capo al ricorrente, della disponibilità di armi da parte del gruppo associativo di appartenenza. In termini di mera apparenza argomentativa, e comunque di manifesta illogicità, la Corte, nel rilevare il necessario coefficiente psicologico idoneo a supportare l’aggravante in questione, avrebbe dato rilievo -all’organigramma dell’associazione di riferimento, dimenticando che il ricorrente non è stato ritenuto al vertice della stessa ed è rimasto estraneo alle relative vicende associative, non avendo contatti con altri associati diversi dal fratello Consiglio e avendo realizzato solo un reato fine in concorso con altri sodali.
La Corte avrebbe, inoltre, valorizzato il propalato dei collaboranti COGNOME e COGNOME in assenza dei dovuti riscontri e senza considerare che la stessa sentenza rescindente aveva ritenuto inidonee al fine le relative dichiarazioni.
2.2. Le censure proposte dal ricorso sono generiche. ed aspecifiche, oltre che manifestamente infondate.
2.2.1. Va in primo luogo ribadito, in linea con quanto già puntualizzato dalla sentenza rescindente resa da questa Corte, che in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilità di armi, prevista . dall’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen., ha natura oggettiva ex art. 70 cod. pen., con consequenziale applicabilità della regola stabilita dall’art. 59, secondo comma, cod. pen.
E’ dunque configurabile a carico di ogni partecipe che, pur non avendone effettiva consapevolezza, ignori per colpa il possesso di armi da parte degli altri associati, aspetto soggettivo per il cui accertamento ben può assumere rilievo il fatto notorio della detenzione di strumenti di offesa in capo ad un determinato sodalizio mafioso, a condizione che detta detenzione sia desumibile da indicatori concreti – quali fatti di sangue ascrivibili al sodalizio o risultanze di titoli giudiziari, intercettazioni, dichiarazi od altre fonti – di cui il giudice deve specificamente dare conto nella motivazione del provvedimento ( ex multis, Sez. 1, n. 7392 del 12/09/2017, Rv. 272403).
2.2.3. La sentenza gravata ha fatto buon governo delle superiori coordinate di principio valutando le acquisizioni probatorie apprezzate a sostegno della soluzione assunta senza incorrere in alcuna manifesta incongruenza logica.
2.2.4. Giova premettere che l’aggravante in questione era stata esclusa dalla prima sentenza di appello in termini radicali sul presupposto della assenza di elementi utili a confermare la disponibilità di armi in capo all’associazione in contestazione.
Adita dalla Procura generale competente, questa Corte, con la sentenza rescindente, ha accolto il ricorso proprio con riferimento a tale presupposto logico giuridico, affermando che le emergenze probatorie messe in luce dai giudici del merito consentivano piuttosto “già in questa sede e senza ulteriori accertamenti di merito, di ritenere provato che il clan..” in questione fosse “…una associazione mafiosa armata nel senso indicato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 416-bis, quarto e quinto comma cod. pen”.
2.2.5.Ciò posto, con la stessa sentenza, sempre in relazione alla detta aggravante, sono state valutate differentemente le posizioni dei sodali, distinguendo tra quelli per i quali poteva già ritenersi acquisita la prova della consapevolezza della detta disponibilità di armi (tra questi, anche il ricorrente NOME COGNOME, fratello di NOME, condannato proprio per fatti immediatamente correlati alla citata disponibilità), sì che il rinvio alla Corte del merito veniva effettuato solo per la rideterminazione della pena alla luce della riscontrata sussistenza dei costituti propri dell’aggravante in questione; e quelli rispetto ai quali occorreva verificare nel merito il coefficiente psicologico posseduto da ciascuno rispetto alla oggettiva disponibilità delle armi da parte della cosca, sia perché non in posizione apicale, sia perché non immediatamente coinvolti in fatti connotati dalla disponibilità di armi.
2.2.5. Tra questi ultimi risultava annoverato, per l’appunto, NOME COGNOME rispetto al quale detta verifica soggettiva è stata resa dalla . Corte in sede rescissoria, mettendo in evidenza, in primo luogo, l’essenziale base familiare del clan COGNOME, circostanza coerentemente apprezzata nel valorizzare la maggiore potenzialità conoscitiva del dato in questione, vieppiù implementata dal non occasionale utilizzo delle stesse nel realizzare gli agiti illeciti compresi nel programma comune. ·
Sul punto basta fare riferimento alla stretta contiguità che legava il ricorrente al fratello NOME (che ne descriveva l’importanza centrale nel quadro associativo: si veda la sentenza rescindente, pagina 153), il quale ultimo aveva una non indifferente disponibilità di armi per quanto già detto, portata, peraltro, a conoscenza dei sodali (si veda la sentenza appellata con riferimento alla intercettazione dell’Il marzo 2016).
Sono state inoltre valorizzate le propalazioni del collaborante COGNOME il quale ebbe a dichiarare di aver proposto ai Casamonica delle armi e che gli stessi, compreso NOME, avevano risposto che ne avevano a sufficienza (erano “pieni di armi”).
Dichiarazioni che, oltre a risultare confortate dalle complessive emergenze acquisite (si consideri che uno dei destinatari della proposta era sempre NOME COGNOME, soggetto che aveva, per quanto già detto, una pacifica disponibilità di armi), hanno trovato ulteriore conferma nelle propalazioni della collaborante COGNOMEla quale, più
genericamente, ha precisato che tutta la famiglia COGNOME aveva consapevolezza delle armi che si trovano nella disponibilità di alcuni sodali).
2.4. Tale quadro argomentativo, niente affatto apparente né contrastante con gli oneri di verifica imposti dalla sentenza di annullamento, non risulta messo in crisi dal ricorso che
-in termini distonici dalla situazione in fatto cristallizzata dalla sentenza rescindente nel fondarne l’intraneità, ricostruisce la figura del ricorrente come soggetto ai margini del sodalizio, quando, di contro, pur non essendone al vertice, era di certo fortemente radicato nel relativo contesto associativo (si veda sempre l’argomentare svolto alla pag. 153 della citata sentenza di annullamento);
del tutto genericamente contesta il rilievo ascritto alle dichiarazioni dei collaboranti, che invece si sostengono reciprocamente, mentre se ne rimarca l’asserita inconferenza probatoria facendo leva, anche sul punto, su asserite conferme in tal senso desumibili dalla decisione di annullamento che, di contro, contiene espressi riferimenti alle dette dichiarazioni, sottolineandone positivamente il portato probatorio.
Da qui la inammissibilità del relativo ricorso.
3. Ricorso nell’interesse di Consiglio Casamonica.
Con un unico motivo di ricorso la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla misura dell’aumento apportato a titolo di continuazione per il reato di cui al capo A), una volta riconosciuta l’ipotesi aggravata di cui al comma 4 dell’art. 416-bis cod. pen.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato.
Con la prima sentenza di appello, esclusa l’aggravante della associazione armata, l’aumento ex art 81 cpv cod. pen. riferito al reato di cui al capo A) venne determinato in un anno di reclusione e in 1000 euro di multa.
In esito al ricorso della parte pubblica, con la sentenza rescindente l’aggravante è stata nuovamente riconosciuta, con rinvio alla Corte del merito al solo fine di rideterminare l’aumento a titolo di continuazione per il detto capo A), alla luce della diversa e più grave consistenza del fatto.
Con la decisione impugnata, alla quota di pena computata a titolo di aumento per la continuazione dalla sentenza annullata, sono stati aggiunti ulteriori tre mesi di reclusione e tremila euro di multa, in ragione dell’elevato disvalore sociale dei fatti e dello spessore criminale del sodalizio.
3.2. Ciò premesso, per quanto sintetico, il percorso giustificativo della scelta adottata nella specie non merita censure. Appare, infatti, di certo adeguato alla sostanziale marginalità dell’ulteriore aumento di pena apportato, ancor più se visto a fronte della rilevante consistenza sanzionatoria che connota la previsionedel quarto comma dell’art.
416-bis citato, se rapportata alla pena prevista per l’ipotesi del primo comma della stessa disposizione.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME condannato per il favoreggiamento di cui al capo AA). Tre i motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo la difesa si duole del mancato rilievo da parte della Corte del merito della intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
Si rimarca al fine che quando la Corte del merito ha deciso in sede di rinvio, valutando la possibile applicabilità dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. riconosciuta dalla sentenza annullata e messa in discussione da quella rescindente, il relativo termine era già decorso proprio perché era ancora in gioco la verifica della detta circostanza, poi esclusa in sede rescissoria, destinata ad influire sul computo funzionale alla prescrizione.
4.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Giova premettere che in primo grado, l’aggravante dell’agevolazione mafiosa era stata esclusa. In appello, accogliendo il gravame della parte pubblica, la stessa era stata riconosciuta, con conseguente aumento di pena, pur partendo da una pena base ridotta (2 anni e tre mesi in luogo dei due anni e sei mesi decisi in primo grado).
In sede di legittimità, sul tema v’era stato annullamento con rinvio e da ultimo, con la sentenza gravata la stessa è stata definitivamente esclusa.
Ciò posto, è incontroverso il dato in forza del quale il reato in contestazione, anche senza considerare la detta circostanza aggravante, non era ancora prescritto alla data della sentenza di annullamento di questa Corte (si veda in particolare pag. 33 della sentenza appellata anche con riguardo alla sospensione di 82 giorni, non contestata dal ricorso); sentenza con la quale si è definitivamente consolidato il giudizio di responsabilità inerente al favoreggiamento contestato al COGNOME.
L’accertamento legato alla circostanza dell’agevolazione mafiosa, oggetto esclusivo del devoluto al giudice del rinvio per effetto della sentenza rescindente, dunque, influiva unicamente sulla possibile determinazione del trattamento sanzionatorio, senza riguardare in alcun modo la responsabilità, già coperta dal giudicato.
La situazione creatasi, dunque, non differisce da quella nella quale l’annullamento cade su una circostanza comune, indifferente nell’ottica del computo della prescrizione, a fronte della sopravvenuta cristallizzazione della responsabilità: il – rinvio, lasciando insensibile quest’ultimo tema, non più suscettibile di rivisitazione, finisce per fare gioco solo sulla misura della pena da irrogare, ferma la già consolidata tempestività dell’accertamento penale.
Altra cosa sarebbe stata là dove la prescrizione fosse già maturata alla data della sentenza di annullamento secondo il computo ordinario e la Corte, in sede rescindente, non avesse potuto dichiarare l’estinzione del reato solo perché era ancora in discussione
l’aggravante ad effetto speciale oggetto dell’annullamento, come noto incidente sui tempi utili alla prescrizione.
In siffatto caso, il giudice del rinvio, esclusa la sussistenza dell’aggravante e in via correlata il diverso computo che ne deriva quanto ai termini di prescrizione, avrebbe dovuto dichiarare estinto il reato.
Ma, per quanto detto, si tratta di situazioni niente affatto coincidenti.
4.3. Con il secondo motivo la difesa contesta la valutazione resa nel negare l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art 131-bis-cod. pen. con argomentare manifestamente illogico avuto riguardo alle considerazioni spese nel ritenere il reato non aggravato dalla agevolazione mafiosa; apodittiche rispetto alla consapevolezza, in capo al ricorrente, dello spessore criminale del Casamonica nonché in considerazione “contesto di illegalità diffusa” che caratterizzerebbe l’ambiente delle “discoteche e dei locali del litorale romano” al cui interno ebbe ad innestarsi il reato presupposto commesso da NOME COGNOME oggetto della condotta favoreggiatrice; incomplete perché sarebbero state pretermesse le considerazioni spese dalla difesa quanto alla oggettiva modestia della condotta favoreggiatrice rispetto ad un quadro probatorio acquisito in danno del COGNOME sostanzialmente non scalfito dalle dichiarazioni del ricorrente.
4.4. Il motivo è infondato.
L’imputato risponde di favoreggiamento per avere reso false dichiarazioni ai carabinieri nel corso delle indagini svolte nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di abusivo esercizio di attività finanziaria: in particolare, avrebbe negato di aver ricevuto un prestito dal suddetto.
Ciò premesso, va subito messo in evidenza che la marginalità. dello sviamento garantito dalle dichiarazioni dell’imputato viene solo affermata dalla difesa.
Dalla complessiva lettura della decisione gravata emerge, poi, che la Corte del merito, nel ritenere il fatto – nei suoi risvolti materiali ma con implicite refluenze anche sul tema della intensità del dolo- non compatibile con la tenuità dell’offesa propria della causa di non punibilità rivendicata dalla difesa, ha inteso dare rilievo centrale all’aspetto della consapevolezza, in capo al ricorrente, della caratura criminale del soggetto favorito.
Sul piano della coerenza logico giuridica, il dato non merita censure, perché finisce per contribuire alla puntuale individuazione del disvalore concreto della condotta, vieppiù a fronte di una fattispecie di reato che già in astratto, per i valori tutelati, impon all’interprete una stringente rigorosità di giudizio nel valutare la ricorrenza dei costitut propri dell’art. 131-bis citato.
Né può ritenersi che tale valutazione soffra di intrinseca contraddittorietà rispetto al giudizio reso nel negare l’agevolazione mafiosa, trattandosi di aspetti che si muovono su piani e contenuti diversi.
Sotto il versante fattuale, infine, se è vero che la motivazione interseca anche indicatori inconferenti, messi in luce dal ricorso, è anche vero che dalle stessa emerge il
portato delle prospettazioni intimidatorie rivolte dal COGNOME e dal fratello, funzionali alla restituzione del dovuto in forza del prestito illecitamente erogàto al ricorrente. Aspetto questo che, ad avviso di questa Corte, finisce per dare consistenza al dato inerente alla consapevolezza della personalità criminale del soggetto favorito da parte del COGNOME; e che, in conseguenza, dà anche contenuti al tenore complessivo della condotta messa in atto dal ricorrente nel favorirlo, coerentemente ritenuta incompatibile alla causa di non punibilità sollecitata dalla difesa.
4.5. Con l’ultimo motivo, la difesa lamenta violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. avuto riguardo alla pena finale irrogata al ricorrente.
Il motivo è fondato.
La sentenza di appello annullata da questa Corte, pur riconoscendo l’aggravante poi espunta in esito al giudizio rescindente, aveva rimodulato la pena base disposta in primo grado, riducendola (comminando 2 anni e tre mesi di reclusione in luogo dei due anni e sei mesi decisi in primo grado).
La Corte del merito, in sede di rinvio, una volta definitivamente espunta la circostanza aggravante, nel determinare definitivamente la pena da irrogare, ha recuperato il trattamento disposto in primo grado malgrado lo stesso fosse stato modificato in senso più favorevole all’imputato dalla precedente sentenza di appello, con valutazione non più sindacabile, perché mai contrastata dalla parte pubblica.
Da qui la riscontrata violazione della disposizione indicata in rubrica dal motivo di ricorso e la rideterminazione della pena da irrogare al Coppola; cui provvede direttamente questa Corte nei termini di cui al dispositivo che segue ai sensi dell’art 626, lettera I), cod. proc. pen.
5.Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
5.1. Il primo motivo riguarda la confisca del denaro e dei preziosi ritenuti nella disponibilità dei ricorrenti resa ai sensi dell’art 240-bis cod. pen. in ragione dei reati spia – usura ed estorsione- ascritti agli stessi; confisca ricompresa nell’annullamento con rinvio disposto da questa Corte avuto riguardo alla prima sentenza di appello.
Ad avviso della difesa, la Corte territoriale, chiamata, in sede di rinvio a rinnovare il giudizio sulla sperequazione reddituale, sarebbe pervenuta alla conferma della confisca all’esito di una interpretazione erronea della norma di riferimento, applicata senza attenersi alle indicazioni offerte dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità nel ricostruire, in termini costituzionalmente orientati, l’istituto in questione.
In particolare, la confisca sarebbe stata disposta senza considerare la concreta inidoneità dei reati spia quanto alla capacità lucro-genetica di matrice illecita da valorizzare nell’ottica della confisca allargata, trattandosi di fatti occasionali rimast estranei al circuito criminale facente capo al clan Casamonica, come confermato anche
dalla esclusione dell’aggravante ex ad 416-bis.1 cod. pen. in origine contestata; senza modulare l’intervento afflittivo in termini coerenti al presupposto della ragionevolezza temporale tra la data di esecuzione dei reati spia e quella di acquisizione delle relative utilità, avuto riguardo, in particolare, alla data di formazione delle provviste liquide sequestrate; senza apprezzare la matrice di provenienza dei preziosi ( tutti beni di famiglia per i quali sarebbe impossibile dimostrare la lecita provenienza) ai quali sarebbe stato dato un valore sulla base di una consulenza resa da un orafo compulsato al fine dai carabinieri mai ritualmente acquisita nel dibattimento; senza seguire una coerente linea logica nel valutare i dati acquisiti ( dando rilievo al modesto tenore di vita dei ricorrenti che, piuttosto, ne confermava le capacita di risparmio consolidate nelle utilità confiscate).
5.2. GLYPH Il motivo non è fondato.
Giova premettere che con la sentenza rescindente questa Corte ha annullato la prima sentenza di appello per la genericità della motivazione” resa nel giustificare la sproporzione reddituale posta a fondamento della confisca allargata all’uopo disposta ex art 240-bis cod. pen.
In particolare, non risultava precisato il valore dei beni sequestrati.
Ciò premesso, i ricorrenti contestano la decisione gravata per un verso introducendo temi in fatto prospettati per la prima in questa sede perché estranei al devoluto dall’appello (ci si riferisce alla data di formazione del risparmio relativo alle somme depositate nel libretto postale).
Non contrastano, poi, il dato, riportato in sentenza, relativo ai redditi documentati (circa 5000 euro l’anno), tali da non sostenere acquisizioni, anche minime.
Di contro, le somme depositate ammontavano ad euro 32.000, espressioni di un risparmio palesemente sperequato rispetto alle dette disponibilità.
Quanto ai preziosi, poi, che fossero beni di famiglia è aspetto in fatto solo affermato.
Né la difesa deduce e tantomeno comprova che siano stati acquistati in epoca diversa da quella compresa nel perimetro temporale coperto dai reati spia.
Quale né che sia il valore, una volta precisata in sede di rinvio l’inconsistenza reddituale a monte dei ricorrenti, gli stessi non potevano ritenersi compatibili con una lecita accumulazione.
5.3. Il secondo motivo riguarda le spese per il giudizio di appello liquidate (anche) a carico dei ricorrenti in favore del Comune di Roma Capitale.
Il motivo è fondato.
Con la sentenza rescindente, la prima sentenza di appello era stata annullata, senza rinvio, avuto riguardo alla legittimazione del detto ente a pretendere il risarcimento del danno dai due imputati e la conseguente rifusione delle sp.ese processuali, una volta venuta meno l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. in origine ascritta ai due ricorrenti.
Illegittimamente, dunque, in sede di rinvio i due imputati sono stati condannati alla rifusione delle spese in favore della detta parte civile, si che la detta statuizione va in
conseguenza emendata.
6. Alla inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME seguono le pronunce di cui all’art 616 comma 1 cod. proc. pen. determinate come da
dispositivo ma non la condanna alla rifusione delle spese in favore del Comune di Roma, legittimato a prendere parte al presente giudizio di legittimità solo
. con riguardo alla posizione dei ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME per le ragioni precisate sub
§ 5.2. ma non in relazione agli altri due ricorrenti, i cui motivi di doglianza inerivano al solo trattamento sanzionatorio senza refluenze sulle statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena applicata nei confronti di COGNOME NOME, pena che ridetermina in complessivi anni 2 e mesi 3 di
reclusione, rigettando nel resto il ricorso di quest’ultimo.
Annulla altresì la medesima sentenza senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME e
Casamonica Celeste in relazione alla condanna al pagamento delle spese per il giudizio di appello liquidate in favore del Comune di Roma, condanna che elimina, rigettando nel resto i ricorsi di quest’ultimi.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME Consiglio che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 15/05/2025
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Prsicente
COGNOME
GLYPH NOME