Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22291 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22291 Anno 2024
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
Oggi, -k GIU, 2024
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Corato (Ba) il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nata a Bisceglie (Ba) il DATA_NASCITA;
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avverso la sentenza n. 2898/22 della Corte di appello di Bari del 22 giugno 2022
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
sentito il PM, in persona del AVV_NOTAIO quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi;
sentita, altresì, per il ricorrente COGNOMECOGNOME AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOMECOGNOME del for di Bari, che ha insistito per raccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari, con sentenza pronunziata in data 29 giugno 2022, ha, per quanto ora interessa, confermato, riguardo alla posizione di COGNOME NOME, la sentenza con la quale, in data 11 dicembre 2019, il Tribunale di Trani aveva dichiarato il predetto responsabile del reato di RAGIONE_SOCIALE a delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia di stupefacenti a lui contestato e del reato di cui agli artt. 81, cpv, cod. pe 73, comma 4, del dPR n. 309 del 1990 e lo aveva, pertanto, condannato, concesse al medesimo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva e ritenuti tutti i reati avvinti dal vincolo d continuazione, alla pena di anni 8 di reclusione, mentre, quanto alla posizione di COGNOME NOME, in riforma della sentenza del giudice di primo grado, ha unificato i reati a questa contestati sub Z) del complessivo capo di imputazione con quelli oggetto di sentenza di patteggiamento emessa dal Gup del Tribunale di Trani in data 13 maggio 2015, ed ha, pertanto, rideterminato la complessiva pena da infliggere alla COGNOME in complessivi anni 2 e mesi 2 di reclusione ed euri 4.400,00 di multa, revocando, peraltro, il beneficio delle sospensione condizionale della pena a suo tempo disposto con la ricordata sentenza del 13 maggio 2015.
Avverso la sentenza del giudice di secondo grado hanno interposto distinti ricorsi, tramite i rispettivi difensori fiduciari, sia la COGNOME che il COGNOME
La prima ha formulato un unico motivo di impugnazione con il quale ha chiesto a questa Corte di essere assolta dalla imputazione mossale, ovvero la riqualificazione del fatto nell’ambito del comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990 o, in via ulteriormente gradata, la riduzione del trattamento sanzionatorio.
Il secondo ha affidato le sue doglianze a tre motivi di impugnazione.
Con un primo motivo si contesta la violazione dell’art. 74 del dPR n. 309 del 1990; ad avviso del ricorrente, infatti, la Corte barese avrebb illogicamente desunto la sua partecipazione al sodalizio criminale sulla base di captazioni intercettive dal contenuto quanto meno equivoco; ha aggiunto la difesa del ricorrente che nella fattispecie mancherebbe, sotto il profil oggettivo, l’elemento caratterizzante la RAGIONE_SOCIALE per delinquere rispetto al mero concorso di persone nel reato, cioè la stabilità della organizzazione volta alla commissione dei reati.
Il successivo motivo di impugnazione è diretto a contestare la sussistenza degli elementi a carico del prevenuto in ordine alla conferma della sua penale responsabilità riguardo ai reati fine di cui alla lettera I) del capo imputazione; secondo il ricorrente la stringata motivazione resa sul punto dalla Corte di appello non renderebbe adeguatamente conto delle ragioni che hanno condotto alla conferma della sentenza di condanna a carico dell’imputato.
Infine, con il terzo motivo è contestata la esaustività della motivazione della sentenza emessa in sede di gravame in relazione alla esclusione della qualificazione dei fatti contestati al prevenuto come reati fine come violativi dell’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti sono entrambi inammissibili.
Esaminando, brevemente, il ricorso formulato dalla difesa della COGNOME emerge, in termini di lampante chiarezza, la sua estraneità al perimetro entro il quale agisce il giudice della legittimità; ciò sol che si considerino le richi con esso formulate: assoluzione, anche se con la formula dubitativa, per insussistenza del fatto o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; in subordine, riduzione della pena previa riqualificazione del fatto in altr reato meno grave; in ulteriore subordine, mitigazione dell’aumento per effetto della già ritenuta continuazione con altro delitto.
Così compendiate le conclusioni della ricorrente, tutte presupponenti giudizi di fatto “notoriamente esulanti rispetto alla competenza di questa Corte, la pronunzia della inammissibilità del ricorso, all’interno del quale non sono d’altra parte, esplicitate, neppure in termini di mero abbozzo, le critiche ch vengono mosse al contenuto della sentenza impugnata, è l’inevitabile approdo cui pervengono le lamentele della ricorrente difesa.
Pur a fronte di altro ricorso ben più articolato, tuttavia il destino cui incontro la presente pronunzia è, anche in questo caso, quello di essere l’espressione di un giudizio di inammissibilità della impugnazione.
Ed invero, quanto al primo motivo, afferente – ricalcando in sostanza i profili che già avevano costituito motivo di gravame di fronte alla Corte territoriale – alla ritenuta partecipazione del COGNOME al sodalizio criminoso di cui al capo A) della contestazione a lui mossa, si rileva che non possono trovare ricetto presso questo giudice tutte le doglianze che il ricorrente muove
alla interpretazione che è stata operata in sede di merito delle conversazioni oggetto di intercettazione e dalla quale è stato tratto il giudizio sia in ordi alla sussistenza della RAGIONE_SOCIALE per delinquere sia in relazione alla adesione del COGNOME ad essa.
Infatti, è costante l’indirizzo, che qui si intende convintamente condividere, di questa Corte secondo il quale costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni oggetto di captazione, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della avvenuta deduzione della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (fra le tante: Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 dicembre 2021, n. 44938), operazione questa che il ricorrente non ha comunque tentato.
Riguardo alla sussistenza dell’elemento oggettivo della RAGIONE_SOCIALE, ed in particolare in relazione al coinvolgimento del COGNOME in essa, la sentenza censurata è puntuale nel rilevare sia che l’attuale ricorrente era – oltre che contatto personale con il COGNOME, figura eminente della RAGIONE_SOCIALE criminosa – in rapporti economici con questo e con le persone a lui vicine, legati all’avvenuto acquisto di sostanza stupefacente da parte, appunto del COGNOME, onde rivenderla a terzi.
Più volte questa Corte ha rilevato che uno degli indici rivelatori della partecipazione ad una RAGIONE_SOCIALE criminosa dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti risiede nella disponibilità di un soggetto a rendersi stabilmente acquirente delle sostanze stupefacenti trattate dalla RAGIONE_SOCIALE onde poi cederle a terzi.
In tale senso, infatti, è stato considerato che integra la condotta d partecipazione ad un’RAGIONE_SOCIALE finalizzata al traffico illecito di sostanz stupefacenti il costante e continuo approvvigionamento di sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale da determinare uno stabile affidamento del gruppo sulla disponibilità all’acquisto, mediante la costituzione di un vincolo reciproc durevole che supera la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni e si trasforma nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso di cui l’RAGIONE_SOCIALE è portatrice (ex multis: Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 novembre 2020, n. 33139); nel presente caso la stabilità dell’approvvigionamento è desumibile dalla non trascurabile entità dei debiti documentati gravanti dul COGNOME per l’acquisto della sostanza stupefacente – entità che, sia detto per inciso, è tale da far ragionevolmente
escludere che lo stupefacente fosse stato acquistato dal ricorrente per uso personale – mentre la esorbitanza del tipo di rapporto esistente fra il COGNOME da una parte ed il COGNOME ed il suo entourage dall’altra rispetto ad un mero vincolo sinallagmatico di dare ed avere è desumibile, come correttamente segnalato dalla Corte di merito, sia dal fatto che il COGNOME era stato anche utilizzato dai COGNOME quale intermediario, oltre che rispetto ad altro gener di affari da quelli ordinariamente trattati, anche quale soggetto i cui credi (verso tale COGNOME) sono crediti, a comprova della compenetrazione dei ruoli tipica dell’associazionismo criminoso, immediatamente esigibili anche dal COGNOME in quanto “capo” del sodalizio, sia dalla circostanza che il ricorrente, acquistando a credito in un “mercato” nel quale non vi è, evidentemente, alcun mezzo lecito di esazione coattiva dei crediti non riscossi, doveva godere della piena fiducia dei cedenti, sintomatica, quest’ultima, di un rapporto andante al di là delle semplici occasionali transazioni illecite.
Passando ad esaminare il secondo motivo di impugnazione, riferito alla motivazione sulla base della quale è stato rigettato il motivo di gravame con il quale era stata contestata la affermazione della penale responsabilità del COGNOME quanto ai reati fine a lui ascritti, si osserva che il tipo di doglian formulata dal ricorrente è inammissibile, posto che la stessa si riduce all contestazione del ragionamento in base al quale i giudici del merito hanno ritenuto che il COGNOME fosse uno dei terminali commerciali della RAGIONE_SOCIALE per delinquere.
Va, a questo punto, considerato che tale argomentazione è stata dedotta dalla Corte sulla base dei seguenti dati obbiettivi non contestati nella lo realtà fenomenica: a) che l’ammontare del debito del prevenuto verso il COGNOME per la fornitura non pagata aveva un importo, pari a oltre 1.000,00 euri, piuttosto elevato (pertanto incompatibile o, quanto meno, non ragionevolmente compatibile, date le condizioni economiche del ricorrente, con un uso esclusivamente personale dello stupefacente acquistato); b) il COGNOME cedeva lo stupefacente al COGNOME a credito (circostanza difficilmente giustificabile secondo l’ordinario modo di eseguire le transazioni commerciali nell’ambiente dedito al traffico degli stupefacenti, laddove non sia AVV_NOTAIOisabile un interesse comune fra cedente e cessionario); c) il COGNOME avrebbe accettato la restituzione da parte del COGNOME delle stupefacente già a questo venduto (ulteriore indice della esistenza di rapporti diversi fra i d che non la semplice cessione dello stupefacente da parte del venditore al consumatore finale).
A fronte di tali fattori, chiaramente deponenti per la ragionevolezza della deduzione operata in sede di merito nel senso dell’avvenuto acquisto da parte dell’odierno ricorrente della sostanza stupefacente per la sua successiva rivendita, la difesa del COGNOME si limita, in sostanza, a postulare un’ipotes alternativa che escluda la penale responsabilità dell’imputato.
Ma, si osserva, una siffatta censura non è ammissibile nel giudizio di legittimità nel quale il ricorrente non deve tanto dimostrare che i fatti possan essersi svolti in termini diversi da quelli ricostruiti in sede di merito, qua deve dimostrare che la ricostruzione operata in detta sede è viziata o perché operata in contrasto con disposizioni legislative, ovvero per manifesta irragionevolezza, ovvero ancora per essere state adottate nel ragionamento di tipo inferenziale seguito delle massime di esperienza prive di logico riscontro (si veda, infatti, Corte di cassazione, Sezione I penale, 30 aprile 2021, n 16523, secondo la quale: in materia di prova indiziaria, il controllo dell Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite d giudizi ipotetici a contenuto AVV_NOTAIO, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può però avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti ipotesi non fondate sull’id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola AVV_NOTAIO che risulta priva di una pur minima plausibilità).
E sulla legittimità del ragionamento deduttivo seguito dalla Corte di merito quanto alla presente fattispecie, non vi è motivo di dubitare, posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte la prova della destinazione della sostanza ad uso personale, come quella della sua destinazione allo spaccio, può essere desunta da qualsiasi elemento o dato indiziario che, con rigore, univocità e certezza, consenta di inferirne la sussistenza attraverso u procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza (Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 giugno 2023, n. 24651), operazione che, come dianzi ricordato, corrisponde esattamente alla metodica seguita dalla Corte di Bari nell’occasione.
Venendo, da ultimo, all’esame del motivo di impugnazione avente ad oggetto la esclusione della qualificazione del fatto ascritto al ricorrente sub I) della rubrica entro i confini della lieve entità segnati dal comma 5 dell’art. del dPR n. 309 del 1990, è, in primo luogo, opportuno chiarire i termini sia
della impugnazione che, di conseguenza, del sindacato che questa Corte è chiamata ad esercitare.
Come è evidente laddove si legga la censura formulata sul punto dal ricorrente in ordine alla sentenza di primo grado, il cui testo è espressamente riportato nel motivo di ricorso per cassazione ora in esame, essa aveva ad oggetto esclusivamente la qualificazione del reato fine e non anche la, eventuale, qualificazione della RAGIONE_SOCIALE per delinquere cui il COGNOME ha inteso aderire come rivolta soltanto alla commissione di reati qualificabili nell’alveo del fatto di lieve entità.
Fatta questa prima considerazione, si rileva che la doglianza ora formulata dal ricorrente attiene ad una affermata omessa motivazione della Corte di appello sui motivi di gravame espressi sul residuo punto ancora in esame; la Corte, in realtà, ha rilevato che le ragioni impugnatorie formulate dal ricorrente non istituivano un reale confronto critico con la sentenza di primo grado e, pertanto, le stesse dovevano essere definite tramite il mero rimando al contenuto della sentenza di primo grado.
Ora, premessa la astratta correttezza di una tale metodica decisoria (si veda, infatti, Corte di cassazione, Sezione VI penale, 7 febbraio 2020, n. 5224, secondo la quale in tema di integrazione delle motivazioni tra le sentenze conformi di I e di II grado, il giudice dell’appello può motivare per relationem se l’impugnazione si limita a riproporre questioni di fatto o di diritto già esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate), si rileva che sarebbe stato onere del ricorrente non solamente riportare i motivi di impugnazione, ma anche quello di indicare specificamente i punti della sentenza di primo grado che con questa si erano intesi confutare, ciò al fine di consentire a questa Corte di verificare se, effettivamente, le ragion impugnatorie esposte in sede di gravame costituivano la mera riproposizione delle difese espresse dal ricorrente nel corso del giudizio svoltosi di fronte Tribunale ovvero costituivano delle motivate critiche alla sentenza con la quale tale giudizio era stato definito.
Il mancato assolvimento di tale onere determina, di per sé, l’inammissibilità dell’attuale ricorso, risultando lo stesso esse irrimediabilmente generico.
Per mero scrupolo di completezza di osserva che, laddove i temi criticati della sentenza di primo grado fossero stati relativi ai profili segnalati in se
di gravame per come riportati nell’attuale ricorso, si rileva che il fatto che COGNOME non fosse interessato alla “rete organizzativa” dello spaccio è circostanza – oltre ad essere non sostenibile data la sua affermata partecipazione organica alla RAGIONE_SOCIALE per delinquere ex art. 74 del dPR n. 309 del 1990 ed alla mansione di “riveditore” da lui svolta all’interno della societas scelerum è fattore che non incide sulla qualificazione in termini di minore gravità del reato fine a lui contestato (come detto unico oggetto dell’esame che ora deve essere operato); il fatto che il COGNOME non abbia prodotto guadagni non è neppure esso fattore determinante ai fini della qualificazione del fatto in termini di lieve entità; così come il fatto che no siano emersi acquirenti del COGNOME è anch’esso fattore non determinante ai fini della qualificazione del fatto.
Deve, invece, rilevarsi che lo è, ma in senso opposto a quello propugnato dal ricorrente, l’importo considerevole della somma che l’imputato doveva versare al COGNOME quale controvalore della droga da lui acquistata; siffatta circostanza costituisce, infatti, un indice affidabile della trascurabile consistenza dello stupefacente di cui si tratta.
Posto che l’unico elemento che caratterizza la fattispecie, oltre a quelli strutturalmente necessari ai fini della integrazione dell’illecito, è un element il significativo valore della sostanza stupefacente trafficata dal COGNOME, che si pone in antitesi rispetto alla qualificazione della medesima nell’ambito dei fatt di lieve entità, correttamente la Corte di merito ha rigettato il motivo gravame con il quale una siffatta qualificazione era stata rivendicata.
In definitiva, i ricorsi vanno entrambi dichiarati inammissibili ed i ricorrenti debbono essere condannati, visto l’art. 616 cod. proc. pen. a pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000,00 euri ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
AVV_NOTAIO