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Associazione di tipo mafioso: requisiti e prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare per associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e altri reati. La Corte ha confermato la sussistenza dei gravi indizi, chiarendo che per le cosiddette ‘mafie delocalizzate’ non è necessaria una violenza eclatante, essendo sufficiente la spendita della fama criminale del gruppo per integrare il metodo mafioso. La partecipazione a riunioni e il ruolo attivo, anche in attività lecite di facciata, sono stati ritenuti indizi sufficienti per la misura cautelare.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: la Cassazione sui requisiti per le ‘mafie delocalizzate’

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui criteri per configurare il reato di associazione di tipo mafioso, specialmente con riferimento alle cosiddette ‘mafie atipiche’ o ‘delocalizzate’, ovvero quei gruppi criminali che operano al di fuori dei loro territori di origine. La decisione analizza in dettaglio gli elementi necessari per provare l’esistenza del ‘metodo mafioso’ e della partecipazione al sodalizio in fase di indagini preliminari.

I Fatti del Caso

Il Tribunale del riesame di Milano, in riforma di una precedente decisione del GIP, applicava la misura della custodia cautelare in carcere a un indagato per una serie di reati, tra cui il delitto di associazione di tipo mafioso ai sensi dell’art. 416-bis del codice penale, estorsione e traffico di stupefacenti. Secondo l’accusa, l’indagato faceva parte di un’organizzazione criminale, composta da soggetti legati alle mafie storiche (Cosa Nostra, ‘ndrangheta, camorra), ma operante in Lombardia in modo autonomo. L’associazione era dedita a reati tipici come estorsioni e narcotraffico, ma anche a complesse attività economiche lecite, in particolare nel settore edilizio, finanziate con proventi illeciti.

La difesa dell’indagato proponeva ricorso per Cassazione, contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. In particolare, si sosteneva che mancasse la prova di una concreta ‘esternalizzazione del metodo mafioso’ sul territorio, elemento ritenuto necessario per qualificare l’associazione come mafiosa. Inoltre, si contestava il valore probatorio degli elementi a carico dell’indagato, come la sua partecipazione a poche riunioni o la sua vicinanza con un altro coindagato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando l’ordinanza del Tribunale del riesame. I giudici di legittimità hanno ritenuto la motivazione del provvedimento impugnato logica, completa e conforme ai principi giurisprudenziali in materia.

L’associazione di tipo mafioso e le mafie delocalizzate

Il punto centrale della sentenza riguarda la definizione del reato di associazione di tipo mafioso per i gruppi che operano al di fuori dei contesti territoriali tradizionali. La Corte ha ribadito che, per queste ‘nuove mafie’, la prova della capacità di intimidazione non richiede necessariamente atti di violenza eclatanti. È sufficiente che il gruppo criminale abbia acquisito una fama e un prestigio criminale tali da generare assoggettamento e omertà.

La forza intimidatrice, secondo la Corte, può derivare anche dalla semplice ‘spendita’ della fama criminale del gruppo o dalla replica del modulo organizzativo e dei tratti distintivi della ‘casa madre’. In altre parole, l’appartenenza a un contesto criminale noto è di per sé un fattore che genera timore e facilita la commissione di delitti, integrando così il ‘metodo mafioso’.

La valutazione della partecipazione individuale all’associazione di tipo mafioso

Per quanto riguarda la posizione specifica dell’indagato, la Cassazione ha avallato la valutazione del Tribunale del riesame, che aveva desunto la sua partecipazione da una pluralità di elementi:

* Vicinanza a membri apicali: I contatti con altri coindagati sono stati ritenuti un indizio rilevante.
* Partecipazione a riunioni: La presenza a ‘summit’ del gruppo, anche se in un ruolo apparentemente secondario come quello di autista, è stata interpretata come un indice di inserimento nel sodalizio.
* Coinvolgimento in attività tipiche: L’imputato era attivo nel recupero crediti, un’attività tipica della criminalità organizzata che spesso si basa sull’intimidazione.
* Interesse in attività economiche del gruppo: Il suo coinvolgimento in operazioni legate al settore edilizio, di massimo interesse per l’associazione, gli attribuiva un ruolo non meramente professionale ma organico al sodalizio.

La Corte ha inoltre specificato che i contrasti interni tra associati non escludono l’esistenza del vincolo associativo, ma possono, al contrario, confermarlo, evidenziando gli sforzi per risolvere le dispute in vista del fine comune.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Ha sottolineato che la verifica in sede di legittimità non riguarda la ricostruzione dei fatti, ma il controllo sulla logicità e coerenza della motivazione del giudice di merito. In questo caso, il Tribunale del riesame aveva correttamente valorizzato elementi come la continuità degli incontri, l’esistenza di una cassa comune per l’assistenza ai detenuti (indice di forte solidarietà interna), e la consapevolezza condivisa delle condotte criminose.

Per quanto riguarda la pericolosità sociale e le esigenze cautelari, la Cassazione ha ricordato che per reati come l’associazione di tipo mafioso opera una presunzione di pericolosità. L’allontanamento dell’indagato dal territorio lombardo per tornare in Sicilia non è stato ritenuto un elemento sufficiente a vincere tale presunzione, dato che le mafie storiche sono radicate anche in quella regione. La mancata scoperta di un’arma, inoltre, è stata vista come un fattore che aumenta il pericolo di reiterazione del reato, poiché l’arma è ancora nella disponibilità degli indagati.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano il contrasto alle nuove forme di criminalità organizzata. Stabilisce con chiarezza che il concetto di associazione di tipo mafioso è flessibile e si adatta a contesti criminali che, pur non manifestando la violenza plateale delle mafie tradizionali, ne replicano i metodi intimidatori e la capacità di infiltrazione nel tessuto economico e sociale. La decisione ribadisce che, in fase cautelare, la prova della partecipazione a un sodalizio può essere desunta da un insieme di indizi logici e convergenti, che nel loro complesso delineano un quadro di grave colpevolezza.

Per configurare un’associazione di tipo mafioso sono sempre necessari atti di violenza palesi?
No, secondo la Corte non è sempre necessario. Per le cosiddette ‘mafie delocalizzate’ o ‘atipiche’, è sufficiente la ‘spendita’ della fama criminale del gruppo o la percezione della sua forza intimidatrice, anche senza atti di violenza eclatanti, per integrare il metodo mafioso.

La partecipazione a poche riunioni del gruppo è sufficiente a provare l’appartenenza all’associazione?
La Corte ha ritenuto che la partecipazione a ‘summit’ del gruppo, valutata insieme ad altri elementi come i rapporti con altri associati e il coinvolgimento in attività tipiche dell’organizzazione (come il recupero crediti), costituisce un grave indizio di partecipazione all’associazione, sufficiente per l’applicazione di una misura cautelare.

Un’associazione criminale che opera principalmente in attività economiche lecite può essere considerata di tipo mafioso?
Sì. La sentenza chiarisce che se le attività economiche, anche apparentemente lecite, sono gestite con metodi illeciti, finanziate da proventi criminali e finalizzate al perseguimento degli scopi del sodalizio, esse diventano parte integrante dell’operatività dell’associazione di tipo mafioso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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