Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30545 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30545 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PATERNO’ il 18/10/1981 COGNOME NOME COGNOME nato a CATANIA il 05/06/1991 COGNOME NOME nato a CATANIA il 02/03/1984 COGNOME NOME nato a CATANIA il 31/12/1972 NOME nato a CATANIA il 18/07/1967 NOME COGNOME nato a CATANIA il 18/01/1973 COGNOME nato a CATANIA il 21/08/1991 COGNOME nato a CATANIA il 27/04/1978 COGNOME NOME nato a BELPASSO il 16/07/1962 COGNOME NOME COGNOME nata a CATANIA il 03/06/1985 COGNOME NOME nato a CATANIA il 19/12/1981 COGNOME nato a CATANIA il 10/12/1987 NOME COGNOME nato a CATANIA il 31/01/1966 NOME COGNOME nato a PATERNO’ il 01/07/1978 NOME nato a CATANIA il 07/02/1985
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha concluso: per il rigetto dei ricorsi di COGNOME e NOME COGNOME per l’annullamento con rinvio per i ricorsi di NOME sulla valutazione per la continuazione, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME in relazione alla determinazione della pena; per l’inarnmissibilità per i ricorsi degli altri ricorrenti.
uditi i difensori:
Gli Avvocati COGNOME NOME in difesa di COGNOME NOME COGNOME NOME in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOME in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME in difesa di COGNOME in difesa di NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME NOME in difesa di NOMECOGNOME insistono per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi. di
RITENUTO IN FATTO
Gli imputati in epigrafe indicati ricorrono, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, avverso la sentenza della Corte di appello di Catania del 24/05/2023 (dep. il 10/07/2023) che, in parziale riforma della sentenza del Gup del Tribunale di Catania, ha confermato in tutto o in parte l’affermazione di responsabilità, rideterminando le pene a ciascuno inflitte.
I motivi oggetto dei ricorsi, suddivisi per ciascun imputato, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
CONSIDERATO /N DIRITTO
COGNOME NOME
Inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 125, comma 3, 192, 546, comma 1, lett. e), cod. proc pen., 416-bis cod. pen. e vizio della motivazione in ordine alle ragioni per le quali il ricorrente è stato ritenuto partecipe di compagine associativa, quale quella del COGNOME Aldo COGNOME, diversa da quella indicata nel capo di imputazione (clan di San Pietro Clarenza, capo 1) della rubrica).
La ritenuta appartenenza al clan del Navarria si contraddiceva con quanto affermato in sentenza ove la Corte di merito scrive che gli uomini del Navarria non lo riconoscono come associato, al pari dello stesso Navarria, poi divenuto collaboratore.
Né, al riguardo, poteva assumere rilievo, al fine di risolvere le criticit evidenziate dalla difesa in ordine all’assenza di chiamate in correità, il ricorso all figura “dell’uomo invisibile”, ossia di colui che agiva per conto dell’associazione pur non essendo nota la sua identità agli altri partecipi: il ricorso ad una persona “pulita” poteva giustificarsi in ordine alla commissione dei delitti fine, ma non era sufficiente per assurgere a prova dell’affiliazione. Soprattutto se si considera che nessuno dei collaboratori ne afferma una qualsiasi appartenenz:a.
Molteplici erano, invece, i corollari che deponevano per l’esclusione della partecipazione: rifiuto di commettere ulteriori delitti in materia di armi o di droga (si evidenzia come un associato non può, per le regole interne del sodalizio, assolutamente rifiutare); mancata conoscenza delle figure apicali dell’associazione; lo svolgimento di un’attività limitata al singolo delitto fine “io cammino solo e prendo i soldi”; non è al libro paga dell’associazione; lo stesso COGNOME, allorché uscito dal carcere lo recluta per riprendere l’attività estorsiva,
risultava già accompagnato quotidianamente dai sodali COGNOME e COGNOME i quali escludono che l’imputato sia un associato.
Né poteva poi ricavarsi la condotta di partecipazione dalla finalità agevolativa della cosca a cui tendeva il recupero delle somme oggetto delle estorsioni, altrimenti operandosi una non consentita sovrapposizione tra una circostanza aggravante esterna al fatto e la fattispecie di partecipazione che non richiede assolutamente una corrispondenza tra condotta tipica del delitto fine e condotta tipica dell’associato.
Mancava la compenetrazione del ricorrente con l’organismo criminale tale da potersi sostenere che egli appunto faccia parte di esso e vi sia stabilmente incardinato; l’esclusione della condotta di partecipazione era avvalorata anche dall’assenza degli indici di rilevanza della partecipazione punibile per come individuati dalla giurisprudenza ed elevati ad elementi costitutivi della fattispecie: effettivo ingresso nel sodalizio, anche se non accompagnato da un particolare rituale; riconoscimento dell’associato da parte del gruppo e accettazione da parte dei sodali; adesione alle regole dell’accordo associativo e conseguente assunzione dello status di membro; elementi tutti non ravvisabili a proposito della posizione neutrale che aveva assunto l’imputato.
Il motivo è manifestamente infondato risolvendosi nella reiterazione di profili di censura svolti con l’atto di appello che risultano essere stati disattesi con corrett argomenti giuridici e con congrua motivazione dalla sentenza impugnata.
Nell’asseverare la condotta di partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso, la Corte di merito risulta avere fatto corretta applicazione dei seguenti principi affermati dalla Corte di legittimità:
la condotta di partecipazione all’associazione per delincuere di cui all’art. 416-bis cod. pen. è a forma libera e può realizzarsi in forme e contenuti diversi, indipendenti dall’esistenza di un formale atto di inserimento nel sodalizio e da uno stretto contatto con gli altri sodali, sicché il partecipe può anche non avere la conoscenza dei capi o degli altri affiliati essendo sufficiente che, anche in modo non rituale, di fatto si inserisca nel gruppo per realizzarne gli scopi, con l consapevolezza che il risultato viene perseguito con l’utilizzazione di metodi mafiosi (Sez. 2, n. 55141 del 16/07/2018, COGNOME, Rv. 274250 — 01).
Nel caso in esame, a fronte dell’assolvimento da parte del ricorrente di compiti strategici per il sodalizio, quali quello di esigere o riattivare il pagamento del pizz da parte di coloro che vi erano illo tempore sottoposti, si è precisato che la mancata conoscenza della partecipazione del ricorrente traeva origine da una precisa scelta di colui che, in quel momento, teneva le redini del gruppo (il Navarria), il quale, proprio in forza della fiducia che riponeva nell’imputato, lo aveva scelto proprio
con l’intento di controllare le estorsioni che venivano gestite dal NOME, altro primario sodale al quale era stata attribuita la reggenza nel periodo di detenzione del Navarria, così evitando anche di poter essere direl:tamente coinvolto nell’ambito dell’attività estorsiva; con la conseguenza che, in assenza di rituale affiliazione e di circolarità dell’adesione tra gli altri membri della cosca, nessuna interferenza logica è costituita dal fatto che i collaboratori non lo inseriscano all’interno della compagine; peraltro, quale elemento volto a scDnfessare che il suo contributo sarebbe stato perennemente confinato nell’anonimato, la sentenza impugnata cita il dato, particolarmente significativo, della programmata partecipazione dell’imputato ad una riunione di cosca al cospetto di colui che è indicato essere uno dei vertici dell’associazione mafiosa (il COGNOME:COGNOME NOME), al quale doveva essere presentato dal COGNOME, il quale aveva ripreso, proprio sulla scorta del decisum del COGNOME, le redini della cosca, nonché le necessarie interferenze con gli altri sodali e cioè con il NOME NOME per conoscere la cd. “Carta delle estorsioni” gestita dal NOME;
in tema di associazione per delinquere (nella specie, di stampo mafioso) è consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, COGNOME, Rv. 285126 – 02; Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266670 – 01Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, Rv. 254233; Sez. 2, n. 19435 del 31/372016, Rv. 266670; da ultimo v. Sez. 1, n. 47347 del 08/09/2022, Portaceli, non mass.; Sez. 2, n. 11287 del 03/02/2023, Di Noto, non mass.);
la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 01).
La circostanza che l’imputato si sia reso autore, con carattere di continuità, di una pletora di estorsioni che costituiscono la realizzazione del programma associativo, dà ragionevolmente conto della condotta di partecipazione, costituendo detta attività uno dei mezzi di acquisizione del profitto ad opera del consesso criminale, dell’estrinsecazione del metodo mafioso e del relativo controllo del territorio; una manifestazione esplicita della volontà associativa, allorché non si siano seguiti i riti di affiliazione, non può che essere provata attraverso
comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione, causalmente rilevante per il sodalizio (Sez. 2, n. 28868 del 02;07/2020, COGNOME, Rv. 279589 – 01).
L’essere stato l’imputato sistematicamente deputato a riscuotere i ratei estorsivi in un determinato contesto territoriale ne fa un partecipe, in quanto detta attività – per come descritta dai giudici di merito – non è affatto occasionale e limitata come accade nel concorso di persone nel reato, ma si traduce in una fattiva messa a disposizione del sodalizio in quanto volta alla conservazione e al rafforzamento della consorteria, nell’ambito delle strategie riconducibili direttamente a soggetti che, in quel momento, tengono le redini della cosca; al ricorrente, infatti, viene assegnato il compito di riattivare l’attività estorsiva c costituisce una delle finalità strategiche del sodalizio.
L’attività demandata al ricorrente si nutre anche, per come spiegato dalle sentenze di merito, delle necessarie interferenze con gli altri sodali e cioè il NOME NOME per conoscere la cd. Carta delle estorsioni gestita dal NOME; peraltro, poiché il sodalizio mafioso è una realtà dinamica, che si adegua continuamente alle modificazioni del corpo sociale ed all’evoluzione dei rapporti interni tra gl aderenti, le forme di “partecipazione” possono essere le più diverse e non debbono necessariamente abbracciare – come nel caso in esame – tutti i settori di interesse del sodalizio: pertanto, il fatto che l’imputato abbia rifiutato di essere coinvolt anche nei traffici di droga non si pone in antitesi rispetto all’adesione al clan, in quanto la ripartizione dei compiti, anche per settore illecito, è caratteristica dell associazioni anche di stampo mafioso, soprattutto in un momento di necessaria riorganizzazione a causa dei diversi arresti subiti dai sodali.
Quanto, infine, alla censura relativa alla corretta individuazione del gruppo criminale in cui sarebbe stato collocato l’imputato, l’unitarietà della contestazione e la riferibilità dei vari gruppi all’unico contesto di stampo mafioso, esclude, i ragione delle interferenze registratesi tra i vari personaggi, delle dinamiche di successione temporale e spaziale dovute pure agli arresti dei soggetti facenti parte delle diverse compagini sottostanti, che l’accostamento del ricorrente al Navarria abbia determinato una “fuoriuscita” dai confini della contestazione per come tracciata dal capo di imputazione.
Erronea applicazione del comma quarto dell’art. 416-bis cod. pen. Motivazione apparente non riferibile al caso specifico.
Asseverata la partecipazione del ricorrente al gruppo del Navarria, non si era considerato che tale sodalizio nel periodo contestato non utilizzò armi e non ne aveva la disponibilità.
Si lamenta che la sentenza impugnata abbia aritmeticamente ritenuto estensibile al ricorrente il fatto notorio che l’aggravante in questione, una volta accertata la disponibilità di armi in capo all’associazione originaria o cosiddetta madre, è configurabile automaticamente in capo ad ogni singolo partecipa al sodalizio criminoso a prescindere dall’articolazione territoriale, dal periodo di commissione del delitto, dalla durata e dal grado della partecipazione attribuito al ricorrente. Si era, quindi, fondata la circostanza aggravante sul non corretto argomento secondo cui l’associazione storicamente armata porta automaticamente con sé l’aggravante per tutti i soggetti condannati senza necessità di alcuna valutazione o motivazione specifica.
Nella ricostruzione in fatto dei giudici di merito, peraltro, risultava pacifico ch la contestata locale associazione di cui il ricorrente farebbe parte, ossia il gruppo di Navarria, nel periodo in contestazione, non utilizzò mai armi e non ne aveva neppure la disponibilità; né era estensibile al ricorrente la disponibilità di arm accertata dagli investigatori per altre locali associative ben distinte e differenziate territorialmente.
Il motivo è infondato per quanto di seguito evidenziato sub 1 con riguardo alla comune censura svolta dalla difesa del coimputato COGNOME NOME COGNOME.
“Assenza di correlazione tra capo di imputazione e motivazione. La Corte richiama una inesistente violazione dell’articolo 649 codice di rito, ma omette di dare rilievo alla duplicazione della contestazione di cui al capo 16. Omessa correlazione tra capo di imputazione contestato al capo 30 e motivazione per come censurata con lo specifico motivo di appello”.
Si evidenzia come le contestazioni di cui ai capi 16 e 30 sono una duplicazione, per come si ricavava anche dalla motivazione della sentenza di primo grado. La Corte di appello nell’asseverare, invece, la diversità dei fatti, aveva introdotto una modifica al capo di imputazione non operata dal procuratore generale d’udienza, facendo riferimento ad una informativa dei carabinieri mai presa in considerazione in tutto il procedimento di primo grado in quanto riferibile a un episodio non contestato; la modifica operata dalla Corte territoriale – la quale aveva mutato l’attività merceologica che contrassegnava la ditta vittima di estorsione – incideva sulla corretta individuazione del fatto (il soggetto passivo del reato), con violazione del diritto di difesa.
Il motivo è inammissibile poiché si risolve nella reiterazione di analoga censura sollevata con l’atto di appello, a fronte di una motivazione congrua con cui la Corte di merito ha escluso, per un verso, che i fatti oggetto del capo 30 siano gli stessi di cui al capo 16 e, per altro, che le precisazioni operate dal giudice d
primo grado a proposito degli elementi descrittivi del fatto oggetto del capo 30 si risolvano in una violazione del diritto di difesa.
Quanto all’asserita duplicazione, da cui la difesa fa discendere la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., già dalla lettura dei rispettivi capi di imputazion emergono elementi identificativi delle condotte aventi carattere autonomo con riguardo all’identità del soggetto passivo (COGNOME NOME nel capo 30, al cospetto di COGNOME NOME e COGNOME NOME nel capo 16), alla misura del rateo estorsivo preteso (500,00 euro mensili nel capo 30, a fronte dei 300,00 pretesi nel capo 16) e al periodo temporale oggetto di contestazione (fino all’ottobre 2016 nel capo 30 e dal 2013 all’ottobre 2016 nel capo 16).
La circostanza che i giudici di merito abbiano poi – sulla scorta degli atti di indagine già acquisiti al fascicolo dell’abbreviato e, in difetto di specifi allegazione, da ritenersi noti alle parti – ulteriormente precisato, correggendo l’errore materiale in cui era incorso il pubblico ministero nella formulazione del capo 30, che la persona offesa dell’estorsione era da individuarsi in COGNOME Giuseppe quale titolare di ditta operante in differente e notorio settore merceologico (semola da grani duri siciliani in Ragalna, anziché noleggio e montaggio gru), per come peraltro emergeva dallo stesso cristallizzato compendio intercettivo, non ha determinato alcuna immutatio facti tale da pregiudicare il diritto di difesa, pienamente esercitatosi anche con riguardo ai profili di merito dell’accusa per come si ricava dalle censure svolte con l’atto di appello.
Errata qualificazione dei delitti scopo di cui ai capi 7, 9, 10, 14, 16, 17, 20, 24 e 30 come delitti consumati in luogo di delitti tentati, in assenza di prova del pagamento a seguito dell’interessamento del ricorrente. Trattasi di estorsioni storiche che dovevano essere riattivate cui non è seguito alcun pagamento documentato.
Si precisa trovarsi al cospetto di un caso di scuola quale quello relativo ad estorsioni che durano nel tempo, ma per le quali un intervento successivo di un imputato porta ad una contestazione nella forma tentata se alla condotta del concorrente, che è delimitata in un arco temporale ben preciso, non segue un pagamento di natura estorsiva.
Il motivo è inammissibile.
A fondamento, infatti, della prospettata quaestio involgente la corretta qualificazione giuridica dei fatti da ricondursi o meno nell’alveo dell’estorsione tentata o consumata, il ricorrente pone – in assenza di specifici travisamenti – delle doglianze di fatto volte a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità ed a fronte di una motivazione in cui detto accertamento risulta operato dalla Corte di merito
mediante l’indicazione degli elementi che hanno caratterizzato – in un’ottica di continuità temporale – l’attività estorsiva del consesso di stampo mafioso.
Erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si lamenta il ricorso ad una motivazione stereotipata, uguale per molti dei condannati, in punto di diniego delle circostanze allenanti generiche, omettendo di considerare la posizione del ricorrente e gli elementi di carattere individualizzante che la distinguevano da quella degli altri coimputati ai quali era stato accomunato nel giudizio di disvalore, nonostante la presenza di elementi positivi ravvisabili nel ruolo dallo stesso svolto privo di pervicacia, premeditazione e danno.
Il motivo è generico e/o manifestamente infondato, rinvenendo nella sentenza impugnata il diniego delle circostanze attenuanti generiche congrua motivazione. Al riguardo, si sono evidenziati puntuali elementi di disvalore attinenti alla gravità del reato ed alla pericolosità sociale dell’imputato (v. pagg. 299 ultimo cpv. e 300). Il riferimento alla pervicacia della condotta si rivela del tutto continente con l serialità delle condotte estorsive ed il ruolo che i giudici di meriti hanno a ricorrente attribuito; correttamente sono stati valorizzati i profili di danno al vittime dei reati, ravvisabile non solo per le estorsioni consumate, ma anche per quelle tentate in ordine alla libertà morale; parimenti è a dirsi con riferimento al pericolo per la collettività, considerato che tale sistematico reato determina l’inquinamento del tessuto economico e consente alle associazioni criminali di acquisire ingenti profitti, unitamente al controllo del territorio.
Cosentino NOME COGNOME
Erronea applicazione dell’art. 416-bis, comma 4, cod. pen. e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’essere l’associazione armata che la Corte di merito aveva ricavato facendo riferimento alla notoria disponibilità di armi in capo a Cosa Nostra, quanto per la presenza di due indicatori fattuali e, segnatamente, della tipologia dei reati fine ascrivibili sodalizio e delle risultanze delle intercettazioni telefoniche ed ambientali.
Con riguardo al notorio, si lamenta che la Corte di me-ito abbia operato un’illogica traslazione della realtà sociologico-criminale che ha caratterizzato storicamente Cosa Nostra con quella riferibile alla specifica struttura associativa in cui si è realizzata la condotta partecipativa del ricorrente, in difetto di accertamento sull’effettiva disponibilità di armi in capo al sodalizio e/o ai sodali per il conseguimento della finalità associativa (insufficiente e congetturale era il
riferimento ai cinque proiettili e alla menzione di una sola arma, di cui, peraltro, non è dimostrato l’impiego ai fini associativi).
Né a tale fine poteva assumere rilievo la circostanza che “per il COGNOME (soggetto al quale è stato riconosciuto un ruolo apicale nel sodalizio) il tema delle armi fosse un argomento conosciuto”, considerato che detto coimputato è stato assolto sin dal primo grado dai reati di detenzione illegale e ricettazione di un fucile (capi 45 e 46).
Infine, nessuna decisiva valenza era da riconoscersi al richiamo ai delitti fine dell’associazione e, in particolare, a quello estorsivo che, notoriamente, non postula necessariamente il ricorso all’uso delle armi, per come asseverato anche dall’assenza di contestazione della specifica circostanza aggravante prevista in materia (limitatamente ai capi 3 e 20 si era fatto riferimento, quali modalità delle minacce, ad un proiettile e due cartucce).
Il motivo è infondato.
Le sentenze di merito, infatti, restituiscono il dato, di particolare significat di un sodalizio che, pur articolato in gruppi stanziati sul territorio, è direttament riferibile alla famiglia mafiosa catanese di Cosa Nostra, promossa e diretta al vertice da COGNOME NOME, COGNOME NOME (classe 60) e COGNOME NOME (nei confronti dei quali si è proceduto separatamente, “clan macchiatosi di numerosi crimini di sangue mediante l’utilizzo di armi”, tra le cui finalità vi è quella, specificamente contestata, di commettere delitti anche contro la vita e l’incolumità individuale.
Tali “stimmate” pervadono i gruppi locali di diretto riferimento per come si ricava dagli elementi di congiunzione, anche ch tipo personalistico e nominalistico, enunciati dai giudici di merito.
Pertanto, del tutto continente è il richiamo operato dalla sentenza impugnata al principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità a mente del quale in tema di associazioni di tipo mafioso storiche (nella specie, “Cosa nostra”), per la configurabilità dell’aggravante della disponibilità di armi, non è richiesta l’esatt individuazione delle stesse, ma è sufficiente l’accertamento, in fatto, della disponibilità di un armamento, desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, essendo questi elementi da considerare come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che, nel caso in cui l’associazione contestata sia storicamente riconducibile a “Cosa nostra”, il riferimento alla stabile dotazione di armi costituisce un fatto notorio, certamente conosciuto da chi rivestiva una posizione di vertice nell’interno del sodalizio; Sez. 2, n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284761 – 01; Sez. 6, n. 11194 del
08/03/2012, COGNOME Rv. 252177; Sez. 6, n. 5400 del 14/12/1999, dep. 2000, COGNOME Rv. 216149- 01).
Si riafferma, infatti, che il ricorso sistematico alle massime di esperienza nella interpretazione delle condotte riconducibili alle mafie storiche che ai fini della valutazione dei fatti di criminalità di stampo mafioso, non esime il giudice dal tenere conto delle indagini storico sociologiche, sebbene con prudente apprezzamento e rigida osservanza del dovere di motivazione; tali dati sono infatti utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, ogni volta che ne sia sta vagliata l’effettiva idoneità ad essere assunti ad attendibili massime di esperienza (cfr., Sez. 5, n. 47574 del 07/10/2016, COGNOME, Rv. 268403; Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 2388:38, Sez. 1, n. 84 del 05/01/1999, Cabib, Rv. 212579).
In altri termini, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilità di armi, prevista dall’art. 416-bis, comma 4, cod. pen., è configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l’accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso (Sezione 2, n. 50714 del 7/11/2019, COGNOME, Rv. 278010 – 01; Sezione 6, n. 32373 del 4/6/2019, COGNOME, Rv. 276831 – 02, che, in applicazione di tale principio, in relazione alla riconosciuta esistenza di un’associazione autonoma, formata da cellule “locali” di ‘ndrangheta federate, ha ritenuto che, ai fini della ravvisabilità dell’anzidett aggravante, sia necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula “locale” che abbia la concreta disponibilità delle armi).
Nel caso di specie deve aggiungersi che per l’associazione mafiosa in discorso già numerose sentenze passate in giudicato – puntualmente richiamate dalle sentenze di merito – hanno accertato la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 4, cod. pen. e non risultano elementi da cui desumere una sopravvenuta indisponibilità di armi in capo a Cosa nostra (in termini, Sez. 2, n. 7977 del 15/01/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 49994 del 25/10/2023, COGNOME, non mass.).
Inoltre, la sentenza di primo grado, attraverso il richiamo agli esiti degli altr procedimento connessi in relazione ai quali sono state acquisite sia le sentenze irrevocabili di condanna ovvero altri provvedimenti giudiziari (per l’elencazione v. nota n. 2 di pag. 13), anche di valenza custodiale, ha evidenziato come i gruppi investigati nel presente giudizio si pongano in stretta continuità ed aderenza con
la famiglia catanese di Cosa Nostra, così avvalorando logicamente la ricostruzione unitaria della vicenda per come contestata dal pubblico ministero.
Del resto, il rilievo che si sarebbe al cospetto di un sodalizio privo di alcuna relazione con le armi è smentito dalle motivazioni delle sentenze di merito e dai chiari riferimenti alla disponibilità di un’arma e di munizioni c:he si traggono dal contenuto delle intercettazioni richiamate che coinvolgono gli associati NOME e COGNOME (v. pag. 286 e ss.). Allo stesso COGNOME è attribuito l’aver agito al fine d acquistare un’arma con il relativo munizionamento. La circostanza, poi, che due estorsioni siano commesse utilizzando munizioni per “rafforzare” la minaccia non assume affatto valenza “neutra” ai fini dell’indagine affidata sul tema al giudice del merito, in quanto le munizioni, peraltro diversificate nel loro calibro, sono logicamente dimostrative dell’intento e/o della concreta possibilità di utilizzare le armi contro colui al quale sono “ostentate”.
Infine, proprio il dato relativo alla concreta congiunzione dei gruppi criminali con la mafia catanese di Cosa Nostra, alla luce dei precedenti giudiziari e del contesto territoriale storico di specifico riferimento in cui sono collocati, anche i continuità, i fatti oggetto di giudizio, consente di muovere agli associati un rimprovero, quantomeno a titolo di colpa, per non essersi avveduti di far parte di un sodalizio nel suo complesso armato. La circostanza aggravante, infatti, pertiene all’associazione quale elemento che ne caratterizza il maggior disvalore e pericolosità, giustificando, così, l’aumento di pena.
Di NOME COGNOME
1. Violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di improcedibilità, ex art. 649 cod. proc. pen. (stante il contemporaneo accertamento giudiziale), per il reato di cui all’art. 416-bis, comma 2, cod. pen. (per avere fatto parte con il ruolo di capo ed organizzatore del c.d. gruppo mafioso di “Lineri”, facente parte del sodalizio mafioso Santapaola-Ercolano, operante nella provincia di Catania), trattandosi del medesimo fatto oggetto della sentenza della Corte di appello di Catania del 3/02/2022, irrev. il 6/09/2023, che aveva condannato il ricorrente per il delitto di cui all’art. 416-bis, comma 2, cod. pen., per avere fati:o parte del gruppo mafioso di Lineri con il ruolo di capo ed organizzatore dall’ottobre 2016 al 11 novembre 2017 (cd. processo Kaos).
La difesa, dopo avere richiamato gli elementi dimostrativi dell’eadem facto (le due contestazioni hanno ad oggetto la stessa associazione criminale, connotata dalla medesima sfera di interessi ed operatività e al cui interno vengono, parzialmente, ricondotti i medesimi sodali coinvolti; l’associazione di cui al processo Kaos non costituisce un’entità disomogenea ed autonoma rispetto a
quella odierna, essendo le vicende giudiziarie connotate dalla carica intimidatrice nascete dal vincolo associativo, con perfetta identità di estensione territoriale di competenza dei sodalizi mafiosi, in seno ai quali, in entrambi i procedimenti il ricorrente viene indicato come soggetto di rilievo nell’ambito del gruppo di “RAGIONE_SOCIALE“), precisa come neppure il dato temporale sarebbe utile per escludere la duplicazione di giudizi, considerato che nel processo Kaos la permanenza era cessata all’aprile 2021 in virtù della sentenza di condanna, così comprendendo appieno il tempus commissi delicti contestato nel presente giudizio.
Si lamenta che la Corte di appello abbia omesso di affrontare il relativo tema, non sollevato coi motivi di appello ma dedotto nel corso della discussione all’udienza del 16/05/2023, per come la stessa sentenza impugnata aveva evidenziato nel riassumere le posizioni degli imputati appellanti (v. pag. 45). Si trattava, comunque, di questione che la Corte di merito avrebbe dovuto esaminare ex officio.
Il motivo è manifestamente infondato.
Sebbene, infatti, la Corte di legittimità abbia affermato che l’improcedibilità dell’azione penale per violazione del divieto di “bis in idem” nazionale ed internazionale è rilevabile d’ufficio in qualunque stato e grado del giudizio e può essere dedotta dalla parte anche nel corso della discussione (Sez. 2, n. 35126 del 21/05/2019, COGNOME, Rv. 277071 – 01; Sez. 2, n. 27384 dell’8/02/2023, COGNOME, non mass.), si tratta di questione che, per come prospettata ed allegata, risulta manifestamente infondata, così rendendosi superfluo il rinvio al giudice del merito per il relativo esame.
Dalla lettura della sentenza della Corte di appello di Catania n. 348 del 2022 si ricava che non si è al cospetto di un eadem facto in relazione al quale vi è stata una duplicazione dell’esercizio dell’azione penale, bensì di fatti diversi, semmai unificati dal medesimo disegno criminoso. A fronte, infatti, di una contestazione chiusa nel presente giudizio, in cui si imputa al ricorrente la condotta di partecipazione qualificata in seno al sodalizio cd. gruppo di Lireri dall’anno 2015 al settembre 2016, la contestazione elevata nell’ambito dell’altro procedimento riguarda “analoga” condotta, ma temporalmente differente, in quanto successiva e, segnatamente, nel periodo dall’ottobre 2016 fino al novembre 2017.
La circostanza, pertanto, che i periodi in cui si è realizzata la condotta criminosa siano differenti e, soprattutto, che sia stato circoscritto il periodo oggetto del presente procedimento, preclude che i fatti dell’altro giudizio ne siano compresi in virtù della natura permanente del delitto associativo. Allorché, infatti, l contestazione non sia stata effettuata nella forma cd. “aperta” (ossia con l’indicazione della data di cessazione della condotta illecita) o “a consumazione in
atto”, non vale la regola processuale secondo cui la permanenza si considera cessata con la sentenza di primo grado.
Violazione di legge, inosservanza di norme processuali e difetto di motivazione in ordine alla ritenuta appartenenza del ricorrente all’associazione per delinquere.
Si lamenta l’assenza dimostrativa degli elementi di prova indicati dalla sentenza impugnata a corredo dell’affermazione di responsabilità e l’erronea applicazione dei principi giurisprudenziali che debbono essere seguiti affinché il fatto sia sussumibile nell’alveo della fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen. in particolare, del secondo comma che sancisce le forme della partecipazione qualificata.
Il motivo è inammissibile poiché generico, non confrontandosi specificamente il ricorrente con i molteplici elementi di prova (dialoghi oggetto di captazione, servizi di osservazione della p.g., propalazioni dei collaboratori di giustizia, partecipazione ai delitti fine, ecc.) declinati dalla sentenza impugnata alle pagine 120-123 a corredo della condotta di partecipazione all’associazione di stampo mafioso.
Parimenti generica è la doglianza in ordine agli elementi da cui si è tratto il ruolo apicale dell’imputato: la sentenza impugnata non solo ha fatto riferimento al dato della partecipazione del COGNOME ad incontri tra associati, ma ne ha evidenziato l’oggetto, trattandosi di riunioni destinate a dirimere questioni rilevanti della vita associativa e avvenute alla presenza di esponenti di vertice dell’intera associazione, ma ha anche richiamato il diretto coinvolgimento per la risoluzione di questioni riguardanti gli equilibri tra i vari gruppi, per come risulta dalle vicend estorsive che lo vedono coinvolto quale “mediatore”.
Violazione di legge, inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta ricorrenza della condotta estorsiva (tentata) di cui al capo 15, che la Corte di merito aveva tratto dal contenuto di un’intercettazione – nel corso della quale l’imputato apprende le iniziative che avrebbe assunto il Faro nello svolgimento dell’attività estorsiva per come rubricata – senza spiegare il rilievo per cui le circostanze ivi emerse dimostrerebbero un qualificato apporto causale del ricorrente all’esecuzione della richiesta estorsiva.
Il motivo è inammissibile in quanto si risolve nella generica reiterazione di quello svolto con l’appello (v. pag. 175), adeguatamente vagliato dalla sentenza impugnata che ha evidenziato gli elementi in forza dei quali il ricorrente entra a pieno titolo nella vicenda estorsiva quale soggetto che, unitamente agli altri coimputati, decide e condivide le strategie da assumere per costringere le persone offese al pagamento del pizzo. La difesa, peraltro, incentrando la sua censura
esclusivamente sul contenuto dell’intercettazione del 29/04/2016, omettendo di confrontarsi con gli altri elementi di prova indicati a corredo dell’intervento del ricorrente nella vicenda, ne opera una lettura parcellizzata al fine di svilirne la pregnanza contenutistica. La sentenza impugnata ha evidenziato che il ricorrente apprende dell’andamento della vicenda estorsiva poiché ne è direttamente coinvolto, in ragione del ruolo apicale che svolge all’interno delle consorterie criminali di riferimento.
Violazione di legge, inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in ordine alla ritenuta ricorrenza della condotta di tentata estorsione di cui al capo 37: era la stessa sentenza impugnata che dava atto che dai dialoghi intercettati non era emersa alcuna violenza o minaccia e un intento di profitto in capo al ricorrente, il quale avrebbe agito solo con l’intento di accrescere il prestigio del gruppo di appartenenza, attraverso l’ottenimento del credito vantato dal Consoli; la contemporanea azione di due gruppi malavitosi coinvolti nella vicenda escludeva un profitto economico riconducibile ad un terzo.
Il motivo è manifestamente infondato per quanto già evidenziato a proposito dell’analoga censura svolta dal coimputato COGNOME (vedi sub 2 del relativo motivo di ricorso). La censura di travisamento è genericamente affermata e – lungi dal risolversi nella denuncia di avere utilizzato una prova inesistente o un risultato di prova incontrovertibilmente diverso, nella sua oggettività, da quello effettivo – si risolve in una doglianza attinente al contenuto dimostrativo della prova e al suo significato che il giudice del merito ha risolto con congrua motivazione.
Violazione di legge, inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alla ritenuta ricorrenza della condotta estorsiva di cui al capo 38. Mancava la prova che la richiesta di interessamento rivolta al ricorrente affinché il debitore (RAGIONE_SOCIALE pagasse i debito nei confronti del Consoli avesse avuto seguito e che fosse pervenuta al debitore (che parrebbe non essere stato rintracciato).
Il motivo è manifestamente infondato: dalla lettura della sentenza impugnata si evince che il mandato, conferito dal COGNOME all’imputato, di recuperare il credito dal primo vantato nei confronti del COGNOME sia giunto a conoscenza della persona offesa, in quanto se è vero che il tentativo di recupero del COGNOME non ebbe seguito avendo costui trovato l’impresa chiusa, dalle successive intercettazioni emerge che lo stesso COGNOME abbia poi contattato la persona offesa e che questa si sia lamentata del comportamento del creditore (il COGNOME) che per riscuotere il credito gli aveva inviato degli emissari. Non si è, dunque, al mero cospetto di atti preparatori che sono rimasti all’interno della sfera giuridica del soggetto attivo, ma di un’attivit
di recupero che ha coinvolto più soggetti e si è estrinsecata in comportamenti materiali (ricerca del debitore), involgendo la sfera giuridica della persona offesa, tanto che il perseguimento dell’obiettivo illecito avuto di mira ha determinato l’allontanamento della p.o. (“che non si era fatta più vedere”). È, dunque, correttamente integrato il delitto tentato.
Violazione di legge, inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta tentata rapina ai danni di Spina Santo, di cui al capo 39, essendosi al cospetto di un’ipotesi di reato impossibile per oggetto inesistente.
Il motivo è manifestamente infondato.
Accertata l’accurata predisposizione di una rapina ai danni di un imprenditore nel giorno in cui egli si reca in banca a versare gli incassi, previa ripartizione de compiti e l’assolvimento di quanto una tale azione previamente richiede, i giudici di merito – a fronte dell’inaspettata assenza della vittima – hanno escluso ricorrere un’ipotesi di reato impossibile in considerazione della chiara destinazione finalistica delle condotte poste in essere e della loro valenza causale al fine di realizzare l’obiettivo avuto di mira.
In particolare, la sentenza impugnata, al fine di asseverare il tentativo di rapina, ha richiamato un precedente della Corte di legittimità a mente del quale il tentativo è configurabile anche quando non sia compiuto almeno un frammento della condotta tipica, sempre che gli atti posti in essere siano idonei e inequivocamente diretti alla commissione del delitto (Sez. 2, n. 17988 del 19/01/2010, Magistrelli, Rv. 247617 – 01).
Il Collegio condivide tale orientamento. Abbandonata la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi, e rappresentando la lettera dell’art. 56 cod. pen. i punto di confluenza di tutte le nozioni descrittive con le quali si cerca di integrare il mezzo di identificazione dell’univocità degli atti, è principio pacifico che gli possono ritenersi univoci ove, considerati in sé medesimi, per il contesto in cui si inseriscono, per la loro natura ed essenza, rivelino l’intenzione dell’agente. L’unicità va, pertanto, considerata come caratteristica oggettiva della condotta tale da denotare, secondo le regole di comune esperienza e dell’id quod plerunque accidit, il fine cui si tende; criterio di ordine generale che può essere di valido ausilio nel suo riconoscimento è costituito dall’imprevedibilità della non consumazione, ovvero da quella complessiva situazione di fatto in cui tutto fa supporre che reato sarà commesso e non appaiono percepibili incognite che pongano in indubbio tale eventualità.
La sentenza impugnata, la quale va necessariamente imegrata con quella conforme nella ricostruzione dei fatti di primo grado, rispetta tali principi di diri
e le sue conclusioni, in ordine all’univocità degli atti, che costituiscono giudizio d merito che, indipendentemente dalla sua opinabilità, non sono censurabili in sede di legittimità se sorrette, come è nella specie, da motivazione congrua e priva di errori logici, avendo giudici di merito puntualmente indicato e valorizzato i numerosi elementi di fatto acquisiti al giudizio il cui significato, secondo un criteri di normalità logica, è effettivamente consonante con le conclusioni assunte dal provvedimento.
La configurabilità del fatto come tentata rapina non può poi ritenersi esclusa in quanto il concreto obiettivo non sarebbe stato presente; per come precisato dalla sentenza impugnata, solo per mera causalità l’imprenditore non era presente in banca il giorno da lui stesso scelto per effettuare i versamenti degli incassi del supermercato, sicché la rapina sarebbe stata eseguita poiché tutto, anche logisticamente, era stato predisposto.
Violazione di legge, inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione in ordine alle ritenute intestazioni fittizie delle imprese intestate a COGNOME NOME e NOME, capi 40 e 41.
Si lamenta l’assenza in capo al ricorrente del dolo specifico, tenuto conto che all’epoca dei fatti egli era incensurato e non aveva alcun interesse a ricorrere ad un prestanome per celare l’interesse all’esercizio di un’attività economica. Né, al riguardo, era sufficiente il riferimento al ricorso ad una condotta illecita che i ricorrente avrebbe realizzato a “futura memoria”, per come ritenuto in sentenza.
Il motivo è inammissibile poiché riproduttivo dei profili di censura svolti con l’atto di appello che risultano adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte di merito con cui il ricorrente omette di confrontarsi (v pagg. 241-248). La sentenza impugnata, infatti, attraverso il richiamo al contenuto delle intercettazioni e delle indagini svolte, non solo ha messo in evidenza il ruolo gestionale assunto dall’imputato nelle due compagini, ma come la sua presenza fosse la conseguenza di un disegno più ampio volto a favorire gli interessi della cosca mafiosa di riferimento, nell’ambito del quale l’intestazione societaria al terzo costituisce il consapevole schermo per occultarne la riferibilità all’imputato e alla criminalità che ne tira le fila.
Faro NOME
Vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena e all’aumento riferito a ciascuno dei reati satellite in continuazione.
Il motivo è manifestamente infondato. La sentenza impugnata, infatti, risulta corredata da congrua motivazione sia in ordine alla determinazione della pena
base stabilita sul più grave reato di cui al capo 1 della rubrica (valorizzandosi anche a favore dell’imputato l’intervenuta confessione), sia con riferimento alla molteplicità dei delitti in relazione ai quali è stato riconosciuto il vincolo de continuazione, essendosi al riguardo richiamati specifici indici di disvalore agli stessi riferibili, in ragione anche della loro serialità e riconducibilità al conte associativo di riferimento (v. pag. 291); si è, quindi, fatta corretta applicazione del principio a mente del quale, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base, vieppiù quando non è possibile dubitare del rispetto del limite legale del triplo della pena base ex art. 81, comma 1, cod. pen,, in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati, e i reati posti in continuazione siano integrati da condotte criminose seria[ ed omogenee (in termini, espresso da Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, COGNOME, Rv. 279770 – 01; Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005 – 01; Sez. 7, ordinanza n. 540 del 9/11/2023, dep. 2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 51604 del 6712/2023, dep. 2024, Bengasi, non mass.; Sez. 2, n. 27877 del 16/05/2023, Magnan, non mass.; Sez. 3, n. 22091 del 9/03/2023, Albergo, non mass.; Sez. 1 n. 7781 del 21/12/2022, dep. 2023, Liga, non mass.).
NOME
1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego della continuazione esterna tra i fatti oggetto del presente giudizio e quelli già giudicati con le precedenti sentenze di condanna irrevocabili indicate analiticamente dalla difesa sin dal primo grado nella memoria depositata il 17/04/2021 a sostegno della richiesta (e in relazione alle quali era stata già applicata la continuazione dalla Corte di appello di Catania con provvedimento del 12/05/20005, pure allegato), nonché con i fatti oggetto di altre pronunce (GUP Tribunale di Catania del 27/06/2017 e Corte di appello di Catania del 6/07/2018, pure allegate) riguardanti un’estorsione alla “RAGIONE_SOCIALE“, connessa con altra oggetto del presente processo (vicenda per la quale lo stesso procuratore generale di appello aveva in udienza sollecitato il riconoscimento del vincolo della continuazione). La difesa, dopo avere evidenziato gli elementi fondanti l’unicità del disegno criminoso tra i fatti giudicati e quelli oggetto delle indicate e/o allegate sentenze, lamenta che la Corte di merito abbia disatteso di provvedere sul rilievo che “con riferimento alla continuazione esterna, non sono state prodotte le sentenze” (v. pag. 297 della sentenza impugnata). Premesso che tale argomento non era comunque “spendibile in ordine alla vicenda per la RAGIONE_SOCIALE in cui vi era stata sin dal
primo grado specifica allegazione delle relative sentenze, richiama un orientamento di legittimità in forza del quale a fronte della specifica indicazione dei provvedimenti fondanti la continuazione, compete al giudice della cognizione provvedere alla relativa acquisizione (Sez. 3, n. 30272 dell’08/06/2021, Rv. 282475 – 01).
Il motivo è parzialmente fondato.
Con riferimento alla richiesta di riconoscimento della continuazione in relazione alle sentenza definitive soltanto indicate ma non allegate, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento prevalente di legittimità secondo cui secondo cui l’imputato che intenda richiedere, nel giudizio di cognizione, il riconoscimento della continuazione in riferimento a reati già giudicati non può limitarsi ad indicare gli estremi delle sentenze rilevanti a tal fine, ma ha l’onere di produrne la copia, non essendo applicabile in via analogica la disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen. dettata per la sola fase esecutiva. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’onere di allegazione delle sentenze nel giudizio di cognizione è finalizzata ad impedire richieste intenzionalmente dilatorie ed a garantire la celerità del rito, esigenze che, invece, non sussistono in fase esecutiva, vedi ex multis Sez. 2, n. 7132 dell’11/01/2024, COGNOME, Rv. 285991 – 01; Sez. 6, n. 19487 del 6/2/2018, Rv. 273380; Sez. 2, n.49082 del 17/04/2018, Lipari, Rv. 274808 – 02; Sez. 5, n. 10661 del 23/01/2023, Corallo, Rv. 284291 – 01).
Proprio dall’affermazione del principio di diritto sopra enunciato consegue, invece, la fondatezza del motivo di ricorso riguardo alla richiesta di continuazione con i fatti oggetto delle sentenze definitive relative ad estorsioni commesse ai danni della RAGIONE_SOCIALE, per come anche sollecitato dal p.g. presso la Corte di appello di Catania nelle conclusioni rese all’udienza del 3/11/2022 pag. 27, non riportate nella sentenza impugnata. Sul punto, il ricorrente, mediante specifica allegazione al presente ricorso, ha dato contezza di avere sottoposto la questione corredata dei necessari provvedimenti sin dal primo grado.
Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata, limitatamente alla continuazione esterna relativa ai fatti già giudicati con riguardo alla vicenda estorsiva ai danni della RAGIONE_SOCIALE, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto.
Va, invece, dichiarato inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
NOME
Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al delitto di cui al capo 38 della rubrica (artt. 110, 56 e 629, 416-bis,1 cod. pen.).
Si lamenta l’assenza di qualsiasi elemento che dia conto dell’avvenuta partecipazione concorsuale dell’imputato al reato contestato, emergendo soltanto un’intercettazione da cui si desume che un coimputato ha chiesto l’intervento del Leone per operare una presunta minaccia nei confronti della vittima del reato, in assenza non solo della prova che l’imputato l’abbia poi profferita, ma che in qualsivoglia modo l’abbia accettata, tanto che lo stesso p.g. di appello ne aveva sollecitato l’assoluzione. Mancante era, poi, la motivazione sull’attribuzione al ricorrente dell’aggravante speciale.
Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di merito ha, infatti, motivatarnente dato conto delle ragioni che portano ad attribuire anche al COGNOME il ruolo di concorrente dei coimputati COGNOME e COGNOME nella tentata estorsione ai danni del COGNOME.
Attraverso il richiamo al contenuto delle intercettazioni si è, infatti evidenziato come anche il ricorrente fosse destinatario del mandato estorsivo che COGNOME gli aveva conferito unitamente al COGNOME e volto al rintraccio del debitore COGNOME il quale cercava di sottrarsi al pagamento di quanto dovuto al creditore COGNOME il quale era spalleggiato dal clan nell’attività di recupero del proprio credito. La circostanza, poi, che l’imputato abbia ricevuto l’incarico, la sentenza impugnata la ricava dalle interlocuzioni del COGNOME con il creditore COGNOME; in particolare, si precisa che è lo stesso COGNOME che riferisce al COGNOME che della vicenda se ne occupava anche l’imputato, il quale gli aveva fatto sapere che nei giorni successivi il Faro sarebbe tornato a cercare il Pavone (il riferimento è all’esito infruttuoso della “visita” che il Faro aveva fatto giorni prima presso l’azienda del Pavone, trovandola chiusa).
Nessuna illogicità e tantomeno violazione delle regole sul concorso di persone nel reato sconta, pertanto, la sentenza impugnata per avere riconosciuto all’imputato il ruolo di concorrente quantomeno morale, avendo con la sua consapevole presenza e adesione, rafforzato il proposito criminoso del coimputato COGNOME, il quale ha così perpetrato nel disegno di realizzare forzatamente la pretesa del Consoli.
Quanto all’aggravante speciale, sebbene la sentenza impugnata ne abbia declinato soltanto le causali, la consapevolezza dell’imputato di sostenere un mandato estorsivo riferibile agli interessi della cosca di stampo mafioso in cui il coimputato COGNOME assume un ruolo apicale, si ricava dal complesso della
motivazione resa anche a proposito del coinvolgimento del ricorrente nella vicenda dell’intestazione fittizia dell’attività commerciale di cui al capo 42 della rubrica, quale dà ragionevolmente conto del particolare legame che intercorreva con gli altri coimputati ritenuti appartenenti alla cosca mafiosa.
Del resto, il fatto che fosse proprio COGNOME, del tutto estraneo al rapporto creditorio, a muovere le fila per la riscossione del credito del terzo e che al detto fine si fosse proceduto alla chiamata di soggetti necessariamente fidati a cui affidare l’esecuzione dell’incarico, è argomento non affatto manifestamente illogico per sostenere anche nei confronti dell’imputato la consapevolezza di prestarsi a realizzare un mandato estorsivo volto anche a rafforzare l’egemonia ed il prestigio della cosca territoriale di riferimento.
Violazione di legge in ordine al capo 42 della rubrica (art. 12-quinqeus I. n. 356/1992 e 416-bis.1 cod. pen.).
Si lamenta l’assenza nella motivazione della sentenza Impugnata di ogni riferimento a condotte specifiche del ricorrente idonee a dimostrare che effettivamente fosse a conoscenza del motivo per il quale la società, per come ricavato dai colloqui di terze persone, dovesse passare sotto la propria gestione, ancor di più che addirittura tale operazione fosse volta ad eludere le misure di prevenzione patrimoniali e che di tale illecita finalità il ricorrente ne fosse conoscenza essendogli stato comunicato.
Peraltro, nel caso in esame, mancava anche ogni riferimento alla provenienza delle risorse impiegate per l’acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l’applicazione delle misure di prevenzione, nonché alle ragioni che avrebbero indotto all’elusione delle norme in materia di prevenzione, non risultando il soggetto agente sottoposto ovvero sottoponibile a dette misure.
Il motivo è generico e/o manifestamente infondato.
Invero, dalla lettura della sentenza impugnata si ricava che il coinvolgimento dell’imputato, qual soggetto di fiducia al quale affidare un’impresa deputata alla gestione delle scommesse, ritenuta cardine per gli affari della compagine criminale insistente sul relativo territorio, costituisce l’epilogo di diverse vicissitu registratesi nel corso della primigenia gestione fittizia, all’esito delle quali il clan, nelle persone dei suoi più autorevoli rappresentanti, decide di avvalersi – secondo le disposizioni di COGNOME NOME – dell’opera del COGNOME, il quale, per come poi riscontrato dalla polizia giudiziaria, fa risultare quale intestataria fittizia d società la sua convivente.
Nessuno scostamento, pertanto, dallo schema legale, essendosi dato conto di come detta società fosse stata ab origine costituita coi proventi della criminalità
organizzata stante già la pregressa intestazione fittizia in capo allo COGNOME quale socio occulto del COGNOME, partecipe del sodalizio di cui al capo 1 della rubrica.
Quanto al dolo specifico, il giudice del merito lo ha correttamente ricavato dal contesto fattuale della vicenda, nell’ambito della quale l’imputato non fa ingresso per caso, ma in ragione del suo pregresso coinvolgimento, tenuto conto che la sentenza impugnata gli addebita, con riguardo alla gestione COGNOME, cointeressenze e responsabilità nella gestione, della quale si rende conto agli esponenti della criminalità organizzata e stante la sua indicazione proveniente da un’intesa tra i maggiorenti della cosca (COGNOME, COGNOME e COGNOME).
Messina Salvatore
1. Insufficienza e contraddittorietà della motivazione, nonché per violazione di legge in ordine all’identificazione del ricorrente, nelle conversazioni in atti, nel persona indicata come “Turi”, che ebbe a subire il 20/10/2015 una perquisizione nel corso della quale sarebbe riuscito a disfarsi di un certo quantitativo di stupefacente, sebbene altra parte della droga, unitamente a del denaro, fosse stata sequestrata (capo 32 della rubrica). In particolare, non essendo l’utenza dell’imputato sottoposta ad intercettazione diretta, non poteva presumersi che il riconoscimento sia avvenuto sulla base della conoscenza del tono della voce e di riferimenti personali noti agli investigatori ovvero a seguito dell’esito dell’attiv di indagine e di controllo che possano suffragare l’identificazione, in quanto l’unico episodio che avrebbe potuto consentire l’identificazione dell’imputato menzionato nel corso dei dialoghi captati tra i correi – sarebbe, appunto, costituito dall’esito della perquisizione svolta nei confronti dell’imputato il 20/10/2015, di cui però non vi era traccia nemmeno nella banca dati delle forze di Polizia.
Il motivo è fondato.
Inconferente, ai fini del rigetto della censura difensiva, è il riferiment contenuto nella sentenza impugnata alla scelta del rito abbreviato, in forza della quale le difese avrebbero “accettato” la paternità delle voci di cui ai dialoghi captati, altrimenti avendo dovuto gli imputati optare per il rito ordinario che, a mezzo di perizia fonica, avrebbe consentito di sciogliere i relativi dubbi, così permettendo alle difese di devolvere, in ipotesi, la relativa questione con l’atto di appello.
Dall’accettazione del rito abbreviato consegue la cristallizzazione dei dialoghi per come trascritti dalla polizia giudiziaria e la piena valenza probatoria dei relativi brogliacci, ma ciò non preclude affatto alle parti di poter interloquire sull’attribuzione delle relative voci e sulla pregnanza degli elementi in forza dei
quali la polizia giudiziaria ne ha asseverato la paternità, al pari del significato de dialoghi rispetto al quale la prospettazione della p.g. non vincola affatto l’autonomo apprezzamento del giudice, sulla scorta della prospettazione delle parti e fermi restando i poteri di integrazione ex officio, comunque propri anche del rito speciale. L’accettazione del giudizio allo stato degli atti e, quindi, la rinunci all’istruzione dibattimentale, attiene al mezzo di prova, non al suo risultato. Con la conseguenza che, laddove il primo giudice non abbia risolto in sentenza il tema devoluto con la discussione, nessuna preclusione incontra la difesa nel proporre la questione con il motivo di appello.
Allorché l’attribuzione vocale del dialogo incontri una specifica censura difensiva in ordine alla carenza degli elementi che ne sostengono l’attribuibilità all’imputato, come nel caso in esame ove non si è al cospetto di un’intercettazione diretta ovvero suffragata da conseguenziali servizi di ocp o di indagine, ovvero da una puntuale indicazione delle ragioni per cui l’attività di ascolto abbia comunque consentito di ricondurre il vocale all’imputato, la questione non può essere risolta facendo ricorso ad un’accettazione del rito speciale ovvero mediante una generica affermazione che la p.g. a forza di ascoltare le voci sia pervenuta alla certa identificazione degli imputati.
Peraltro, con riguardo all’imputato, le conversazioni citate in sentenza non danno nemmeno conto di un ascolto sistemico da parte della p.g. e, comunque difetta l’indicazione degli elementi di relativo sostengo individualizzante.
Peraltro, per come rilevato nei motivi di ricorso, non soccorre neppure quale ausilio ai fini dell’identificazione – conservando invece la sua pregnanza contenutistica ai fini del coinvolgimento nei traffici di droga contestati – l’esito del perquisizione che l’imputato avrebbe subito il 20 ottobre 2015, tenuto conto che è la stessa sentenza impugnata che a pag. 267 e 268 e ss. dà c:onto di come dalle attività investigative non risulti traccia di tale operazione antidroga, concludendosi che l’imputato avesse ideato tale espediente per impossessarsi di parte dello stupefacente senza doverlo pagare (tanto che tale ipotesi era chiaramente ventilata nelle conversazioni di chi doveva riceverne i proventi).
Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.
COGNOME Corrado (capo 32)
Mancanza di motivazione in ordine ai criteri utilizzati per l’individuazione dell’imputato nell’ambito dei dialoghi intercettati e all’attribuzione al medesimo
delle utenze telefoniche oggetto di captazione in relazione al delitto di cui al capo 32.
Contraddittorietà della motivazione in relazione al capo 32.
Vizio di motivazione in relazione alla quantificazione della pena e all’esclusione della configurabilità del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990.
A fronte di una contestazione che abbraccerebbe ben 14 mesi (da settembre 2015 a novembre 2016) le condotte documentate dalle intercettazioni si riferivano esclusivamente ad un periodo circoscritto (tra settembre ed ottobre 2015), tanto da ridondare in genericità della contestazione; si era al cospetto, semmai, di un’ipotesi di droga parlata difettando riscontri in merito alla cessione dello stupefacente (al coimputato NOME COGNOME) e alla natura pessima della sostanza; non si era doverosamente apprezzata l’intervenuta assoluzione dal reato degli altri coimputati e la possibilità, in subordine, di riqualificare il fatto nell’ del quinto comma.
I motivi sono manifestamente infondati.
La Corte di legittimità, in tema di stupefacenti, ha affermato che, qualora gli elementi di prova carico dell’imputato consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente, la loro valutazione, ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299 – 01).
Di tale principio risulta avere fatto corretta applicazione la sentenza impugnata, in quanto la riconducibilità dei dialoghi ai traffici di droga è stat logicamente tratta dalla spendita di chiari indici dimostrativi di tale illeci negoziazioni, quali i riferimenti, financo nominalistici, alla quantità e qualità del sostanze cedute, al relativo peso, al prezzo, alle modalità di consegna ed occultamento dello stupefacente.
Peraltro, che i dialoghi non fossero espressivi di mere intenzioni lo si è anche ricavato dal contenuto di diverse intercettazioni che danno atto di come lo scambio della droga fosse avvenuto ovvero fossero stati eseguiti i relativi pagamenti. Inoltre, rileva anche il contesto criminale di riferimento in cui sono stati collocati dialoghi (si precisa come la fornitura di marijuana e di cocaina sia volta a favorire
il NOME e l’organizzazione criminale dallo stesso capeggiata) che non rinviene nel processo, né nelle allegazioni difensive, specifiche ipotesi alternative.
Corretto, poi, risulta il riferimento – ai fini dell’esclusione dell’attenuante fatto di lieve entità – alla diversità delle sostanze oggetto del traffico di droga, al quantità, alla reiterazione delle condotte ed alla natura dei traffici sostenuta da una non elementare organizzazione e al contesto criminale di riferimento.
La circostanza che non sia stato effettuato il sequestro della droga non assume decisivo rilievo, alla luce del principio di legittimità secondo cui in tema d stupefacenti, l’ipotesi lieve di cui all’art.73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere esclusa anche in mancanza del sequestro della sostanza stupefacente, qualora si pervenga per via indiretta, sulla base di elementi di prova certi, alla individuazione di un significativo dato ponderale (Fattispecie relativa alla fornitura di sostanze stupefacenti in modo continuativo, professionale ed economicamente consistente).(Sez. 6, n. 46607 dell’1/12/2021,, COGNOME, Rv. 282391 – 01).
Infine, la circostanza che i fatti ascritti all’imputato si siano concentrati in arco temporale più ristretto rispetto a quello oggetto di contestazione non determina alcuna genericità dell’addebito, in quanto chiaro è il riferimento all’individuazione dei traffici, alla tipologia di droga, al loro contesto ed protagonisti e, soprattutto, alle fonti di prova da cui la contestazione origina, ben nota all’imputato stante anche la cristallizzazione degli elementi di prova conseguente al rito abbreviato.
Vizio di motivazione in ordine all’applicazione della recidiva reiterata ed infraquinquennale.
Si evidenzia che i fatti oggetto del presente giudizio vanno dal settembre 2015 e, quindi, ben otto anni dopo la commissione dei fatti precedenti (2007) e sei anni dalla irrevocabilità della corrispondente sentenza che li ha accertati (2009).
Si lamenta, poi, l’assenza di una motivazione idonea a giustificare l’aumento di pena, tenuto conto che gli indici valorizzati per affermare la recidiva facevano riferimento a circostanze inerenti ad altri delitti da cui l’imputato è stato assolt quanto ai collegamenti con la criminalità organizzata, la natura extra-mafiosa del commercio di droga era suffragata dall’esclusione dell’aggravante speciale, così rendendosi anche contraddittoria la motivazione sul punto.
Il motivo è inammissibile per carenza di interesse ed anche manifestamente infondato.
La Corte di merito, infatti, al fine di non incorrere nel divieto di reformatio in peius ha applicato, sul minimo della pena stabilito per la violazione della legge stupefacenti (anni sei di reclusione ed euro 26.000 di multa) l’aumento di 1/3 per
la recidiva semplice. E, dunque, è rispetto a tale ipotesi – e non a quella errata della recidiva infraquinquennale ovvero reiterata pur contestata – che bisogna fare riferimento al fine di verificare se il giudice del merito ha indicato pertinen elementi di sostegno.
Al riguardo, ritiene il Collegio che a tale quesito debba darsi risposta positiva, in quanto la sentenza impugnata ha comunque richiamato gli elementi attinenti alla gravità del reato di violazione della legge stupefacenti ed al ruolo, non affatto secondario, svolto dall’imputato nei ripetuti traffici, per come declinato nell’incipit del relativo paragrafo e puntualizzato dal primo giudice nella ricostruzione delle vicende illecite sottese al relativo capo di imputazione, unitamente al dato certo che non sconta la necessità di alcun travisamento – di avere comunque intrattenuto rapporti di affari e criminali con un soggetto, quale è descritto il Felice a capo di un’organizzazione di stampo mafioso. L’applicazione della recidiva facoltativa, seppur richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, può tuttavia essere adempiuto anche implicitamente, ove si dia conto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore. (Sez. 2, n. 39734 del 17/09/2015, COGNOME, Rv. 264533 – 01; Sez. 6, n. 20271, del 27/04/2016, COGNOME, Rv. 267130 – 01).
Navarria NOME COGNOME
Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 133 e 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione.
Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 81, cornma 2, cod. pen. e 24 e 111 Cost. e vizio di motivazione.
La doglianza attiene alla quantificazione della pena stabilita in aumento ex art. 81 cod. pen. rispetto a quella della sentenza n. 1263/2020 emessa dalla Corte di appello di Catania irrev. il 3/11/2020 e al trattamento sanzionatorio complessivamente inflitto che si sostiene privo di adeguata motivazione.
Il motivo sul diniego delle attenuanti generiche è manifestamente infondato, potendo essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, cod. pen., disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è Più sufficiente il solo stato di incensura1:ezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986). Del resto, ai fini ostativi non solo rilevano i plurimi elementi di gravità e disvalore comunque evidenziati dalla sentenza impugnata anche nella parte generale dedicata al trattamento
sanzionatorio che hanno caratterizzato le vicende oggetto di giudizio, ma anche l’aver, al contempo, valutato l’incidenza degli elementi collaborativi a cui la difesa ha fatto riferimento, comunque ampiamente apprezzati ai fini della determinazione della pena base e del riconoscimento dell’attenuante della collaborazione, applicata nella misura della metà.
Il secondo motivo è fondato, con assorbimento del primo limitatamente alla determinazione della pena.
Anche per tale imputato – al pari di quanto più diffusamente evidenziato per il coimputato NOME COGNOME la Corte di merito, pur riconoscendo la continuazione tra i fatti di cui al capo 4 della rubrica con quelli più gravi (essendo contestato il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.) di cui alla sentenza della Cor di appello di Catania sopra indicata (in relazione ai quali l’imputato aveva riportato una condanna ad anni 8 e mesi 4 di reclusione), anziché stabilire la pena per il reato oggetto di giudizio nella misura da applicarsi in aumento per la continuazione, ne ha invece determinato l’entità (pari ad anni 2 mesi 4 di reclusione ed euro 2.000 di multa) in modo del tutto autonomo quale reato a sé stante (in tal senso il chiaro calcolo della pena ove si è partiti da anni sette d reclusione ed euro 6.000 di multa pari al minimo della pena stabilita per l’estorsione aggravata, operandosi poi la ciliminuzione per l’attenuante della collaborazione ad anni tre mesi sei di reclusione ed euro tremila di multa, ridotta poi di 1/3 per il rito), provvedendo poi ad aggiungere detta misura a quella inflitta dalla sentenza della Corte di appello di Catania n. 1263/2020.
Trattandosi di procedimenti definiti con rito abbreviato ed essendo nella fase di cognizione, l’aumento per la continuazione in ordine al fatto di cui al presente giudizio (ritenuto meno grave) doveva stabilirsi quale misura in aumento, ex art. 81 cod. pen., della pena base stabilita per i fatti della sentenza irrevocabile ritenuti più gravi nell’ambito dell’unico reato continuato e non quale mera aggiunta di una pena stabilita considerando il capo 4) della rubrica quale reato autonomo.
Peraltro, anche laddove si ritenesse che la misura della pena stabilita per il reato oggetto del presente giudizio fosse espressione dell’unico unitario calcolo a cui il giudice del merito è chiamato nella rideterminazione della pena tra più fatti, alcuni dei quali già giudicati con lo stesso rito con sentenza irrevocabile, la sentenza impugnata incorrerebbe in un evidente vizio di motivazione, posto che l’entità ragguardevole della pena stabilita per l’odierno fatto estorsivo doveva rinvenire una motivazione “rafforzata” che invece non si rinviene nella sentenza impugnata, al fine di escludere che si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01).
Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto, dichiarandosi inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputato.
COGNOME NOME
Erronea applicazione degli artt. 603 e 441, comma 5, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione istruttori volta all’esame della persona offesa NOME (istanza istruttoria alla quale era stato anche condizionato il rito abbreviato, ma rigettata dal Gup), mai sentito nel corso delle indagini preliminari. L’esame del teste era dovuto all’esigenza di chiarire l’esistenza o meno del contesto estorsivo in cui secondo l’accusa dovrebbe ascriversi la richiesta di denaro, alla luce dell’esatta cristallizzazione contenuta nelle intercettazioni della somma che questo avrebbe dovuto versare, priva di aggiunte ulteriori rispetto al dovuto e da ritenersi dunque interamente satisfattiva di un debito esistente.
Errata applicazione dell’art. 629 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla riqualificazione del fatto nell’alveo dell’art. 393 cod. pen.
Si lamenta la natura tautologica della motivazione resa dalla Corte d’appello al fine di escludere il delitto meno grave. Nessun rapporto l’imputata aveva avuto con la persona offesa; la richiesta del denaro era priva di modalità aggressive e non vi erano elementi per sostenere che la richiesta della somma fosse ingiusta.
Erronea applicazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e mancanza di motivazione con riguardo alla ricorrente. Si era operata una non consentita estensione oggettiva dell’aggravante, omettendo di specificare gli elementi dimostrativi della piena conoscenza della finalità agevolativa a c:ui deve tendere la condotta.
1-2-3. I primi tre motivi possono trattarsi congiuntamente e risultano manifestamente infondati, attesa anche la loro genericità rispetto alle puntuali argomentazioni spese dalla Corte di merito nel disattendere le censure difensive.
La Corte territoriale ha, infatti, spiegato le ragioni che consentono di escludere che il pagamento a cadenza periodica del COGNOME NOME, quand’anche riconducibile ad un originario debito vantato dal marito della ricorrente (anche se al riguardo la sentenza impugnata ne individua l’origine in una pretesa estorsiva ascrivibile più in generale alle estorsioni della cosca, originato allorché lo COGNOME NOME era libero e poi transitata, unitamente alle altre estorsioni, nelle mani del NOME che lo aveva sostituito), sia sussumibile nell’alveo dell’esercizio arbitrario delle proprie ragion
in quanto, per come ricavato dal contenuto delle intercettazioni, la somma, ben lungi dall’essere destinata a soddisfare la primigenia causa lecita, finisce, invece, per assolvere ab origine la funzione – chiaramente enunciata – di mantenimento degli associati; peraltro, l’esclusione dell’esercizio arbitrario consegue anche al fatto che la somma viene esagita da terzi, i quali ne trattengono per sé una parte e che della vicenda e del suo esito ne viene informato il Felice nella sua qualità di soggetto apicale del sodalizio mafioso, trovandosi lo COGNOME detenuto. L’obbligazione, dunque, assume i connotati di un debito di cosca e di ciò, precisa la sentenza impugnata, è ben consapevole la ricorrente che ha comunque istigato i terzi (Faro e COGNOME) ad attivarsi.
Correttamente, pertanto, è stata rigettata la richiesta di rinnovazione istruttoria: anche laddove il Bianchi avesse confermato l’esistenza del debito e l’esatta misura del quantum consegnato, ciò non avrebbe eliso la natura estorsiva della vicenda: un conto, infatti, è corredare del metodo mafioso una pretesa astrattamente tutelabile, altro, invece, è assegnare all’adempimento dell’obbligazione e all’attività di riscossione una finalità ulteriore di tipo aggiunti esterna alla causa negoziale originaria, ipotesi, quest’ultima, che trascende in estorsione (Sez. 2, n. 2331 del 17/11/2023, dep. 2024, Bianco, Rv. 285817 – 01). Del resto, a conferma della finalità ulteriore ed illecita che il pagamento del debito ad opera della p.o. avrebbe conseguito, la sentenza impugnata cita una conversazione, particolarmente significativa, in cui è lo stesso COGNOME che dà indicazioni al correo COGNOME di mettere al corrente il Bianchi che parte della somma versata sarà imputata quale “regalo” da destinarsi al sostentamento della famiglia dello Stimoli detenuto e che, pertanto, non verrà interamente scomputata dal suo debito.
Le sentenze di merito, pertanto, nel sussumere il fatto di cui al capo 7 della rubrica nell’alveo estorsivo hanno fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di legittimità a mente del quale si configura il reato di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, allorché i terzo incaricato dell’esazione di un credito agisca con condotta della quale sia stata accertata la finalità di agevolare anche l’attività di un’associazione di tipo mafioso, stante il perseguimento di un interesse ulteriore (che di per sé ben può avere natura non patrimoniale) rispetto al diritto illecitamente azionato (Sez. 2, n. 5622 del 12/11/2021, dep. 2022, Carbone, Rv. 282594 – 01).
L’origine illecita del debito, ricondotto all’epoca in cui il marito dell’imputat era libero e le interlocuzioni avute dalla ricorrente con coloro che – a seguito della carcerazione del coniuge – ne gestivano e stabilivano la destinazione, costituisce idonea motivazione in punto di sussistenza del dolo dell’aggravante speciale.
A fronte di tale ricostruzione, le censure mosse nel ricorso finiscono anche per essere generiche non confrontandosi con il complesso degli argomenti spesi dai giudici di merito a sostegno della natura estorsiva della vicenda e della sua riconducibilità ad affari e finalità di cosca, di cui si sostiene la ricorrente essere conoscenza.
E GLYPH tanto GLYPH anche GLYPH a GLYPH prescindere GLYPH dall’ulteriore GLYPH rilievo GLYPH che, GLYPH nel giudizio abbreviato d’appello le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice “ex officio” nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli ch incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282585 – 01).
Violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine all’omessa concessione delle attenuanti generiche.
Si lamenta l’assenza di motivazione a fronte della richiesta difensiva. La censura investe anche la determinazione del trattamento sanzionatorio.
Il motivo è fondato con riguardo alle attenuanti generiche. A fronte, infatti, di specifico motivo di appello avanzato dalla difesa della ricorrente, la Corte di merito ha omesso di rendere una motivazione sul punto. Resta, di conseguenza assorbita la censura sul trattamento sanzionatorio. Sebbene la Corte sia partita dal minimo edittale apportando il minimo aumento per il concorso, ex art. 64, comma 4, cod. pen. delle aggravanti speciali, si tratta di calcolo che, in ipotesi, può essere rimesso in discussione dall’accoglimento del motivo di appello per cui è disposto l’annullamento.
Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto, dichiarandosi inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputata.
NOME
Violazione di legge e vizio di motivazione (mancanza) in relazione all’a 62-bis cod. pen.
Il motivo è fondato. Invero, a fronte di uno specifico motivo di appello articolato sul punto dalla difesa del ricorrente (v. pagg. 1-3) e della cui formulazione la stessa sentenza impugnata dà espressamente atto nel riepilogo dei motivi di impugnazione (v. pagg. 87-88), la Corte di merito ha omesso di
fornire qualsiasi risposta, neppure implicitamente deducibile dalla motivazione resa a proposito del trattamento sanzionatorio riservato all’imputato.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. (continuazione esterna).
Si lamenta che la Corte di merito, nel riconoscere la continuazione esterna con i fatti più gravi di cui ad altre sentenze irrevocabili della Corte di appello Catania, si era limitata, in relazione al fatto oggetto del presente giudizio, a ridurr la pena (da anni due e mesi otto di reclusione ad anni due e mesi quattro di reclusione), senza poi procedere, una volta riconosciuta la continuazione, alla rideterminazione in una misura che fosse congrua, quale pena aggiuntiva, rispetto a quella stabilita per il reato più grave di cui alla sentenza irrevocabile. Nessuna motivazione era stata poi spesa a corredo della giustificazione di una pena così elevata.
Il motivo è fondato. Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di multa che la Corte d’appello ha inflitto all’imputato in ordine al reato per cui si procede (capo 4 della rubrica), non è stata determinata quale misura in aumento ex art. 81 c.p. dell’unitario calcolo conseguente al riconoscimento della continuazione con i fatti più gravi oggetto delle altre due sentenze irrevocabili, bensì quale pena autonomamente stabilita in relazione ai fatti di cui al presente giudizio.
Ciò si ricava dall’espressa indicazione del calcolo effettuato, laddove la Corte di merito è partita da una pena base di anni sette di reclusione ed euro 6.000,00 di multa, pari esattamente a quella stabilita dal primo giudice (vedi pag. 354 della sentenza di primo grado), apportando poi la diminuzione, nella massima estensione della metà, per l’attenuante speciale di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen., così pervenendo ad una pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed euro 3.000,00 di multa (in misura inferiore a quella stabilita dal primo giudice che invece l’aveva determinata in anni quattro di reclusione ed euro 3.300,00 di multa), apportando poi l’ulteriore riduzione di 1/3 per la scelta del rito abbreviato, così pervenendo ad una pena finale di anni due e mesi quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, a fronte di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 2.200,00 di multa inflitti dal primo giudice.
Trattandosi di procedimenti definiti con rito abbreviato ed essendo nella fase di cognizione, l’aumento per la continuazione in ordine al fatto di cui al presente giudizio (ritenuto meno grave) doveva stabilirsi quale misura in aumento, ex art. 81 cod. pen., della pena base di anni sei di reclusione stabilita per i fatti dell sentenze irrevocabili ritenuti più gravi nell’ambito dell’unico reato continuato e non
quale mera aggiunta di una pena stabilita considerando il capo 4 della rubrica quale reato autonomo.
Peraltro, anche laddove si ritenesse che la misura della pena stabilita per il reato oggetto del presente giudizio fosse espressione dell’unico unitario calcolo a cui il giudice del merito è chiamato nella rideterminazione della pena tra più fatti, alcuni dei quali già giudicati con lo stesso rito con sentenza irrevocabile, la sentenza impugnata incorrerebbe in un evidente vizio di motivazione, posto che l’entità ragguardevole della pena stabilita per l’odierno fatto estorsivo rispetto a quella di anni tre mesi quattro di reclusione ed euro 2.300,00 di multa indicata per tutti gli altri reati, ben più gravi, di cui alle sentenze irrevocabili (associazione delinquere di stampo mafioso, rapina, estorsione, incendio seguito da danneggiamento, violazione legge stupefacenti), richiedeva la necessaria specificazione di elementi di disvalore che siano tali da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 co che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01).
Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania, per nuovo giudizio sul punto, dichiarandosi irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputato.
NOME (capo 4 della rubrica).
Violazione degli artt. 81 e 133 cod. pen. (continuazione interna ed esterna).
Il motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta, infatti, che il giudice del merito ha, per un verso, riconosciuto la continuazione tra i fatti oggetto del presente giudizio e quelli di cui alle sentenze irrevocabili della Corte di appello di Catania indicate dalla difesa (v. pag. 306) e, per altro, determinato correttamente il trattamento sanzionatorio, avendo stabilito la pena base – peraltro nel minimo edittale, con l’attenuante speciale della collaborazione e in misure inferiore a quella inflitta dal primo giudice – in relazione al fatto oggetto del presente giudizio, quanto ritenuto più grave, apportando, poi, un contenuto aumento, pari ad anni uno di reclusione ed euro 300,00 di multa per i molteplici reati già giudicati in CO ntinuazione.
Né per come è argomentato il motivo si ricavano altri specifici profili di doglianza con riguardo agli altri aspetti indicati nel rispettivo titolo [“Violazione
legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 81 e 133 c.p. (continuazio interna ed esterna], anche, in ipotesi, riferibili al trattamento sanzionatori complessivamente inflitto ovvero a quello assai contenuto a cui la Corte di merito è pervenuta nel rideterminare ex art. 81 c.p. la pena per i fatti oggetto delle altre due sentenze. Né si rinvengono specifici elementi di censurai in ordine a profili relativi alla continuazione interna del delitto contestato nel presente giudizio.
2. Violazione dell’art. 62-bis cod. pen.
La censura, dedotta sotto il profilo della violazione di legge, investe il rapporto tra l’attenuante speciale della collaborazione e le circostanze attenuanti generiche: si sostiene che le attenuanti generiche possono concorrere con l’attenuante della diminuente speciale di cui all’art. 8 I. n. 203 del 1991, ora art. 416-bis, comma 3, cod. pen., fondandosi i benefici su distinti e diversi presupposti che il ricorrente indica a fondamento della diversa valutazione.
Il motivo è fondato.
In realtà nella sentenza impugnata – a fronte di uno specifico motivo di appello sollevato sul punto dal ricorrente e di cui la Corte territoriale a pag. 88 espressamente atto – non si rinviene alcuna specifica motivazione al riguardo.
Violazione dell’art. 416-bis, comma 3, cod. pen.
Il motivo è inammissibile non solo perché non dedotto in appello, ma per carenza di interesse essendo l’attenuante della collaborazione stata applicata nella sua estensione massima della metà (da anni sette di reclusione ed euro 6.000,00 di multa ad ani tre e mesi sei di reclusione ed euro 3.000,00 di multa).
Va, pertanto, annullata la sentenza impugnata limitatamente alle attenuanti generiche, dichiarandosi inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputata.
NOME NOME (capi 1 e 37)
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 416-bis cod. pen., 192 e 125 cod. proc. pen. (difetto di motivazione in ordine alla ritenuta ricorrenza degli elementi probatori a sostegno dell’imputazione di cui al capo 1 della rubrica).
Si censura la capacità dimostrativa degli elementi richiamati dai giudici del merito a sostegno della partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 1, tema che la Corte di merito aveva risolto introducendo un distinguo sulla sufficienza probatoria a seconda che l’imputato fosse un soggetto già appartenuto, come il ricorrente, all’organizzazione criminale ovvero di nuova appartenenza.
Il motivo è inammissibile in quanto riproduttivo di censura svolta con l’atto di appello e adeguatamente vagliata e disattesa con corretti argomenti giuridici dalla Corre di merito, la quale, richiamando sul punto anche le motivazioni della Corte di legittimità a proposito della vicenda cautelare (Sez. 2, n. 22091 del 3/07/2020), ha fondato il giudizio di colpevolezza oltre che sul già acclarato inserimento di COGNOME nel sodalizio mafioso denominato COGNOME-Ercolano in ragione delle precedenti condanne ex art. 416-bis cod. pen. da lui riportate, su ulteriori elementi ricavati dalle dichiarazioni del coimputato e collaboratore di giustizia NOME COGNOME, dal contenuto delle intercettazioni e da ulteriori evidenze investigative che davano atto del mantenimento di rapporti e contatti tra il ricorrente ed altri soggetti gravitanti nella criminalità organizzata e nella partecipazione ad incontri con gli stessi, fatti avvenuti dopo la sua scarcerazione.
Inoltre, la sentenza impugnata ha richiamato – quali Jlteriore elemento dimostrativo da cui ricavare la partecipazione del ricorrente – la vicenda estorsiva contestata al capo 39; ancora, si è sottolineata la valenza indiziaria di un colloquio avente ad oggetto l’uso di “utenze citofoniche’ riservate, considerando che solo un soggetto depositario delle dinamiche più riservate del sodalizio poteva colloquiare liberamente con il capogruppo delle modalità con cui procurarsi i mezzi per garantire la riservatezza delle proprie comunicazioni. Tra gli elementi venivano valorizzate ancora le emergenze del separato procedimento “Chaos”, nel cui ambito Sapia emergeva come soggetto titolato a conferire, quale rappresentante della famiglia mafiosa dei Lineri, nell’ambito di un incontro chiarificatore fissato per dirimere una controversia tra gruppi criminali; in tal senso militavano anche le captazioni attuate nell’odierno procedimento dalle quali si ricavano plurimi elementi nel senso della militanza di Sapia avuto riguardo agli incontri con altri affiliati ed alle dinamiche oggetto degli stessi colloqui.
L’affermazione di colpevolezza in ordine al delitto associativo, pertanto, risulta corredata da idonei elementi dimostrativi della partecipazione associativa, senza alcun ricorso ad una “scorciatoia probatoria” che, per come lamentato nel ricorso, si fondi su un distinguo tra l’essere l’imputato un soggetto già appartenuto o di nuova appartenenza e non essendo affatto precluso al giudice del merito operare una lettura del contesto fattuale di riferimento anche in un’ottica di rinnovata adesione ai consessi criminali trascorsi.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 56, 629, 393 cod. pen., 192 e 125 cod. proc. pen. (difetto di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alla ritenuta ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie estorsiva nella contestazione di cui al capo 37, nonché della partecipazione del ricorrente al delitto contestato).
Il motivo è generico e manifestamente infondato.
La Corte di appello, con motivazione congrua e scevra da vizi logici (v. pagg. 225-227), ha spiegato come la vicenda relativa all’adempimento del credito vantato dal Consoli, lungi dal poter essere riduttivamente valutata come un esercizio arbitrario delle proprie ragioni, di fatto si caratterizzi per la sua valenz estorsiva, in ragione dell’estraneità del COGNOME, soggetto apicale della criminalità organizzata, che ha affiancato il creditore nell’attività di riscossione de credito, dando corso ad una procedura transattiva le cui modalità sono dal medesimo stabilite ed imposte. La conclusione dell’accordo si “giova” della particolare forza di intimidazione derivante dalla qualità dei soggetti che rispettivamente affiancano le parti del rapporto, i quali perseguono anche l’interesse, ulteriore e distinto, di accrescere il proprio prestigio criminale.
In tale contesto il pagamento del debito, proprio in ragione dell’ulteriore connotazione finalistica dell’adempimento, assume valenza ingiusta.
La Corte di merito ha, dunque, fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di legittimità a mente del quale è configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, in presenza di una delle seguenti condizioni relative alla condotta di esazione violenta o minacciosa di un credito: a) la sussistenza di una finalità costrittiva dell’agente, volta non già a persuadere ma a costringere la vittima, annullandone le capacità volitive; b) l’esl:raneità al rapporto contrattuale di colui che esige il credito, il quale agisca anche solo al fine d confermare ed accrescere il proprio prestigio criminale attraverso l’esazione con violenza e minaccia del credito altrui; c) la condotta minacciosa e violenta finalizzata al recupero del credito sia diretta nei confronti non soltanto del debitore ma anche di persone estranee al sinallagma contrattuale (Sez. 2, n. 11453 del 17/02/2016, COGNOME, Rv. 267123 – 01; Sez. 2, n. 5622 del 12/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282594 – 01; in termini pressoché sovrapponibili, Sez. 2, n. 20546 del 13/05/2022, non mass., in motivazione pagg.- 5 e 6).
Quanto al ricorrente, se ne è ricavato correttamente il coinvolgimento in forza della condotta materiale dallo stesso tenuta, avendo consapevolmente “spalleggiato” COGNOME nel suo proposito criminoso, unitamente agli altri correi. In tema di concorso di persone nel reato, infatti, a differenza del reato monosoggettivo per cui è necessario che la condotta assuma i connotati del tentativo punibile, non è richiesto che ogni concorrente abbia realizzato l’azione tipica, essendo sufficiente che abbia prestato un consapevole apporto per il raggiungimento di un unico risultato, costituito dalla commissione del reato avuto di mira.
Stimoli COGNOME (capo 4)
Violazione di legge – anche col richiamo dei principi costituzionali dettati in materia – e vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, fondato sulla “necessità di adeguare la pena all’effettiva gravità dei fatti”, i assenza di una specifica motivazione che desse conto dell’assenza di elementi ritenuti atti a negare la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Il motivo è manifestamente infondato e generico.
La Corte di merito, pur essendo pervenuta ad una rideterrninazione in melíus del trattamento sanzionatorio, ha disatteso la richiesta di concessione delle attenuanti generiche sul rilievo dell’assenza di elementi fattuali da cui ricavare che l’imputato sia meritevole di tale beneficio (v. pag. 295). Si è quindi, fatta corrett applicazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità a mente del quale il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il di. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensurate.zza dell’imputato (Sez. 4, n. 23872 dell’8/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01). Peraltro, sul punto, generico è il motivo di ricorso, difettando anche la specifica indicazione degli elementi favorevoli e decisivi di tipo individualizzante che la Corte di merito avrebbe omesso di apprezzare.
Stimoli NOME
Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento in capo al ricorrente del ruolo di promotore ed organizzatore del sodalizio di stampo mafioso cui al capo 1) della rubrica.
La riconducibilità del sodalizio di cui al capo 1) della rubrica all’associazione di stampo mafioso “Cosa Nostra” esclude che taluno dei sodali possa acquisire il ruolo di dirigente di un organismo locale per mera auto proclamazione o per conferimento a titolo di successione per volontà del singolo, senza apposita formale investitura ad opera della dirigenza di livello superiore ovvero senza che l’assunzione del ruolo si sia obiettivamente manifestata e abbia realizzato un effettivo risultato di assoggettamento interno. Nel caso in esame, nessuna valenza dimostrativa del ruolo qualificato assumevano gli indici fattuali indicati dalla Corte di merito che aveva finito per scambiare il ruolo di garzone che l’associazione
riserva all’imputato con quello qualificato di capo ed organizzatore. E tanto senza sottacere la circostanza della natura recete della militanza al ric:orrente contestata, logicamente in antitesi con i criteri di esperienza concernenti l’ingresso e l’ascesa ai vertici di un sodalizio mafioso.
Il motivo è generico e manifestamente infondato.
La Corte di legittimità ha affermato che, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del reato di promozione, di regime od organizzazione del gruppo criminale è necessario che un ruolo apicale o una posizione dirigenziale, risultino in concreto esercitati (Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262487 – 01).
Si tratta, pertanto, di un accertamento di fatto demandato al giudice del merito e insindacabile in questa sede se supportato da congrua motivazione, altrimenti ridondando il motivo di ricorso nella sollecitazione di un riesame degli argomenti di prova che hanno condotto a quel giudizio.
Tanto premesso, la Corte territoriale ha indicato plurimi e convergenti elementi dimostrati dell’assunzione da parte dell’imputato di un ruolo apicale, per come ricavato dalle dichiarazioni dei coimputati e collaboratori di giustizia che indicano lo COGNOME NOME assumere un ruolo di vertice all’interno della consorteria, nonché dai compiti di rilievo svolti nelle vicende estorsive.
La circostanza che poi le “stimmate” di capo e/o dirigente l’imputato se le sia conquistate sul campo in assenza di un’investitura formale da parte dei vertici del sodalizio unitario di riferimento, non assume decisivo rilievo ai fini dell configurazione del reato di cui al comma 2, in quanto la sentenza impugnata ha dato motivatamente conto di come quelle funzioni direttive siano state svolte, per come riconosciuto dai coimputati e financo dagli stessi soggetti deputati proprio dei ruoli primari dell’unitaria organizzazione criminale.
Violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Si lamenta che la Corte di merito abbia fondato il diniego “sulla necessità di adeguare la pena all’effettiva gravità dei fatti”, motivazione inidonea a dare conto degli elementi di necessario disvalore che debbono guidare il relativo giudizio comparativo.
Il motivo è aspecifico.
Dalla lettura della sentenza impugnata (pagg. 306-308; risultano, infatti, indicati plurimi elementi di disvalore, attinenti tanto alla gravità dei reati commessi che alla capacità a delinquere dell’imputato, posti motivatamente a fondamento della dosimetria della pena e del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
In conclusione, va annullata la sentenza impugnata:
nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania;
nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla continuazione esterna relativa ai fatti già giudicati con sentenza irrevocabile della Corte di appello di Catania del 6/07/2018 relativi alla vicenda estorsiva ai danni della RAGIONE_SOCIALE, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto, dichiarandosi inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputato;
nei confronti di COGNOME NOME e NOME limitatamente alle circostanze attenuanti generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto, dichiarandosi inamrnissibili nel resto i ricorsi ed irrevocabile l’affermazione di responsabilità degli imputati;
nei confronti di NOME NOME e NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto, dichiarandosi inammissibili nel resto i ricorsi e irrevocabile l’affermazione di responsabilità degli imputati.
Vanno rigettati i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME con condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di COGNOME COGNOME NOME, COGNOME COGNOME Corrado, COGNOME Vincenzo, COGNOME e COGNOME NOME e condannati gli imputati al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità riscontrati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOMECOGNOME limitatamente al vincolo della continuazione con la sentenza irrevocabile della Corte di appello di Catania del 6/07/2018, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile il giudizio di responsabilità.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e
NOME limitatamente alle circostanze attenuanti generiche con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto. Dichiara
inammissibili nel resto i ricorsi di COGNOME e COGNOME e irrevocabile il giudiz responsabilità.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME COGNOME COGNOME
NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvb ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto. Dichiara
inammissibili nel resto i ricorsi e irrevocabile il giudizio di responsabilità.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME COGNOME, COGNOME
Venerando, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00
ciascuno in favore della Cassa per le ammende.
Così deciso, il 14 maggio 2024
Il Consigliere estensore
La Presidente