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Associazione di tipo mafioso: prova e partecipazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per due individui per il reato di associazione di tipo mafioso. La Corte ha ritenuto sufficiente a provare la partecipazione, per uno degli imputati, la profonda conoscenza delle dinamiche interne al clan e il suo status riconosciuto da altri affiliati, nonostante fornisse informazioni alla polizia su clan rivali. Per l’altro, sono stati valorizzati una conversazione intercettata, una precedente condanna e altri elementi indiziari.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: prova e partecipazione tra confidenze e precedenti penali

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22279 del 2024, ha affrontato un complesso caso di associazione di tipo mafioso, delineando i confini probatori per dimostrare la partecipazione di un soggetto a un’organizzazione criminale. La pronuncia è di particolare interesse perché valuta elementi probatori apparentemente contraddittori, come le confidenze rese alle forze dell’ordine da un presunto affiliato.

I fatti del processo

Il caso trae origine dalla condanna, confermata in appello, di due individui per il reato di partecipazione a un’associazione mafiosa nota come ‘ndrangheta, e in particolare a una sua articolazione territoriale, una “cosca” operante in una città del Sud Italia. Entrambi gli imputati hanno presentato ricorso per Cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazione di legge nelle sentenze di merito.

Le posizioni dei due ricorrenti erano distinte:
1. Il primo imputato basava la sua difesa sulla presunta inconciliabilità tra il suo ruolo di confidente di un maresciallo dei Carabinieri e l’appartenenza al sodalizio criminale. Sosteneva che le informazioni fornite su episodi delittuosi e organigrammi delle cosche dimostrassero la sua volontà di aiutare lo Stato, non di rafforzare il clan.
2. Il secondo imputato, a cui era contestato un ruolo apicale, lamentava l’insufficienza degli elementi a suo carico, ridotti a una singola conversazione intercettata, e la mancanza del numero minimo di tre persone per configurare l’associazione, a seguito di altre assoluzioni nello stesso procedimento.

La prova della partecipazione all’associazione di tipo mafioso

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, fornendo importanti chiarimenti sui criteri di valutazione della prova in materia di reati associativi. Il compito del giudice di legittimità, ricorda la Corte, non è quello di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito, ma di verificare la logicità e la coerenza del percorso argomentativo che ha portato alla condanna.

Il principio cardine ribadito è che la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso si concretizza nello “stabile inserimento” dell’individuo nella struttura organizzativa, manifestando la propria “messa a disposizione” per il perseguimento dei fini criminosi comuni.

La posizione del presunto “confidente”

Per quanto riguarda il primo ricorrente, la Corte ha ritenuto che le conversazioni con il maresciallo, sebbene non costituissero di per sé un contributo attivo al clan, dimostravano una conoscenza profonda, dettagliata e indiscutibile degli assetti mafiosi locali. Questo livello di informazione non era riconducibile a semplici “voci correnti”, ma a una piena intraneità nel sistema.

Un episodio chiave, valorizzato dai giudici, ha riguardato il genero dell’imputato, il quale, dopo aver ricevuto minacce per un inadempimento commerciale da membri di un’altra famiglia mafiosa, ha visto la questione risolversi immediatamente non appena è stata scoperta la sua parentela. Questo fatto, secondo la Corte, dimostra in modo inequivocabile il riconoscimento dello status dell’imputato all’interno dell’organizzazione criminale da parte di altri affiliati.

La Corte ha inoltre smontato l’argomento difensivo dell’incompatibilità tra il ruolo di confidente e quello di affiliato. Un’attenta analisi delle intercettazioni ha rivelato che le informazioni fornite alle forze dell’ordine riguardavano esclusivamente episodi delittuosi addebitabili a cosche avversarie, e mai alla propria. Tale condotta, quindi, non era in contraddizione con l'”affectio societatis”, ma poteva anzi essere letta come una strategia per danneggiare i rivali.

La posizione del ruolo apicale e il numero minimo di associati

Anche le doglianze del secondo ricorrente sono state respinte. La Corte ha chiarito un punto fondamentale sul requisito del numero minimo di partecipanti. Per le “mafie storiche” come la ‘ndrangheta, caratterizzate da una struttura complessa e articolata su più territori ma legata da vincoli di solidarietà e regole comuni, il numero minimo di tre associati va riferito all’organizzazione mafiosa nel suo complesso, e non alla singola articolazione locale (cosca).

Per quanto riguarda la prova della sua partecipazione e del suo ruolo dirigenziale (“affermativo”, come emergeva da un’intercettazione), la Corte ha ritenuto il ragionamento dei giudici di merito sufficientemente solido, basandosi sulla convergenza di più elementi: la sua precedente condanna definitiva per partecipazione alla medesima cosca, un grave attentato di stampo mafioso da lui subito, e l’informazione “qualificata” emersa dalle intercettazioni.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato il rigetto dei ricorsi riaffermando principi consolidati. In primo luogo, la valutazione probatoria del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se non presenta vizi di manifesta illogicità. In secondo luogo, la prova della partecipazione a un’associazione mafiosa non richiede necessariamente la dimostrazione di specifici atti criminali, ma lo stabile inserimento del soggetto nel tessuto organizzativo. Questo inserimento può essere desunto da una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, come la profonda conoscenza delle dinamiche interne, il riconoscimento dello status da parte di altri affiliati e comportamenti che, seppur apparentemente ambigui come le confidenze, risultano coerenti con la logica di appartenenza al clan.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla prova del reato di associazione mafiosa, sottolineando come la valutazione debba essere complessa e attenta al contesto. Dimostra che anche condotte apparentemente collaborative con lo Stato, se analizzate nel dettaglio, possono rivelarsi non in contrasto, ma funzionali agli interessi del proprio gruppo di appartenenza. Infine, chiarisce che la frammentazione di un’organizzazione in diverse articolazioni locali non incide sul requisito del numero minimo di associati, che deve essere valutato con riferimento all’intera struttura criminale.

Fornire informazioni alle forze dell’ordine su clan rivali esclude la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso?
No. Secondo la Corte, questa condotta non è inconciliabile con l’appartenenza a un clan, specialmente se le informazioni non danneggiano la propria cosca ma sono dirette contro gruppi avversari. Anzi, può essere una strategia funzionale agli interessi del proprio sodalizio.

Come si valuta il numero minimo di partecipanti per un’associazione di tipo mafioso composta da più articolazioni territoriali (cosche)?
Il numero minimo legale di partecipanti non va riferito alla singola cosca locale, ma all’organizzazione mafiosa nel suo complesso. Se l’organizzazione è strutturata in più articolazioni legate da vincoli di solidarietà e regole comuni, il requisito è soddisfatto considerando l’intera struttura.

Qual è il requisito fondamentale per dimostrare la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso?
Il dato qualificante è lo stabile inserimento della persona nella struttura organizzativa, che attesti la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Tale inserimento può essere provato anche attraverso elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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