Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15124 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15124 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
non vi Ł alcuna prova del fatto che essa «si sia fusa all’interno dell’organismo consortile individuato dalla pubblica accusa».
Censurano, altresì, il provvedimento impugnato nella parte in cui, riconosciuta la sussistenza del sodalizio, hanno ritenuto che il COGNOME ne abbia fatto parte, senza considerare che «non Ł emerso dalle indagini alcuna partecipazione di COGNOME nelle numerose società richiamate nell’ordinanza appellata, nØ la sua riconducibilità ad alcuna di esse, nØ quest’ultimo Ł stato mai stato anche solo operativo all’interno delle richiamate società, nØ Ł mai emerso un supporto all’attività del sodalizio in generale. COGNOME mai ha avuto la disponibilità di alcun mezzo finalizzato a supportare il sodalizio di cui si ritiene fare parte, non Ł mai stato beneficiario di alcun profitto»: l’aver preso parte solo ad alcuni dei tanti incontri monitorati dagli inquirenti (non a quelli del 3 giugno 2020, 18 giugno 2020, 9 ottobre 2020, 21 aprile 2021, 13 maggio 2021) alla presenza di soggetti già condannati in via definitiva per associazione mafiosa non Ł, di per sØ solo, elemento indiziario dell’appartenenza del COGNOME al sodalizio per il quale Ł procedimento, non essendo emerso che negli incontri ai quali egli partecipò si discusse di strategie relative ad illeciti in materia di stupefacenti o di dissidi relativi ad alcune posizioni debitorie, nØ le indagini hanno documentato il coinvolgimento del COGNOME nelle attività finanziarie del sodalizio, nelle attività finalizzate ad ottenere l’agevolazione fiscale del superbonus, in attività di riciclaggio o di false fatturazioni, o nelle attività di sostentamento degli affiliati detenuti e delle loro famiglie.
In punto di elemento soggettivo, deducono la radicale assenza «del collante teleologico in capo al COGNOME con riferimento alla sua partecipazione stabile e continuativa rispetto all’associazione supposta dalla Procura».
Rappresentano che non può essere significativa nØ della sussistenza di una forza intimidatrice del clan, nØ della consapevole appartenenza ad esso del COGNOME, «una sola intercettazione telefonica durante la quale COGNOME millanta qualifiche e ruoli mai attribuitegli. Una sola intercettazione telefonica ed un solo episodio estorsivo non valgono a configurare il reato di cui al capo 1) COGNOME non rivendica la propria caratura mafiosa, semmai la millanta, tale condotta qualificabile piø come spavalderia Ł lo strumento attraverso il quale egli tenta di qualificarsi e sponsorizzarsi quale appartenente ad un’associazione mafiosa che tuttavia non riscuote gli effetti sperati, non venendo lo stesso nemmeno riconosciuto dai possibili sodali con i quali egli si interfaccia e dialoga. COGNOME utilizza il metodo mafioso per commettere il reato di estorsione di cui al capo 8), ma la sua condotta resta circoscritta al reato contestato La mafiosità di COGNOME Ł solo ostentata, peraltro da sØ stesso, sul territorio, ma non Ł specificamente praticata, poichØ egli non ha alcuna relazione con la ‘casa-madre’ La mafiosità di Cristello non Ł riconoscibile nØ riconosciuta nella comunità territoriale del consorzio civile».
Si dolgono, infine, del fatto che il provvedimento impugnato abbia accolto l’appello anche nella parte relativa alle esigenze cautelari, a proposito delle quali il pubblico ministero non aveva speso alcuna motivazione.
All’odierna udienza il Sostituto Procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso; il difensore del COGNOME ha illustrato i motivi posti a fondamento del ricorso, chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Occorre premettere che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o l’assenza delle esigenze cautelari, Ł ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito: tra le doglianze proponibili non rientrano, infatti, quelle relative alla mera interpretazione degli indizi e delle prove, ancorchØ implicanti la ricomposizione di dissensi o contrasti sul loro reale significato, ovvero la scelta tra divergenti versioni e ricostruzioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01), non integrando manifesta illogicità della motivazione nØ la prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali, ritenuta piø logica, nØ minime incongruenze, nØ la mancata confutazione, nel provvedimento impugnato, di un’argomentazione difensiva, non essendo tenuto, il giudice del merito, a compiere un’analisi dettagliata di tutte le deduzioni delle parti e di ogni risultanza processuale, essendo sufficiente una valutazione globale tale da esplicitare le ragioni della decisione, specie laddove queste siano incompatibili con quanto sostenuto da parte ricorrente; solo quando il dato probatorio asseritamente trascurato o travisato abbia una chiara e decisiva forza dimostrativa, tale da scardinare l’intero ragionamento su cui si fonda il provvedimento impugnato, Ł possibile riconoscere un vizio motivazionale (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168 – 01).
Dunque, in sede di legittimità va posto rimedio alle carenze, alle contraddizioni o alle
argomentazioni palesemente illogiche su passaggi motivazionali essenziali ai fini della decisione, non potendosi richiedere di soppesare, diversamente dal provvedimento impugnato, le prove al fine di pervenire a una diversa ricostruzione sul merito della vicenda (Sez. 1, n. 19769 del 10/04/2024, S., n.m.).
Nel giudizio di legittimità, d’altro canto, sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione, poichØ il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato, senza possibilità di procedere ad una nuova ricostruzione dei fatti, ad una diversa valutazione degli elementi indizianti, o ad una diversa delibazione in merito all’attendibilità delle fonti, alla rilevanza ed allo spessore dei dati probatori, all’intensità delle esigenze cautelari (cfr. l’ancora attuale insegnamento di Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv 215828 – 01, come di recente ribadito, tra le altre, da Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01).
Il controllo di legittimità, infatti, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione, sicchØ il ricorso per cassazione può devolvere il vizio di motivazione solo rivolgendo le proprie censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, senza investire la valutazione ad essa sottesa, riservata al giudice di merito, ed estranea al perimetro cognitivo e valutativo di questa Corte, il cui sindacato rimane, pertanto, circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza nelle argomentazioni di illogicità evidenti rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01), non potendo ritenersi ammissibili quelle censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono, in realtà, nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 1, n. 22520 del 05/03/2024, COGNOME, n.m.).
Circa l’ulteriore aspetto della necessità di una motivazione rafforzata, stante l’ overturning decisionale che ha portato il Tribunale del riesame ad emettere il titolo cautelare, si ritiene di dare continuità al principio espresso da questa Corte, secondo il quale, in tema di appello cautelare, la riforma in senso sfavorevole all’indagato della decisione impugnata impone al tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, un rafforzato onere motivazionale, valevole a superare le lacune dimostrative evidenziate dal primo giudice, essendo necessario confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata (Sez. 1, n. 47361 del 09/11/2022, COGNOME, Rv. 283784 – 01).
Ciò posto, si deve rilevare che – al netto delle doglianze attraverso le quali Ł stata criticata l’interpretazione degli elementi indiziari: doglianze che, come si Ł appena illustrato, sono platealmente estranee al perimetro cognitivo di questa Corte – i motivi di ricorso sono infondati.
Ineccepibili appaiono le argomentazioni sviluppate nel provvedimento impugnato, tanto per ricostruire i fatti oggetto di indagine, quanto per dare a quei fatti la piø corretta qualificazione giuridica; per converso, le ragioni di doglianza esposte dal ricorrente appaiono meramente rivalutative, e imperniate su una inammissibile valutazione parcellizzata degli elementi di prova, sicchØ le stesse non sono in grado di scalfire una motivazione esauriente, completa, convincente, e dotata di maggiore credibilità razionale.
3.1 Il provvedimento impugnato ha innanzitutto messo in luce le numerose criticità – che afferiscono tanto al metodo, quanto al momento valutativo – dell’apparato giustificativo utilizzato dal gip per escludere la sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo: dalla valutazione
frazionata degli indizi alla parcellizzazione degli elementi offerti dall’accusa, dalla illogica svalutazione di dati di sicura rilevanza – ad esempio i plurimi summit attenzionati e captati dagli inquirenti, nel corso dei quali venivano stabilite le modalità di azione, definiti gli accordi e confermati i legami tra gli indagati; le precedenti condanne irrevocabili di molti indagati per violazione dell’art. 416 bis cod. pen. (la risalenza delle condanne enfatizzata dal gip non appare, invero, elemento decisivo, in assenza di elementi dimostrativi di un recesso, di un riscontrabile ed effettivo allontanamento dal contesto criminale mafioso); i contributi versati dagli indagati per il sostentamento dei sodali detenuti e delle loro famiglie – alla altrettanto illogica sopravvalutazione di elementi in realtà sostanzialmente neutri, quali i fisiologici contrasti intervenuti tra i sodali o l’assenza di prova in merito a rituali di affiliazione degli indagati.
L’ordinanza impugnata contiene, dunque, la motivazione rafforzata pretesa, in caso di overturning, dalla preferibile giurisprudenza di legittimità, essendosi confrontata con le ragioni del provvedimento riformato ed avendo giustificato la diversa decisione – all’esito di un piø dettagliato riesame del compendio indiziario, della piø convincente e penetrante disamina del contenuto delle numerosissime conversazioni intercettate, della puntuale individuazione degli episodi nei quali si sono manifestati la forza intimidatrice e l’uso di metodi mafiosi da parte del sodalizio – con articolate argomentazioni che poggiano su una valutazione rigorosa e complessiva degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari.
3.2 Quanto alla riconosciuta sussistenza dell’associazione di stampo mafioso contestata al primo capo dell’imputazione provvisoria, si osserva che ai fini della qualificazione ai sensi dell’art. 416 bis cod. pen. di una nuova ed autonoma formazione criminale Ł necessario accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da esser capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacità di intimidazione, ancorchØ non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia, nell’ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di effettiva operatività; c) abbia manifestato una capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale ed abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel “territorio” in cui l’associazione Ł attiva (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 – 17).
Nel valutare i gravi indizi, il Tribunale ha esaustivamente scandagliato le questioni relative alla sussistenza del vincolo associativo e alla esternalizzazione del metodo mafioso.
La stabilità del vincolo tra gli associati e la sua tendenziale permanenza, tale comunque da non esaurirsi nella consumazione di singoli reati-fine, sono state desunte dall’apporto comune di capitali e mezzi al fine di perseguire un comune fine di profitto, dall’esistenza di una struttura organizzativa dotata di proprie risorse finanziarie ed organizzative, dalla disponibilità dei luoghi necessari per ospitare summit o per porre in essere attività illecite, dalla continuità e dalla frequenza degli incontri e degli accordi, dall’esistenza di una cassa comune, destinata soprattutto ad assicurare l’assistenza giudiziaria ed economica ai detenuti e alle loro famiglie (sottolineandosi che ad essa hanno contribuito tutte le diverse anime del sodalizio, così mettendo in luce l’esistenza di un vincolo di mutua solidarietà, in base al quale tutti gli indagati si sono forniti tale assistenza a prescindere dalla compagine di provenienza dei singoli: se ne Ł avuta conferma, ad esempio, quando i Pace, i Crea ed i Fidanzati si sono attivati per far fronte al sostentamento di NOME COGNOME e dei suoi familiari), dalla consapevolezza delle condotte criminose, anche gravi, commesse da altri sodali, dal frequente richiamo degli indagati stessi all’esistenza di un’associazione costituita in quel territorio, dall’intento disvelato dal contenuto di numerose conversazioni intercettate – di intervenire nei settori piø disparati del tessuto economico, costituendo società ad hoc ovvero assumendo il controllo di
strutture preesistenti, realizzando cospicui profitti grazie ai metodi tipici della mafiosità: elementi dai quali il Tribunale ha ragionevolmente dedotto l’esistenza di una struttura organizzativa articolata e complessa, la stabilità dei legami fra gli associati, la progettualità comune e la sussistenza dell’ affectio societatis , negando la rilevanza dei contrasti interni, sulla base dei quali il gip aveva escluso la sussistenza dell’associazione, ed anzi evidenziando gli sforzi dei vari associati per risolvere ogni contesa, in vista del perseguimento della comune finalità di profitto (cfr., ad esempio, la controversia tra i COGNOME e NOME COGNOME, ricomposta nel comune interesse grazie all’intervento di esponenti dei diversi gruppi criminali), elemento, questo, che la giurisprudenza di legittimità ritiene significativo dell’esistenza del vincolo associativo (cfr. Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281589-01: «In tema di associazione per delinquere, l’esistenza di scopi personali diversi e contrapposti tra i singoli associati, operanti nell’ambito di strutture imprenditoriali autonome e concorrenti, non Ł ostativa al riconoscimento del vincolo associativo, ove tali divergenze trovino composizione in un progetto generale, da realizzare mediante le attività delittuose, finalizzato a perseguire un utile da ripartire tra le diverse imprese»).
Il Tribunale del riesame ha poi approfonditamente esaminato gli indizi relativi all’impiego del metodo mafioso ed alla sua necessaria esternalizzazione, registrata in tutti i settori di operatività del sodalizio (reati contro il patrimonio, reati fiscali, narcotraffico, infiltrazione del sistema economico), valorizzando, ad esempio, le modalità esecutive dei numerosi episodi estorsivi, il piø delle volte consumati senza ricorrere a minacce espresse, ma semplicemente evocando l’appartenenza non ad un singolo gruppo ma – trasversalmente ed indifferentemente – a tutti quelli coinvolti nella nuova organizzazione, la cui forza di intimidazione era evidentemente conosciuta dalla comunità sociale di riferimento, anche dalle persone che non si erano mai direttamente confrontate con quel mondo criminale; Ł dimostrato in numerose vicende analiticamente ricostruite dall’ordinanza il costante impiego di minacce, violenze, soprusi, prepotenze per manifestare la forza intimidatrice del clan sul territorio lombardo (ad esempio, la vicenda che ha coinvolto NOME COGNOME nella quale NOME COGNOME in una conversazione intercettata, si compiace di aver raggiunto ‘senza spari’ lo scopo che i sodali si erano prefissati; ovvero la vicenda che ha coinvolto la segretaria generale del Comune di Abbiategrasso che, pur non assoggettandosi ad essa, ha compreso facilmente la natura mafiosa della richiesta avanzatale da COGNOME, e la qualità mafiosa del soggetto o dei soggetti di cui questi avrebbe fatto il nome; ovvero ancora la vicenda relativa alla gestione del bar e dei parcheggi dell’ospedale di Desio da parte della RAGIONE_SOCIALE per azioni , le cui modalità avrebbero allarmato i dipendenti, tra i quali correva la voce che tali attività fossero in mano a ‘mafiosi’; ancora, e piø in generale, l’atteggiamento omertoso di molte vittime di estorsioni, che hanno omesso di denunciare i fatti commessi in loro danno, o li avrebbero esposti in termini riduttivi rispetto a quanto emerge dalle intercettazioni), e per rinnovare la fama criminale già connessa al nome delle varie consorterie di riferimento dei singoli sodali, ma liberamente utilizzabile da tutti gli appartenenti in forza del patto associativo trasversale concluso dagli esponenti di diversa estrazione mafiosa; i verbali di sommarie informazioni di alcune delle numerose persone offese hanno fatto luce su questi metodi di intimidazione, lasciando chiaramente intendere che l’accettazione delle condizioni imposte dai sodali avrebbe consentito alle vittime, per un verso, di evitare le ritorsioni da parte degli stessi, e, per altro verso, di porsi sotto la loro ala protettiva, secondo un metodo tipico dell’agire mafioso; come ha ineccepibilmente rilevato il provvedimento impugnato, il sodalizio oggetto di investigazione si Ł giovato della diversa estrazione dei suoi componenti, autorizzati dalle rispettive organizzazioni mafiose di appartenenza – cui ognuno di essi Ł rimasto funzionalmente collegato – a dare vita e rendere operativo un nuovo ‘sistema’, caratterizzato dalla struttura organizzativa autonoma delle sue articolazioni o sottogruppi: in ragione di tale peculiare connotazione, il gruppo Ł stato in grado di esternare una sua immanente mafiosità, una sua capacità intimidatrice effettiva ed autonoma, sia
pure derivante dal collegamento con le singole associazioni di appartenenza dei suoi sodali e dalla fama criminale acquista da queste ultime e dai singoli componenti nel territorio di interesse; l’incapacità, per gli abitanti del territorio, di individuare con precisione l’associazione criminale che ha esercitato tale forza intimidatrice non Ł stata ritenuta rilevante, ma, anzi, Ł stata correttamente interpretata come una indiretta conferma della diversità e autonomia dell’associazione contestata, rispetto ai gruppi storici di riferimento dei vari associati.
Il Tribunale del riesame non si Ł espresso sulla qualificazione di detta associazione come una mafia ‘nuova’, o ‘atipica’, o ‘a soggettività differente’, o addirittura come un tertium genus , dichiarando anzi esplicitamente di sottrarsi all’«afflato definitorio» presente nell’ordinanza genetica e nell’appello del pubblico ministero, sottolineando che il fenomeno mafioso Ł in continua evoluzione, che la struttura associativa attenzionata dagli inquirenti ha esibito una mafiosità con le medesime caratteristiche richieste dalla giurisprudenza di legittimità, che la sua immanente mafiosità e la sua forza intimidatrice si sono manifestate all’esterno in modo autonomo attraverso le plurime azioni illecite dei sodali e attraverso l’assoggettamento dei consociati che Ł stato realizzato nel territorio.
Si tratta di una motivazione logica, approfondita e non contraddittoria, e pertanto sufficiente, anche sotto il profilo della immanenza ed esternalizzazione del metodo mafioso, per ritenere sussistenti i gravi indizi del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., quanto meno allo stato, e con riferimento agli elementi sufficienti per il giudizio cautelare.
Con tali convincenti e diffuse argomentazioni il ricorrente non si misura, confinando dunque il motivo nell’area della assoluta aspecificità: si deduce che il provvedimento impugnato non avrebbe correttamente valutato la sussistenza dei requisiti necessari ad integrare il reato associativo (cfr. pag. 6 del ricorso), e non avrebbe chiarito se ed in che modo possa dirsi dimostrato che l’organizzazione di mezzi e persone fosse funzionale alla realizzazione di un programma delittuoso comune (cfr. pag. 7 del ricorso), ma, com’Ł evidente, manca qualsiasi confronto con le articolate e dettagliate motivazioni, che si sono fin qui sintetizzate, poste a fondamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la motivazione dell’ordinanza impugnata tutt’altro che apparente – Ł logica e completa, tenuto conto del livello di gravità indiziaria che deve essere ritenuto sufficiente per l’emissione di una misura cautelare: essa dà esaustivamente atto di come gli indagati – e tra essi anche il COGNOME – abbiano agito e si siano rapportati tra loro avendo come riferimento un gruppo omogeneo al quale tutti appartenevano, si siano dotati di mezzi, abbiano impiegato risorse economiche e personali, nella consapevolezza di una dimensione sovraindividuale in cui l’operatività del singolo andava ad inserirsi, operatività che si Ł manifestata nei settori piø disparati, sia di natura illecita sia di natura, solo apparentemente, lecita, nell’ambito di un sodalizio che, associando soggetti provenienti dalle differenti mafie cd. storiche, ha concretamente dispiegato la propria capacità di intimidazione nel territorio lombardo.
3.2. Con riferimento alla sussistenza di gravi indizi della condotta partecipativa, il ricorrente deduce alle pagine 7 e seguenti del ricorso la mancata valorizzazione di elementi negativi (ad esempio il fatto che il COGNOME «non Ł mai stato beneficiario di alcun profitto», «non ha preso parte all’incontro del 3 giugno 2020 nØ a quello successivo del 18.06.2020, nØ a quello del 9 ottobre 2020, nØ tanto piø in quello del 13 maggio e del 21 aprile del medesimo anno 2021», e «non ha mai partecipato agli incontri funzionali a stabilire le strategie e le trattative per la realizzazione di illeciti in materia di sostanze stupefacenti»), e l’assenza di elementi che rivelino la consapevole partecipazione del COGNOME al sodalizio; contesta che l’unico elemento indiziario raccolto a suo carico consiste in una intercettazione telefonica «durante la quale COGNOME millanta qualifiche e ruoli mai attribuitigli condotta qualificabile piø come spavalderia»; ammette che «COGNOME utilizza il
metodo mafioso per commettere il reato di estorsione di cui al capo 8)», ma si deduce che «la sua condotta resta circoscritta al reato contestato, la cui aggravante Ł applicabile indipendentemente dall’esistenza di un’organizzazione mafiosa».
Ancora una volta manca un reale confronto con le analitiche motivazioni poste a fondamento dell’ordinanza impugnata, che ha esaminato approfonditamente i numerosi elementi acquisiti a carico del COGNOME, pervenendo alla conclusione, strettamente ancorata alle emergenze investigative, che lo stesso ha apportato un contributo, avente effettiva rilevanza causale, alla conservazione o al rafforzamento della consorteria; ed invero, il Tribunale del riesame ha valorizzato il contributo dallo stesso fornito per la ricostituzione, con il placet della casa madre (cfr. conversazioni intercettate nn. 11359 e 11360 del 22 aprile 2021), della locale di ‘ndrangheta di Legnano – Lonate Pozzolo (già disarticolata all’esito di pregressi procedimenti penali), ed ha illustrato con dovizia di particolari le attività poste in essere dal COGNOME funzionali all’operatività del sodalizio: quanto al primo aspetto, ha riportato i passaggi delle dichiarazioni rese il 4 settembre 2019 da NOME COGNOMEil quale riferiva della sua affiliazione), e i brani di alcune conversazioni intercettate, in primis quello nel quale era lo stesso COGNOME a dire, conversando con NOME, che «NOME COGNOME fa parte della locale di Legnano e quando c’Ł COGNOME alla locale di Legnano, tutto a posto Io sono associato da quarant’anni, io quando avevo sedici anni, e ne ho cinquantotto, Ł quarant’anni che faccio questa vita» (conversazione n. 10981 del 16 aprile 2021), e quello nel quale lo stesso COGNOME gli conferiva la carica di ‘banda armata (conversazione n. 11468 del 23 aprile 2021); quanto al secondo aspetto, sono stati riportati i passaggi di ulteriori conversazioni intercettate che consentono di ritenere che il COGNOME contribuiva all’alimentazione della cassa comune destinata al sostentamento dei detenuti, partecipava in prima persona ad azioni intimidatorie ed estorsive di interesse associativo ed era coinvolto nelle attività di narcotraffico e nella ripartizione dei relativi profitti (cfr. il riferimento a NOME COGNOME contenuto nelle conversazione n. 12290 e n. 12799 intercorse il 5 maggio 2021 ed il 13 maggio 2021 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, aveva disponibilità di armi (cfr. conversazione n. 2435 del 27 febbraio 2021, nella quale egli tra l’altro dice «mi carico di armi, di armi, il primo che becco gli scarico una raffica), e partecipava al summit del 25 giugno 2021, svoltosi presso gli uffici della famiglia COGNOME in Cinisello Balsamo.
Anche le doglianze relative alla condotta partecipativa del COGNOME appaiono, dunque, destituite di fondamento, avendo il Tribunale del riesame esaustivamente analizzato e correttamente valorizzato le emergenze investigative, prestando, peraltro, pieno ossequio ai consolidati orientamenti di legittimità in base ai quali «Ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, non Ł necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale» (Sez. 2, n. 18559 del 13/03/2019, COGNOME, Rv. 276122 – 01) e «In materia di associazione di tipo mafioso, sono elementi fattuali sufficienti a far ritenere integrata la condotta di partecipazione alla associazione, l’essere a conoscenza dell’organigramma e della struttura organizzativa delle cosche della zona, dell’identità dei loro capi e gregari, dei luoghi di riunione, degli argomenti trattati e l’essere stato ammesso a partecipare a degli incontri in contesti deputati all’inserimento di nuovi sodali» (Sez. 1, n. 4937 del 19/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254915 – 01).
3.3. Quanto, infine, alle doglianze relative alle esigenze cautelari, esse sono del tutto destituite di fondamento, essendo in proposito sufficiente rilevare che l’ultima parte dell’appello del pubblico ministero conteneva (a partire da pag. 1076) approfondite considerazioni in tema di esigenze
cautelari (alcune delle quali relative proprio alla figura del COGNOME: cfr. pag. 1112), che andavano ad aggiungersi a quelle già sviluppate in sede di richiesta di misura; peraltro, si sarebbe senz’altro potuto invocare ancora maggiore specificità nei motivi sviluppati in relazione alle esigenze cautelari solo ove il pubblico ministero avesse presentato appello avverso un’ordinanza che, riconosciuti i gravi indizi di colpevolezza, aveva escluso la sussistenza di esigenze cautelri: il pubblico ministero ha, invece, impugnato un’ordinanza che ha escluso i gravi indizi della sussistenza del reato di associazione mafiosa, reato per il quale il legislatore ha previsto una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, sicchØ, anche alla luce di questa considerazione, i motivi di appello sviluppati sul punto devono ritenersi sufficientemente specifici.
Sul punto va, infine, rilevato che, il provvedimento impugnato non si Ł limitato a ricordare la sicura operatività della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (deve, in proposito, rammentarsi il consolidato orientamento di legittimità in base al quale «In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente”, ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati, non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari»: Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131 – 01), ma ha anche argomentato (cfr. pagine 272 e 273) sulla concreta configurabilità del pericolo di recidivanza in relazione al COGNOME, con motivazioni con le quali, ancora una volta, il ricorrente non si confronta in alcun modo.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 31/01/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME