Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27413 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27413 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a Napoli il 13/04/1958; COGNOME NOME nato a Napoli il 15/05/1968; NOME nato a Napoli il 19/07/1967; NOME COGNOME nato in Germania il 09/12/1965; NOME nato a Napoli il 04/08/1963;
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 12/06/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato, i ricorsi ed i motivi aggiunti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi di COGNOME e COGNOME e ha chiesto il rigetto dei ricorsi di COGNOME e di NOME COGNOME il
udito l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso di NOME COGNOME
udito l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso di NOME COGNOME
udito l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi di NOME COGNOME e di COGNOME
udito l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata il giorno 7 luglio 2022 il Tribunale di Napoli, per quanto di interesse in questa sede, dichiarava: 1) NOME COGNOME colpevole del reato ascrittogli (artt. 110, 81 cpv., 648, 416-bis.1 cod. pen., fatti accertati commessi in Napoli dal mese di giugno 2016 con condotta perdurante, capo 2 della rubrica) e lo condannava alla pena di anni otto di reclusione ed euro 8.000,00 di multa; 2) NOME COGNOME colpevole del reato ascrittogli al capo 3 (artt. 110, 81, comma secondo, 629, comma primo e secondo, 416-bis.1 cod. pen., in Napoli dal mese di ottobre 2016 al mese di giugno 2017) e lo condannava alla pena di anni dieci di reclusione ed euro 5.000,00 di multa, mentre lo assolveva dal reato lui ascritto al capo 2) per non avere commesso il fatto; 3) NOME COGNOME colpevole dei reati ascrittigli (artt. 110, 81, comma secondo, 629, comma primo e secondo, 416-bis.1 cod. pen., di cui ai capi 6 e 14, commesso in Napoli ed in Casalnuovo di Napoli dal novembre 2016 al dicembre 2016, nonché dal settembre 2016 al settembre 2016) e ritenuta in relazione al reato di cui al capo 6) la fattispecie del tentativo ed operato l’aumento per la continuazione, lo condannava alla pena di anni dodici di reclusione ed euro 8.000,00 di multa; 4) NOME COGNOME colpevole dei reati ascrittigli (art. 416-bis, commi 1, 2, 3, 6, 8, 110, 416, commi 1, 2, 3, 6, 8 -bis cod. pen., fatti accertati e commessi in Napoli dal giugno 2016 con condotte perduranti, capo 1 della rubrica; artt. 110, 81, comma secondo, 629, comma primo e secondo, 416-bis.1 cod. pen., in Napoli dal mese di ottobre 2016 al mese di giugno 2017, capo 3 della rubrica) e, ritenuta in relazione al reato sub 1) la veste di partecipe, operato l’aumento per la continuazione, lo condannava alla pena di anni quattordici di reclusione; 5) NOME COGNOME colpevole del reato ascrittogli (artt. 110, 81 cpv., 648, 416-bis.1 cod. pen., fatti accertati e commessi in Napoli dal mese di giugno 2016 con condotta perdurante, capo 2 della rubrica) e lo condannava alla pena di anni sette di reclusione ed euro 10.000,00 di multa. Il Tribunale, inoltre, dichiarava i predetti imputati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legal durante l’esecuzione della pena ed applicava loro la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni due. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1. Il procedimento era sorto a seguito dell’attività investigativa svolta dalla Questura di Napoli dal giugno 2016 sino al luglio 2017, che aveva preso le mosse dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, i quali avevano indicato NOME COGNOMEclasse 1934) come un personaggio di notevole spessore criminale posto capo di un sodalizio di tipo camorristico operante nel quartiere napoletano di Sant’Erasmo. Venivano disposte numerose intercettazioni ambientali e telefoniche che consentivano di ricostruire l’organigramma del gruppo ed i diversi reati fine commessi dagli associati; in particolare, l’associazione agiva secondo i tipici schemi camorristici mediante il controllo del territorio anche con metodi violenti, con il condizionamento delle attività imprenditoriali della zona per mezzo di estorsioni e con la gestione di una cassa comune destinata alla distribuzione dei profitti anche ai sodali detenuti. Il Montescuro, da parte sua, teneva contatti con gli esponenti di altri gruppi criminali per la spartizione dei proventi delle attività estorsive in danno degli imprenditori impegnati nei lavori di riqualificazione di INDIRIZZO, in Napoli.
1.2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli investita dei gravami proposti dagli imputati, preso atto degli accordi intervenuti tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. riduceva la pena inflitta a NOME COGNOME in quella di anni quattro di reclusione ed euro 1.500,00 di multa e quella inflitta a NOME COGNOME in anni quattro di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, previa riqualificazione del delitto di estorsione in quello di ricettazione, con la revoca delle pene accessorie loro applicate. La Corte territoriale assolveva, poi, NOME COGNOME dal reato sub 14) perché il fatto non sussiste e rideterminava la pena nei suoi confronti per il solo reato di cui al capo 6) – ritenuta l’estorsione consumata – in anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 6.000,00 di multa; inoltre, esclusa l’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 6, cod. pen., rideterminava la pena inflitta a NOME COGNOME in anni dieci di reclusione, confermando per il resto la sentenza gravata con condanna di NOME COGNOMEil cui ricorso veniva integralmente respinto) al pagamento delle spese processuali.
1.3. Avverso tale sentenza della Corte di appello di Napoli gli imputati sopra indicati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione fondati sui motivi, di seguito illustrati nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha affidato il proprio ricorso ad un unico motivo, insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la violazione gli artt. 133 e 648 cod. pen. poiché, a suo parere, la Corte territoriale, pur a fronte dell’accordo ex art. 599-bis cod. proc. pen., avrebbe dovuto contenere la pena entro il minimo edittale in considerazione della risalenza dei fatti e del buon comportamento processuale dell’imputato.
NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha affidato il proprio ricorso ad un unico motivo; egli deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 649 del codice di rito poiché, a suo dire, la Corte di appello ha rideterminato la pena, a seguito dell’accordo ex art. 599-bis cod. proc. pen., in ordine al reato sub 3) nonostante per lo stesso fatto egli fosse stato già assolto in primo grado con pronuncia irrevocabile.
NOME COGNOME ha proposto la sua impugnazione mediante due distinti atti di ricorso, per mezzo degli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME chiedendo l’annullamento della sopra indicata sentenza della Corte di appello di Napoli.
4.1. L’atto di ricorso in data 5 settembre 2024 è affidato a due motivi; con il primo l’imputato si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., del vizio di motivazione contraddittoria, illogica e mancante rispetto alla affermazione della sua penale responsabilità per il reato di cui al capo 6), determinata dal travisamento della prova rispetto agli elementi processuali acquisiti, dai quali emergeva che egli era, in realtà, una vittima delle estorsioni e non già un estortore.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità per il reato sub 6) con specifico riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e dell’aggravante ex art. 416-bis.1. cod. pen., comunque non configurabile nei suoi confronti.
4.3. L’atto di ricorso dell’Il settembre 2024 è affidato ad un unico ed articolato motivo; in particolare, NOME COGNOME lamenta, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen. ed il vizio di motivazione carente, apodittica e contraddittoria anche per travisamento della prova rispetto alla sua ritenuta responsabilità in ordine alla estorsione di cui al capo n.6 della rubrica, nonostante vi fosse la prova che egli era unicamente vittima di estorsioni.
4.4. L’imputato, in data 25 giugno 2025, ha depositato motivi nuovi con i quali ha ulteriormente argomentato sulle ragioni poste a fondamento dei suoi due atti di ricorso e, in particolare, sul fatto che anche lui era vittima degli estorsori ai quali non aveva fornito alcun tipo di contributo e che, comunque, doveva configurarsi nei suoi confronti la scriminante dello stato di necessità.
NOME COGNOME, per mezzo degli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME, ha affidato la propria impugnazione a tre motivi; con il primo deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416-bis cod. pen. con riferimento alla condotta associativa ascrittagli.
5.1. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192, 530 cpv. e 533 del codice di rito ed il vizio di motivazione illogica rispetto al giudizio di penal responsabilità pronunciato, nei suoi confronti, violando le regole in tema di valutazione della prova e del principio secondo cui la responsabilità deve essere dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio.
5.2. Con il terzo motivo NOME COGNOME si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., del vizio di motivazione in ordine al mancato rilievo, da parte della Corte di appello, del contrasto esistente tra alcune emergenze in atti (tra cui le dichiarazioni della persona offesa) e la pronuncia di penale responsabilità emessa nei suoi confronti.
NOME COGNOME per mezzo degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha affidato il proprio ricorso ad un unico ed articolato motivo; egli deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 648 cod. pen. ed il vizio di motivazione illogica e contraddittoria. In particolare, l’imputato osserva che manca qualsiasi prova circa il fatto che egli sia stato destinatario dei proventi della condotta estorsiva effettuata dal clan Montescuro per i lavori svolti in INDIRIZZO non risultando
chiaro nemmeno se l’imputazione a suo carico riguardasse, invece, le estorsioni per i lavori svolti presso il porto di Napoli che non coincidono con quelli oggetto di imputazione.
Infine, all’esito della discussione in pubblica udienza, le parti hanno concluso nei termini sopra riportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, a seconda dei casi, sono infondati od inammissibili per le ragioni di seguito illustrate, fatta eccezione per quello proposto nell’interesse di NOME COGNOME che deve essere accolto nei limiti appresso indicati.
Anzitutto va ricordato che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, in sede di legittimità non è consentita una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4- 2/7/1997, n. 6402, COGNOME, Rv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). Da ciò consegue che sono inammissibili i motivi che tendono ad ottenere una ulteriore rivalutazione dei fatti mediante criteri di giudizio diversi da quelli adottati dal giudice di merito, nel caso in cui questi, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, abbia esplicitato le ragioni del suo convincimento.
2.1. Le modifiche, introdotte con la legge n.46 del 20 febbraio 2006, che hanno riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha infatti mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, di talché gli atti eventualmente indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento
impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. È quindi preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti 14 o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova. La modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ‘ictu ocu/P, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze. (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099)
2.2. Sono, pertanto, inammissibili anche i ricorsi fondati su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerarsi non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, n. 35492 del 06/07/2007, COGNOME, Rv. 237596).
2.3. Deve poi ricordarsi che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza
dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis: Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). Inoltre, va precisato, che il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.
2.4. Infine, non va dimenticato che, ai fini del controllo di legittimità sul vizi di motivazione, ricorre la c.d. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzat nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01).
Fatta questa necessaria premessa si osserva che, per quanto di interesse in questa sede, una doppia affermazione di responsabilità è stata pronunciata nei confronti di NOME COGNOME con riferimento al reato contestatogli, nei confronti di NOME COGNOME per il reato sub 6), nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui ai nn.1 e 3 della rubrica (esclusa l’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 6, cod. pen.), mentre per NOME COGNOME e NOME COGNOME la Corte territoriale ha recepito l’accordo intervenuto tra le parti ai sensi della citata disposizione del codice di rito.
Passando, quindi, all’esame delle singole impugnazioni deve essere dichiarata la inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME.
4.1. Infatti, secondo l’orientamento dominante nella giurisprudenza di questa Corte, a seguito della reintroduzione del c.d. ‘patteggiamento in appello’ ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599-bis, cod. proc. pen., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle
cause previste dall’art. 129, cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez. 5 19/03/2018, n. 15505, Rv. 272853; Sez. 5, 04/06/2018, n. 29243, Rv. 273194; Sez. 4, n. 52803, 14/09/2018, Rv. 274522). Occorre, pertanto, ribadire il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis, cod. proc. pen., che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni dì proscioglimento ex art. 129, cod. proc. pen., e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Rv. 278170; Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Rv. 278170).
4.2. NOME COGNOME lamenta – nonostante l’accordo intervenuto tra le parti e recepito dalla Corte di appello – la mancata irrogazione della pena nel minimo edittale, pur non deducendo la illegalità di quella concordata; l’impugnazione è pertanto inammissibile alla luce dei principi sopra richiamati.
4.3. NOME COGNOME denuncia la mancata pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. con conseguente violazione dell’art. 649 del codice di rito in quanto, a suo dire, egli sarebbe stato già assolto con pronuncia irrevocabile dal reato oggetto dell’accordo concluso ai sensi del citato art. 599bis; la censura risulta inammissibile per le ragioni sopra indicate. In ogni caso, questa Corte osserva che la relativa questione non era stata nemmeno oggetto dei motivi di gravame e che, dalla lettura del capo di imputazione e della sentenza di primo (pagg. 114 e ss.), i fatti sub 2) e 3) non coincidono dato che riguardano differenti estorsioni commesse in date diverse.
Il ricorso di NOME COGNOME, relativo al reato sub 6), è nel complesso infondato; anzitutto, si evidenzia che il ricorrente non contesta la diversa
qualificazione del reato (consumato e non già tentato) operata dalla Corte territoriale, ma piuttosto l’esistenza stessa – con riferimento alla sua posizione del concorso nel reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso sotto il profilo dell’elemento oggettivo e soggettivo. Nello specifico, l’imputazione era relativa al concorso (con NOME COGNOME e NOME COGNOME) nel reato di cui agli artt. 110, 81, comma secondo, 629, comma primo e secondo, 416-bis.1. cod. pen., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minaccia consistita nel presentarsi al cospetto della persona offesa, nel convocarla dai capi dell’organizzazione, sia direttamente che attraverso i propri dipendenti, gli imputati, nel rappresentare la propria appartenenza ad organizzazioni di stampo camorristico, costringevano NOME COGNOME e NOME COGNOME, quest’ultimo proprietario della RAGIONE_SOCIALE, a corrispondere continue somme di denaro, procurandosi un ingiusto profitto con corrispondente danno per la vittima. Con l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. per avere agito avvalendosi della propria appartenenza rispettivamente al clan Montescuro e al clan COGNOME, prospettando ritorsioni nel caso in cui non fossero state corrisposte le somme di denaro richieste, nonché al fine di agevole le associazioni di rispettiva appartenenza introitando gli illeciti profitti per garantire la sopravvivenza ed il consolidamento dell’associazione sul territorio. In Napoli ed in Casalnuovo di Napoli dal mese di novembre 2016 al mese di dicembre 2016.
5.1. Come noto, ai fini dell’integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; ne consegue che anche l’intermediario, nelle trattative per la determinazione della somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l’interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana (Sez. 2, n. 6824 del 18/01/2017, Rv. 269117 – 01). Inoltre, gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni, alle quali non abbia partecipato l’indagato, costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall’art. 192, comma 1, cod. proc. pen., senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno; e, tuttavia, qualora tali elementi abbiano natura indiziaria, essi debbono essere valutati alla luce del disposto dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez.
1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME ed altri Rv. 260842). La valenza dimostrativa delle captazioni è, invero, collegata al fatto che i colloquianti sono ignari dell’ascolto operato da terzi, il che svincola l’attività espressiva da ogni formalizzazione, rendendola tendenzialmente genuina e potenzialmente autosufficiente, quando sia rintracciabile chiarezza espressiva nella narrazione dei fatti vissuti e comunicati, e possa essere esclusa la veicolazione di dati non rispondenti al vero, per imprecisione, millanteria o interesse specifico del locutore.
5.2. Orbene, la sentenza impugnata appare rispettosa dei suddetti principi in quanto, con motivazione adeguata ed esente da evidenti vizi logici, ha confermato il giudizio di penale responsabilità per il reato sub 6) nei confronti di NOME COGNOME ritenendo dimostrata la sua partecipazione alle azioni estorsive contestategli; in particolare, la Corte distrettuale ha escluso che i rapporti tra il ricorrente, NOME COGNOMEgiudicato e condannato con separato giudizio) / e NOME COGNOME (gli altri due imputati per il reato di cui al n.6 della rubrica) fossero contrassegnati da timore, diffidenza ed ostilità da parte del COGNOME nei riguardi degli altri due, richiamando sul punto tre conversazioni oggetto di captazione (le nn.2728, 94 e 10 del 30 novembre 2016), dalle quali emergeva un atteggiamento di vicinanza dell’imputato, il quale aveva messo le proprie conoscenze di imprenditore al servizio dell’organizzazione criminale al fine di convocare e raggiungere le vittime (denominate anche come i ‘torresi’) delle estorsioni. Deve aggiungersi che la Corte di appello, sempre in modo coerente, ha dato rilievo anche alla conversazione n.160 del 10 dicembre 2016 nella quale NOME COGNOME, dopo che le due persone offese non rispondevano più al telefono, si era impegnato con NOME COGNOME a contattarli personalmente e poi ancheyornire l’indirizzo dove si trovava il loro ufficio; inoltre, dalle ulteriori captazioni dicembre 2016 è emerso che il COGNOME aveva accompagnato le persone offese dal Montescuro, al quale avevano versato 30.000,00 euro dopo essersi indebitate ed avere anche venduto alcune autovetture. Sulla base di tali elementi complessivamente valutati, pertanto, la sentenza impugnata ha escluso che NOME COGNOME fosse un imprenditore vittima delle estorsioni, piuttosto un soggetto che, ben a conoscenza della caratura criminale di Montescuro ed Argano, aveva cooperato con i concorrenti nell’individuare le vittime dell’estorsione attirandole in un incontro presso il proprio ufficio, nel corso del quale erano state Corte di Cassazione – copia non ufficiale
formalizzate le richieste di denaro, aveva fornito l’indirizzo delle persone quando si erano rese irreperibili e le aveva pure accompagnate dal Montescuro in occasione del versamento della somma di 30.000,00.
5.3. Rispetto a tale compiuto ragionamento svolto dalla Corte di appello, il ricorrente non si confronta in modo specifico ed insiste per una non consentita lettura alternativa del materiale probatorio mediante il richiamo parcellizzato ad alcune intercettazioni che, però, non scardinano le valutazioni espresse nella sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato ed alla assenza della invocata scriminante, tenuto conto che non vi è prova (peraltro, nemmeno specificamente dedotta dal ricorrente) che egli abbia pagato alcuna somma all’Argano ed al Montescuro e che, quand’anche egli fosse stato vittima di estorsione, ciò non esclude che abbia concorso – per tutte le ragioni sopra illustrate – nell’attività estorsiva in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Si tratta, all’evidenza, di valutazioni in fatto che – proprio perché motivate in modo adeguato e non contraddittorio – sfuggono al sindacato di legittimità.
5.4. Infondate risultano poi le censure relative alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen.; è noto che la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Rv. 278734 – 01). Invero, la Corte territoriale -ha dato rilievo, senza incorrere in vizi logici -, che il COGNOME era ben a conoscenza della caratura criminale del Montescuro e dell’Argano (circostanza pacifica) e del loro modo di agire, al quale aveva contribuito mediante la propria attività agevolatrice pur conscio della paura delle persone offese, le quali per un certo periodo avevano anche cercato di rendersi irreperibili e delle quali, come visto, aveva anche indicato l’indirizzo dell’ufficio ai due concorrenti.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deve essere, invece, essere accolto nei limiti appresso indicati.
6.1. Come visto la Corte di appello di Napoli ha confermato il giudizio di penale responsabilità, nei confronti del predetto, con riferimento ad entrambi i reati a lui
contestati (capi 1 e 3) escludendo, soltanto, l’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 6, cod. pen., con la conseguente rideternninazione della pena nei termini sopra riportati. Nello specifico le imputazioni riguardavano la violazione degli artt. 416-bis, commi 1, 2, 3, 6, e 8, 110, 416, commi 1, 2, 3, 6 e 8-bis cod. pen., per avere preso parte – quale partecipe con compiti esecutivi nell’ambito delle attività illecite del clan nel settore delle estorsioni – ad un’associazione di stampo mafioso promossa, diretta ed organizzata da NOME COGNOMEclasse 1934), alias o’ munuzz, operante sul territorio di Napoli, in particolare sull’intera area urbana Sant’Erasmo e sulle zone limitrofe, che avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento ed omertà aveva per scopo la commissione di estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti ed il conseguimento, per sé o per gli altri affiliati, di profitti e vantaggi ingiusti, destinati al sostentamento delle famiglie e al mantenimento dei detenuti anche al fine di garantire la perpetuazione dell’associazione criminale. Fatti accertati e commessi in Napoli, dal mese di giugno 2016 con condotte perduranti (capo 1 della rubrica). L’altra imputazione è relativa agli artt. 110, 81, comma secondo, 629, comma primo e secondo, 416bis.1. cod. pen., poiché in concorso con NOME COGNOME (classe 1934), NOME COGNOME, NOME COGNOME (classe 1960), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minaccia consistita nel presentarsi al cospetto della persona offesa, nel convocarla dai capi dell’organizzazione sia direttamente che attraverso i suoi dipendenti, nel rappresentare la propria appartenenza ad organizzazioni di stampo camorristico, costringevano NOME COGNOME titolare della ‘RAGIONE_SOCIALE, a corrispondere continue somme di denaro, procurandosi un ingiusto profitto con corrispondente danno per la vittima; con l’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1. cod. pen. per essersi avvalsi della appartenenza, rispettivamente, al clan COGNOME e al clan COGNOME, prospettando ritorsioni nel caso di mancato pagamento delle somme di denaro richieste ed al fine di agevolare le associazioni di rispettiva appartenenza mediante l’introito dei relativi profitti per garantire la loro sopravvivenza ed il loro consolidamento. Fatti commessi in Napoli dal mese di ottobre 2016 al mese di giugno 2017 (capo 3 della rubrica). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6.2. Quanto alla estorsione sub 3) la Corte territoriale, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, ha confermato il giudizio di penale responsabilità per l’estorsione ai danni del COGNOME evidenziando – sulla base delle numerose captazioni ambientali e degli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria – come l’odierno ricorrente avesse ricevuto dalla persona offesa (a mezzo di bonifico bancario, fatto apparire come il legittimo pagamento di una fornitura di carburante effettuata proprio dal COGNOME titolare di una ditta operante nel settore) la somma oggetto dell’estorsione, che poi aveva provveduto a consegnare ed a dividere con il Montescuro e l’Argano (vedi sul punto, oltre alla sentenza di appello, anche le pagg. 115 e ss. della sentenza di primo grado). Sulla base di tali elementi, quindi, la Corte di appello ha coerentemente escluso -che l’imputato fosse una vittima delle estorsioni, ‘2piuttosto un soggetto, che, utilizzando come schermo la propria attività imprenditoriale, si occupava di ricevere il profitto dell’estorsione e della successiva suddivisione tra i vari gruppi criminali. Si tratta, in conclusione, di valutazioni di fatto che, in quanto sorrette da motivazione adeguata e non contraddittoria, non possono essere messe in discussione in questa sede mediante la lettura alternativa del significato di alcune singole captazioni come, invece, pretende il ricorrente.
6.3. Rispetto alla partecipazione di NOME COGNOME al clan Montescuro (n. 1 della rubrica), il ricorso risulta, invece, fondato. Al riguardo si rileva che la Corte di appello – pur a fronte delle specifiche censure sollevate sul punto con l’atto di gravame – si è limitata a richiamare e fare proprie le argomentazioni svolte, rispetto a tale imputazione, dal Tribunale (pagg. 571 e ss. della sentenza di primo grado).
6.4. Come noto, il più alto consesso di questa Corte ha precisato che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa della associazione. Tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla “messa a disposizione” del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Inoltre, nel rispetto del principio di materialità ed offensività della condotta, l’affiliazione rituale può costituire indizio grave della condotta di partecipazione al sodalizio, ove risulti – sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza – alla luce degli elementi di
contesto che ne comprovino la serietà ed effettività, l’espressione non di una mera manifestazione di volontà, bensì di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 – 01).
Ne consegue che, per potere dichiarare la responsabilità dell’odierno ricorrente per il reato associativo sub 1), era necessaria la prova della stabilità nel tempo del suo ruolo nell’ambito del clan Montescuro, tenuto conto della assenza di elementi certi rispetto alla sua rituale affiliazione a detto sodalizio.
6.5. Ciò posto, si rileva che la sentenza impugnata, sul punto, non ha fornito una motivazione adeguata che consenta di ritenere dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di NOME COGNOME anche per il reato di cui al n.1 della rubrica. Orbene, la sentenza di primo grado (richiamata integralmente dalla Corte territoriale) ha ritenuto dimostrata l’appartenenza del COGNOME sulla base delle dichiarazioni rese, in tal senso, dal collaboratore NOME COGNOME che, però, risalgono all’anno 2009 e quindi ad alcuni anni prima dei fatti oggetto della imputazione sub 1); NOME COGNOME, dal canto suo, aveva invece indicato l’odierno ricorrente come soggetto legato ad un differente clan (COGNOME). Deve poi aggiungersi che le captazioni richiamate nella sentenza di primo grado (pagg. 573 e ss.) non appaiono particolarmente significative poiché esse confermano soltanto il coinvolgimento del COGNOME nelle attività estorsive e nelle successive spartizioni (riguardanti somme non rilevanti), ma non forniscono elementi incontrovertibili circa la stabilità temporale del suo inserimento nell’associazione camorristica e del ruolo da lui rivestito all’interno di essa.
6.6. Per tali ragioni, quindi, la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio.
Con riferimento alla impugnazione proposta nell’interesse di NOME COGNOME deve evidenziarsi che la sentenza impugnata ha confermato il giudizio di penale responsabilità nei suoi confronti rispetto alla imputazione sub 2) riguardante il reato di cui all’art. 110, 81 cpv., 648 e 416-bis.1. cod. pen., perché in concorso con altri capi e rappresentanti di altri gruppi camorristici, previo accordo con il gruppo criminale facente capo a NOME COGNOME, partecipavano alla
spartizione dei proventi delle attività illecite derivanti, in particolare, dall estorsioni effettuate nei confronti degli imprenditori impegnati nei lavori di riqualificazione di INDIRIZZO ricevendo le relative quote; fatti accertati e commessi in Napoli dal mese di giugno 2016 con condotte perduranti.
7.1. In particolare, la Corte distrettuale ha dato rilievo, con motivazione adeguata ed esente da evidenti vizi logici, alle numerose conversazioni oggetto di intercettazioni (riportate alle pagine 71 e ss. della sentenza di primo grado) dalle quali si ricava che il Montescuro ed i suoi associati discutevano anche con il COGNOME delle spartizioni dei proventi delle estorsioni, che venivano ricevute (almeno parzialmente) dall’odierno ricorrente quale capo indiscusso dell’omonimo sodalizio criminale. Inoltre, vari collaboratori di giustizia (tra cui, in particolare NOME COGNOME) avevano confermato che era proprio l’imputato a ricevere le quote di spettanza del suo gruppo; a quanto sopra deve aggiungersi che la Corte territoriale, in modo non irrazionale, ha pure escluso che le dichiarazioni rese dal COGNOME fossero estranee ai fatti in contestazione poiché il collaboratore aveva parlato delle estorsioni legate ai lavori di INDIRIZZO (che si trova nelle immediate adiacenze del porto di Napoli) ed era emerso che il Montescuro agiva anche all’interno del porto, di talché quanto riferito dal propalante riguardava in genere le estorsioni commesse nell’area portuale napoletana ed i cui proventi erano suddivisi tra i vari gruppi camorristici, tra cui anche quello con a capo l’odierno ricorrente.
7.2. Pertanto, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, NOME COGNOME vorrebbe pervenire in questa sede ad una non consentita diversa valutazione degli elementi processuali rispetto a quella coerentemente svolta dal giudice a quo, con la conseguente inammissibilità del ricorso.
In conclusione, il ricorso di NOME COGNOME va accolto limitatamente al reato sub 1) con il conseguente annullamento della sentenza rispetto a tale punto ed il rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, affinché – in piena autonomia decisionale – colmi le lacune motivazionali sopra evidenziate; il ricorso del COGNOME va, invece, rigettato nel resto.
I ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME vanno dichiarati inammissibili con la loro conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta equa, di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende; la impugnazione di NOME COGNOME va respinta con la sua conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Francesco Salvatore limitatamente al reato di cui al capo 1) con rinvio per nuovo giudizio sul capo ad
altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME
NOME COGNOME Rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di Altamura
NOME, COGNOME NOME e COGNOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 1’11 luglio 2025.