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Associazione di tipo mafioso: limiti del ricorso

Un individuo, accusato di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso e a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ha presentato ricorso contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la legittimità e la coerenza logica della motivazione dei giudici di merito. In questo caso, la motivazione basata sulle intercettazioni, che dimostravano la disponibilità dell’indagato ad agire per il clan, è stata ritenuta adeguata a sostenere la misura cautelare.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: la Cassazione sui limiti del ricorso cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11100 del 2024, torna a pronunciarsi sui requisiti per l’applicazione della custodia cautelare in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso. La decisione è cruciale perché definisce con chiarezza i confini del sindacato di legittimità sulla valutazione degli indizi, confermando un orientamento consolidato: la Cassazione non è un terzo grado di merito e non può rivalutare i fatti. Approfondiamo l’analisi di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa: Il Ricorso contro la Custodia Cautelare

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Napoli che, in sede di riesame, confermava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo. Le accuse erano gravissime: partecipazione a un’associazione per delinquere di tipo mafioso, aggravata dall’essere armata e finalizzata al controllo di attività economiche, e partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Secondo l’accusa, l’indagato era partecipe di un noto clan camorristico operante nell’area occidentale di Napoli, a sua volta inserito in un più vasto cartello criminale.

I Motivi del Ricorso: Carenza di Indizi e Motivazione

La difesa dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando vizi di motivazione e un’erronea applicazione della legge penale. I motivi principali erano due:

1. Sull’associazione di tipo mafioso: Secondo il ricorrente, mancavano gravi indizi sul suo ruolo effettivo, sul contributo offerto al clan e sulla consapevolezza di farne parte. Le conversazioni intercettate, a suo dire, dimostravano solo l’intento del capo clan di radunare persone per contrastare un gruppo rivale, invito che l’indagato sosteneva di non aver mai accolto, data la sua estraneità ai successivi episodi violenti.
2. Sull’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti: Anche per questa accusa, la difesa denunciava una carenza di elementi. L’unico collegamento, secondo il Tribunale, era che le azioni violente fossero tese a proteggere la ‘piazza di spaccio’. Essendo l’indagato estraneo a tali azioni, doveva ritenersi estraneo anche al traffico di droga.

La Decisione della Cassazione sull’associazione di tipo mafioso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale: il controllo della Corte di Cassazione in materia cautelare è un controllo di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può riesaminare gli elementi di fatto o la consistenza degli indizi, compiti che spettano esclusivamente al Giudice per le indagini preliminari e al Tribunale del Riesame. Il ruolo della Cassazione è circoscritto alla verifica che il provvedimento impugnato sia sorretto da una motivazione congrua, logica e giuridicamente corretta.

Le Motivazioni

Nel dettaglio, la Corte ha ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse fornito una motivazione adeguata e priva di vizi logici. I giudici di merito non si erano limitati a riportare le conversazioni intercettate, ma le avevano analizzate rigorosamente. Da queste emergeva non solo uno stretto rapporto tra l’indagato e il capo clan, ma anche una chiara e inequivocabile disponibilità del primo a partecipare ad azioni di ritorsione, seguendo le direttive del vertice. Frasi come «me lo devi dire tu come mi devo comportare… io sto sempre presente lo giuro» sono state considerate indicative di una piena e consapevole adesione al sodalizio criminale.

Il coinvolgimento dell’indagato era inoltre corroborato da conversazioni tra altri esponenti di spicco del clan. La Corte ha sottolineato come la partecipazione ad azioni poste a ‘difesa del territorio’ del clan assuma un rilievo indiscutibile per dimostrare l’appartenenza al gruppo.

Anche riguardo all’associazione dedita al traffico di stupefacenti, la motivazione è stata giudicata sufficiente, evidenziando come i giudici di merito avessero messo in luce il coinvolgimento dell’indagato nelle vicende della ‘piazza di spaccio’ gestita dal sodalizio.

Le Conclusioni

Le implicazioni pratiche di questa sentenza sono significative. Viene ribadito che tentare di ottenere in Cassazione una rilettura del materiale indiziario è una strategia destinata al fallimento. Il ricorso deve concentrarsi sull’individuazione di specifiche violazioni di legge o di palesi illogicità nella motivazione del provvedimento cautelare. La disponibilità a commettere reati per conto del clan, anche se non seguita da un’immediata esecuzione materiale, può costituire un grave indizio di partecipazione all’associazione, sufficiente a giustificare una misura cautelare così afflittiva come la custodia in carcere. La sentenza consolida quindi un approccio rigoroso nella valutazione della partecipazione a un’associazione di tipo mafioso, valorizzando gli elementi che dimostrano la messa a disposizione dell’indagato alle finalità del gruppo criminale.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione degli indizi di colpevolezza fatta da un Tribunale del Riesame?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare nel merito gli elementi fattuali e lo spessore degli indizi. Il suo controllo è limitato alla verifica della legalità, della corretta esposizione delle ragioni giuridiche e dell’assenza di vizi logici evidenti nella motivazione del provvedimento impugnato.

Cosa è sufficiente per dimostrare la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso in fase cautelare?
In fase cautelare, sono sufficienti gravi indizi di colpevolezza. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la chiara disponibilità dell’indagato a partecipare ad azioni violente per conto del clan, emersa da intercettazioni, costituisse un indizio sufficiente della sua piena e consapevole adesione al sodalizio criminale.

Un’imputazione per un reato può essere considerata valida anche se la descrizione del fatto è sommaria?
Sì, in materia di misure cautelari, la legge richiede una ‘descrizione sommaria del fatto’. La Corte ha stabilito che è sufficiente che gli elementi necessari a definire il reato siano ricavabili dal contesto motivazionale dell’ordinanza o dalla richiesta del Pubblico Ministero a cui l’ordinanza fa riferimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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