Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27509 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27509 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a CATANIA il 03/07/1975 COGNOME NOME nato a CATANIA il 28/02/1995 COGNOME NOME nato a CATANIA il 02/08/1989 COGNOME nato a CATANIA il 02/01/1992 COGNOME NOME nato a CATANIA il 24/11/1983 COGNOME NOME nato a CATANIA il 01/02/1977
avverso la sentenza del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi presentati nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME riportandosi alla requisitoria in atti; conclude per il rigetto dei ricorsi presentati nell’interesse di COGNOME e COGNOME.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME in difesa di COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e ai motivi nuovi depositati a mezzo PEC e insiste per l’accoglimento degli stessi.
L’avvocato COGNOME si associa alle conclusioni dell’avvocato COGNOME per la posizione di COGNOME riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento anche per la posizione di COGNOME in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME codifensore per la posizione di COGNOME e difensore di COGNOME, si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del l’11 giugno 2024 la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania del 23 settembre 2002, emessa a seguito di procedimento con rito abbreviato, ha rideterminato la pena su concorde richiesta delle parti nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME ha assolto COGNOME Giovanni dal reato di cui al capo 1 (art. 416 bis cod. pen.) per non aver commesso il fatto e , esclusa l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., rideterminava la pena; ha altresì confermato nei confronti di COGNOME la sentenza di primo grado.
Nella prospettazione accusatoria, recepita dai giudici di merito, le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, riscontrate dalle risultanze di intercettazioni telefoniche e ambientali, perquisizioni e sequestri, avevano fatto emergere l’esistenza in vari quartieri della città di Catania del sodalizio mafioso denominato COGNOME, impegnato in diverse attività criminali, tra le quali la cessione a terzi di sostanza stupefacente.
Nell’interesse di COGNOME NOME, condannato per il reato associativo di cui al capo 1 (art. 416 bis cod. pen.), per il reato associativo di cui al capo 4 (art. 74 d.p.r. n. 309/1990) , per i delitti di concorso in detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente con l’aggravante della agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1 cod. pen. (capi 5 e 6), per il delitto di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi anche da guerra con l’aggravante della agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 7) e per il delitto di ricettazione, per il delitto di detenzione illegale e porto in lu ogo pubblico di armi anche da guerra con l’aggravante della agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 8), sono stati depositati due atti di ricorso.
3.1. Il primo atto, a firma dei difensori Avv. NOME COGNOME ed Avv. NOME COGNOME, è articolato in sei motivi.
Con il primo ed il secondo motivo si deduce violazione di legge ed erronea applicazione e illogicità della motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il reato associativo nonché con riguardo alla partecipazione associativa con il ruolo apicale.
I giudici di merito avevano valorizzato il narrato del collaboratore di giustizia COGNOME obliterando quanto affermato dall’altro collaboratore di giustizia NOME COGNOME che non ha riferito nulla sul ruolo associativo del ricorrente.
Lo stesso deve dirsi in relazione al ruolo apicale allo stesso contestato, giacché i collaboratori di giustizia non avevano descritto l’imputato come soggetto investito di un ruolo decisionale ed operativo.
3.2. Con il terzo e quarto motivo si deduce vizio di violazione di legge in relazione all’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990.
Al ricorrente non può essere contestata la partecipazione all’associazione dedita al narcotraffico né la qualifica apicale in assenza di elementi dimostrativi.
3.3. Con il quinto motivo si deduce vizio di violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti ex art. 62 bis cod. pen.
La Corte di appello non ha valorizzato né la dazione di una somma di denaro a favore di due distinte comunità terapeutiche né l ‘ ammissione degli addebiti in materia di spaccio, senza tenere conto della personalità dell’imputato.
3.4. Con il sesto motivo si eccepisce la violazione di legge con specifico riferimento agli artt. 240, 240 bis cod. pen. e 321 cod. proc. pen.
Il denaro sequestrato apparteneva al padre, sicché non vi sono elementi dai quali desumere la provenienza illecita del denaro.
3.5. Un secondo atto di ricorso è stato depositato dal difensore Avv. NOME COGNOME
Il ricorso riproduce doglianze (segnatamente cinque) analoghe a quelle oggetto di sintesi ai paragrafi 3.1, 3.2., 3.3. e 3.4., cui si opera rinvio.
Ha proposto ricorso per cassazione COGNOME Giovanni condannato per il reato associativo di cui al capo 4 (art. 74 d.p.r. n. 309/1990) , per il delitto di concorso in detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente (capo 5), per il delitto di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi anche da guerra (capo 7) e per il delitto di ricettazione per il delitto di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi anche da guerra (capo 8).
Sono stati articolati cinque motivi.
4.1. Con il primo si deduce contraddittorietà della motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il reato associativo.
Invero, il collaboratore di giustizia COGNOME non ha indicato il ricorrente come persona che coadiuvava il duo COGNOME–COGNOME nel traffico di sostanze stupefacenti.
In particolare, vi sarebbe assoluta mancanza di elementi probatori diretti a dimostrare il coinvolgimento del COGNOME nell’attività organizzata di spaccio.
4.2. Con il secondo motivo il ricorso censura la contraddittorietà della motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.p.r. n. 309 del 1990 ed in ordine ai delitti di cui ai capi 7 e 8.
Il luogo di custodia delle armi era costantemente monitorato delle forze dell’ordine mediante sistema di videosorveglianza, ed in nessuna occasione è stato ripreso il COGNOME recarsi nel deposito.
Quanto ai delitti in materia di armi, nessuna prova è stata offerta per dimostrare che il ricorrente fosse materialmente entrato in contatto con le predette armi .
4.3. Con il terzo motivo il ricorso censura la contraddittorietà della motivazione in relazione al delitto di cui all’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990 .
In particolare, le conversazioni valorizzate dalla Corte di appello sono neutre, attesa l’assenza di specifici riferimenti, che possano in qualche modo far presagire, che era in atto una attività di narcotraffico riferibile all’imputato.
In secondo luogo, la difesa si doleva della mancata riqualificazione delle condotte contestate nell’art. 73, comma 5, dpr. n. 309 del 1990.
4.4. Con il quarto e quinto motivo il ricorso censura la mancanza e manifesta illogicità con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed in ordine al trattamento sanzionatorio.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME NOME condannato per il reato associativo di cui al capo 4 (art. 74 d.p.r. n. 309/1990) e per il delitto di concorso in detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente con l’aggravante della agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 5).
E’ stato articolato un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’ art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., il mancato adeguamento del trattamento sanzionatorio tenuto conto della personalità e del ruolo marginale rivestito dal ricorrente.
Ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME condannato per il reato associativo di cui al capo 1 (art. 416 bis cod. pen.), per il reato associativo di cui al capo 2 (art. 74 d.p.r. n. 309/1990).
È stato articolato un unico motivo, con il quale deduce, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla entità della pena inflitta.
Ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME Francesco condannato per il reato associativo di cui al capo 4 (art. 74 d.p.r. n. 309/1990) e per il delitto di concorso in detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente con l’aggravante della agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 5).
E’ stato articolato un unico motivo, con il quale deduce, violazione e falsa applicazione di legge per la mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME Giuseppe condannato per il reato associativo di cui al capo 1 (art. 416 bis cod. pen.), per il reato associativo di cui al capo 4 (art. 74 d.p.r. n. 309/1990) , per il delitto di concorso in detenzione a fine di cessione di sostanza stupefacente con l’aggravante della agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 5), per il delitto di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi anche da guerra con l’aggravante della agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 7) e per il delitto di
ricettazione per il delitto di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi anche da guerra con l’aggravante della agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 8) .
È stato articolato un unico motivo, con il quale deduce, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla entità della pena inflitta.
Con istanza del 21 maggio 2025, il difensore di COGNOME NOME formulava richiesta di trattazione orale.
10 . Con memoria dell’11 giugno 2025, il difensore di COGNOME NOME proponeva motivi nuovi.
In particolare, la difesa contestava: -a ) l’attribuzione di un ruolo apicale/organizzativo nell’ambito della associazione ex art. 416 bis cod. pen.; –b ) l’attribuzione del ruolo di promotore ovvero organizzatore nell’ambito della associazione dedita al narcotraffico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Vanno riepilogate sinteticamente le regole processuali, come ricostruite dalla giurisprudenza di legittimità, che sovrintendono al ragionamento probatorio e che, in diversi ricorsi, sono oggetto di specifiche censure in ordine alla loro non corretta applicazione.
Il giudizio di legittimità in materia probatoria deve avere ad oggetto la mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultanti dal testo del provvedimento impugnato, senza potersi estendere alla ricostruzione dei fatti o all’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori; apprezzamento che, ove non manifestamente illogico, si sottrae a qualunque possibilità di censura, di tal che non è consentito dedurre profili di doglianza i quali, pur investendo in apparenza la motivazione, si risolvano, in realtà, nella richiesta di una diversa valutazione di circostanze fattuali esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 2 n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Vanno, poi, riepilogate alcune regole del procedimento indiziario. Secondo quanto stabilito dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. la capacità dimostrativa degli indizi è subordinata, innanzitutto, al positivo apprezzamento della loro “gravità” (l’essere, cioè, convincenti, attendibili e resistenti alle obiezioni), “precisione” (ovvero l’essere non generiche o suscettibili di diversa interpretazione), “univocità” (cioè, significative nella loro valutazione complessiva) e “concordanza” (ossia non contrastanti tra loro).
E proprio dai requisiti di univocità e concordanza consegue che la valutazione degli indizi non può essere atomistica e parcellizzata, né concretizzarsi in una mera sommatoria degli stessi, ma deve consistere in un esame globale, volto ad accertare se la relativa
ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa risolversi in una prospettiva unitaria, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605-02).
3 Quanto, poi, alle intercettazioni telefoniche o ambientali, va ricordato che gli elementi di prova raccolti nel corso della captazione di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato, costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento, razionalmente motivato, previsto dall’art. 192, comma 1, cod. proc. pen.; e, pertanto, se anch’esso deve essere attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però necessario reperire gli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714; nella giurisprudenza successiva v. Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265747; Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414).
Qualora, tuttavia, tali elementi abbiano natura indiziaria, essi dovranno possedere i requisiti di gravità, precisione e concordanza, in conformità del disposto dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260842; Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, COGNOME, Rv. 26650901; Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, Modica, Rv. 268042; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314-02; Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611-02, resa proprio in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, in cui è stato precisato che le intercettazioni vanno valutate verificando che: -a ) il contenuto della conversazione sia chiaro; -b ) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all’imputato; -c ) per il ruolo ricoperto dagli interlocutori nell’ambito dell’associazione di cui fanno parte, non vi sia motivo per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; -d ) non vi sia alcuna ragione per ritenere che un interlocutore riferisca all’altro circostanze false).
In ogni caso, il giudice di merito è libero di ritenere che l’espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorché non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata ovvero quando emerga, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l’uso di un determinato termine viene indicato per indicare altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650). E tale operazione è censurabile in cassazione soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre è possibile prospettare, in sede di legittimità, una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di
merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. 5, n. 1532 del 09/09/2020, dep. 2021, COGNOME, n. m.).
4. Ancora in premessa, va ricordato che l’art. 416-bis cod. pen., rubricato “associazione di tipo mafioso”, configura una peculiare fattispecie associativa che ricorre quando “tre o più persone” fanno parte di un’associazione la quale sia avvalga “della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”. Mentre l’art. 416-bis, comma primo, cod. pen. fa riferimento alla condotta di chi partecipa all’associazione, il successivo comma secondo contempla, invece, la posizione di coloro i quali “promuovono, dirigono o organizzano l’associazione”.
Secondo la consolidata opinione giurisprudenziale, i due commi configurano autonome fattispecie incriminatrici, alle quali corrispondono differenti regimi sanzionatori ( ex plurimis , Sez. 2, n. 40254 del 12/06/2014, COGNOME, Rv. 26044401, secondo cui la condotta del promotore o capo costituisce figura autonoma di reato e non circostanza aggravante della partecipazione all’associazione medesima).
4.1. Quanto alla condotta di partecipazione (“chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso”), secondo l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, anche a Sezioni unite, essa non può consistere in un mero status , né in una condivisione meramente psicologica del programma criminoso e delle relative metodiche, dovendo al contrario sostanziarsi in un agire concreto e causalmente efficace rispetto agli scopi dell’associazione, il quale può assumere forme e contenuti diversi e variabili, così da delineare una figura di reato “a forma libera”. In altri termini, l’azione del partecipe deve sempre consistere, in modo pregnante, “nella concreta assunzione di un ruolo materiale all’interno della struttura criminosa, manifestato da un impegno reciproco e costante, funzionalmente orientato alla struttura e all’attività dell’organizzazione criminosa”, quale espressione di un inserimento strutturale, a tutti gli effetti, in tale organizzazione, nella quale l’agente risulta stabilmente e organicamente incardinato; inserimento idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/06/2021, COGNOME, Rv. 281889; in termini già Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670 e, nella giurisprudenza ad essa successiva, Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270468; Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, COGNOME, Rv. 269659; Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269207; Sez. 6, n. 12554 del 01/03/2016, COGNOME, Rv. 267418).
Quanto all’elemento soggettivo della condotta di partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, esso sussiste allorché ricorra la consapevole volontà di fare parte della compagine criminosa al fine di condividerne l’attività svolta e gli obiettivi criminali. Dunque, il partecipe è colui che esercita la forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva, o che di essa si avvale, o che comunque agevola o collabora direttamente, attraverso un’attività strettamente correlata all’attività di intimidazione, con chi la esercita o se ne avvale, ovviamente agendo allo scopo di raggiungere i fini criminali del sodalizio, di cui sia consapevole di far parte.
4.2. Va, inoltre, precisato che, in materia di partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso, il thema probandum riguarda, precipuamente, la condotta di partecipazione al sodalizio criminale attuata con la stabile e volontaria compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del medesimo; di tal che le prove o gli indizi, costituite in genere dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dagli elementi di riscontro individualizzanti, devono riguardare la sua appartenenza al sodalizio, inquadrando il contributo causale offerto all’esistenza del medesimo (Sez. 2, n. 23687 del 03/05/2012, COGNOME, Rv. 253221; Sez. 5, n. 17081 del 26/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263699; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264380; Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 273572).
4.3. Anche dopo l’intervento regolativo Modaffari adottato dalle Sezioni Unite nel 2021, ad essere rilevante è, in chiave dimostrativa, la selezione di affidabili “indicatori” dell’avvenuto inserimento attivo del soggetto nel gruppo, il che tuttavia non comporta l’adozione piena del cd. modello causale. Il cd. modello causale è ancorato alla dimensione del concorso esterno, che richiede la prova della condotta e di un percepibile evento di rafforzamento del gruppo in forza della medesima.
Di contro, la dimostrazione della condotta partecipativa richiede – senza dubbio – la ricostruzione fattuale dello stabile inserimento del soggetto nel gruppo ma, anche secondo l’arresto del 2021 COGNOME, resta valido l’inquadramento teorico risalente a Sez. Unite Mannino del 2005 per cui la prova dell’inserimento può avvenire “per indicatori logici”.
Già l’intervento regolativo del 2005, attuato con la sentenza COGNOME, scinde la questione processuale della verifica della condotta di partecipazione alla associazione mafiosa in due momenti di riconoscimento dei presupposti.
La tipicità da un lato (ossia la esatta interpretazione della locuzione normativa secondo il suo significato corrente e secondo categorie concettuali di stretta aderenza al testo), la prova dall’altro (posto che ogni condotta descritta in termini elastici, come è la partecipazione, ha bisogno di parametri probatori rassicuranti e al tempo stesso esemplificativi, su cui il giudice possa esercitare il potere di fissazione del fatto).
Quanto al primo aspetto, le Sez. U COGNOME affermano con assoluta chiarezza che il “fare parte” di una associazione mafiosa è espressione di sintesi che implica l’assunzione di un ruolo e lo svolgimento di compiti effettivi, sposando la visione “dinamica e funzionale”
della condotta partecipativa, in aderenza al principio di materialità e offensività della condotta punibile. Prendere parte al fenomeno associativo non è uno stato d’animo, né una generica condivisione, ma è lo svolgimento di compiti funzionali e tendenzialmente stabili, coessenziali al raggiungimento dei fini del gruppo.
A simile affermazione però non consegue una richiesta di necessaria percezione o ricostruzione “diretta” di episodi storici integrativi del ruolo, ben potendo la ricostruzione essere indiziaria.
È il punto di maggior rilievo della decisione del 2005, nel cui ambito si afferma testualmente che: “sul piano della dimensione probatoria rilevano tutti gli indicatori fattuali, dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa e cioè la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio. Deve dunque trattarsi di indizi gravi e precisi (tra i quali le prassi giurisprudenziali hanno individuato, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione e prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di uomo d’onore, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici facta concludentia ) dai quali sia lecito dedurre, senza alcun automatismo probatorio, la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, nonché della duratura e sempre utilizzabile messa a disposizione della persona per ogni attività del sodalizio, con puntuale riferimento allo specifico periodo temporale considerato nella imputazione”.
Ora, l’intervento regolativo del 2021 sorge su un tema specifico, rappresentato dalla rilevanza – quale affidabile indicatore logico della partecipazione – della semplice cerimonia rituale di affiliazione.
Nella corposa motivazione della decisione, le Sezioni Unite COGNOME premettono, sulla scia della COGNOME, di aderire al filone interpretativo che riconosce nella previsione incriminatrice di cui all’art. 416bis cod. pen. un “reato a struttura mista”, data la necessaria proiezione esterna del potere di intimidazione del sodalizio.
La capacità di intimidazione deve essere effettiva e deve essere attributo del “sodalizio” in quanto tale.
Ci si orienta, pertanto, verso una natura giuridica di reato di pericolo concreto, intendendo per tale il reato associativo di stampo mafioso e non già le singole condotte in cui si articola la fattispecie.
Quanto alla nozione di partecipazione vengono enucleate – nel post COGNOME – tre tendenze interpretative.
La prima, che facendo leva sulle esemplificazioni della stessa COGNOME (sul terreno della prova) identifica senz’altro l’affiliazione rituale come condotta in quanto tale punibile a titolo di partecipazione, sottolineandone la forza dimostrativa, in aderenza al cd. modello organizzatorio puro (l’adesione è vista come fenomeno di rafforzamento del gruppo, al di là del successivo svolgimento di compiti).
La seconda, che ritiene insufficiente l’indicatore della mera affiliazione, non seguito dal censimento di condotte “espressive del ruolo”, in ossequio al profilo funzionalistico valorizzato nella Mannino nella parte dedicata alla tipicità.
La terza, definita in termini di “modello misto”, nel cui ambito si richiede in ogni caso – la identificazione di un sia pur minimo apporto causale alla vita dell’associazione.
In simile contesto, le Sezioni Unite RAGIONE_SOCIALE propongono una soluzione interpretativa che viene manifestata come ulteriore e originale.
Si evidenzia, in premessa, che non può aderirsi al modello organizzatorio puro.
Sostenere, in particolare, che la prova del solo accordo di ingresso esaurisca il tema del giudizio significa non tener conto di possibili situazioni in cui il soggetto non realizzi alcuna concreta attività posteriore e ciò appare in contrasto con i principi di materialità e offensività.
Al tempo stesso, si afferma, non bisogna scivolare nella adozione del cd. modello causale in senso stretto, pena la vanificazione della differenziazione tra la condotta di partecipazione e quella di concorso esterno.
Si indica, pertanto, la necessità di individuare, sul terreno probatorio, un contributo – anche atipico – del partecipe, contributo che può essere tanto materiale che morale, ricostruibile anche in via indiziaria (tramite ricostruzione di condotte indicative) e che viene esemplificato in termini di messa a disposizione effettiva e consapevole.
Solo in tal caso può dirsi che il soggetto ‘prende parte’ alla associazione.
La messa a disposizione, in tale chiave, indicherebbe non già una astratta attitudine (come il significato letterale della espressione pure potrebbe far intendere) ma la sintesi di un concreto attivismo tale da rientrare nel “profilo dinamico” della partecipazione (in aderenza alla Mannino).
In ciò può dirsi che le Sezioni Unite RAGIONE_SOCIALE abbiano richiamato l’attenzione del giudice di merito, sulla scia dell’insegnamento fornito dalla COGNOME, sulla effettiva valenza dimostrativa dei fatti storici selezionati come “indicatori logici” dell’effettivo inserimento del singolo nel gruppo, senza tuttavia aderire pienamente al cd. modello causale della partecipazione. Si è infatti ribadito in motivazione che: “(..) le stesse ricadute del principio di proporzionalità tra reato e sanzione, portando necessariamente a ritenere come doverosa la connotazione della condotta partecipativa in senso dinamico, impedisce decisamente scorciatoie interpretative correlate alla avvenuta dimostrazione del mero accordo di ingresso ovvero alla presenza di condizioni soggettive cui non si accompagni, in virtù della valenza dei dati di contesto quali interpretabili alla luce delle massime d’esperienza, un concreto connotato di effettiva agevolazione. Il comportamento – di volta in volta – elevato ad “indice rivelatore” del fatto punibile deve, pertanto, essere apprezzato nella sua oggettiva e concreta realtà e, in ogni caso, deve essere teso ad agevolare il perseguimento degli scopi associativi in modo riconoscibile e non puramente teorico, sì da potersi univocamente riconoscere ed interpretare come condotta indicativa dello stabile inserimento del soggetto
nel gruppo (…); ed ancora (…) nel compiere questa indagine ricostruttiva finalizzata a superare il dato, potenzialmente equivoco, della semplice adesione statica collocata in un determinato momento temporale ed avulsa da ogni ulteriore elemento storico-fattuale che dimostri la concreta attivazione del singolo a favore del sodalizio, il giudice, prescindendo da un’acritica adesione formale ad un certo modello ricostruttivo astratto, dovrà avere riguardo alla realtà criminale (anche esterna rispetto allo specifico contesto di riferimento, se ciò si rende necessario al fine di un confronto) ed al materiale probatorio acquisito ed utilizzabile: in tal modo, conseguirà quegli elementi di prova comprovanti l’appartenenza sostanziale e la conseguente permanenza di condotta che il reato richiede per la sua configurabilità (…)”.
5. Inoltre, è consolidato il principio di diritto secondo cui “ai fini della configurabilità di un’associazione finalizzata al narcotraffico, è necessario: -a ) che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale), avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; -b ) che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilità, risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; -c ) che ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo (Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, Pompei, Rv. 258796; Sez. 4, n. 44183 del 02/10/2013, COGNOME, Rv. 257582).
D’altro canto, l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990 rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti va individuato nel carattere dell’accordo criminoso, contemplante la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti, con permanenza del vincolo associativo tra i partecipanti, i quali, anche al di fuori dei singoli reati programmati, assicurino la propria disponibilità, duratura e indefinita nel tempo, al perseguimento del programma criminoso del sodalizio (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, dep. 2019, NOME COGNOME, Rv. 275550; Sez. 6, n. 18055 del 10/01/2018, Canale, Rv. 273008; Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, COGNOME e altri, Rv. 270564).
Sul piano probatorio, oltre alla consentita valorizzazione del contenuto delle conversazioni intercettate, qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una attività illecita, pur nel rispetto dell’onere di una rigorosa motivazione nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro (Sez. 3, n. 11655 del 11/02/2015, COGNOME e altri, Rv. 262981; conf. Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, COGNOME, Rv. 279251), si è affermato che in tema di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta concludentia , quali i contatti continui tra gli spacciatori, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma
criminoso e le loro specifiche modalità esecutive” (Sez. 3, n. 47291 dell’11/06/2021, COGNOME, Rv. 282610; Sez. 5, n. 8033 del 15/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255207).
Alla luce di quanto sin qui argomentato sui profili generali della complessa vicenda processuale possono essere più agevolmente presi in esame i singoli ricorsi.
Il ricorso proposto da COGNOME NOME deve essere rigettato.
7.1. Infondati sono il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso a firma degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed anche i primi tre motivi del ricorso a firma dell’Avv. NOME COGNOME.
Infondato anche il primo motivo aggiunto dell’11 giugno 2025, diretto a contestare il ruolo apicale rivestito dal COGNOME.
La Corte di appello con motivazione logica ha evidenziato come dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dagli esiti dell’attività intercettiva , oltre ai sequestri effettuati di armi e droga, è emersa non solo la operatività del clan COGNOME ma anche il ruolo apicale rivestito dal ricorrente, che aveva rapporti frequenti con le figure di riferimento del clan, dando disposizioni sulla ripartizione del denaro (v. pp. 10 e 11 della sentenza di appello, in cui si dà compiutamente conto delle intercettazioni dalle quali emerge il ruolo di primo piano del ricorrente, che partecipa a summit decisionali, sostiene economicamente i sodali ristretti in carcere, interviene per risolvere eventuali conflitti con i clan contrapposti, impartisce disposizioni sulla commissione dei delitti; anche la sentenza di primo grado da pp. 100 e ss. dà compiutamente conto dei numerosi elementi significativi dell’ affectio societatis , quali il compito svolto di installare sistemi di videosorveglianza al fine di controllare gli spostamenti delle forze dell’ordine ovvero assicurare il sostentamento economico dei sodali detenuti).
Nello specifico, infatti, la sentenza impugnata illustra in dettaglio una serie di vicende, sostanzialmente indiscusse nei loro estremi di fatto: alcune, di autonoma rilevanza delittuosa (come il concorso nella detenzione e porto in luogo pubblico di armi da guerra e nella loro ricettazione), altre (definizione di rapporti con altri clan, partecipazione ai summit , disposizioni in ordine alla ripartizione del denaro prelevato dalla cassa comune, sostentamento dei sodali ristretti in carcere, predisposizione di impianti di video sorveglianza per controllare l’attività della polizia), nitidamente espressive di stretti rapporti del ricorrente con soggetti d’indiscussa e più o meno risalente militanza mafiosa e del ruolo di rango apicale in quel contesto da costoro riconosciutogli.
Pertanto, contrariamente all’assunto difensivo, la vicenda relativa al sostentamento economico dei detenuti conferma ulteriormente il ruolo ascritto al ricorrente, escludendo la natura solidaristica o amicale delle dazioni di danaro ai detenuti, da iscrivere, invece, nel codice di condotta dell’associazione mafiosa, secondo il quale grava sull’associazione l’obbligo
di provvedere al sostegno economico degli associati e delle loro famiglie per compensare i meriti acquisiti e, al contempo, garantirsene per il futuro riconoscenza, fedeltà e omertà.
Invero, riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l’iniziatore dell’associazione, ma anche colui che, rispetto ad un gruppo già costituito, provochi ulteriori adesioni, sovraintenda alla complessiva attività di gestione o assuma funzioni decisionali (Sez. 3, n. 45536 del 15/09/2022, COGNOME, Rv. 284199; Sez. 6, n. 45168 del 29/10/2015, COGNOME, Rv. 265524): la Corte di merito, con argomentazioni razionali e coerenti con le acquisizioni probatorie (analiticamente esposte da p. 12 e ss.), ha correttamente ravvisato, in capo al ricorrente, una posizione di preminenza, avendo appurato che lo stesso gestiva in prima persona i contatti con gli esponenti degli altri gruppi mafiosi ed era informato da parte degli altri sodali delle notizie relative alla gestione degli affari illeciti del sodalizio.
Si tratta di condotte che, come correttamente ritenuto dalla Corte di merito, evidenziano non solo l’adesione del ricorrente al sodalizio, ma la sua posizione apicale all’interno del gruppo medesimo.
Vicende, dunque, che, lette insieme, sorreggono in modo adeguato e senza forzature l’assunto del ruolo operativo esercitato dal COGNOME all’interno dell’omonimo clan attivo in quell’area territoriale.
La Corte di Appello ha indicato la presenza di numerosi elementi tipici della condotta di partecipazione ad un’associazione di stampo mafioso, secondo corretti canoni probatori espressi dalla consolidata giurisprudenza di legittimità a cui si è fatto cenno. Anche in questo caso il ricorso si limita a contestare la sentenza senza però evidenziare alcuna manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, che, invece, si palesa come coerente e puntuale nel collegare le numerosissime prove emergenti dalle complesse e articolate indagini.
Al riguardo la difesa deduce che il collaboratore COGNOME il 21 febbraio 2022 ha riferito che NOME COGNOME non era affiliato al clan COGNOME e, conseguentemente, non poteva esserlo il COGNOME.
Quando viene dedotto il travisamento della prova è onere del ricorrente, in virtù del principio di “autosufficienza del ricorso”, suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi, dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell’11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302).
Non è sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, COGNOME, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli
“altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi, quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito, purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c, e 591 cod. proc. pen. ) .
È necessario, pertanto: -a ) identificare l’atto processuale omesso o travisato; -b ) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; -c ) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; -d ) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, COGNOME, Rv. 249035).
La difesa ha riportato nel corpo del ricorso un limitato stralcio della testimonianza ritenuta decisiva, senza adempiere all’onere di allegazione richiesto dal principio di autosufficienza del ricorso che si presenta, pertanto, generico ed incompleto.
Sotto altro aspetto, sono stati valorizzati molti, inequivoci, indicatori che la giurisprudenza di legittimità considera espressivi del reato di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990: segnatamente, un’organizzazione di uomini e mezzi, emersa dalle indagini (soprattutto dalle intercettazioni e dalle attività di riscontro della Polizia Giudiziaria) dedita all’approvvigionamento di droga mediante stabili canali privilegiati anche esteri ed alla successiva distribuzione capillare nelle piazze di spaccio (numerose sono le conversazioni attestanti la riscossione di ingenti somme di denaro, provento dell’attività di spaccio) ; il ricorso a comunicazioni criptiche tra i soggetti inseriti nei diversi livelli della piramide organizzativa; l’esistenza di una “cabina di regia” direttiva unitaria, facente capo al COGNOME ed al COGNOME, che del primo era l’ alter ego , che godeva di autonomia organizzativa e decisionale rispetto al reperimento degli stupefacenti e all’organizzazione dei relativi trasporti, della custodia e della consegna alla rete di spacciatori (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
Risultano, altresì, generici i rilievi difensivi con i quali si è contestato il riconoscimento della circostanza aggravante dell’essere, l’associazione, armata.
La giurisprudenza di legittimità richiede ai fini dell’addebito dell’aggravante prevista dall’art. 74, comma 4, del d.p.r. n. 309 del 1990, quantomeno un coefficiente di prevedibilità concreta da parte del singolo imputato della disponibilità delle armi da parte dell’associazione (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281212, in tema di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, l’aggravante dell’associazione armata prevista dall’art. 74, quarto comma, D.P.R. n. 309 del 1990 può essere imputata al singolo partecipante solo se sussiste un coefficiente di colpevolezza in relazione a tale aspetto, consistente quantomeno nella
prevedibilità concreta della disponibilità delle armi da parte dell’associazione, fattispecie in cui l’aggravante è stata ritenuta sussistente sulla base delle intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva la consapevolezza dei partecipi che l’arma detenuta da uno di essi era nella disponibilità dell’associazione; Sez. 6, n. 49458 del 21/10/2015, COGNOME e altri, Rv. 266041, in tema di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, l’aggravante prevista dal comma 4 dell’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990 -associazione armata- può essere riconosciuta in capo ai partecipi del sodalizio solo se può postularsi una loro colpevolezza anche in relazione a tale aspetto, che richiede, in base a quanto previsto dal comma secondo dell’art. 59 cod. pen., quantomeno un coefficiente di prevedibilità concreta da parte loro della disponibilità delle armi da parte dell’associazione; Sez. 2, n. 44667 del 08/07/2013, Aversano e altri, Rv. 257611, in tema di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, l’aggravante prevista dal comma quarto dell’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990 può essere riconosciuta in capo ai partecipi del sodalizio solo se può postularsi una loro colpevolezza anche in relazione a tale aspetto che richiede, in base a quanto previsto dal comma secondo dell’art. 59 cod. pen., quantomeno un coefficiente di prevedibilità concreta da parte loro della disponibilità delle armi da parte dell’associazione, nella specie, la Corte ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di merito che aveva applicato l’aggravante in parola nei confronti di un partecipe sulla scorta di un’attività continuativa di spaccio da lui svolta alle dirette dipendenze di un soggetto, con lui imparentato, che conservava le armi in uso all’organizzazione).
La sentenza impugnata ha ampiamente dimostrato la disponibilità di armi da parte del COGNOME, richiamando l’episodio del rinvenimento di numerose armi presso l’abitazione del padre del ricorrente ovvero l’invio al COGNOME di un video ritraente un mitra od ancora l’intercettazione nel corso della quale COGNOME NOME riferiva al COGNOME che il COGNOME si era recato nel luogo di custodia delle armi in orario serale (v. anche pp. 178 e 179 della sentenza di primo grado ove si dà compiutamente conto dei numerosi sequestri di armi e munizioni).
Pertanto, la Corte di appello ha dato atto della disponibilità di armi, che non erano ad uso personale ed esclusivo dei singoli partecipi.
Va rilevato che – in concreto – la disponibilità di armi è fatto emerso nel corso dell’istruttoria, anche in riferimento alle modalità di consumazione di taluno dei reati-scopo (capi 7 e 8; la disponibilità di armi è indicata a p. 12 e 13 della sentenza di appello). La doglianza è pertanto formulata in modo astratto e scollegato dai risultati della istruttoria.
7.2. Il secondo motivo aggiunto, inerente al ruolo direttivo e di organizzatore attribuito al ricorrente, è destituito di fondamento.
Va al riguardo evidenziato, che, in tema di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, il ruolo di organizzatore, spettante a colui che coordina il contributo degli associati, assume, a differenza di quello di promotore e di capo, una connotazione esecutiva e non richiede che chi lo rivesta si trovi sullo stesso piano dei capi e dei promotori, essendo compatibile, ove l’organizzazione del sodalizio abbia una struttura verticale, con un’attività svolta in posizione di subalternità rispetto al vertice (Sez. 4, n. 28167 del
16/06/2021, COGNOME, Rv. 281736-02). Così pure, tale qualifica è stata riconosciuta a chi, pur non coordinando l’attività di altri associati, abbia il potere di determinare, in autonomia rispetto al “capo” del gruppo dedito al narcotraffico, sia le cessioni di droga alle quali quest’ultimo partecipi, sia la gestione di pagamenti e di controversie relative a forniture rilevanti per l’operatività del sodalizio associativo (Sez. 3, n. 18370 del 19/01/2024, COGNOME, Rv. 286272-02).
La sentenza impugnata ha desunto la titolarità di un ruolo così connotato, con motivazione congrua e logicamente lineare, dalle modalità con cui COGNOME gestiva i contatti tra i sodali, impartendo le relative direttive.
Inoltre, il ricorrente -a riprova del ruolo di primo piano rivestito all’interno della associazione dedita al narcotraffico -gestiva la cassa comune dei proventi dell’attività di spaccio, investendo il denaro per nuovi approvvigionamenti ovvero ripartendo i guadagni tra gli associati (v. pp. 11 e 12 della sentenza).
Dunque, alla stregua di quanto precede, egli ha rivestito nel sodalizio un ruolo anche gerarchicamente sovraordinato e di ampio rilievo organizzativo.
7.3. Il quinto motivo di ricorso a firma degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed anche il quarto motivo del ricorso a firma dell’Avv. NOME COGNOME con cui si contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sono manifestamente infondati.
È sufficiente in proposito rilevare che, in materia di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è parimenti insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, potendo egli limitarsi a considerare, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163).
Al riguardo la sentenza impugnata ineccepibilmente argomenta, mediante puntuale richiamo a specifici indici ostativi tanto di natura oggettiva (la partecipazione a due distinte associazioni, una mafiosa l’altra dedita al narcotraffico ) quanto soggettiva (precedenti condanne).
Inoltre, la pena è stata determinata sulla base dei parametri edittali minimi e i giudici di merito, nell’ambito della loro discrezionalità, hanno altresì evidenziato che gli aumenti di pena
per la continuazione erano congrui, precisando che un’eventuale diminuzione della pena nel senso invocato dalla difesa priverebbe di effettiva efficacia dissuasiva e finirebbe così per svilirne almeno una delle funzioni essenziali.
7.4. Inammissibili appaiono i rilievi articolati dal ricorrente nel sesto motivo di ricorso a firma degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed anche nel quinto motivo del ricorso a firma dell’Avv. NOME COGNOME .
Deve rilevarsi che, contrariamente a quanto lamentato nel ricorso, nel disporre la confisca della somma di euro 124.000,00 e del l’orologio Rolex , si dà conto della loro provenienza illecita e, in particolare, del fatto che costituivano provento dell’attività di narcotraffico, tenuto conto che il COGNOME custodiva le armi ed i proventi dell’attività di spaccio presso l’abitazione del padre, al fine di evitare possibili controlli da parte delle forze dell’ordine presso la propria abitazione.
A ciò si aggiunga che all’interno dell’armadio ove è stata rinvenuta la somma di denaro, è stata rinvenuta anche una macchinetta conta soldi, certamente strumentale a portare la contabilità degli ingenti guadagni derivanti dall’attività di spaccio, per come emerso dalla copiosa attività intercettiva.
La Corte di appello ha affermato, dopo avere analizzato tutte le deduzioni difensive, che era implausibile che la detenzione in casa di una così rilevante somma di denaro in contanti, potesse essere riferita all’attività del padre del ricorrente, tenuto conto della circostanza che logicamente non è spiegabile la ragione per la quale una tale somma di denaro dovesse essere custodita in una privata abitazione e non depositata in banca.
8. Infondato è il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME in quanto, come si è già rilevato, è precluso in questa sede di legittimità il percorso argomentativo seguito dall’imputato, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal Giudice di merito ai fini della decisione ( ex plurimis , Sez. 6, n. 10289 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259336; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S. Rv. 277758).
Il ricorrente, sotto altro profilo, trascura di considerare che nel caso in esame ricorre un caso di “doppia conforme” posto che la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado, sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze, come già detto, possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
Ne consegue che resta preclusa la possibilità di dedurre il vizio di motivazione per inidonea valutazione delle risultanze processuali, vale a dire per travisamento della prova,
se non nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo Giudice ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr., ex plurimis , Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L. ed altro, Rv. 272018), evenienze tutte non riscontrabili nel caso in esame.
8.1. Infondati sono i primi tre motivi di ricorso.
Nel caso in esame, la Corte di appello ha opportunamente ritenuto sussistente la penale responsabilità in ordine al reato associativo, evidenziando che le complessive risultanze probatorie comprovavano plurimi elementi fattuali dimostrativi dell’esistenza di una associazione finalizzata al narcotraffico, diretta e controllata dal Lombardo e dal Cavallaro, per come prima riferito, con il fondamentale contributo del COGNOME – odierno ricorrente – avente un ruolo centrale sia nella perpetrazione dei reati fine sia nell’esecuzione di mansioni più prettamente gestorie, su delega del COGNOME.
Con motivazione scevra da manifesta illogicità, il giudice di merito ha dunque adeguatamente esplicitato le ragioni per le quali si debba ritenere provata la partecipazione del ricorrente all’associazione finalizzata all’attività di illecita commercializzazione di sostanza stupefacente.
Dirimente, sul punto, è apparsa, in particolare, la copiosa attività di captazione ambientale e telefonica effettuata (pagg. 16-18 della sentenza impugnata), dimostrativa non solo del ruolo ricoperto dall’odierno ricorrente all’interno della compagine associativa, ma anche dell’imponente quantità di sostanza immessa sul mercato.
Come opportunamente rilevato dalla sentenza di appello, dalle conversazioni intercettate sono emerse le istruzioni impartite dal COGNOME al COGNOME in ordine alle fasi del traffico illecito ed all’utilizzo di strumenti telefonici ed autovetture necessari per la commissione dei reati, al fine di sfuggire alle eventuali attività investigative dell’autorità operante.
Invero, la Corte di a ppello ha valorizzato l’attività captativa che aveva evidenziato come il COGNOME era pienamente coinvolto nell’attività associativa dedita al narcotraffico, ricevendo gli ingenti guadagni derivanti dalla cessione della sostanza stupefacente, commentando la qualità della droga compravenduta (v. p. 184 della sentenza di primo grado, ove sono riportate le numerose intercettazioni che attestano come il COGNOME aveva il compito di consegnare la droga, recuperare i proventi dell’attività di spaccio per conto e nell’interesse del gruppo asso ciativo).
Le doglianze finiscono, pertanto, con il ricadere nel vizio di genericità, non avendo realmente preso in esame l’intero compendio istruttorio posto a carico del ricorrente.
Analoghe considerazioni valgono per il delitto di cui all’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990, giacché è emerso il pieno coinvolgimento del ricorrente nell’attività di spaccio.
La sentenza impugnata dà atto (p. 12): -a ) della potenzialità di approvvigionamento del gruppo, anche da territori esteri; -b ) delle importanti somme di denaro (v. p. 183 della sentenza di primo grado, ove sono richiamati gli esiti dell’attività intercettiva che danno conto di come il Cavallaro espressamente faceva riferimento agli ingenti guadagni del gruppo) e di sostanza stupefacente periodicamente movimentate (v. arresto del 20 novembre 2020 di Messina NOME COGNOME NOME, trovati in possesso di kg. 2,130 di sostanza stupefacente del tipo marijuana, loro ceduta dal COGNOME; sequestro il 28 gennaio 2021 operato nei confronti del COGNOME di kg 22 di sostanza stupefacente del tipo marijuana).
Dunque, la mancata derubricazione nella fattispecie di lieve entità risulta adeguatamente giustificata in modo logico e coerente con le risultanze delle indagini; peraltro, il motivo, nella sua genericità, non evidenzia ragioni di fatto o di diritto tali da incrinare la tenuta logica del provvedimento.
Quanto alla contestazione dell’aggravante dell’essere l’associazione armata , si rinvia a quanto dedotto nel § 7.1, tenuto conto che l’attività intercettiva ha dimostrato in modo inequivocabile la consapevolezza da parte del Santoro delle disponibilità di armi da parte dell’associazione dedita al narcotraffico.
Relativamente ai capi di imputazione 7 e 8, si osserva come l’attività intercettiva ha evidenziato che il COGNOME aveva inviato al COGNOME un video ritraente un mitra, così come nel corso di una intercettazione COGNOME NOME riferiva al COGNOME che il COGNOME si era recato nel luogo di custodia delle armi in orario serale (p. 18 della sentenza), sicché risulta provata la sua responsabilità.
8.2. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso, concernente la misura del trattamento sanzionatorio e il mancato riconoscimento al Santoro delle circostanze attenuanti generiche.
La determinazione della misura della pena rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen..
Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. ( ex multis , Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
Si rammenta, in premessa, che la graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.
Per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità
a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243).
La pena è stata determinata sulla base dei parametri edittali minimi e i giudici di merito, nell’ambito della loro discrezionalità, hanno altresì evidenziato che gli aumenti di pena per la continuazione erano congrui (procedendo alla loro rideterminazione tenuto conto dell’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen.).
La Corte di appello ha dunque adeguatamente risposto al motivo specifico e nel giudizio di cassazione è inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12707/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825).
Al contempo il giudice distrettuale ha escluso che ricorrevano i presupposti per il riconoscimento del beneficio delle circostanze attenuanti generiche, valorizzando i criteri offerti dall’art. 133, commi primo e secondo, cod. pen. e, in particolare, le precedenti condanne del COGNOME e l’oggettiva gravità del fatto in considerazione della concreta offensività di condotte alle quali, specie con riguardo al volume del traffico di stupefacenti, non sono estranee caratterizzazioni allarmanti .
La motivazione risulta coerente con la giurisprudenza di legittimità sul punto, la quale insegna che non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Banic e altro, Rv. 256172), in quanto il beneficio in questione, a seguito dell’intervenuta modifica normativa dell’art. 62 bis cod. pen, non costituisce più una sorta di automatico riconoscimento all’imputato eventualmente incensurato, ma una attribuzione dalla valenza premiale (Sez. 1, n. 46658 del 18/05/2017, Lamina, Rv. 271315) che necessita di specifica motivazione sugli elementi posti a fondamento del beneficio.
La motivazione del giudice di appello a sostegno della esclusione del beneficio risulta congrua e priva di difetti logici ed è immune da vizi di legittimità.
I ricorsi proposti da COGNOME NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME sono inammissibili.
In tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le
doglianze relative ai motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. – salvo il caso in cui sia dedotta l’estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia della sentenza di appello (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Fazio, Rv. 284481) – nonché ai vizi attinenti alla determinazione della pena, che non si siano trasfusi nell’illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102).
Ciò rammentato, si deve rilevare che i motivi di ricorso, con i quali si lamenta il mancato proscioglimento del La Rocca ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., ovvero la mancata determinazione della pena in ossequio ai criteri previsti dell’art. 133 cod. pen. ( Gangemi NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME), non rientrano tra i menzionati casi per i quali è ammesso il ricorso per cassazione avverso la sentenza resa all’esito di concordato in appello.
10. I ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME devono essere rigettati con condanna dei proponenti al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen.
I ricorsi di COGNOME NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME vanno invece dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Giuseppe, COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 01/07/2025