Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31540 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31540 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FRATTAMINORE il 11/01/1962
avverso l’ordinanza del 28/02/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Napoli, adito ex art. 309, c.p.p., confermava l’ordinanza con ,cui il giudice per le indagini i gì 4el z, preliminari presso il tribunale di GLYPH in data 13.1.2025, aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di COGNOME NOME NOME, gravemente indiziato del delitto ex art. 416 bis, co. 1, 2, 3, 4, 5, cod. pen., ascrittogli al capo a) dell’imputazione provvisoria.
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il COGNOME, articolando tre motivi di ricorso.
Con i primi due il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in quanto il tribunale del riesame non ha esposto le ragioni per cui non potessero trovare accoglimento le ragioni difensive, con cui si deduceva la carenza di gravità indiziaria o, quantomeno, la riqualificazione della condotta ascritta all’indagato nel capo a) dell’imputazione provvisoria in termini di concorso esterno nel reato associativo, piuttosto che di partecipazione, limitandosi a operare un generico richiamo all’ordinanza impugnata.
Osserva il ricorrente come militino a favore dell’estraneità del COGNOME alla compagine camorristica di cui si discute una serie di elementi non considerati dal tribunale del riesame e, in particolare, la mancanza di precedenti penali e di carichi pendenti, sino a quando egli non venne arrestato e giudicato separatamente per un tentativo di estorsione di cui si dirà in seguito; l’assenza di riferimenti nei suoi confronti da parte dei numerosi collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni sono state utilizzate nell’ordinanza cautelare; la mancanza di intercettazioni riferibili all’indagato, se si esclude quella relativa al tentativo di estorsione di cui al capo b) dell’imputazione provvisoria; la mancata mobilitazione del sodalizio per sostenere le spese derivanti dall’avvenuto arresto del ricorrente; la circostanza, invero rara per una persona accusata di far parte di un sodalizio camorristico, di detenere nella propria abitazione un’arma con matricola non abrasa, in forza di un
regolare porto d’armi; l’impossibilità di affermare con certezza che nella conversazione intercettata in ambientale, n. 71, del 5.11.2022, che verrà esaminata in seguito, il COGNOME facesse proprio riferimento al COGNOME e non al COGNOME NOME, senza tacere che la circostanza che l’COGNOME non fosse a conoscenza dei soggetti incaricati dell’estorsione fa comprendere come il COGNOME non operasse all’interno della compagine capeggiata dallo stesso COGNOME.
Con il terzo motivo di ricorso l’indagato lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e di ritenuta impossibilità di farvi fronte con una misura meno afflittiva della custodia cautelare in carcere
Con requisitoria scritta del 26.5.2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa NOME COGNOME chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso va rigettato, essendo sorretto da motivi in parte infondati, in parte inammissibili.
In via preliminare occorre ribadire il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. II, 2.2.2017, n. 9212, rv. 269438; Sez. IV, 3.2.2011, n. 14726; Sez. III, 21.10.2010, n. 40873, rv. 248698; Sez. IV, 17.8.1996, n. 2050, rv. 206104; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, rv. 215331; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, rv. 265244).
Pertanto quando, come nel caso, in esame, vengono denunciati vizi del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza, oltre che all’esigenza di completezza espositiva (cfr. Sez. V, 20.10.2011, n. 44139, 0.M.M.).
5.1. Orbene, non appare revocabile in dubbio che il tribunale del riesame di Napoli abbia fatto buon uso di tali principi.
Ancor prima, tuttavia, occorre affermare l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, in quanto manifestamente infondato, posto che, come correttamente rilevato dal pubblico ministero nella richiamata requisitoria scritta, il tribunale del riesame, nel contrastare i rilievi difensivi anche con riferimento alla richiesta di diversa qualificazione giuridica della condotta del COGNOME, ha preso puntualmente in considerazione gli elementi di fatto posti dal giudice per le indagini preliminari a fondamento del provvedimento cautelare, saggiandone autonomamente la consistenza, nel raffronto con le ragioni della difesa, sicché non può certo affermarsi la sussistenza del vizio dedotto dal Di COGNOME.
Ciò posto, si osserva che il giudice dell’impugnazione cautelare ha ritenuto sussistenti a carico del ricorrente i gravi indizi di colpevolezza per il reato oggetto dell’imputazione provvisoria, sulla base di una meditata e congrua valutazione delle risultanze processuali, compiutamente esposta.
Il ruolo del COGNOME di partecipe all’associazione a delinquere di stampo camorristico di cui si discute, costituente articolazione del sodalizio camorristico noto come “clan COGNOME” (la cui esistenza non è contestata dal ricorrente), all’interno del quale l’indagato svolgeva il compito di esecutore delle direttive dei referenti del “clan”, preposto in particolare al compimento di attività estorsive sui territori dei comuni di Frattamaggiore, Frattaminore e zone limitrofe, è stato desunto da una serie di elementi concreti, dotati di oggettivo valore indiziario, sui quali il giudice dell’impugnazione cautelare si è soffermato con motivazione contraddistinta da intrinseca coerenza logica.
Il COGNOME, invero, risulta essere stato tratto in arresto in data 2.11.2022, insieme con COGNOME NOME, per un tentativo di estorsione in danno dei titolari della gioielleria Ambrosino, reato che, nel capo b) dell’imputazione provvisoria, viene contestato anche ad COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Si tratta di una vicenda, che non ha formato oggetto di critiche specifiche da parte del ricorrente, intorno alla quale ruotano alcune delle conversazioni ambientali intercettate nell’autovettura in uso ad Amendola Luigi, il cui contenuto ha consentito di ritenere l’indagato partecipe all’associazione a delinquere di stampo camorristico di cui si discute.
Al riguardo vanno ribaditi i principi affermati da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato (o l’indagato), costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall’art. 192 comma primo, c.p.p., senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno (cfr. Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260842)
Orbene, come sottolineato dal tribunale del riesame, le suddette conversazioni, non solo hanno messo in luce (circostanza non specificamente contestata dal ricorrente) che fu proprio il COGNOME, prima della richiesta estorsiva formulata il 28.10.2022, a presentare la
vittima a NOME NOME, indicandolo con la significativa espressione “l’amico che sta sulla zona”, evocativa di un controllo camorristico del territorio di cui il COGNOME era uno dei terminali, ma anche che all’indagato era stato affidato il compito, in tutta evidenza di particolare importanza per l’esistenza del sodalizio in questione, di mettere “in contatto le vittime da estorcere con gli affiliati, al fine di assoggettarle ad estorsione e il clan”.
Ciò, come evidenziato dal tribunale del riesame con logico argomentare, in quanto, come si evince dal contenuto della conversazione intercettata in ambientale il 5.11.2022, la n. 71, intercorsa tra due esponenti dell’associazione a delinquere di stampo camorristico di cui si discute, in tale occasione i menzionati COGNOME e COGNOME commentavano l’avvenuto arresto del COGNOME e del COGNOME, rivelandone l’appartenenza al sodalizio camorristico.
E invero, da un lato, essi si preoccupavano di far pervenire al COGNOME e al COGNOME in carcere un regalo di pregio (“un paio di scarpe buone”), in tutta evidenza per ristorarli dell’avvenuto arresto, dimostrando che l’associazione aveva a cura gli interessi dei propri affiliati; dall’altro evidenziavano, con plastica espressione utilizzata dal Russo (“mica sono andati di testa loro”), come i due non avessero agito di propria iniziativa, ma avessero formulato la richiesta estorsiva su incarico dell’associazione camorristica, sottolineando il Russo l’infondatezza delle critiche rivolte dall’COGNOME, posto ai vertici dell’organizzazione camorristica, alle capacità dei soggetti incaricati delle estorsioni per conto del clan, proprio alla luce del particolare ruolo che stava svolgendo il COGNOME, vai a dire di procacciatore delle vittime delle attività estorsive (cfr. pp. 9-10 dell’impugnata ordinanza),
La conclusione del tribunale del riesame sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione del COGNOME al sodalizio camorristico di cui si discute appare del tutto conforme ai principi da tempo elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, alla luce dei quali si è evidenziato come, ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, l’investitura formale o
la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso che emergono emergere anche da significativi “facta concludentia”.
Non è, pertanto, necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale, precisandosi che, qualora manchi la dimostrazione dell’inserimento formale del singolo all’interno della cosca, la prova della partecipazione può essere ricavata anche dal compimento di una o più attività significative nell’interesse dell’associazione criminale (cfr. Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, Rv. 273571, Sez. 2, n. 18559 del 13/03/2019, Rv. 276122).
Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, invero, si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell’organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiché, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l’offesa all’ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. «messa a disposizione», che è di per sé idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialità operative e la capacità di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale (cfr. Sez. 5, n. 27672 del 03/06/2019, Rv. 276897).
Se ciò è vero, è, tuttavia, altrettanto vero che il reato di cui all’art. 416 bis, c.p., pur nella sua peculiarità, resta pur sempre un reato associativo, trovando, pertanto applicazione anche in relazione a tale fattispecie, il tradizionale insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di associazione per delinquere, è
consentito al giudice, pur nell’autonomia del delitto-mezzo rispetto ai delitti-fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che, attraverso di essi, si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, Rv. 285126).
E in questo senso significativo appare il richiamo effettuato dal tribunale del riesame all’arresto operato nei confronti del COGNOME in data 2.11.2022 per il tentativo di estorsione in concorso con altri commesso in danno dei titolari della gioielleria Ambrosino.
A fronte di tale limpido percorso argomentativo i rilievi del ricorrente volti a contestare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non solo non colgono nel segno, ma appaiono in larga parte inammissibili, consistendo, in ultima analisi, in una mera rivalutazione del compendio indiziario, non consentita in sede posto che, in caso contrario, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Infondato è il rilievo sulla mancata qualificazione della condotta dell’indagato in termini di concorso esterno, come ritenuto dal giudice dell’impugnazione cautelare con motivazione (cfr. p. 10) conforme all’orientamento dominante nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la distinzione tra la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno non ha natura meramente quantitativa, ma è collegata alla organicità del rapporto tra il singolo e la consorteria, per cui deve essere qualificato come contributo di partecipazione quello del soggetto cui sia stato attribuito un ruolo nel sodalizio, come per le ragioni già esposte è accaduto al COGNOME, incaricato di individuare le vittime delle estorsioni perpetrate nell’interesse del clan, anche se lo stesso non abbia mai avuto occasione
di attivarsi, mentre, al contrario, va qualificato come contributo concorsuale “esterno” quello dell'”extraneus”, sulla cui disponibilità il sodalizio non può contare, che sia stato più volte contattato per tenere determinate condotte agevolative, concordate sulla base di autonome determinazioni, (cfr. Sez. 2, n. 35185 del 21/09/2020, Rv. 280458, Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Rv. 264625).
5.2. Infondati sono i rilievi sulla sussistenza delle esigenze cautelari.
Il tribunale del riesame, invero, sul tema ha reso un’ampia e congrua motivazione relativa proprio alla specifica posizione del COGNOME, rilevando, da un lato, la mancanza di prove in ordine a un’eventuale rescissione da parte sua del legame associativo, dall’altro la sussistenza di specifici elementi sui quali fondare il concreto e attuale pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie (la condanna per il reato di tentata estorsione aggravata ex art. 416 bis.1, cod. pen., e il pieno coinvolgimento dell’indagato nelle attività criminali del “clan COGNOME“, che denotano una notevole pericolosità di quest’ultimo), ove anche non sussistesse la presunzione di cui all’art. 275, co. 3, c.p.p., rendendo la misura cautelare attualmente in esecuzione, l’unica in grado di soddisfare l’anzidetta esigenza di tutela della collettività (cfr. p.14 dell’impugnata ordinanza).
Al riguardo giova evidenziare come sul punto siano maturati due distinti orientamenti nella giurisprudenza di legittimità, che, partendo dalla natura relativa della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, di cui alla previsione dell’art. 275, co. 3, c.p.p., indicano un percorso diverso in grado di superarla.
Secondo alcune decisioni, infatti, in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato previsto dall’art. 416-bis, c.p., ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p., occorre distinguere tra associazioni mafiose storiche o comunque caratterizzate da particolare stabilità, in relazione alle quali è necessaria la dimostrazione del recesso dell’indagato dalla consorteria, non rilevando, ai fini dell’attualità delle esigenze cautelari, la distanza temporale tra l’applicazione della misura
ed i fatti contestati, ed associazioni mafiose non riconducibili alla categorie delle mafie “storiche”, per le quali può rilevare a tali fini anche il decorso del tempo (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 6389 del 15/07/2019, Rv. 276905; Cass., Sez. 2, n. 7260 del 27/11/2019, Rv. 278569).
Secondo altro orientamento, invece, in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p., è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi o di delitto aggravato dall’art. 7 della legge n. 203 del 1991 (ora art. 416-bis 1, c.p.), non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (cfr. Cass., Sez. 3, n. 6284 del 16/01/2019, Rv. 274861).
Pertanto, ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma terzo, c.p.p., non assume rilevanza la distinzione tra mafie “storiche” e formazioni di nuova costituzione, in quanto in entrambi i casi la presunzione è superata a fronte della prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio criminale, a prescindere dalla perdurante stabilità dell’associazione (cfr. Cass., Sez. 6, n. 15753 del 28/03/2018, Rv. 272887). Se, dunque, la dissociazione o l’irreversibile allontanamento dell’indagato dall’associazione criminale, consentono di vincere la citata presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, indipendentemente dal carattere “storico” o meno dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, è in ordine al rilievo del tempo trascorso tra i fatti contestati e l’applicazione della misura sulla esistenza e sulla attualità delle esigenze cautelari, che si apprezza la distinzione tra i menzionati orientamenti giurisprudenziali.
Nel caso in esame, tuttavia, non ricorre nessuna delle condizioni che consentirebbero astrattamente di vincere la presunzione di cui all’art.
275, co. 3, c.p.p., non risultando l’allontanamento del COGNOME dall’ambiente criminale camorristico di appartenenza e avendo il tribunale del riesame specificamente motivato sulla concretezza e attualità dell’esigenza cautelare di pericolosità sociale, nonché sull’adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere, l’unica in grado di soddisfare l’esigenza di tutela della collettività, proprio in ragione della particolare gravità dei fatti per cui si procede, fondanti un evidente allarme sociale e una manifesta trasgressività dell’indagato.
A fronte di tale limpido argomentare il ricorrente svolge rilievi che si pongono ai confini dell’inammissibilità, rilevando come sia possibile desumere l’estraneità del ricorrente alla compagine associativa di cui si discute e l’assenza di un allarmante personalità dello stesso, alla luce di una serie di provvedimenti adottati in suo favore dall’autorità giudiziaria, nell’ambito del procedimento relativo al tentativo di estorsione di cui al capo b) (sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari presso l’abitazione in Formia; sostituzione del domicilio coatto presso la sua abitazione, sita in Orta di Atella; concessione della liberazione anticipata ai sensi dell’art. 54, ordinamento penitenziario, da quando è iniziata la sua detenzione per i fatti di cui al capo b).
Si tratta, tuttavia, di rilievi che non si confrontano con il novum rappresentato dal reato associativo, che ha fondato un rinnovato giudizio, in termini fortemente negativi, della pericolosità sociale dell’indagato, senza tacere che i richiamati provvedimenti, per come indicati dal ricorrente, non consentono certo di affermare l’allontanamento del COGNOME dall’ambiente camorristico di riferimento.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1 ter, disp. att., c.p.p.
Così deciso in Roma il 12.6.2025.