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Associazione di tipo mafioso: la prova della condotta

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per due fratelli accusati di associazione di tipo mafioso, concorso esterno e altri reati. La sentenza analizza in dettaglio i requisiti per dimostrare la partecipazione a un’organizzazione criminale, la distinzione con il concorso esterno e la sussistenza dell’aggravante mafiosa, basando la decisione su un solido quadro indiziario derivante principalmente da intercettazioni.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: la Cassazione sui criteri di prova della partecipazione

Con la recente sentenza n. 20737/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su temi cruciali in materia di criminalità organizzata, offrendo importanti chiarimenti sui criteri per accertare l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso e la partecipazione ad essa. La decisione nasce dal ricorso di due fratelli contro un’ordinanza che confermava la loro custodia in carcere per gravi reati, tra cui la partecipazione a un clan camorristico e il concorso esterno in un altro.

I fatti di causa e le accuse contestate

Il caso riguarda due fratelli, destinatari di una misura di custodia cautelare in carcere nell’ambito di un’indagine su due distinti clan criminali. Le accuse a loro carico erano particolarmente gravi e complesse:

1. Partecipazione all’associazione camorristica denominata clan “Vinella Grassi”.
2. Concorso esterno nell’associazione camorristica denominata clan “Di Lauro”.
3. Partecipazione a un’ulteriore associazione finalizzata a commettere delitti di turbativa d’asta ed estorsione.
4. Una serie di specifici episodi di turbativa d’asta per l’aggiudicazione di immobili a Napoli.
5. Un’estorsione ai danni di un imprenditore locale.

Tutti i reati erano aggravati dall’aver agito con modalità camorristiche e con lo scopo di agevolare le attività dei clan.
Il Tribunale del Riesame aveva confermato l’impianto accusatorio e la misura cautelare, spingendo la difesa a presentare ricorso in Cassazione, articolato in sette distinti motivi.

I motivi del ricorso e l’analisi dell’associazione di tipo mafioso

La difesa ha contestato la decisione del Tribunale sotto molteplici profili, tra cui la mancanza di un’autonoma motivazione, l’inesistenza di un valido compendio probatorio e l’errata qualificazione giuridica dei fatti. In particolare, i ricorrenti sostenevano che le prove, principalmente basate su intercettazioni, fossero state travisate e non dimostrassero un loro stabile inserimento nei clan. Secondo la difesa, le loro condotte andavano al massimo qualificate come concorso esterno e non come partecipazione diretta. Contestavano inoltre la stessa esistenza di un’associazione stabile finalizzata alla turbativa d’asta, riducendo gli episodi a meri concorsi in singoli reati.

La prova della partecipazione all’associazione criminale

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente i ricorsi, ritenendoli infondati. Il punto centrale della motivazione riguarda la prova della partecipazione all’associazione di tipo mafioso. La Corte ha ribadito che per integrare tale reato è necessario lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa, manifestato attraverso una “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei fini comuni.

Non è indispensabile che il singolo membro compia specifici atti esecutivi, essendo sufficiente che assuma un ruolo riconosciuto all’interno del gruppo. La prova di tale inserimento, spiegano i giudici, può essere desunta anche da una o più attività significative svolte nell’interesse del clan. In questo caso, le intercettazioni e le altre emergenze investigative hanno rivelato:

* La gestione, da parte dei fratelli, dell’aspetto economico e imprenditoriale del clan “Vinella Grassi”.
* Il loro ruolo di rappresentanza nel settore delle estorsioni.
* Strette collaborazioni con il clan “Di Lauro” per la gestione di aziende e aste giudiziarie.

La distinzione con il concorso esterno

La Corte ha chiarito che gli elementi raccolti erano sufficienti a dimostrare un’affectio societatis, ovvero la consapevole volontà di far parte stabilmente del gruppo criminale, che va oltre il mero contributo episodico tipico del concorso esterno. Le attività svolte dai ricorrenti (estorsive e di controllo delle aste) sono state ritenute tipiche di soggetti intranei alla struttura, che ne condividono i momenti fondamentali della vita associativa ed economica.

L’associazione per la turbativa d’asta

Anche la censura relativa all’associazione finalizzata alla turbativa d’asta è stata respinta. La Cassazione ha evidenziato come le indagini avessero fatto emergere una struttura organizzata e stabile, con una precisa divisione dei ruoli: un soggetto individuava gli immobili di interesse, mentre i fratelli si occupavano della “fase operativa”, minacciando i potenziali concorrenti per eliminare ogni competizione e controllare il prezzo di aggiudicazione. La pluralità di episodi e la sistematica rendicontazione delle attività al clan sono stati considerati elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza di un vincolo associativo stabile e non di un semplice accordo per singoli reati.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato il rigetto dei ricorsi su principi consolidati. In primo luogo, ha ribadito che il giudizio di legittimità non consente un riesame del merito o una diversa valutazione delle prove, come le intercettazioni, la cui interpretazione è demandata al giudice di merito, purché logica e coerente. I ricorsi, secondo la Corte, si limitavano a proporre una lettura alternativa dei fatti senza evidenziare vizi di legittimità.

Inoltre, la Corte ha sottolineato come la condotta di partecipazione si concretizzi nella “messa a disposizione” per il perseguimento dei fini del sodalizio, e la prova di ciò può emergere da comportamenti significativi che dimostrino un’attiva e stabile adesione. Le attività estorsive e di controllo delle aste giudiziarie sono state considerate espressione di un evidente affectio societatis, ossia la volontà di far parte del sodalizio criminale.

Infine, per quanto riguarda le esigenze cautelari, la Corte ha confermato la correttezza della decisione del Tribunale. Sebbene per i reati aggravati dal metodo mafioso (ma diversi dall’art. 416-bis) la presunzione di adeguatezza del carcere sia solo relativa, la difesa non aveva fornito elementi concreti (limitandosi a invocare il mero decorso del tempo) per superare la presunzione di pericolosità sociale degli indagati. Per il reato di associazione di tipo mafioso, invece, vige una presunzione (quasi) assoluta che giustifica la massima misura cautelare.

Le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano l’accertamento dei reati di criminalità organizzata. Essa chiarisce che la prova della partecipazione a un’associazione di tipo mafioso può essere desunta da un complesso di elementi fattuali, come le intercettazioni e l’analisi dei reati-fine, che, valutati unitariamente, dimostrino lo stabile inserimento di un soggetto nel tessuto criminale. La Corte ha tracciato ancora una volta una linea netta tra il ruolo del giudice di merito, cui spetta la ricostruzione dei fatti, e quello del giudice di legittimità, chiamato a verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione. La decisione ribadisce, infine, il rigore del sistema cautelare previsto per i reati di mafia, confermando la presunzione di pericolosità come cardine per la giustificazione delle misure restrittive.

Qual è la prova necessaria per dimostrare la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso in fase cautelare?
Non è necessario dimostrare il compimento di specifici atti esecutivi, ma è sufficiente provare lo stabile inserimento dell’indagato nella struttura organizzativa, manifestato tramite una “messa a disposizione” per il perseguimento dei fini del clan. Tale prova può essere desunta da elementi come intercettazioni, frequentazioni e il compimento di attività significative nell’interesse dell’associazione (nel caso di specie, estorsioni e controllo delle aste).

Qual è la differenza tra partecipazione e concorso esterno in un’associazione di tipo mafioso?
La partecipazione implica uno stabile inserimento nella struttura del clan e la condivisione dei suoi fini (affectio societatis). Il concorrente esterno, invece, non è un membro ma fornisce un contributo concreto, specifico e consapevole che si rivela necessario per la conservazione o il rafforzamento dell’associazione, senza però farne parte stabilmente.

La presunzione di custodia in carcere per i reati di mafia è sempre assoluta?
No. La sentenza chiarisce che per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere è assoluta (o quasi). Per gli altri reati, anche se aggravati dal metodo mafioso o dalla finalità di agevolazione (art. 416-bis.1 c.p.), la presunzione è solo relativa e può essere superata se la difesa fornisce elementi specifici che dimostrino che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con misure meno afflittive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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