Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2476 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2476 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a COGNOME DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/6/2023 emessa dal Tribunale di Catanzaro visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale / NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali chiedono l’accoglimento del ricorso, nonché dei motivi nuovi formulati con memoria del 6 dicembre 2023.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava l’ordinanza con la quale il ricorrente era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, in
quanto indiziato del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., essendo stato ritenuto partecipe della ‘ndringa di COGNOME, nonché dei reati di tentata estorsione e illecita concorrenza, aggravanti ex art. 416-bis.1 cod. pen.
Avverso tale ordinanza, il ricorrente ha formulato due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione all’associazione di stampo mafioso operante nel territorio di COGNOME. Si eccepisce in primo luogo la mancanza di autonoma motivazione dell’ordinanza resa dal Tribunale del riesame, contenente una pluralità di richiami e rinvii alla richiesta di misura cautelare, senza che ta elementi siano stati sottoposti ad un attento scrutinio, valutando le obiezioni difensive.
Si contesta, inoltre, la rilevanza delle dichiarazioni rese dal collaborante NOME COGNOME, il quale avrebbe riferito genericamente della partecipazione di NOME alla gestione, unitamente ad NOME COGNOME e NOME COGNOME, di una società di navigazione. Evidenzia il ricorrente come tale fatto, oltre che risalente ad epoca notevolmente antecedente alle condotte oggetto di contestazione, risulterebbe del tutto generico e inidoneo a dimostrare la partecipazione all’associazione da parte di COGNOME, soprattutto ove si consideri che lo stesso Tribunale dava atto dell’interruzione di tale attività economica per effetto di dissidi del COGNOME con i soci.
L’ulteriore GLYPH elemento GLYPH dimostrativo GLYPH del GLYPH coinvolgimento GLYPH di GLYPH COGNOME nell’associazione è stato dedotto dai legami familiari del predetto con la famiglia di NOME COGNOME, ritenuto a capo della “locale di Zungri”, dal che sarebbe conseguita una posizione egemonica di NOME*I rifornimento di frutta e verdura di plurime attività turistiche operanti nella zona.
Sottolinea la difesa come le strutture turistiche che si rivolgevano a COGNOME erano, in realtà, soltanto due e che altri soggetti – sicuramente intranei all’associazione – avevano manifestato l’interesse a subentrare in tale attività, circostanza che mal si giustificherebbe ove il COGNOME fosse stato realmente appartenente alla cosca.
Infine, si eccepisce che il Tribunale del riesame non aveva tenuto in alcun conto il fatto che NOME aveva rifornito stabilmente le due strutture turistiche dal 2011 (come risultante dalle fatture prodotte) e, quindi, prima ancora che fossero emersi elementi di appartenenza al sodalizio.
2.2. Con il secondo e terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria con riferimento ai reati contestati al capo 32), nonché all’aggravante dell’agevolazione
e dell’uso del metodo mafioso.
Evidenzia il ricorrente come la motivazione si fonda sull’accostamento di elementi che si collocano a notevole distanza temporale tra di loro, ritenendo che la condotta illecita – volta ad impedire a NOME COGNOME di individuare liberamente il soggetto cui vendere i propri prodotti agricoli – sarebbe iniziata nel 2016, a seguito di alcune telefonate dal contenuto larvatamente minatorie effettuate da NOME COGNOME, cui seguiva un danneggiamento verificatosi nel 2016.
Solo nel 2019 la persona offesa sporgeva nuovamente denuncia NOME ipotizzando che i danneggiamenti, subiti anche in precedenza oltre che in epoca contestuale alla denuncia, erano riconducibili alle pressioni esercitate da NOME COGNOME.
Invero, il Tribunale avrebbe individuato un nesso tra le richieste formulate da NOME e la condotta di NOME, ipotizzando apoditticamente che si tratterebbe di una condotta unitaria volta a condizionare la persona offesa.
Né la sola frase che avrebbe pronunciato COGNOME nel 2019, allorquando diceva alla persona offesa che se compiva determinate scelte ne doveva accettare le conseguenze, poteva considerarsi espressione di minaccia.
Il Tribunale, peraltro, per poter ricostruire in modo unitario la vicenda aveva fatto ampio riferimento a fonti confidenziali contenute nell’informativa che, tuttavia, dovevano ritenersi inutilizzabili.
In ogni caso, si contesta anche la sussistenza della contestata aggravante, posto che i protagonisti di tale vicenda non aveva mai fatto riferimento alla capacità intimidatrice del sodalizio, né risultava la finalità agevolativa.
I difensori del ricorrente depositavano memoria con motivi nuovi che, in realtà, contengono una più approfondita esposizione in fatto delle ragioni già esposte con il ricorso introduttivo, sia per quanto concerne i@ l’esclusione della partecipazione all’associazione, sia in ordine alla commissione del reato di tentata estorsione di cui al capo 32).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il primo motivo di ricorso è parzialmente fondato, dovendosi in primo luogo sottolineare come non sia condivisibile la censura in ordine alla tecnica redazionale seguita nell’ordinanza impugnata.
Per consolidata giurisprudenza, infatti, il requisito dell’autonoma motivazione non è previsto, a pena di nullità, con riguardo all’ordinanza resa dal Tribunale del riesame, concernendo la sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte, essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente che ha formulato la richiesta e l’organo giudicante, in un fase in cui non è ancora attuato il contraddittorio con la difesa (Sez.1, n. 8518 del 10/9/2020, dep.2021, Galletta, Rv. 280603).
Ne consegue consegue che le doglianze relative al richiamo per relatione«e la asserita mancanza di un autonomo vaglio critico non sono ammissibili. M
2.1. Risulta, invece, fondata la censura relativa al vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato associativo.
Il Tribunale del riesame, infatti, fonda tale assunto essenzialmente su tre elementi costituiti dai pregressi rapporti societari esistenti tra COGNOME ed al appartenenti ad un sodalizio contiguo a quello in esame, cessati i quali l’indagato si sarebbe avvicinato a NOME COGNOME, indicato dal collaborante COGNOME quale esponente di rilievo della locale di Zungri.
Ulteriore elemento è desunto dai rapporti parentali esistenti tra NOME e NOME COGNOME, in quanto la figlia di quest’ultimo risulta coniugata e convivente con i figlio del ricorrente.
Il terzo elemento è costituito dalle intercettazioni dalle quali emergerebbe che COGNOME avrebbe un ruolo di rilievo, se non di vero e proprio monopolio, nell’attività commerciale della fornitura di orto-frutta ad alcune attività turistiche operanti i zona. Peraltro, gli interessi imprenditoriali di COGNOME avrebbero avuto ad oggetto anche la gestione di concessioni balneari.
21, Orbene, deve rilevarsi come il quadro fornito dal Tribunale del riesame sembrerebbe essere piuttosto compatibile con la figura dell’imprenditore colluso con l’associazione · del resto in tal senso depongono anche le conversazioni intercettate (riportate nell’ordinanza) nelle quali si dà atto dei vantaggi che COGNOME avrebbe conseguito. Tuttavia, tale forma di vicinanza non può acriticamente tradursi nella ritenuta appartenenza al sodalizio, posto che per configurare l’adesione all’associazione occorre l’acquisizione di elementi indiziari di una stabile partecipazione e condivisione complessiva delle dinamiche associative.
Viceversa, nel caso di specie, l’ordinanza tace in merito ai rapporti tra COGNOME ed i vari associati, come pure non chiarisce se la gestione di alcune attività imprenditoriali venisse effettivamente svolta per effetto dell’appartenenza all’associazione, ovvero se l’indagato si collocasse in una mera posizione collaterale, sfruttando anche i documentati rapporti di natura familiare con NOME
Accorniti.
Infine, non è dato sapere se l’attività imprenditoriale del NOME fosse o meno svolta avvalendosi di condizioni di mercato, anche mediante l’allontanamento di altri concorrenti, conseguenza diretta della dedotta affiliazione.
Sul punto il ricorrente ha specificamente dedotto che, in realtà, la fornitura di prodotti agricoli alle attività turistiche della zona non era affatto espressione d una sorta di monopolio, tant’è i rapporti contrattuali riguardavano essenzialmente due strutture ricettive e, peraltro, erano notevolmente risalenti nel tempo.
Si tratta di un aspetto non adeguatamente vagliato dal Tribunale del riesame, dovendosi verificare in concreto se effettivamente l’attività imprenditoriale svolta da NOME abbia o meno beneficiato della sua ritenuta appartenenza al sodalizio, ovvero se si sia svolta in modo ordinario, né emerge se e quali condotte concretamente fondate sull’avvalimento del peso contrattuale dell’appartenenza o anche della mera vicinanza all’associazione siano state poste in essere.
Sono tutti elementi che il Tribunale in qualche modo ipotizza, senza fornire adeguata motivazione ed incorrendo in manifesta illogicità nella misura in cui non riesce a fornire spiegazione delle ragioni per cui NOME dovrebbe considerarsi un associato.
2.3. Per consolidata giurisprudenza, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabil organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. In applicazione di tale principio, questa Corte ha ritenuto che non sia necessario catalogare in un ruolo stabile e predefinito la condotta del singolo associato, poichè il sodalizio mafioso è una realtà dinamica, che si adegua continuamente alle modificazioni del corpo sociale ed all’evoluzione dei rapporti interni tra gli aderenti, sicchè le forme di partecipazione possono essere le più diverse e addirittura assumere caratteri coincidenti con normali esplicazioni di vita quotidiana o lavorativa (Sez.5, n. 6882 del 6/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266064; Sez. 5, n. 32020 del 16/3/2018, COGNOME, Rv. 273571).
Tale orientamento ha ricevuto l’avgallo delle Sezioni unite che, recentemente, hanno confermato che la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/5/2021,
Modaffari, Rv. 281889).
2.4. Applicando tali principi al caso di specie, emergono le carenze dell’ordinanza impugnata, nella quale non si chiarisce se ed in che modo COGNOME potesse considerarsi quale soggetto stabilmente inserito nell’associazione e, soprattutto, l’apporto causale fornito agli interessi della stessa. La mera condizione di contiguità con singoli soggetti ritenuti appartenenti al sodalizio, in mancanza di una verifica in ordine alla riferibilità delle attività imprenditoriali NOME al programma criminoso del sodalizio, non consentono – allo stato – di ritenere assolto l’onere motivazionale in merito alla gravità indiziaria.
Passando all’esame dei restanti motivi di ricorso, concernenti i reati contestati al capo 32), occorre in primo luogo evidenziare come il Tribunale, nel ricostruire i rapporti tra la vittima di tentata estorsione e COGNOME, prenda le mosse da un risalente episodio consumatosi nel 2016, allorquando COGNOME veniva contattato da NOME COGNOME, il quale cercava di indurlo a vendere i prodotti L agricoli al medesimo acquirente di COGNOME concomitanza con tale sollecitazione COGNOME subiva furti e danneggiamenti.
Solo a distanza di due anni, tuttavia, COGNOME denunciava un nuovo danneggiamento riferendo di nutrire sospetti su COGNOME, in quanto quest’ultimo, nel corso di una conversazione, gli avrebbe detto che se lui sceglieva di vendere i prodotti agricoli a tale COGNOME, ne doveva accettare le conseguenze.
Il Tribunale collega i due episodi facendo ampio ricorso a quanto riferito da una fonte confidenziale, secondo cui NOME non si sarebbe affatto limitato a suggerire a COGNOME di vendere i prodotti al medesimo acquirente scelto da NOME, ma avrebbe espressamente fatto valere la forza intimidatrice dei “soggetti che comandano” a COGNOME.
Proprio quest’ultimo riferimento consentirebbe, infatti, di ritenere che dietro le sollecitazioni formulate fin dal 2016 da NOME, doveva ritenersi operante NOME.
3.1. Nella ricostruzione dell’accaduto, il Tribunale premette che, in sede cautelare, sarebbero utilizzabili le informazioni confidenziali, indicando a sostegno la recente pronuncia resa da Sez.2, n. 27642 del 25/5/2021, Rispoli, Rv. 281796.
Ritiene la Corte che il principio invocato non sia stato correttamente applicato.
La sentenza della Seconda 9zione, infatti, non afferma affatto che qualsivoglia fonte confidenziale sia utilizzabile in sede cautelare, bensì si limita ad affermare che è utilizzabile l’annotazione di polizia giudiziaria nella quale è riportato il contenuto delle dichiarazioni rese agli operanti in via confidenziale dalla persona offesa che non ha voluto verbalizzarle, costituendo la stessa atto di
indagine.
Nel caso esaminato, pertanto, non si è in presenza di una fonte confidenziale, della quale è ignota l’identità, bensì la dichiarazione è resa dalla persona offesa che, tuttavia, non ha inteso formalizzare le sommarie informazioni.
Si tratta, pertanto, di dichiarazioni provenienti da soggetto noto e individuato, rispetto alle quali la Corte ha ritenuto utilizzabile l’annotazione di polizia giudizia – sostanzialmente contenente una dichiarazione de relato con la quale si è dato atto del fatto che le dichiarazioni sono state rese, ma non verbalizzate.
Ben diverso è il caso in esame, nel quale – per quanto risultante dall’ordinanza – la fonte confidenziale è soggetto diverso dalla persona offesa, tant’è che le dichiarazioni in questione vengono lette congiuntamente a quelle verbalizzate da COGNOME.
Si tratta, pertanto, di una fonte di cui è ignota l’identità e le cui dichiarazio in base all’art. 203, comma 1-bis, cod. proc. pen. non sono utilizzabili anche nelle fasi diverse dal dibattimento.
Si tratta di principio che, sia pur con riferimento a diverso fase procedimentale, ha trova b ampio riconoscimento in giurisprudenza, sussistendo un consolidato orientamento secondo cui le informazioni apprese da fonte confidenziale non sono in alcun modo utilizzabili – neppure unitamente ad altri elementi – al fine di ritenere la sussistenza dei gravi indizi di reato che consentono di disporre le intercettazioni telefoniche (Sez.6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555-03; Sez. 1, n. 11640 del 14/5/2019, dep. 2020, Moceo, Rv. 279322; Sez. 6, n. 39766 del 15/4/2014, COGNOME, Rv. 260456).
A maggior ragione deve ritenersi l’inutilizzabilità della fonte confidenziale impiegata al fine di individuare i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’emission dell’ordinanza cautelare.
Quanto detto, comporta che anche in relazione al capo 32) l’ordinanza deve essere annullata, dovendo il Tribunale provvedere a rivalutare il compendio indiziario, depurandolo dalle informazioni provenienti da fonte confidenziale, al fine di stabilire l’eventuale perdurante possibilità di individuare i gravi indizi colpevolezza.
3.2. L’annullamento dell’ordinanza con riguardo alla sussistenza della gravità indiziaria del reato)(determina l’assorbimento dell’ulteriore motivo relativo alla sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione o dell’uso del metodo mafioso.
Anche tale aspetto, infatti, dovrà essere necessariamente rivalutato dal giudice del rinvio.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con conseguente
annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, dovendosi procedere a nuovo giudizio nel quale il Tribunale del riesame dovrà attenersi ai principi sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, comma 7, c.p.p.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente