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Associazione di tipo mafioso: la prova del ruolo apicale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso. L’imputato era accusato di essere il capo e direttore di un noto sodalizio criminale. La Corte ha ritenuto infondate le censure difensive, confermando che la valutazione degli indizi spetta al giudice di merito e che, nel caso di specie, sussistevano elementi sufficienti (dichiarazioni di collaboratori, intercettazioni, ruolo di ‘paciere’) per ritenere provato il ruolo apicale dell’indagato all’interno del clan.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: la Cassazione sulla prova del ruolo apicale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema della prova del ruolo di vertice in un’associazione di tipo mafioso ai fini dell’applicazione di una misura cautelare. La decisione offre importanti spunti sulla valutazione degli indizi e sui limiti del sindacato di legittimità. Questo articolo analizza la pronuncia, spiegando i principi di diritto affermati dai giudici.

I Fatti del Caso

Il procedimento nasce dal ricorso presentato da un indagato contro un’ordinanza del Tribunale del Riesame. Quest’ultimo aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere per diversi reati, tra cui quello di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), con il ruolo di capo e direttore di un noto sodalizio criminale operante nel napoletano. L’indagato era accusato anche di essere al vertice di altre associazioni finalizzate al contrabbando di tabacchi e al traffico di stupefacenti.

La difesa aveva sollevato diverse obiezioni, contestando in primo luogo la mancanza di un’autonoma valutazione da parte del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP), accusato di aver semplicemente “copiato e incollato” la richiesta della Procura. In secondo luogo, si contestava la gravità degli indizi e l’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sostenendo che non vi fossero prove concrete del ruolo apicale del ricorrente nel periodo successivo alla sua scarcerazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando integralmente l’ordinanza impugnata. I giudici di legittimità hanno respinto tutte le censure difensive, ritenendole in parte inammissibili e in parte infondate nel merito.

L’autonoma valutazione del GIP

Sul primo punto, la Cassazione ha ribadito che la verifica sull’esistenza di un’autonoma valutazione da parte del giudice non deve basarsi su criteri stereotipati. La presenza di indicatori come il parziale accoglimento delle richieste del pubblico ministero (nel caso di specie, il GIP aveva escluso la gravità indiziaria per alcuni reati-fine) e la presenza di considerazioni puntuali a commento dei vari elementi sono sufficienti a dimostrare un vaglio critico effettivo. L’uso della tecnica del “copia-incolla” non è di per sé indice di un difetto di valutazione, se inserito in un contesto motivazionale che dimostri la conoscenza degli atti e una rielaborazione critica.

La prova del ruolo apicale nell’associazione di tipo mafioso

Il cuore della sentenza riguarda la valutazione della gravità indiziaria. La Corte ha sottolineato che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. Il suo compito è limitato a verificare la presenza di vizi di legge o di una motivazione manifestamente illogica, non a fornire una diversa interpretazione degli elementi probatori.

Nel caso specifico, il Tribunale del Riesame aveva adeguatamente motivato il ruolo di leader dell’indagato sulla base di una pluralità di elementi convergenti:
Dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: Numerosi collaboratori avevano delineato la figura di un capo intelligente, autorevole e ideatore di una strategia di “inabissamento” del clan per prosperare lontano dai riflettori.
Ruolo di “paciere”: L’indagato svolgeva un ruolo di mediatore e risolutore di controversie, non solo all’interno del proprio clan ma anche con gruppi criminali esterni, a dimostrazione del suo credito e della sua influenza sul territorio.
Intercettazioni: Le conversazioni captate confermavano i rapporti con altri esponenti del sodalizio e con gruppi criminali diversi.
Sentenze precedenti: I giudici hanno valorizzato anche il carattere di “mafia storica” del clan, come accertato in numerosi precedenti giudiziari.

Le associazioni per contrabbando e narcotraffico

La Corte ha confermato la sussistenza di gravi indizi anche per le altre associazioni contestate. Per quanto riguarda l’associazione finalizzata al narcotraffico, i giudici hanno ribadito il principio secondo cui non è richiesta un’organizzazione complessa e dotata di ingenti mezzi economici. È sufficiente l’esistenza di una struttura, anche rudimentale, creata per fornire un supporto stabile e duraturo alle singole operazioni criminali, come avvenuto nel caso di specie, dove il gruppo dedicato al traffico di droga si avvaleva delle risorse e della struttura del sodalizio mafioso principale.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su consolidati principi giurisprudenziali. In primo luogo, viene ribadito il perimetro del giudizio di legittimità in materia cautelare: la Cassazione non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice di merito, ma deve limitarsi a un controllo sulla coerenza logica e giuridica della motivazione del provvedimento impugnato. Le censure che propongono una semplice rilettura degli elementi di prova sono considerate inammissibili.

In secondo luogo, la sentenza chiarisce che la prova del ruolo apicale in un’associazione di tipo mafioso può derivare da una pluralità di fattori indiziari, la cui valutazione complessiva spetta al giudice. Il ruolo di mediatore, la capacità di influenzare le dinamiche territoriali e i rapporti con altri gruppi criminali sono tutti elementi sintomatici di una posizione di vertice. Infine, si conferma un approccio non eccessivamente formalistico alla nozione di associazione criminale, specialmente nel narcotraffico, dove anche strutture semplici possono essere sufficienti a integrare il reato, purché vi sia un vincolo stabile e un programma criminale duraturo.

Le Conclusioni

La pronuncia in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano l’applicazione delle misure cautelari per i reati di criminalità organizzata. Essa evidenzia come la valutazione della gravità indiziaria sia un’operazione complessa, basata sull’analisi congiunta di diverse fonti di prova. Per la difesa, la sentenza ribadisce la difficoltà di ottenere un annullamento in Cassazione di un’ordinanza cautelare basandosi su una mera riconsiderazione dei fatti. L’unica via percorribile è quella di dimostrare una violazione di legge o un’illogicità manifesta e macroscopica nella motivazione del giudice di merito.

Quando un’ordinanza cautelare è considerata frutto di ‘autonoma valutazione’ da parte del giudice?
Un’ordinanza è frutto di autonoma valutazione quando, nonostante l’eventuale utilizzo di parti della richiesta del PM, emerge che il giudice ha esaminato criticamente gli atti. Indicatori di ciò sono, ad esempio, il parziale accoglimento delle richieste (escludendo alcuni reati) e la presenza di commenti e considerazioni originali del giudice, anche se sintetici, che dimostrano una rielaborazione personale del materiale probatorio.

Quali elementi possono dimostrare il ruolo di capo in un’associazione di tipo mafioso in fase cautelare?
Secondo la sentenza, il ruolo di capo può essere dimostrato da una pluralità di elementi convergenti, quali: le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, le intercettazioni, il ruolo di ‘paciere’ o mediatore in conflitti interni ed esterni al clan, i rapporti con esponenti di altri gruppi criminali e il credito personale goduto sul territorio. La valutazione di questi elementi nel loro complesso spetta al giudice di merito.

Per configurare un’associazione finalizzata al narcotraffico è necessaria un’organizzazione complessa e con grandi mezzi?
No. La giurisprudenza citata nella sentenza chiarisce che per la configurabilità del reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti non è richiesta un’organizzazione complessa o dotata di notevoli disponibilità economiche. È sufficiente l’esistenza di una struttura, anche rudimentale, creata per fornire un supporto stabile e duraturo alle singole operazioni criminose, con il contributo consapevole dei singoli associati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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