Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1492 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1492 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 23/08/1973
avverso l’ordinanza del 25/05/2023 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile, ovvero rigettare, il ricorso;
lette le conclusioni presentate dall’Avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
letta la memoria di replica dell’Avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catanzaro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa il 3 aprile 2023 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro che aveva applicato all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui ai capi 1), 93), 45) e 46).
In particolare, si contesta al ricorrente di aver fatto parte di un’associazione di tipo ndranghetista, denominata clan degli zingari COGNOME e COGNOME, operante nel territorio di Cutro, Isola Capo Rizzuto e Catanzaro edella corrispondente associazione di cui all’articolo 74 d.PR. 309/1990, per avere diretto, promosso e costituito un’associazione finalizzata al traffico illecito d sostanze stupefacenti. Per entrambi i reati associativi è contestato al ricorrente il ruolo di esserne organizzatore e promotore, con condotte commesse in Catanzaro da epoca antecedente all’anno 2008 e tuttora in atto. Le contestazioni di cui ai capi 45) e 46) sono relative ai reati di estorsione e ricettazione.
2.Con i motivi di ricorso di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione NOME COGNOME denuncia:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza del reato di cui all’articolo 416-bis cod. pen. e del ruolo di promotore nonché delle aggravanti dai commi 2 a 8 dell’art. 416-bis cod. pen.. Il difensore del COGNOME evidenzia che l’indagato non è mai risultato coinvolto in pregresse attività investigative che hanno riguardato associazioni di stampo ndranghetista operanti a Catanzaro e, anzi, è stato assolto dal reato associativo contestatogli nell’ambito della cd. operazione “maniscalco”, esito rispetto al quale il Tribunale avrebbe dovuto confrontarsi al fine di ritenere sussistente il reato associativo ascritto a ricorrente e il ruolo verticistico che vi avrebbe ricoperto. Il Tribunale ha valorizzato le dichiarazioni dei collaboratori, COGNOME e COGNOME che hanno inserito l’indagato nell’organizzazione dedita allo spaccio mentre gli altri due collaboratori COGNOME e COGNOME neppure lo chiamano in causa. Risulta, quindi, priva di base probatoria la configurabilità a suo carico del ruolo verticistico di organizzatore dell’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. Quanto, poi agli elementi di riscontro esterni rileva che costituisce un elemento neutro quello della presenza dell’indagato ad incontri, avvenuti in luoghi pubblici e documentati in numero esiguo (8 rispetto ai 33 incontri) anche tenuto conto della estraneità dell’indagato ai cd. summit di INDIRIZZO. Ne consegue la infondatezza dell’ipotesi accusatoria con riferimento al reato associativo di cui all’articolo 416-bis cod. pen. che richiede
la prova di una condotta tipica in cui sia rilevata la messa a disposizione del partecipe a favore del sodalizio criminoso.
2.2. analoghi vizi inficiano la ritenuta sussistenza dei reati di estorsione e ricettazione, di cui ai capi 45) e 46), per mancanza di elementi suscettibili di integrare gravi indizi di colpevolezza poiché la persona offesa non aveva riferito di alcun contributo dell’indagato ai fatti di cui era stato vittima. Immotivata è l contestata aggravante di all’art. 416-bis.1 cod. pen., nella sua duplice forma;
2.3. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990, astrattamente ricostruita non potendo essere desunta dalle modalità esecutive dei reati-fine, dai rapporti parentali o coniugali intercorrenti tra i sodali e da ripartizione dei compiti in vista delle operazioni di cessione di sostanze stupefacenti. Il Tribunale non ha individuato elementi inequivocabilmente dimostrativi dell’adesione dell’indagato al sodalizio criminale piuttosto sintomatiche del concorso di persone nel reato continuato. Vieppiù non sono sussistenti elementi che ne denotino il ruolo di organizzatore;
2.4. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’attualità delle esigenze cautelari e quindi alla possibilità di applicazione della più grave misura della custodia cautelare in carcere, tenuto conto del tempo trascorso dai fatti poiché le contestazioni sono relative a fatti risalenti, documentati dalle attivit investigative svoltesi negli anni 2018 e 2019, e, quindi, risalenti anche rispetto al momento di applicazione della misura. Tali circostanze avrebbero dovuto comportare una più rigorosa motivazione dell’ordinanza affidata a mere presunzioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato perché proposto per motivi infondati, ai limiti della manifesta evidenza.
L’ordinanza impugnata ha ricostruito e delineato le strutture criminali operanti nel territorio di Cutro, Isola Capo Rizzuto e Catanzaro con riferimento al cosiddetto “clan degli zingari” e ha riportato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME risultate determinati nel delineare un quadro nitido circa la capacità di intimidazione mafiosa acquisita dal gruppo di etnia zingara da tempo operanti sul territorio. I collaboratori avevano riferito, in particolare, che le cosche mafiose operanti tradizionalmente nel territorio di Catanzaro, Cutro e Isola Capo Rizzuto avevano conferito ai capi degli zingari “doti” di ndrangheta per consentire loro di interagire nelle dinamiche mafiose e tali dichiarazioni avevano trovato riscontro nelle risultanze delle
intercettazioni telefoniche dalle quali erano emerse fattive GLYPH forme di collaborazione, inizialmente per la gestione della detenzione di NOME COGNOME, attraverso la cooperazione dei clan ndranghetisti, collaborazione che, nel corso degli anni, si era consolidata e arricchita estendendosi ad altri settori tra i quali gestione delle estorsioni nel territorio di Isola Capo Rizzuto e il traffico di sostanz stupefacenti, settori nei quali, tradizionalmente, operavano le cosche ndranghetiste.
A carico del ricorrente, neWordinanza impugnata (pag. 10 e ss.) sono state richiamate le convergenti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali avevano riferito che NOME COGNOME era dedito, in particolare, al traffico di sostanze stupefacenti precisando che questi aveva costituito un quartiere generale poco lontano dalle palazzine occupate dai nomadi.
Le dichiarazioni dei collaboratori avevano trovato ampio riscontro sia nelle attività di osservazione che nelle captazioni delle conversazioni, che avevano registrato il tenore dei summit svoltisi in INDIRIZZO sia dalle ulteriori indagini qu la escussione di acquirenti di stupefacenti, le intercettazioni svolte presso le abitazioni dei vari componenti della famiglia COGNOME, fra i quali il ricorrente e sequestri di sostanze stupefacenti.
Tali risultanze avevano delineato la figura del ricorrente quale quella di capo carismatico dell’associazione dedita al traffico di stupefacenti che esercitava, inoltre, la propria autorevolezza per risolvere controversie che fossero sorte all’interno di altri settori di interesse, quale primariamente quello delle estorsioni anche contrapponendosi ad altre organizzazioni nomadi operanti nel territorio reggino.
A questo fine è stata richiamata la vicenda relativa al furto di quattro cavalli ai danni di NOME COGNOME e il contenuto delle conversazioni (pag. 11 della sentenza impugnata) che denotano l’ingerenza dell’indagato nella trattativa per la restituzione della refurtiva con l’intimazione rivolta alle persone che avevano la disponibilità dei cavalli di riportarli immediatamente indietro.
Significativi, ai fini del ruolo di organizzatore, in relazione all’associazione sub capo 93), le circostanze che l’associazione avesse individuato l’abitazione del ricorrente come luogo di occultamento della droga; le dichiarazioni degli acquirenti, che descrivono le modalità di vendita e controllo anche sul territorio esercitato dal gruppo.
Quanto all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. viene richiamata (pag. 24) la destinazione dei proventi dell’attività di spaccio ad una cassa comune dell’organizzazione, utilizzata per il sostentamento dell’associazione medesima e dei suoi appartenenti, come emerge dalle conversazioni captate direttamente tra
l’indagato che dava, altresì, disposizioni sull’impiego delle somme per l’acquisto di una partita di cocaina.
2.Ritiene il Collegio che, al cospetto di tali evidenze, si rivelano infondate le deduzioni difensive che, come anticipato, investono il qualificato contributo partecipativo del ricorrente alle due strutture associative che operavano in stretto collegamento tra loro poiché il traffico di sostanze stupefacenti, inequivocabilmente coordinato e diretto dall’indagato, costituiva uno dei settori dell’associazione di tipo ndrang hetista che operava nel territorio assegnato e controllato secondo logiche tipicamente mafiose.
In particolare, con riferimento al reato di cui all’art. 74 d.PR. 309/1990, la giurisprudenza di legittimità è netta nel delineare la differenza ontologica tra il reato associativo e le condotte di cessione ancorché reiterate nel tempo e sotto forma di concorso: il reato associativo postula, infatti, la prova – a livello indiziar – della esistenza di una struttura, che può essere anche rudimentale, dedita alla commissione di reati in materia di stupefacenti derivando la pericolosità del gruppo così organizzato proprio da tale connotato e da quello della sua tendenziale stabilità nel tempo.
Chiara nella giurisprudenza, e l’ordinanza impugnata ne ha fatto coerente applicazione rispetto alle condotte ricostruite, è la individuazione, ai fini dell configurabilità del reato associativo, della esistenza di elementi che denotino la esistenza della struttura e la sua organizzazione. Nel caso in esame, sono stati valorizzate circostanze univoche – risultanti sia dal dato dichiarativo offerto dagli acquirenti che dalle risultanze dei servizi di intercettazione e delle operazioni di polizia – che hanno documentato non solo le reiterate operazioni di cessione ma la costituzione di una vera e propria centrale di spaccio presso l’abitazione dell’indagato, sempre ubicata in INDIRIZZO ma collocata su una piccola altura e raggiungibile da una sola strada di accesso, continuamente presidiata e munita di servizi di videosorveglianza, abitazione eletta a vera e propria centrale di arrivo e smistamento di droga, circostanze, queste, confermate anche dai collaboratori di giustizia, COGNOME e COGNOME, le cui dichiarazioni hanno consentito di individuare il collegamento di tale attività con quella prettamente ndranghetista.
Le descritte risultanze convergono, univocamente, nel delineare la esistenza di una struttura organizzativa con l’approntamento di una base logistica, la gestione di una cassa comune, destinata, per iniziativa dell’indagato, sia a sostenere gli associati che all’acquisto di droga, e, infine, di una struttura di tip gerarchico all’interno della quale l’indagato svolge il ruolo rilevante, quale quello di dirigere le operazioni e dettare le coordinate per accordi esterni.
L’ordinanza impugnata ha, dunque, ricostruito il contributo qualificato del ricorrente alle attività associative che non sono ricostruite a ricalco delle mere e continuative attività di spaccio – ampiamente documentate e neppure contestate in sede cautelare- o dei legami familiari ma che denotano il ruolo centrale del ricorrente nella organizzazione delle attività di acquisto e delle successive cessioni poiché egli si occupava del coordinamento degli acquisti; veniva informato delle presenza estranee al fine d riorganizzare le attività; dava direttive agli associati e procedeva al riparto degli utili dell’attività di spaccio e alla destinazione dell somme conservate nella cassa comune oltre a mettere a disposizione la propria abitazione, organizzata a mò di roccaforte, per la custodia e confezionamento della droga.
Il ricorso non si è confrontato con questi elementi che, viceversa, correttamente il Tribunale ha ritenuto indicativi del ruolo di organizzatore che compete a chi, in un contesto organizzato, assuma poteri di gestione, quand’anche non pienamente autonomi, in uno specifico e rilevante settore operativo del gruppo e, dunque, in colui che, in posizione di preminenza, organizzi il lavoro degli altri componenti l’associazione, sia in relazione ai rifornimenti d sostanza stupefacente sia all’attività di cessione ( Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, COGNOME, Rv. 271256).
4.Così inquadrata la condotta del ricorrente e il suo ruolo nell’associazione di cui al capo 93), si rivelano infondate le deduzioni difensive sulla configurabilità del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e, quindi, sul contributo e ruolo del ricorrent anche ai fini della qualificata partecipazione al reato associativo sub capo 1).
L’ordinanza impugnata ha esaminato le risultanze di precedenti indagini volte a ricostruire la sussistenza del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. con riferimento ai cd clan degli zingari, mai approdate a condanne.
Il dato rilevante, valorizzato ai fini della ritenuta sussistenza di tale reato rispetto alle più risalenti acquisizioni – è stato individuato nelle dichiarazioni d collaboratori che hanno riferito del conferimento delle doti di ndrangheta ad alcuni noti appartenenti al clan e che hanno illustrato come, nel corso degli anni, il rapporto tra il clan degli zingari e quello delle associazioni ndranghetiste operanti sul territorio di Cutro, Isola Capo Rizzuto e territorio limitrofi avesse subito una radicale evoluzione tale denotare il potere acquisito dal clan in forza del vincolo associativo acquisendo il connotato di mafiosità.
Il rapporto con le ndrine si era, infatti, evoluto, passando da quello di mero braccio operativo e assoluta subalternità, che aveva connotato il ruolo dei clan a struttura etnica, all’acquisizione del potere mafioso, disvelatosi proprio nella gestione del traffico degli stupefacenti e delle estorsioni.
Secondo l’ordinanza impugnata – e il dato non è efficacemente contrastato dai motivi di ricorso, per tale aspetto anche generici – il gruppo facente capo anche al ricorrente aveva dimostrato di possedere una considerevole capacità di intimidazione, rivelatasi nella pianificazione e attuazione di attività di narcotraffic ed estorsive, attraverso le quali il clan aveva post le condizioni per esercitare, riuscendovi, un controllo capillare del territorio e per assoggettare le attività economiche più redditizie, così acquisendo capacità finanziaria a fini espansionistici.
I dati sintomatici indicati dal Tribunale sono costituiti dalla circostanza che, nelle attività estorsive, i componenti del gruppo avevano agito in nome proprio e non solo spendendo il nome della ndrine storiche avendo anche la disponibilità di armi, secondo modalità operative confermate dal contenuto delle conversazioni intercettate (cfr. pag. 7 in relazione alla conversazione 983 e 1324) valorizzate per evidenziare la progressiva autonomia acquisita dal gruppo capeggiato da NOME COGNOME cl. 74 e NOME COGNOME cl. 77, nel quale militava l’odierno ricorrente, nell’organizzazione delle attività estorsive ai danni delle attivit imprenditoriali fino ad approdare ad un vero e proprio accordo (conv. 4830) secondo il quale le nuove estorsioni programmate dagli zingari venissero consumate fuori dall’influenza degli isolitani mentre quelle pregresse dovevano restare nell’ambito del potere impositivo di questi ultimi; nonché le conversazioni (4157, 4158; 4759) che comprovano la disponibilità di armi e le dichiarazioni rese da vittime di furti (prodromo delle condotte di estorsione per riottenere la refurtiva) che riferivano delle intimidazioni subite dal gruppo degli zingari.
Rilevanti, a questo fine (cfr. pag. 11 dell’ordinanza impugnata), risultano il dialogo con il quale il ricorrente, in esito ad un conflitto con il clan deg Abbruzzese, delinea la strategia dei rapporti con il gruppo rivale e la necessità di considerare gli Abbruzzese un clan nemico rappresentando il pericolo di una faida, ove fosse iniziato uno scontro tra fazioni e il contenuto della conversazione, intrattenuta con le persone che avevano ricevuto i cavalli trafugati al Doria al fine di riportarli a Catanzaro: il tenore della conversazione delinea con chiarezza il ruolo attivo e dirigista avuto nell’occasione dall’indagato anche nel rapporto con elementi esterni all’associazione.
Una ingerenza che è stata ritenuta riconducibile, senza cadute logiche, anche quale concorso nella condotta estorsiva, genericamente contestata al ricorrente.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di elementi gravemente indiziari che rinviano alla sussistenza e configurabilità del reato associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. ed alla qualificata partecipazione del ricorrente che emerge sia dalla descritta condotta associativa di cui all’art. 74 d.P.R. cit. che dalla ingerenza nella condotta
estorsiva sub capo 45), attestata dalla conversazione nel corso della quale, il ricorrente intimava la restituzione della refurtiva.
5.11 Tribunale del riesame ha fornito adeguata motivazione in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari a fronte del risalente accertamento dei fatti.
Il Tribunale ha, infatti, rilevato l’esistenza di specifici elementi che depongono per l’attualità e concretezza del rischio di recidiva ex art. art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. valorizzando l’assiduo ed incessante impegno, con ruolo preminente, nell’attività associativa del ricorrente, rispetto al quale non rileva, a fine di escludere il pericolo, l’epoca non recentissima dei fatti.
Il Tribunale del riesame ha posto a fondamento della ritenuta attualità delle esigenze cautelari il principio secondo cui, in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione ex art. 416-bis cod. pen. la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari (Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131). Anche con riferimento al reato di cui all’art. 74 d.PR. 309/1990 il giudizio di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (ex multis: Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è, del resto, prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla
sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attua concretezza del pericolo. D’altra parte, il ricorrente non ha allegato alcun elem probatorio atto a vincere la presunzione relativa di sussistenza delle esig cautelari sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in quanto si è limit invocare il decorso del tempo dalle condotte poste a fondamento della misur coercitiva, senza, tuttavia, allegare elementi che consentano di inferire la rec dei rapporti con il circuito criminale nel quale ha operato stabilmente elegg l’attività l’illecita, in cui è coinvolto tutto il nucleo familiare, ad attivit caratteri di professionalità e continuatività.
Consegue al rigetto del ricorso la condanna al pagamento delle spese de procedimento. La Cancelleria è incaricata degli adempimenti in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, com 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 13 dicembre 2023
Il Consigliere relatore
Il Presidente