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Associazione di tipo mafioso: la prova del ruolo

La Corte di Cassazione ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere per un soggetto accusato di essere organizzatore di un’associazione di tipo mafioso finalizzata al narcotraffico e all’estorsione. La sentenza sottolinea come la prova dell’esistenza di una struttura stabile e gerarchica sia fondamentale per distinguere il reato associativo da un semplice concorso in reati. Inoltre, viene ribadita la presunzione di pericolosità sociale per i reati di mafia, che giustifica la detenzione anche se i fatti non sono recentissimi.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: quando si configura il ruolo di organizzatore?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1492 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: i criteri per accertare l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso e il ruolo apicale di un suo membro. La pronuncia offre importanti chiarimenti sulla differenza tra un’associazione criminale strutturata e un semplice concorso di persone in reati reiterati, specialmente nel contesto del narcotraffico, e ribadisce la solidità della presunzione di pericolosità sociale per chi è indagato per reati di mafia.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame che confermava la custodia cautelare in carcere per un soggetto indagato per reati gravissimi. Le accuse includevano la partecipazione, con ruolo di promotore e organizzatore, a due distinti sodalizi criminali: un’associazione di tipo mafioso legata alla ‘ndrangheta locale (il cosiddetto “clan degli zingari”) e un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. A queste si aggiungevano contestazioni per estorsione e ricettazione.

La difesa dell’indagato aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza. In particolare, si contestava la configurabilità stessa dei reati associativi, asserendo che le attività di spaccio, seppur ripetute, non dimostravano l’esistenza di una struttura organizzata. Inoltre, si lamentava la mancanza di attualità delle esigenze cautelari, dato che i fatti risalivano ad alcuni anni prima dell’applicazione della misura.

La Decisione della Cassazione sull’associazione di tipo mafioso

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo le argomentazioni difensive infondate e confermando la solidità dell’impianto accusatorio delineato dal Tribunale. I giudici hanno valorizzato una serie di elementi probatori convergenti, tra cui le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, le intercettazioni telefoniche e ambientali e le attività di osservazione della polizia giudiziaria.

La Struttura Organizzativa e il Ruolo del Vertice

Uno dei punti centrali della sentenza riguarda la distinzione tra reato associativo e concorso di persone. La Corte ha chiarito che per configurare un’associazione di tipo mafioso o dedita al narcotraffico non basta la semplice ripetizione di reati-fine. È necessaria la prova, anche a livello indiziario, di una struttura stabile e organizzata, seppur rudimentale.

Nel caso di specie, gli elementi raccolti dimostravano l’esistenza di una vera e propria centrale di spaccio presso l’abitazione dell’indagato, un luogo fortificato e presidiato. L’organizzazione disponeva di una base logistica, di una cassa comune per sostenere gli associati e acquistare la droga, e di una struttura gerarchica. L’indagato non era un mero partecipe, ma svolgeva un ruolo apicale: dirigeva le operazioni, coordinava gli acquisti, gestiva i rapporti esterni e distribuiva gli utili, dimostrando un potere gestionale e di comando.

L’evoluzione del Clan e la Forza di Intimidazione

Un aspetto interessante analizzato dalla Corte è l’evoluzione del gruppo criminale. Originariamente un mero “braccio operativo” di cosche più potenti, il clan aveva acquisito nel tempo una propria autonomia e un connotato di mafiosità, esercitando un controllo capillare sul territorio attraverso la gestione del narcotraffico e delle estorsioni. Questa capacità di intimidazione, esercitata in nome proprio e non più solo per conto di altri, è stata considerata un dato sintomatico decisivo per qualificare il sodalizio come associazione di tipo mafioso ai sensi dell’art. 416-bis c.p.

Le Motivazioni in Diritto

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su principi giuridici consolidati. In primo luogo, ha ribadito che la prova del ruolo di organizzatore in un’associazione criminale non richiede poteri autonomi assoluti, ma è sufficiente che il soggetto svolga, in posizione di preminenza, compiti di gestione e coordinamento in un settore operativo specifico del gruppo.

In secondo luogo, e con particolare riguardo alle esigenze cautelari, i giudici hanno riaffermato la validità della presunzione legale di cui all’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Per reati gravi come l’associazione di tipo mafioso, la legge presume sia la sussistenza di un concreto pericolo di recidiva, sia l’adeguatezza della sola custodia in carcere. Tale presunzione può essere vinta solo da prove concrete che dimostrino l’irreversibile allontanamento del soggetto dal circuito criminale. Il semplice trascorrere del tempo dai fatti contestati (il cosiddetto “tempo silente”) non è, da solo, sufficiente a superare questa presunzione.

Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un’importante conferma dei criteri utilizzati dalla giurisprudenza per accertare la sussistenza dei reati associativi di stampo mafioso. Essa evidenzia come l’analisi debba concentrarsi sulla presenza di una struttura organizzativa stabile e sulla capacità del gruppo di esercitare intimidazione e controllo sul territorio. Inoltre, rafforza il principio secondo cui, per questo tipo di reati, la presunzione di pericolosità sociale rimane un pilastro del sistema cautelare, ponendo a carico dell’indagato l’onere di dimostrare un effettivo e definitivo distacco dal sodalizio criminale per poter ottenere una misura meno afflittiva del carcere.

Cosa distingue un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico da un semplice concorso di persone in più reati di spaccio?
La differenza fondamentale risiede nell’esistenza di una struttura stabile e organizzata, anche se rudimentale. Secondo la sentenza, elementi come una base logistica (una centrale di spaccio), una cassa comune, una ripartizione dei compiti e una gerarchia interna dimostrano la presenza di un’associazione e non di una mera collaborazione occasionale tra più persone.

Perché il semplice passare del tempo non è sufficiente a far decadere le esigenze cautelari per un reato di associazione di tipo mafioso?
Perché la legge (art. 275, comma 3, c.p.p.) stabilisce una presunzione di pericolosità sociale per chi è gravemente indiziato di questo reato. Questa presunzione può essere superata solo con la prova di un allontanamento definitivo e irreversibile dal sodalizio criminale. Il mero decorso del tempo, senza altri elementi, non costituisce una prova sufficiente a vincere tale presunzione.

Come può un gruppo criminale evolvere fino a diventare un’associazione di tipo mafioso ai sensi dell’art. 416-bis c.p.?
La sentenza illustra che un’evoluzione è possibile quando il gruppo, inizialmente subalterno ad altre cosche, acquisisce autonomia e inizia a esercitare un potere di intimidazione proprio, ottenendo il controllo del territorio. Questo passaggio si manifesta nella capacità di gestire in modo autonomo attività illecite complesse, come il narcotraffico e le estorsioni, e di imporre la propria volontà anche in conflitto con altri clan.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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