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Associazione di tipo mafioso: la prova dai reati-fine

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di due indagati, confermando la misura cautelare in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso. La sentenza stabilisce che l’esistenza di un sodalizio criminale stabile può essere dedotta dalla commissione sistematica di reati-fine (come estorsioni e atti intimidatori), anche se avvenuti in un arco temporale limitato, e dalla chiara struttura organizzativa finalizzata al controllo del territorio.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: come si prova l’esistenza di un nuovo clan?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 10890 del 2024, offre un’analisi cruciale su come l’autorità giudiziaria possa accertare la nascita e l’operatività di una nuova associazione di tipo mafioso. Il caso in esame, relativo a un gruppo criminale emergente a Napoli, chiarisce che la stabilità del vincolo associativo può essere provata anche attraverso una serie coordinata di delitti commessi in un arco temporale concentrato, se questi rivelano una chiara strategia di controllo territoriale.

I fatti di causa

Il Tribunale del Riesame di Napoli confermava un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due soggetti. Il primo era accusato di aver costituito e promosso un’associazione di tipo camorristico con l’obiettivo di assumere il controllo di un quartiere della città. Il secondo era accusato di aver partecipato alla stessa associazione. Entrambi erano inoltre indagati per una serie di reati-fine, quali estorsioni e atti intimidatori, funzionali al consolidamento del potere del gruppo.

I motivi del ricorso: la stabilità del vincolo criminale

La difesa degli indagati ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Erronea applicazione dell’art. 416-bis c.p.: Secondo i ricorrenti, mancava la prova della gravità indiziaria del delitto associativo. In particolare, si contestava l’assenza di un preciso momento di costituzione del sodalizio e, soprattutto, la mancanza del requisito della stabilità. I reati-fine contestati, infatti, si concentravano in un breve periodo (luglio-settembre 2023), ritenuto inidoneo a dimostrare l’esistenza di una struttura criminale permanente.
2. Mancanza di esigenze cautelari: Si lamentava che la decisione di applicare la massima misura cautelare fosse basata su clausole di stile, senza una valutazione concreta e attuale della pericolosità degli indagati.

La prova di un’associazione di tipo mafioso attraverso i reati-fine

La Suprema Corte ha respinto il primo motivo, ritenendolo infondato. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: la prova della costituzione di una nuova organizzazione mafiosa può essere desunta da indicatori fattuali come le modalità di commissione dei delitti-scopo, la disponibilità di armi e il conflitto con i clan preesistenti sul territorio.

Nel caso specifico, il Tribunale del Riesame aveva correttamente individuato la genesi del clan nel momento in cui uno degli indagati, dopo un periodo di detenzione, aveva deciso di affermare il proprio potere nel quartiere. Questo progetto si era manifestato attraverso una serie di azioni militari e intimidatorie, come sparatorie per le strade, finalizzate a piegare chi non si conformava alle sue direttive, ad esempio in materia di richieste estorsive.

La Corte ha sottolineato come la stabilità del vincolo associativo, pur sviluppatasi in un arco di sei mesi (da marzo a settembre 2023), fosse logicamente argomentata. L’indagato principale operava costantemente con un gruppo definito di persone, secondo modalità operative analoghe, per compiere aggressioni ed estorsioni. La pluralità di reati-fine, commessi dagli stessi soggetti che ricevevano ordini e direttive dal capo, ha permesso di inferire correttamente l’esistenza del vincolo associativo e il ruolo dominante del promotore.

La presunzione di pericolosità e le esigenze cautelari

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Cassazione ha ricordato che, per il reato di associazione di tipo mafioso, l’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale prevede una presunzione legale di sussistenza delle esigenze cautelari. Tale presunzione può essere superata solo fornendo la prova del recesso dell’indagato dall’associazione o dell’esaurimento dell’attività del sodalizio stesso. Poiché gli indagati avevano negato in radice l’esistenza del gruppo criminale, non hanno potuto fornire tale prova contraria, rendendo pienamente legittima la custodia in carcere.

Le motivazioni della decisione

La decisione della Corte si fonda sul principio, sancito anche dalle Sezioni Unite, secondo cui è consentito al giudice dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti che rientrano nel suo programma e dalle loro modalità esecutive. Attraverso i reati-fine, infatti, si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione stessa. Nel caso di specie, elementi come intercettazioni, immagini di videosorveglianza che mostravano gli affiliati armati, e l’organizzazione di raid punitivi, costituivano un quadro indiziario grave, preciso e concordante. La Corte ha ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse costruito una motivazione congrua e logica, immune da vizi, collegando i singoli episodi delittuosi a un disegno associativo unitario finalizzato all’affermazione egemonica sul territorio.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un concetto fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata: la prova di un’associazione mafiosa non richiede necessariamente una lunga storia criminale. Un’attività delittuosa intensa, coordinata e sistematica, anche se concentrata in pochi mesi, può essere sufficiente a dimostrare la stabilità e l’organizzazione tipiche del vincolo mafioso. Inoltre, la pronuncia conferma la rigidità del sistema cautelare previsto per questo tipo di reati, ponendo a carico dell’indagato l’onere di dimostrare il venir meno della propria pericolosità sociale attraverso la rottura con il sodalizio di appartenenza.

Come si può dimostrare l’esistenza di una nuova associazione di tipo mafioso?
La sua esistenza può essere dedotta da indicatori fattuali come le modalità di commissione dei reati, la disponibilità di armi e il conflitto con altri gruppi sul territorio, a condizione che tali elementi dimostrino le caratteristiche di stabilità e organizzazione richieste dalla legge.

Una serie di reati commessi in un breve periodo è sufficiente a provare la stabilità di un clan?
Sì. Secondo questa sentenza, un’attività criminale sistematica, coordinata e continua, posta in essere da un gruppo definito sotto una leadership chiara per un periodo di sei mesi, è stata considerata sufficiente a dimostrare la stabilità del vincolo associativo.

Per l’accusa di associazione di tipo mafioso è sempre prevista la custodia in carcere?
La legge stabilisce una presunzione della necessità della custodia cautelare in carcere per questo reato. Tale presunzione può essere superata solo se l’indagato fornisce la prova di aver interrotto ogni legame con l’associazione o se l’attività del gruppo è completamente cessata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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