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Associazione di tipo mafioso: la ‘messa a disposizione’

La Corte di Cassazione conferma una misura di custodia cautelare per il reato di associazione di tipo mafioso, chiarendo che la ‘messa a disposizione’ al sodalizio criminale è sufficiente per integrare la partecipazione. La prova può derivare da un complesso di elementi indiziari, come conversazioni intercettate, frequentazioni e pubblicazioni sui social media, anche in assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia. La sentenza sottolinea l’autonomia del giudice del rinvio nel rivalutare le stesse fonti di prova per colmare le lacune motivazionali indicate in un precedente annullamento.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: La “Messa a Disposizione” è sufficiente per l’accusa?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale n. 2521/2024, offre un’importante analisi sui criteri per determinare la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso. Il caso in esame ruota attorno al concetto di “messa a disposizione”, ovvero quando un soggetto si rende disponibile al clan, e chiarisce come tale condotta possa essere provata anche attraverso indizi e in assenza di chiamate in correità da parte di collaboratori di giustizia.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un individuo per il reato di cui all’art. 416-bis del codice penale. Tale provvedimento era stato inizialmente annullato con rinvio dalla stessa Corte di Cassazione a causa di carenze motivazionali. La Corte aveva rilevato che l’ordinanza non illustrava in modo adeguato gli elementi che dimostrassero un’integrazione stabile e organica del soggetto nel tessuto criminale.

A seguito dell’annullamento, il Tribunale del Riesame aveva nuovamente confermato la misura cautelare. Contro questa seconda ordinanza, la difesa ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale si fosse limitato a riproporre la stessa motivazione, senza colmare le lacune evidenziate e senza valutare correttamente nuovi elementi emersi, come l’assenza di accuse dirette da parte di collaboratori di giustizia.

La Valutazione del Giudice del Rinvio e l’associazione di tipo mafioso

Il punto centrale della decisione della Cassazione riguarda i poteri e i limiti del giudice del rinvio dopo un annullamento per vizio di motivazione. La Corte ribadisce un principio consolidato: il giudice di merito non è vincolato dalle valutazioni di fatto della Cassazione, ma solo dal principio di diritto. Pertanto, il Tribunale del Riesame era libero di utilizzare le medesime fonti di prova (come le intercettazioni) per ricostruire i fatti e fornire una motivazione più solida e completa, esattamente come richiesto.
Il Tribunale, secondo la Cassazione, ha agito correttamente, valorizzando una serie di elementi che, letti congiuntamente, delineavano un quadro indiziario grave, preciso e concordante.

Gli Elementi Indiziari Valorizzati

La motivazione della nuova ordinanza si fondava su diversi elementi:
1. Conversazioni Intercettate: Diverse intercettazioni, anche se non direttamente intercorse con l’indagato, lo collocavano al centro di dinamiche criminali. In queste conversazioni, altri membri del clan parlavano di lui, del suo ruolo, e della sua vicinanza al capo detenuto.
2. Operatività nel Traffico di Stupefacenti: Una specifica conversazione indicava il suo coinvolgimento diretto in una consegna di sostanze stupefacenti, con dettagli precisi forniti dal capo del gruppo dal carcere.
3. Vicinanza ai Vertici: L’indagato risultava costantemente in compagnia di altri affiliati e veniva descritto come “fedelissimo” del leader detenuto.
4. Affiliazione Pubblica: Un’immagine pubblicata su un noto social network lo ritraeva insieme ad altri membri del clan, con una didascalia dal chiaro significato di appartenenza e rispetto delle regole criminali.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. Il ragionamento della Corte si sviluppa su due pilastri fondamentali.

Il primo riguarda la sufficienza della “messa a disposizione” per configurare la partecipazione all’associazione di tipo mafioso. La Corte ricorda che il reato si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell’organizzazione, poiché già la sola adesione e disponibilità è idonea a rafforzare il proposito criminoso del gruppo e la sua capacità di intimidazione. Non è necessario il compimento di specifici atti esecutivi. Nel caso di specie, l’insieme degli indizi (frequentazioni, ruolo in operazioni illecite, legami con i vertici) dimostrava in modo congruo questa stabile disponibilità a favore del clan.

Il secondo pilastro affronta la censura relativa alla mancanza di dichiarazioni accusatorie da parte dei collaboratori di giustizia. La Cassazione spiega che la motivazione può essere anche implicita. Avendo il Tribunale valorizzato numerosi e solidi elementi “in positivo” che dimostravano l’intraneità del soggetto al gruppo, ha implicitamente ma necessariamente “superato” il “non detto” del collaboratore. La costruzione di un solido quadro probatorio positivo rende irrilevante l’assenza di una specifica fonte di prova, come la chiamata in correità.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio in materia di reati associativi: la prova della partecipazione a un’associazione di tipo mafioso non richiede necessariamente atti di violenza o dichiarazioni di pentiti. Un complesso di elementi fattuali, analizzati in modo logico e coerente, può essere sufficiente a dimostrare quella compenetrazione stabile e organica con il sodalizio che costituisce il cuore del reato. La “messa a disposizione” è una condotta che, se provata attraverso indizi gravi, precisi e concordanti, fonda pienamente un giudizio di colpevolezza, riflettendo la pericolosità sociale dell’adesione stessa al patto criminale.

Cosa è sufficiente per provare la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso secondo questa sentenza?
È sufficiente dimostrare la cosiddetta ‘messa a disposizione’, ovvero un’adesione stabile e organica al sodalizio criminale. Questa può essere provata attraverso un complesso di elementi indiziari (come intercettazioni, frequentazioni, coinvolgimento in attività illecite), anche senza il compimento di specifici atti violenti da parte del soggetto.

La mancanza di accuse da parte di un collaboratore di giustizia esclude la colpevolezza?
No. Secondo la Corte, il giudice può superare la mancanza di una chiamata in correità valorizzando altri elementi di prova ‘in positivo’ che dimostrino in modo solido e coerente l’appartenenza dell’indagato al clan. La motivazione su questo punto può essere anche implicita.

Dopo un annullamento della Cassazione per vizio di motivazione, il giudice del rinvio può usare le stesse prove?
Sì. Il giudice del rinvio non è vincolato dalle valutazioni di fatto espresse dalla Cassazione, ma solo dai principi di diritto. Può quindi riesaminare le stesse fonti di prova (ad esempio, le stesse intercettazioni) per fornire una nuova e più completa motivazione che colmi le lacune precedentemente riscontrate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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