Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31539 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31539 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CASERTA il 12/10/1982
avverso l’ordinanza del 04/03/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
L’avvocato NOME COGNOME si riporta integralmente ai motivi di ricorso e ai motivi nuovi e ne chiede l’accoglimento.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Napoli, adito ex art. 309, c.p.p., confermava l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli, in data 13.1.2025, aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME, gravemente indiziato del delitto ex art. 416 bis, co. 1, 2, 3, 4, 5, cod. pen., ascrittogli al capo a) dell’imputazione provvisoria.
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il COGNOME, lamentando mancanza e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.
Osserva in particolare il ricorrente che il tribunale del riesame, con motivazione apparente, non si è confrontato realmente con i rilievi difensivi volti a evidenziare la mancanza di dati dimostrativi dell’esistenza di contatti diretti e costanti tra il Franzese e i presunti sodali, necessari per poter configurare l’affectio societatis, risultando assolutamente generica l’affermazione secondo la quale tale assenza trova giustificazione nella circostanza che l’utenza cellulare in uso al ricorrente non è stata oggetto di captazione.
La motivazione appare, inoltre, contraddittoria e generica nella parte in cui, da un lato, stigmatizza la mancata indicazione da parte dell’indagato delle conversazioni ritenute equivoche; dall’altro si sofferma sul contenuto di alcune conversazioni, senza spiegare le ragioni per cui, in ciascuna di esse, i conversanti facessero riferimento proprio al COGNOME, senza tacere che nessuna evidenza, e meno che mai le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, consente di ritenere dimostrata l’originaria partecipazione dell’indagato al clan COGNOME e che lo stato di detenzione patito dal Franzese dal 7.7.2022 al 24.6.2024 esclude la possibilità di ritenerlo partecipe a un’associazione camorristica, la cui data iniziale di operatività non è nemmeno specificata nel capo d’imputazione.
Vizio di motivazione viene, altresì, dedotto anche con particolare riferimento all’attualità del pericolo di recidiva e all’adeguatezza della
misura inframuraria, ove si tenga conto che i fatti contestati al Franzese risalgono agli anni 2019-2023 (la contestazione provvisoria indica nel 2023 la data di cessazione della permanenza del reato associativo) e il ricorrente è stato detenuto sino al giugno del 2024.
Con motivi nuovi del 26.5.2025, l’avv. NOME COGNOME denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo e alla utilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia NOME COGNOME
Il ricorso va rigettato, essendo sorretto da motivi in parte infondati, in parte inammissibili.
Come è noto in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. II, 2.2.2017, n. 9212, rv. 269438; Sez. IV, 3.2.2011, n. 14726; Sez. III, 21.10.2010, n. 40873, rv. 248698; Sez. IV, 17.8.1996, n. 2050, rv. 206104; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, rv. 215331; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, rv. 265244).
Pertanto quando, come nel caso, in esame, vengono denunciati vizi del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
contro
llando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza, oltre che all’esigenza di completezza espositiva (cfr. Sez. V, 20.10.2011, n. 44139, 0.M.M.).
5.1. Orbene, non appare revocabile in dubbio che il tribunale del riesame di Napoli abbia fatto buon uso di tali principi.
Il giudice dell’impugnazione cautelare, invero, ha ritenuto sussistenti a carico del ricorrente i gravi indizi di colpevolezza per il reato oggetto dell’imputazione provvisoria, sulla base di una meditata e congrua valutazione delle risultanze processuali, compiutamente esposta.
Il ruolo del COGNOME di partecipe all’associazione a delinquere di stampo camorristico di cui si discute, costituente articolazione del sodalizio camorristico noto come “clan COGNOME” (la cui esistenza non è contestata dal ricorrente), all’interno del quale l’indagato svolgeva il compito di esecutore delle direttive dei referenti del “clan”, preposto in particolare al compimento di attività estorsive sui territori dei comuni di Frattamaggiore, Frattaminore e zone limitrofe, è stato desunto da una serie di elementi concreti, dotati di oggettivo valore indiziario, sui quali il giudice dell’impugnazione cautelare si è soffermato con motivazione contraddistinta da intrinseca coerenza logica.
Il COGNOME, invero, risulta essere stato tratto in arresto per un tentativo di estorsione in danno dell’imprenditore COGNOME NOME, posto in essere con tipiche modalità mafiose, in quanto la richiesta estorsiva, finalizzata a ottenere una percentuale del 3% sul valore dell’appalto conferito all’imprenditore, era stata rivolta a quest’ultimo evocando l’esistenza di un gruppo criminale mafioso egemone sul territorio (i “compagni” con i quali bisognava “mettersi a posto”), di cui occorreva soddisfare le consistenti pretese economiche (corrispondenti a 15.000,00
euro l’anno) con versamenti rateali nei periodi di Pasqua, Agosto e Natale.
Inoltre, pur in assenza di intercettazioni telefoniche svolte sull’utenza in uso al Franzese, il tribunale del riesame, nel replicare al rilievo svolto dalla difesa al riguardo (e acriticamente riproposto dal ricorrente in questa sede, senza confrontarsi realmente con la motivazione del provvedimento impugnato, con un motivo, che, per tale ragione, risulta inammissibile per genericità: cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710), ha valorizzato il contenuto di una serie di conversazioni intercettate sull’utenza di COGNOME NOME, dalle quali emerge con chiarezza, nella congrua valutazione operatane dal giudice dell’impugnazione cautelare, come il COGNOME fosse uno degli uomini di fiducia, unitamente ad COGNOME NOME, di NOME NOME, soprannominato “COGNOME“, referente del sodalizio camorristico in parola per tutte le attività delittuose da compiere nel territorio del comune di Crispano.
Al riguardo vanno ribaditi i principi affermati da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato (o l’indagato), costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall’art. 192 comma primo, c.p.p., senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno (cfr. Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260842).
Del COGNOME riferiscono anche i collaboratori di giustizia COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME, che ne hanno delineato la carriera criminale nel mondo della criminalità organizzata operante nei comuni di Crispano, Frattaminore e Frattamaggiore, evidenziando, in moto particolare il NOME e il COGNOME, che lo riconoscevano in fotografia, il suo ruolo di primo piano proprio nel settore delle estorsioni.
La conclusione del tribunale del riesame sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione del COGNOME al sodalizio
camorristico di cui si discute appare, pertanto, del tutto conforme ai principi da tempo elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, alla luce dei quali si è evidenziato come, ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, l’investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso che emergono emergere anche da significativi “facta concludentia”.
Non è, pertanto, necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale, precisandosi che, qualora manchi la dimostrazione dell’inserimento formale del singolo all’interno della cosca, la prova della partecipazione può essere ricavata anche dal compimento di una o più attività significative nell’interesse dell’associazione criminale (cfr. Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, Rv. 273571, Sez. 2, n. 18559 del 13/03/2019, Rv. 276122).
Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, invero, si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell’organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiché, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l’offesa all’ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. «messa a disposizione», che è di per sé idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialità operative e la capacità di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale (cfr. Sez. 5, n. 27672 del 03/06/2019, Rv. 276897).
Se ciò è vero, è, tuttavia, altrettanto vero che il reato di cui all’art. 416 bis, c.p., pur nella sua peculiarità, resta pur sempre un reato associativo, trovando, pertanto applicazione anche in relazione a tale fattispecie, il tradizionale insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di associazione per delinquere, è consentito al giudice, pur nell’autonomia del delitto-mezzo rispetto ai delitti-fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che, attraverso di essi, si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, Rv. 285126).
Ed in questo senso significativo è il richiamo effettuato dal tribunale del riesame all’arresto operato nei confronti del Franzese in data 7.7.2022 per il tentativo di estorsione aggravata dalla modalità mafiosa commesso in danno del COGNOME.
A fronte di tale limpido percorso argomentativo i rilievi del ricorrente volti a contestare la sussistenza dei gravi dei gravi indizi di colpevolezza, non solo non colgono nel segno, ma appaio inammissibili, consistendo, in ultima analisi, in una mera rivalutazione del compendio indiziario, non consentita in questa sede posto che, in caso contrario, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Si tratta, peraltro, di censure, come si è già fatto notare, caratterizzate da genericità, che si apprezzano sotto diversi profili.
Ad esempio, l’affermazione secondo cui il tribunale del riesame non avrebbe indicato le ragioni per cui nelle conversazioni telefoniche intercettate è possibile affermare che gli interlocutori facessero riferimento proprio al COGNOME, non tiene conto del fatto che il giudice dell’impugnazione cautelare, commentando la telefonata captata in data
9.7.2022, ha evidenziato come i due conversanti stessero discutendo della tentata estorsione di appena due giorni prima, in relazione alla quale l’interlocutore del COGNOME, rimasto sconosciuto, aveva chiesto a quest’ultimo, con termine non caso gergale (“cucinati2”), se gli autori della richiesta estorsiva fossero stati arrestati.
Identiche considerazioni valgono per il rilievo sullo stato di detenzione del Franzese.
Come è stato sottolineato da tempo, infatti, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il sopravvenuto stato detentivo del soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura caratterizzata da complessità, forti legami tra gli aderenti e notevole spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine – accetta il rischio di periodi di detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualità che, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attività e, dall’altro, non ne fanno venir meno la disponibilità a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione con cui il tribunale del riesame aveva reputato sussistere la permanenza del vincolo associativo in capo all’indagato – “braccio destro” del capoclan nonostante la sofferta detenzione, sottolineando come i suoi contatti con il medesimo, e con l’intero gruppo, fossero nel frattempo continuati anche in ragione della periodica erogazione di somme di denaro da parte del sodalizio: cfr. Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, Rv. 269121).
In tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, dunque, il sopravvenuto stato detentivo non esclude la permanenza della partecipazione al sodalizio, che viene meno solo in caso di cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato, quali, a mero titolo esemplificativo, un lungo periodo di detenzione in assenza di contatti con la consorteria, il trasferimento in luogo distante da quello della sua
operatività o una contrapposizione interna al sodalizio seguita dall’allontanamento di uno dei sodali (cfr. Sez. 6, n. 1162 del 14/10/2021, Rv. 282661), circostanze del tutto assenti nel caso in esame e nemmeno prospettate dal ricorrente.
Quanto alle contestazioni sul contenuto e sulla utilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, si tratta di rilievi, in parte inammissibili, perché generici, e comunque superflui, perché, ove anche se ne volesse fare a meno, il grave quadro indiziario manterrebbe la sua solidità in ragione del contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate e del più volte richiamato episodio estorsivo in cui è stato coinvolto e sul quale, giova rilevare, nessuna critica è stata articolata dal ricorrente.
5.2. Infondati sono i rilievi sulla sussistenza delle esigenze cautelari.
Il tribunale del riesame, invero, sul tema ha reso un’ampia e congrua motivazione relativa proprio alla specifica posizione del Franzese, rilevando, da un lato, la mancanza di prove in ordine a un’eventuale rescissione da parte sua del legame associativo, dall’altro la sussistenza di specifici elementi sui quali fondare il concreto e attuale pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie (precedenti penali, anche specifici per il reato di estorsione aggravata ex art. 416 bis.1, cod. pen., e il pieno coinvolgimento dell’indagato nelle attività criminali del “clan COGNOME“, che denotano una notevole pericolosità di quest’ultimo), ove anche non sussistesse la presunzione di cui all’art. 275, co. 3, c.p.p., rendendo la misura cautelare attualmente in esecuzione, l’unica in grado di soddisfare l’anzidetta esigenza di tutela della collettività (cfr. pp. 5 e 6 dell’impugnata ordinanza).
Al riguardo giova evidenziare come sul punto siano maturati due distinti orientamenti nella giurisprudenza di legittimità, che, partendo dalla natura relativa della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, di cui alla previsione dell’art. 275, co. 3, c.p.p., indicano un percorso diverso in grado di superarla.
Secondo alcune decisioni, infatti, in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato previsto dall’art. 416-bis, c.p., ai fini del
superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p., occorre distinguere tra associazioni mafiose storiche o comunque caratterizzate da particolare stabilità, in relazione alle quali è necessaria la dimostrazione del recesso dell’indagato dalla consorteria, non rilevando, ai fini dell’attualità delle esigenze cautelari, la distanza temporale tra l’applicazione della misura ed i fatti contestati, ed associazioni mafiose non riconducibili alla categorie delle mafie “storiche”, per le quali può rilevare a tali fini anche il decorso del tempo (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 6389 del 15/07/2019, Rv. 276905;Cass., Sez. 2, n. 7260 del 27/11/2019, Rv. 278569).
Secondo altro orientamento, invece, in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p., è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi o di delitto aggravato dall’art. 7 della legge n. 203 del 1991 (ora art. 416-bis 1, c.p.), non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (cfr. Cass., Sez. 3, n. 6284 del 16/01/2019, Rv. 274861).
Pertanto, ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma terzo, c.p.p., non assume rilevanza la distinzione tra mafie “storiche” e formazioni di nuova costituzione, in quanto in entrambi i casi la presunzione è superata a fronte della prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio criminale, a prescindere dalla perdurante stabilità dell’associazione (cfr. Cass., Sez. 6, n. 15753 del 28/03/2018, Rv. 272887). Se, dunque, la dissociazione o l’irreversibile allontanamento dell’indagato dall’associazione criminale, consentono di vincere la citata presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, indipendentemente dal carattere “storico” o meno
dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, è in ordine al rilievo del tempo trascorso tra i fatti contestati e l’applicazione della misura sulla esistenza e sulla attualità delle esigenze cautelari, che si apprezza la distinzione tra i menzionati orientamenti giurisprudenziali.
Nel caso in esame, tuttavia, non ricorre nessuna delle condizioni che consentirebbero astrattamente di vincere la presunzione di cui all’art. 275, co. 3, c.p.p., non risultando l’allontanamento del Franzese dall’ambiente criminale camorristico di appartenenza (a tal fine è del tutto irrilevante, come si è detto, l’avvenuto arresto dell’indagato e lo stato di detenzione cui lo stesso è stato sottoposto sino al 2024, come indicato dallo stesso ricorrente) e avendo il tribunale del riesame specificamente motivato sulla concretezza e attualità dell’esigenza cautelare di pericolosità sociale, nonché sull’adeguatezza della misura cautelare applicata.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1 ter, disp. att., c.p.p.