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Associazione di tipo mafioso: la Cassazione sui nuovi clan

Un indagato ricorre in Cassazione contro un’ordinanza di custodia cautelare per associazione di tipo mafioso, sostenendo che il gruppo criminale mancasse delle caratteristiche tipiche. La Corte rigetta il ricorso, affermando che una nuova organizzazione, anche se composta da membri di mafie storiche diverse, può costituire un’autonoma associazione di tipo mafioso se esercita un potere di intimidazione e crea un clima di assoggettamento nel territorio in cui opera, confermando così la validità della misura cautelare.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: la Cassazione sui nuovi clan e le mafie atipiche

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: la configurabilità del reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) per sodalizi di nuova formazione, autonomi rispetto alle mafie storiche. La decisione chiarisce i requisiti necessari per qualificare come mafioso un gruppo criminale, focalizzandosi sulla sua effettiva capacità di intimidazione piuttosto che sulla sua origine storica.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da un ricorso presentato da un indagato avverso un’ordinanza del Tribunale del Riesame che disponeva nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso. Inizialmente, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva rigettato la richiesta di misura cautelare, non ritenendo provata l’esistenza di un vero e proprio sodalizio mafioso.

Il Pubblico Ministero aveva impugnato con successo tale decisione, ottenendo dal Tribunale del Riesame il provvedimento restrittivo. L’indagato, tramite il suo difensore, ha quindi proposto ricorso per Cassazione, articolando tre motivi principali:

1. Violazione di legge (art. 416-bis c.p.): Si contestava che il gruppo avesse le caratteristiche di un’associazione mafiosa, sostenendo che si trattasse piuttosto di una convergenza temporanea di interessi e che mancasse una reale capacità intimidatoria esterna.
2. Carenza di indizi di partecipazione: Anche ammettendo l’esistenza del sodalizio, si negava che vi fossero elementi sufficienti a dimostrare la partecipazione dell’indagato, il cui ruolo sarebbe stato marginale e non pienamente consapevole.
3. Vizio di motivazione sulle esigenze cautelari: Si lamentava che l’ordinanza fosse carente nel giustificare la necessità della misura cautelare, basandosi su una mera presunzione legata al titolo di reato.

L’Analisi della Corte: Quando un Clan è un’Associazione di Tipo Mafioso?

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una motivazione approfondita e di grande interesse. Il punto centrale della decisione riguarda la definizione stessa di associazione di tipo mafioso nell’era delle “nuove mafie”.

I giudici hanno chiarito che per configurare il reato non è necessario un legame diretto con le mafie storiche (‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra). Un’organizzazione criminale può essere considerata mafiosa se, pur essendo di nuova costituzione e autonoma, possiede tre caratteristiche fondamentali:

1. Fama e prestigio criminale autonomi: Il gruppo deve aver acquisito una propria reputazione criminale, distinta da quella dei singoli membri.
2. Capacità di intimidazione effettiva: Deve manifestare una forza intimidatrice percepita come tale nel territorio in cui opera.
3. Produzione di assoggettamento e omertà: La sua azione deve generare un clima di sottomissione e silenzio nella comunità.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente evidenziato come il sodalizio, operante in Lombardia e composto da soggetti provenienti da diverse estrazioni criminali, avesse sviluppato una propria identità e un’autonoma forza intimidatrice, diventando un punto di riferimento criminale nel territorio.

Il Metodo Mafioso e la Nuova Organizzazione

La Corte ha sottolineato come il “metodo mafioso” non richieda necessariamente atti di violenza esplicita. La forza del gruppo risiedeva proprio nella sua capacità di raggiungere gli scopi “senza spari”, sfruttando la fama criminale dei suoi componenti e la percezione della sua pericolosità. L’associazione era in grado di infiltrarsi nell’economia, gestire traffici illeciti e risolvere controversie interne, dimostrando una stabilità e una struttura organizzativa tipiche dei clan mafiosi.

La sentenza ha valorizzato elementi come l’esistenza di una “cassa comune” per assistere i detenuti, la gestione unitaria dei conflitti tra affiliati e la consapevolezza dei membri di far parte di un’entità superiore e permanente. Questo ha permesso alla Corte di qualificare il gruppo non come una semplice propaggine delle mafie di origine, ma come un’entità criminale nuova e autonoma, un tertium genus nel panorama mafioso.

La Partecipazione dell’Indagato e il Principio Devolutivo

Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte ha respinto la tesi difensiva secondo cui non si potessero utilizzare, per provare la partecipazione al reato associativo, condotte relative a reati-fine per i quali non era stato proposto appello dal PM. I giudici hanno chiarito che, pur nel rispetto del principio devolutivo (che limita il giudizio d’appello ai punti della decisione impugnata), le condotte materiali possono essere valutate come elementi di fatto per dimostrare il contributo del singolo al sodalizio.

Le intercettazioni telefoniche, secondo la Corte, dimostravano in modo logico e coerente la piena consapevolezza dell’indagato riguardo all’illiceità degli affari e il suo ruolo attivo all’interno delle dinamiche associative, smentendo la sua rappresentazione come mero “prestanome”.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’analisi rigorosa degli elementi probatori e su consolidati principi giurisprudenziali. La Cassazione ha ritenuto la motivazione del Tribunale del Riesame “esauriente, molto completa e convincente”, in grado di superare le lacune del primo provvedimento del GIP. È stato evidenziato come il ricorso dell’indagato si risolvesse in una richiesta di diversa valutazione del merito dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.

Per quanto riguarda le esigenze cautelari, la Corte ha ribadito che per il reato di associazione di tipo mafioso opera una presunzione legale di pericolosità sociale. Tale presunzione può essere superata solo fornendo la prova di una rescissione stabile e definitiva dei legami con l’organizzazione criminale, prova che nel caso di specie non era stata offerta. Di conseguenza, il richiamo alla presunzione da parte del Tribunale è stato ritenuto corretto e sufficiente.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma dell’orientamento giurisprudenziale che adatta l’interpretazione dell’art. 416-bis c.p. all’evoluzione del fenomeno mafioso. La decisione stabilisce con chiarezza che la qualifica di associazione di tipo mafioso dipende dalla sostanza del potere criminale esercitato e non dalla forma o dall’origine storica del gruppo. Questo principio è fondamentale per contrastare efficacemente le nuove organizzazioni criminali che, pur operando con metodi mafiosi, cercano di mascherarsi dietro apparenze legali o strutture atipiche, specialmente nei territori del Nord Italia dove l’infiltrazione mafiosa assume forme sempre più sofisticate.

Come può un nuovo gruppo criminale essere considerato un’associazione di tipo mafioso?
Un gruppo criminale di nuova formazione, anche se composto da membri di diverse mafie storiche, può essere considerato un’associazione di tipo mafioso se dimostra di possedere un’autonoma capacità di intimidazione, se questa è percepita nel territorio in cui opera e se genera un conseguente stato di assoggettamento e omertà, a prescindere da legami formali con le organizzazioni tradizionali.

È necessario l’uso esplicito della violenza per configurare il “metodo mafioso”?
No. La sentenza chiarisce che il “metodo mafioso” può manifestarsi anche senza il ricorso a minacce o violenze esplicite. È sufficiente che il gruppo criminale sfrutti la propria fama e la forza intimidatrice che ne deriva per raggiungere i propri scopi, inducendo le vittime a sottostare alle sue richieste per timore di ritorsioni.

Come viene valutata la partecipazione di un singolo a un’associazione ai fini di una misura cautelare?
La partecipazione viene valutata sulla base di gravi indizi di colpevolezza. Elementi come le conversazioni intercettate, che dimostrano la consapevolezza dell’illiceità degli affari gestiti e il ruolo attivo del soggetto nelle dinamiche del gruppo, sono considerati sufficienti. Anche le condotte relative a reati-fine possono essere valutate come indizi della partecipazione al sodalizio criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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