Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15125 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15125 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
consapevole di essere tale e a ciò si era prestato, avendo un riscontro economico da tale attività.
Avverso detto provvedimento proponeva ricorso l’indagato tramite il difensore di fiducia, articolando tre motivi di doglianza.
2.1 Con il primo motivo lamenta violazione di legge, relativamente all’art.416 bis cod. pen. e 274 cod. proc. pen., violazione dell’art. 8 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Ritiene il ricorrente che l’impugnato provvedimento abbia errato nel ritenere sussistente un’associazione con le caratteristiche richiesta dall’art. 416 bis cod. pen. in ragione della appartenenza alle mafie storiche dei singoli componenti, come nel caso di COGNOME NOME, che avrebbe implementato la mafiosità del consorzio grazie al fatto di essere il figlio e di rappresentare COGNOME Santo, capo ‘ndranghetista della Calabria Ionica.
Secondo il ricorrente le motivazioni poste dal giudice per le indagini preliminari a fondamento del rigetto della richiesta di misura sarebbero rimaste non scalfite dalle argomentazioni del Tribunale
del Riesame che non avrebbe comunque dimostrato la presenza di una situazione stabile, piuttosto che di una temporanea e occasionale convergenza di singoli e di interessi.
NØ la creazione di una società commerciale comune fra i tre referenti dell’associazione, la RAGIONE_SOCIALE, acronimo di NOMECOGNOME NOMECOGNOME e NOMECOGNOME Ł elemento indicativo, perchØ sarebbe stata unicamente funzionale a risolvere il conflitto creatosi fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Mancherebbe la prova della esistenza di una cassa comune, non individuabile nel fatto che alcuni indagati si siano adoperati per il mantenimento di altri incarcerati, così come quanto ai summit non vi sarebbe la prova che non fossero incontri destinati alla gestione del singolo affare.
Inspiegabile, poi, sarebbe la sostanziale neutralità delle altre compagini criminose operanti in Lombardia alla creazione di questa sorta di organismo consortile, potenzialmente antagonista rispetto ai loro interessi.
Ulteriore aspetto censurato dal ricorrente Ł la sostanziale assenza di capacità intimidatoria estrinseca del sodalizio, poichØ la stessa non potrebbe rinvenirsi nella mafiosità dei singoli compartecipi pena una insanabile contraddizione fra la assunta alterità ed autonomia dell’organismo lombardo e il legame mafioso con le consorterie di origine.
Secondo il ricorrente, in definitiva, la contestazione, mossa all’indagato di fare parte della cosca COGNOME in Lombardia, da ritenersi mera propaggine dell’associazione con sede in Calabria, quale cellula delocalizzata, comporterebbe – rispetto alle attività delinquenziali, comunque, riferibili al sodalizio COGNOME anche in Lombardia – la competenza della AG di Reggio Calabria.
2.2 Con il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 416 cod. pen., 274 cod. proc. pen., 310, 597 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Secondo il ricorrente, anche laddove si dovesse ritenere sussistente la associazione, non vi sarebbero sufficienti elementi per ritenere che l’indagato ne facesse parte; egli, infatti, non ha partecipato ad alcun summit, Ł estraneo alle attività di narcotraffico, ovvero ai reati in materia di armi contestati al sodalizio.
La condotta partecipativa del COGNOME viene fatta coincidere con il concorso in alcuni reati di interposizione fittizia e di natura tributaria e fiscale; per tali condotte il giudice per le indagini preliminari non aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza ovvero le esigenze cautelari, e, in ogni caso, il Pubblico Ministero non ha appellato tale decisione, ma unicamente il mancato riconoscimento dei gravi indizi di colpevolezza per il capo 1).
Conseguentemente, per tali contestazioni si sarebbe formato il giudicato cautelare e, ciononostante, il Tribunale avrebbe utilizzato le medesime contestazioni per desumere dalle stesse la condotta partecipativa nell’associazione, con ciò violando il principio devolutivo.
Secondo il ricorrente non sarebbe possibile non vagliare i gravi indizi di colpevolezza per i reati per i quali non Ł stato interposto appello e poi valutare tali condotte come indizi della partecipazione all’associazione.
Non vi sarebbe inoltre prova della fittizietà delle intestazioni, ovvero della insussistenza dei crediti di imposta, nØ della adesione del COGNOME al programma criminoso degli amministratori occulti delle società.
Quanto poi alle conversazioni intercettate, il ricorrente ne rilevava la inconferenza, poichØ COGNOME veniva definito prestanome, ma ciò appare incompatibile con il ruolo di partecipe dell’associazione, posto che il prestanome Ł soggetto sacrificabile, e in tale ruolo difficilmente vengono fatti rientrare i sodali.
Inoltre, rilevava come NOME fosse un millantatore e, dunque, come la conversazione riportata nell’impugnato provvedimento non potesse avere alcun valore, non essendo compensabili i debiti verso i dipendenti con il credito di imposta e non esistendo alcuna società di certificazione
denominata MGKM.
La conversazione in cui interveniva direttamente il COGNOME non viene ritenuta dal ricorrente, contrariamente a quanto concluso sul punto dal Tribunale del Riesame, indicativa di un affectio societatis , in difetto della prova di un dolo specifico della condotta partecipativa od anche del dolo richiesto per il concorso esterno in associazione.
2.3 Con il terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 292, 274, 275 cod proc pen e il vizio di motivazione.
La gravata ordinanza sarebbe carente sotto il profilo motivazione in punto alla sussistenza delle esigenze cautelari che, stante il titolo di reato, sono assistite da una mera presunzione semplice.
Il mero richiamo al titolo di reato non Ł sufficiente, sarebbe stato necessario richiamarsi a elementi ben piø pregnanti di mere formule di stile.
Il sostituto procuratore generale NOME COGNOME concludeva all’udienza fissata per la discussione orale richiesta dal difensore il rigetto del ricorso.
Il difensore concludeva chiedendo l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato.
In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito. (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019 Rv. 276976 – 01)
Circa poi l’ulteriore aspetto della necessità di una motivazione rafforzata, stante l’ overturning decisionale che ha portato il Tribunale del riesame ad emettere il titolo cautelare, si ritiene di dare continuità al principio espresso da questa Corte, secondo il quale, in tema di appello cautelare, la riforma in senso sfavorevole all’indagato della decisione impugnata impone al tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, un rafforzato onere motivazionale, valevole a superare le lacune dimostrative evidenziate dal primo giudice, essendo necessario confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata (Sez. 1, n. 47361 del 09/11/2022, La, Rv. 283784 – 01).
Date queste premesse di principio, si osserva che se, da un lato, in linea generale, le ragioni di doglianza esposte dal ricorrente nei motivi di ricorso sono tutte rivalutative, per contro, la motivazione del Tribunale del Riesame a sostegno della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza Ł del tutto esauriente, molto completa e convincente, dotata di maggiore credibilità razionale, come ritenuto necessario in caso di overturning , appunto; le ragioni opposte da COGNOME tendono a sollecitare – attraverso la parcellizzazione della valutazione degli elementi di prova – una diversa valutazione del quadro indiziario, per fare rivivere quel giudizio negativo espresso dal Gip, abbondantemente e convincentemente superato dal Tribunale.
1.1 Il primo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
Ai fini della qualificazione ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen. di una nuova ed autonoma formazione criminale Ł necessario accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da esser capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacità di intimidazione, ancorchØ non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia,
nell’ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di effettiva operatività; c) abbia manifestato una capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale ed abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel “territorio” in cui l’associazione Ł attiva (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 – 17).
D’altra parte, l’agire professionale, violento e organizzato non Ł sufficiente “ex se” per la configurabilità dell’aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso”, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., essendo necessaria la ragionevole percezione, anche solo ipotetica, da parte della persona offesa della provenienza dell’attività delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso; in motivazione, la Corte ha individuato gli indici idonei ad ingenerare nella persona offesa una piø
accentuata condizione di minorata difesa indotta dalla parvenza di un agire mafioso nella consapevolezza della presenza, nel territorio di riferimento, di sodalizi criminali, negli espliciti richiami all’appartenenza o alla vicinanza a tali sodalizi e nelle concrete modalità di coercizione poste in essere (Sez. 2, n. 28061 del 22/05/2024, Pmt, Rv. 286723 – 01).
Nel valutare i gravi indizi, il Tribunale si Ł esaustivamente occupato delle questioni relative alla sussistenza di un vincolo associativo e all’esercizio e alla esternalizzazione del metodo mafioso, oggetto delle censure, a contenuto meramente confutativo, del ricorrente.
La stabilità del vincolo tra gli associati e la sua tendenziale permanenza, tale comunque da non esaurirsi nella consumazione di singoli reati – fine, dalla continuità e frequenza degli incontri e degli accordi, dall’apporto comune di capitali e mezzi al fine di perseguire un comune fine di profitto, dall’esistenza di una cassa comune, dalla consapevolezza delle condotte criminose, anche gravi, commesse da altri sodali, e dal frequente richiamo degli indagati stessi all’esistenza di un’associazione costituita in quel territorio, e di cui sarebbero partecipi (così, ad esempio, in relazione alla creazione della RAGIONE_SOCIALE, e, in piø parti della motivazione, le affermazioni di singoli indagati sull’attività di RAGIONE_SOCIALE quale ‘epicentro di molti equilibri’, sulla costruzione di ‘un’associazione che non finisce mai’, sulla necessità di ‘trovare una quadra per guadagnare tutti’, sulla non operatività di Sicilia, Roma e Napoli perchØ ‘Qua Ł Milano … le cose giuste qua si fanno’, sulla scomparsa della distinzione tra le tre mafie storiche di provenienza, laddove NOME COGNOME dice ad Amico ‘qua siamo tutti e tre, siamo tutti insieme, siamo tutti una cosa’).
Da questi elementi, approfonditamente valutati nell’ordinanza, il Tribunale ha dedotto la sussistenza della necessaria affectio societatis , negando la rilevanza dei contrasti interni, sulla base dei quali il giudice per le indagini preliminari aveva, principalmente, escluso la sussistenza di un’associazione, ed anzi evidenziando gli sforzi dei vari associati per risolvere ogni contesa, in vista del perseguimento della comune finalità di profitto.
Quest’ultimo aspetto, che l’ordinanza impugnata esamina in relazione alla controversia tra i COGNOME e NOME COGNOME sottolineando il coinvolgimento di esponenti dei diversi gruppi criminali al fine di comporre la diatriba nell’interesse di tutti, Ł stato piø volte ritenuto costituire, dalla giurisprudenza di legittimità, un elemento significativo dell’esistenza di un vincolo associativo, affermandosi che «In tema di associazione per delinquere, l’esistenza di scopi personali diversi e contrapposti tra i singoli associati, operanti nell’ambito di strutture imprenditoriali autonome e concorrenti, non Ł ostativa al riconoscimento del vincolo associativo, ove tali divergenze trovino composizione in un progetto generale, da realizzare mediante le attività delittuose, finalizzato a perseguire un utile da ripartire tra le diverse imprese» (Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, Rv. 28158901; si veda anche Sez. 3, n. 25994 del 22/07/2020, Rv. 279825-01).
Analogo rilievo Ł stato dato all’esistenza di una cassa comune, destinata soprattutto ad assicurare l’assistenza giudiziaria ed economica ai detenuti e alle loro famiglie, sottolineando che ad essa contribuiscono tutti i gruppi, così evidenziando l’esistenza di un vincolo di mutua solidarietà, in base al quale tutti provvedono a fornire tale assistenza a prescindere dalla compagine di
provenienza del singolo (ad esempio concorrendo i Pace, i Crea e i Fidanzati a far fronte al sostentamento di NOME COGNOME e dei suoi familiari).
La motivazione dell’ordinanza impugnata, pertanto, su questo punto Ł logica e completa, tenuto conto del livello di gravità indiziaria che deve essere ritenuto sufficiente per l’emissione di una misura cautelare; lo stesso giudice per le indagini preliminari, peraltro, nelle conclusioni dell’ordinanza genetica, non ha radicalmente escluso la possibilità di configurare, alla luce della comune organizzazione di mezzi e di persone, l’esistenza di un’associazione semplice quanto meno tra alcuni dei soggetti indagati, pur dubitando della sussistenza, tra tutti, di una reale affectio societatis .
Il Tribunale del riesame ha approfonditamente esaminato gli indizi relativi all’impiego del metodo mafioso e la sua necessaria esternalizzazione, valorizzando le modalità esecutive dei numerosi episodi estorsivi, il piø delle volte consumati senza ricorrere a minacce espresse, ma semplicemente evocando la loro appartenenza non ad un singolo gruppo (o mafioso o camorristico o di ‘ndrangheta), ma trasversalmente ed indifferentemente a tutti quelli coinvolti nella nuova organizzazione, la cui forza di intimidazione Ł evidentemente conosciuta dalla comunità sociale di riferimento, anche dalle persone che non si sono mai direttamente confrontate con quel mondo criminale.
E’ dimostrato in numerose vicende analiticamente ricostruite dall’ordinanza il costante impiego di minacce, violenze, soprusi, prepotenze per rinnovare la fama criminale già connessa al nome delle varie consorterie di riferimento dei singoli sodali, ma liberamenteutilizzabile da tutti gli appartenenti in forza del patto associativo trasversale concluso dagli esponenti di diversa estrazione mafiosa.
Sistematica proiezione esterna del metodo mafioso Ł riscontrabile anche nei settori del narcotraffico, dell’infiltrazione del sistema economico, del riciclaggio e dei reati fiscali.
Secondo il Tribunale, la peculiarità del sodalizio riposa nella diversa estrazione dei suoi componenti, autorizzati dalle rispettive organizzazioni mafiose di appartenenza, cui rimangono funzionalmente collegati, a dare vita e rendere operativa un nuovo ‘sistema’, distinto dalla confederazione perchØ caratterizzato da una struttura organizzativa autonoma delle sue articolazioni o sottogruppi i cui componenti non sono accumunati dalla comune provenienza dalla medesima associazione mafiosa.
In ragione di tale peculiare connotazione, il gruppo Ł stato in grado di esternare una sua capacità intimidatrice, effettiva ed autonoma, sia pure derivante dal collegamento con le singole associazioni di appartenenza dei suoi sodali e dalla fama criminale acquista da queste ultime e dai singoli componenti nel territorio di interesse.
In quest’ottica, il sodalizio presenta una mafiosità immanente, che Ł permeata dalla mafiosità dei suoi componenti piø rappresentativi.
Secondo il Tribunale, Ł rilevante il fatto che la spendita della fama criminale delle mafie storiche di appartenenza avvenga, talvolta, da parte di sodali affiliati, in realtà, ad una diversa associazione storica, evidentemente con il consenso degli altri associati in quanto dimostrazione della particolarità ed autonomia dell’associazione qui contestata.
Piø in dettaglio, l’ordinanza ha ritenuto dimostrata l’avvenuta acquisizione della forza intimidatrice, sul territorio lombardo, da vicende come quella che coinvolge tale COGNOME ( in una delle conversazioni uno degli associati, COGNOME, si compiace del fatto di raggiungere ‘senza spari’ lo scopo che l’associazione si Ł prefissata), quella che coinvolge la segretaria generale del Comune di Abbiategrasso che, pur non assoggettandosi ad essa, comprende facilmente la natura mafiosa della richiesta avanzatale da COGNOME e la qualità mafiosa del soggetto o dei soggetti di cui questi avrebbe fatto il nome, quella relativa alla gestione del bar e dei parcheggi dell’ospedale di Desio da
parte della RAGIONE_SOCIALE per azioni, le cui modalità avrebbero allarmato i dipendenti, tra i quali correva la voce che tali attività fossero in mano a ‘mafiosi’ e, piø in generale, dall’atteggiamento omertoso di molte vittime di estorsioni, che avrebbero omesso di denunciare i fatti commessi in loro danno, o li avrebbero esposti in termini riduttivi rispetto a quanto emerge dalle intercettazioni.
L’incapacità, per gli abitanti del territorio, di individuare con precisione l’associazione criminale che sta esercitando tale forza intimidatrice non Ł stata ritenuta rilevante; anzi essa Ł stata interpretata come una indiretta conferma della diversità e autonomia dell’associazione contestata, rispetto ai gruppi storici di riferimento dei vari associati.
L’ordinanza afferma specificamente, con motivazione logica e consequenziale alle vicende esaminate, che la forza intimidatrice promana dall’associazione stessa ed Ł ad essa «immanente», in virtø delle azioni che essa compie e dell’assoggettamento che ha realizzato nel territorio, e non deriva dai singoli associati o dalle mafie storiche a cui questi ultimi fanno riferimento.
Secondo l’ordinanza impugnata, quindi, l’associazione ha una propria ‘mafiosità’, derivante anche dalla partecipazione ad essa di soggetti dalla già accertata caratura mafiosa, ma soprattutto la manifesta all’esterno in modo autonomo, pur avvalendosi anche dell’assoggettamento già realizzato nel territorio lombardo, in passato, dalle singole mafie storiche, in quanto opera in modo distinto rispetto a queste ultime e mantiene, rispetto ad esse, una propria autonomia.
Il Tribunale si Ł espresso sulla qualificazione di detta associazione come una mafia ‘nuova’, o ‘atipica’, o ‘a soggettività differente’, o addirittura come un ‘ tertium genus ‘, dichiarando anzi esplicitamente di sottrarsi all’«afflato definitorio» presente nell’ordinanza genetica e nell’appello del pubblico ministero e sottolinea solamente che il fenomeno mafioso Ł in continua evoluzione e che la peculiarità della struttura associativa così come descritta non ne esclude la mafiosità, in quanto la ritiene accertata, in via indiziaria, con le medesime caratteristiche richieste dalla giurisprudenza di legittimità.
Anche questa parte della motivazione Ł logica, approfondita e non contraddittoria, e pertanto sufficiente, anche sotto il profilo della immanenza ed esternalizzazione del metodo mafioso, per ritenere presenti indizi gravi circa la sussistenza del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., quanto meno allo stato, e con riferimento agli elementi sufficienti per il giudizio cautelare.
Come ritenuto nell’impugnato provvedimento, che ha ampiamente motivato sul punto, la valutazione congiunta degli elementi in atti ha evidenziato la esistenza di una struttura organizzativa nuova, dotata di proprie risorse anche finanziarie oltre che organizzative, che aveva l’intento di intervenire nei settori piø disparati e pronta e individuare nuovi settori di intervento per incrementare il proprio reddito, utilizzando i metodi tipici della mafiosità.
A tal fine, l’ordinanza del Tribunale ha fatto ampio richiamo alle conversazioni intercettate, per evidenziare le relazioni di affari intessute fra i vari componenti, che si erano dotati delle strutture necessarie per portare a compimento operazioni nei piø disparati settori economici, costituendo società ad hoc, ovvero assumendo il controllo di strutture preesistenti, assicurandosi reciproca assistenza e procurandosi la disponibilità dei luoghi necessari per porre in essere attività illecite della piø disparata natura.
Ciò dimostra, nella prospettazione del Tribunale, la esistenza di una struttura organizzativa, anche articolata e complessa, la stabilità dei legami fra gli associati e la progettualità comune sottesa all’operatività delle società e della struttura tutta.
Quanto, poi, al carattere distintivo dell’associazione speciale di cui all’art. 416 bis c.p., l’ordinanza impugnata sottolinea come la struttura associativa in esame non sia sorta dal nulla e non avesse necessità di imporsi ex novo sul territorio, poichØ i soggetti che ne facevano parte erano già conosciuti dei territori di riferimento con riguardo alle attività criminali condotte in forma associata e
con forti legami e rapporti con le consorterie mafiose di riferimento.
A conferma di tale ricostruzione il provvedimento richiamava non solo il contenuto di plurime conversazioni intercettate, in cui Ł evidente l’utilizzo della intimidazione, della violenza e della minaccia, ma anche i verbali di sommarie informazioni di alcune persone offesa che a tali metodi di evidente intimidazione fanno riferimento.
Se da un lato, infatti, l’accettazione delle condizioni imposte dai consorziati poneva al sicuro dalle ritorsioni da parte degli stessi, dall’altro poneva le vittime sotto l’ala protettiva dei medesimi, secondo un metodo tipico dell’agire mafioso.
¨ proprio la forza dei legami con le strutture di appartenenza, afferma il Tribunale del Riesame, che sostituisce l’impiego della forza e di forme di intimidazione esteriori, al punto che l’organizzazione può raggiungere i suoi scopi «senza spari»: Ł la medesima appartenenza criminale che intimorisce di per sØ.
Con tali convincenti e diffuse argomentazioni il ricorrente non si misura confinando dunque il motivo nell’area della assoluta aspecificità.
1.2 Circa poi la rilevata competenza territoriale della autorità giudiziaria di Reggio Calabria, in ragione della asserita, ma non confermata, appartenenza del ricorrente alla cosca COGNOME, di cui agirebbe quale rappresentante in Lombardia, il Tribunale del Riesame aveva affrontato e risolto in senso negativo detta eccezione, avendo ritenuto la sussistenza di un’organizzazione criminosa autonoma a struttura orizzontale operante in Lombardia in maniera del tutto distinta rispetto alle strutture criminose di appartenenza dei sodali.
Per le ragioni esposte al precedente punto, l’ampia motivazione contenuta nell’impugnato provvedimento circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine all’esistenza di una stabile struttura organizzata avente le caratteristiche di cui all’art. 416 bis cod. pen. supera ogni rilievo critico del ricorrente e, conseguentemente, anche l’eccezione di incompetenza territoriale, facendosi riferimento nella contestazione all’appartenenza del COGNOME ad una associazione criminosa sorta, creata ed operante in Lombardia.
Il secondo motivo Ł infondato.
2.1 La cognizione del giudice dell’appello cautelare non Ł limitata alle deduzioni fattuali indicate nei motivi di impugnazione, ma l’estensione officiosa dell’ambito di indagine afferisce ai fatti e non al “thema decidendum”, che resta circoscritto nei confini dell’effetto devolutivo. (Sez. 1, n. 46262 del 18/11/2008 Rv. 242065)
E’ certo che debba essere rispettato il principio devolutivo, in ossequio al quale Ł inibito al Tribunale del riesame di applicare la misura per i reati rispetto ai quali non vi Ł stato appello, ma non vi Ł violazione del suddetto principio allorquando le condotte, intese come elementi di fatto, che asseritamente integrerebbero detti reati fine, vengono valutate per dare una consistenza all’attività partecipativa del ricorrente al sodalizio.
Tali elementi sono stati valutati nel provvedimento impugnato nei limiti del devoluto, cioŁ al fine di verificare la sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza del reato associativo.
In linea con tale conclusione si pone il principio espresso da questa Corte secondo cui la cognizione del giudice dell’appello cautelare Ł limitata, in applicazione al principio devolutivo, ai punti della decisione impugnata ma non all’ambito dei motivi dedotti e ciò soprattutto quando i punti investiti dal gravame si trovano in rapporto di pregiudizialità, dipendenza, inscindibilità o connessione con altri non oggetto di gravame, così da rendere necessaria, per il giudice del gravame, una completa “cognitio causae” nell’ambito del “devoluto”. (Sez. 5, n. 30828 del 29/05/2014 Rv. 260484)
2.2 Circa, poi, la contestata carenza di gravi indizi circa la partecipazione del ricorrente al
sodalizio, Ł opportuno premettere che Ł principio pacifico ripetutamente espresso da questa Corte, cui si intende dare continuità, quello secondo cui in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito. (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019 Rv. 276976)
La disamina della motivazione espressa dal Tribunale del riesame, riletta alla luce dei rilievi critici contenuti nel ricorso, evidenzia la molteplicità degli elementi indiziari a carico del COGNOME che consistono in intercettazioni di conversazioni fra presenti, rispetto alle quali il ricorrente propone una differente interpretazione, ponendosi così al di fuori dell’ambito del giudizio di legittimità.
Le ragioni di doglianza del ricorrente sono di fatto tutte rivalutative, la motivazione del Tribunale Ł esauriente, molto completa e convincente; le ragioni opposte dal ricorrente tendono a sollecitare attraverso la parcellizzazione della valutazione degli elementi di prova, una diversa valutazione del quadro indiziario, per fare rivivere quel giudizio espresso dal Gip, abbondantemente e convincentemente superato dal Tribunale.
L’ordinanza impugnata tratta dei gravi indizi in capo al COGNOME dalla pag. 215 e inizialmente riporta integralmente una conversazione in cui COGNOME NOME spiega il meccanismo utilizzato per portare in compensazione crediti tributari inesistenti, grazie alla certificazione di una società, definita erroneamente RAGIONE_SOCIALE
E’ del tutto priva di rilievo l’obiezione difensiva secondo cui NOME sarebbe un millantatore, in quanto sollecita una valutazione differente di tale aspetto di merito, cui il Tribunale ha inteso dare una interpretazione e un significato del tutto logico poichØ aderente al significato letterale delle espressioni utilizzate e che, in ogni caso, Ł operazione che, travalicando nell’analisi del fatto, Ł inibita al giudice di legittimità.
La conversazione riportata a pag. 220 del provvedimento impugnato Ł estremamente significativa, come correttamente ritenuto dal Tribunale, poichØ COGNOME e COGNOME si confrontano sul ruolo di COGNOME, degli altri amministratori di fatto, del loro compenso e del fatto che il ricorrente dovrà presto essere allontanato da quasi tutte le società in quanto «censito».
Il provvedimento, come già ricordato, richiama ulteriori conversazioni intercettate che danno conto del fatto che COGNOME Ł soggetto cui sistematicamente COGNOME e COGNOME hanno affidato partecipazioni ovvero ruoli formali nelle società facenti capo al sodalizio, e del quale non erano soddisfatti poichŁ non si atteneva alle loro indicazioni e, dunque, COGNOME aveva in animo di farsi spiegare esattamente cosa stesse facendo; inoltre vi sono ulteriori conversazioni che coinvolgono direttamente COGNOME da cui emerge chiaramente la consapevolezza del medesimo circa l’illiceità degli affari gestiti dalle società da lui rappresentate o partecipate.
L’ulteriore conversazione riportata integralmente alla pag. 227 del provvedimento impugnato – in cui Ł lo stesso ricorrente che illustra il proprio ruolo e i rapporti con i sodali – non necessita di alcun commento: ancora una volta i rilievi contenuti nel ricorso sono finalizzati a fornire un’interpretazione differente del contenuto della conversazione che, però, per come interpretata e utilizzata nell’impugnato provvedimento, Ł del tutto logica e priva di contraddizioni e dunque non Ł suscettibile di rivisitazione in questa sede.
Anche il terzo motivo Ł infondato.
In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato del reato di
associazione mafiosa, la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., come novellato dalla legge n. 47 del 2015, può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice (presenti agli atti o addotti dalla parte interessata) emerga che l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, sicchØ, in assenza di elementi a favore, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari. (Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018 Rv. 274180)
In tema di misure cautelari, ai fini del superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., anche in relazione al reato di partecipazione ad associazioni mafiose “storiche” deve essere espressamente considerato dal giudice, alla luce di una esegesi costituzionalmente orientata della citata presunzione, il tempo trascorso dai fatti contestati, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra “gli elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 2112 del 22/12/2023, Rv. 285895)
In tema di custodia cautelare in carcere, la presunzione relativa di pericolosità sociale posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. determina la necessità che il giudice, senza dover dar conto della ricorrenza dei “pericula libertatis”, si limiti a apprezzare le ragioni della sua esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali, in particolare, rilevano sia il fattore “tempo trascorso dai fatti”, che deve essere parametrato alla gravità della condotta, sia la rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, desumibile da indicatori concreti, quali le attività risocializzanti svolte in regime carcerario, volte al reinserimento nel circuito lavorativo lecito, nonchØ l’assenza di comportamenti criminali. (Sez. 5, n. 806 del 27/09/2023, Rv. 285879)
Il provvedimento impugnato ha fatto buon governo di tali principi; la presunzione relativa legata ex lege al titolo di reato per il quale Ł stata emessa la misura non Ł stata superata; il ricorrente non ha allegato alcun elemento da cui sia possibile evincere che vi sia stata una rescissione di legami con il sodalizio di appartenenza, nØ Ł trascorso un tale lasso di tempo dai fatti da richiedere al giudice uno sforzo motivazionale maggiore proprio per fondare i pericula libertatis , potendosi limitare, come correttamente fatto dal Tribunale di Milano, il giudice della cautela a richiamare la presunzione relativa.
4. Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
L’intervenuta definitività del provvedimento impone, ex art. 28 reg. esec. cod. proc. pen. la trasmissione dell’estratto per l’esecuzione al pubblico ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 31/01/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME