Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 36921 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 36921 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Vibo Valentia il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Isola di Capo Rizzuto il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Isola di Capo Rizzuto il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Crotone il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Isola di Capo Rizzuto il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/07/2024 della Corte di appello di Venezia
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e l’inammissibilità del ricorso di COGNOME NOME, nonché per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore di fiducia della parte civile RAGIONE_SOCIALE, in persona del presidente e legale rappresentante pro-tempore, che si è associato alle conclusioni del Procuratore generale;
udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore delle parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME,che si è associata alle conclusioni del Procuratore generale;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore di RAGIONE_SOCIALE che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore di RAGIONE_SOCIALE, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e dei motivi nuovi;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, (c.u.i. 01gk8b3), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma della sentenza emessa il dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE il 01/03/2023, la Corte di appello di Venezia ha condannato NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 1, 3, 7, 59 e 60, rideterminando la pena inflitta nei suoi confronti; NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 1, 3, 5, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 42, 43, 44, 45, 46, 48, 51 e 53, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e riqualificazione dei fatti contestati ai capi 34, 35, 36, 37, 38, 40, 42, 43, 44, 45, 46, 48, 51 e 53 nella fattispecie di cui agli artt. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e 416-bis. cod. pen.; NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 1, 57 e 59, riqualificato il fatto di cui al capo 1 nella fattispecie di cui all’art. 416bis , commi 2 e 4, cod. pen; NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 1 e 66, con riduzione della pena inflitta.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME per i motivi sotto indicati.
Va premesso che NOME COGNOME risulta essere deceduto dopo l’emissione della sentenza di secondo grado, per cui tutti i reati a lui ascritti sono estinti.
L’estinzione del reato per morte del reo, intervenuta prima dell’irrevocabilità della sentenza, comporta la cessazione sia del rapporto processuale in sede penale che del rapporto processuale civile inserito nel processo penale, con la conseguenza che le eventuali statuizioni civilistiche restano caducate ex lege senza la necessità di una apposita dichiarazione da parte del giudice penale (Sez. 3, n. 5870 del 02/12/2011, Rv. 251981 – 01).
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio con riferimento alla posizione di NOME COGNOME.
Ricorso di NOME COGNOME.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati dedotti i motivi di annullamento di seguito sintetizzati.
3.1. Violazione di legge processuale per difetto di correlazione tra accusa e sentenza in ordine al tempus commissi delicti del delitto di associazione mafiosa (capo n. 1), in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la contestazione «accertato in RAGIONE_SOCIALE e provincia dal mese di giugno 2017» non può che significare che ciò che è avvenuto prima del giugno 2017 non è stato accertato e, quindi, non è in contestazione. L’indebita retrodatazione dell’operatività del sodalizio – di cui, comunque, non viene contestata la sussistenza- operata dai giudici di merito ha consentito di valorizzare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, che ha riferito di vicende risalenti ai primi anni 2000, eccentriche rispetto alla contestazione ma decisive per pervenire all’affermazione di responsabilità dell’imputato.
3.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa di cui al capo 1. Nella prospettazione difensiva la sentenza impugnata non si confronterebbe con le censure contenute nell’atto di appello, in cui si era evidenziato che il ricorrente non ha apportato alcun contributo al RAGIONE_SOCIALE, non avendo mai operato nel suo interesse, essendo stato assolto dall’accusa di false fatturazioni, non avendo mai avuto contestazioni in materia di armi, non potendo il ‘RAGIONE_SOCIALE‘ da lui gestito, peraltro mai frequentato dai soggetti indicati nel capo di imputazione, rilasciare diplomi ed avendo, infine, agito per un interesse esclusivamente proprio nella cd. vicenda RAGIONE_SOCIALE. Nessun rilievo potrebbero assumere, poi, la circostanza che il ricorrente si autoproclamasse appartenente al RAGIONE_SOCIALE né le intercettazioni in cui il ricorrente e NOME COGNOME discutono di azioni intimidatorie e spedizioni punitive, mai realizzate.
Quanto ai collaboratori di giustizia, la difesa ha dedotto: a) che le dichiarazioni di NOME COGNOME sono eccentriche rispetto al periodo oggetto di contestazione e, comunque, prive di riscontri individualizzanti; b) che le dichiarazioni di NOME COGNOME non apportano alcun contributo di novità rispetto a un quadro probatorio che era già cristallizzato nel momento in cui è stata iniziata la sua collaborazione.
3.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento all’omessa riqualificazione della condotta di cui al capo n. 1 come concorso esterno in associazione mafiosa, sulla base delle dichiarazioni di NOME COGNOME, che
evidenzierebbero che il ricorrente non è intraneo al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ma ha, al più, avuto con lo stesso una serie di scambi con reciproco vantaggio imprenditoriale.
3.4. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di corruzione contestato al capo n. 66, in cui sarebbero state solo parzialmente valorizzate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME e non si sarebbe tenuto conto che la dazione di denaro è precedente all’indizione della gara e non potrebbe in alcun modo essere qualificabile come corrispettivo per ottenere un atto contrario ai doveri dell’ufficio (aggiudicazione dell’appalto). Secondo la ricostruzione difensiva, la dazione rappresenterebbe piuttosto un favore, più o meno libero e disinteressato, al pb residente della società RAGIONE_SOCIALE, come emerge dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, che definisce la vicenda come una ‘concussione aggravata’.
3.5. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. in relazione al reato di corruzione di cui al capo n. 66, avendo le sentenze di merito fondato la condanna sulle dichiarazioni di NOME COGNOME, che avrebbe, invece, riferito di un progetto criminoso che coinvolgeva un gruppo, non ancora individuato, che non poteva coincidere con il RAGIONE_SOCIALE.
Ricorso di NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME viene articolato un unico motivo di ricorso per violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla commisurazione della pena, così come proposta dalle parti nell’accordo ex art 599bis cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per cui ha ritenuto corretta la quantificazione della pena concordata .
Ricorsi di NOME COGNOME.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati proposti due ricorsi, uno dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME e dell’avocato NOME COGNOME. L’AVV_NOTAIO NOME COGNOME ha altresì depositato motivi aggiunti.
5.1. Ricorso dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Vengono dedotti i motivi di annullamento di seguito sintetizzati:
5.1.1.Violazione di legge in relazione all’art. 416bis cod. pen., per difetto degli elementi costitutivi della fattispecie e, in particolare, della struttura del sodalizio, della forza di intimidazione e della condizione di omertà e di assoggettamento. Né sarebbe stata adeguatamente motivata l’esistenza di una mafia delocalizzata sul territorio RAGIONE_SOCIALE, difettando l’accertamento di un collegamento con la RAGIONE_SOCIALE madre, e finanche l’individuazione di quest’ultima nel territorio calabrese.
Manifestamente illogica sarebbe la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha dedotto la sussistenza dell’associazione dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che sono generiche e inconferenti e che, per questo, non possono nemmeno valere come riscontro reciproco.
5.1.2. Violazione di legge in relazione all’art. 416bis , comma 2, cod. pen., in riferimento al ruolo apicale del ricorrente, che presuppone la prova non solo dell’esistenza di una struttura gerarchica ma anche del concreto esercizio di poteri di promozione, direzione o organizzazione, riconosciuti e riconoscibili tanto all’esterno quanto nell’ambito del sodalizio.
5.1.3. Violazione di legge in relazione all’art 416bis , comma 4, cod. pen. per difetto di accertamento tanto in relazione alla concreta detenzione di armi da parte dei singoli, quanto in relazione alla funzionalità delle armi agli scopi dell’associazione.
5.1.4. Violazione di legge in relazione all’art 74, commi 1 e 2, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente motivato non solo in ordine all’esistenza dell’associazione dedita al narcotraffico, ma neppure in ordine al ruolo, contestato al ricorrente, di organizzatore e promotore. Né sarebbe stata raggiunta la prova che i reati contestati costituiscano la realizzazione del fine della pretesa associazione.
Su tali punti la difesa rileva che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono generiche e inconferenti e non possono essere ritenute l’una il riscontro esterno dell’altra, difettando i necessari requisiti di indipendenza e convergenza in ordine al fatto materiale; esse, inoltre, sono prive di altri riscontri. La conversazione citata a pagina 65 e riportata dal teste COGNOME, poi, non avrebbe contenuto univoco rispetto al traffico di cocaina, mentre le altre conversazioni richiamate non conterrebbero alcun riferimento diretto alla sostanza stupefacente.
Del tutto congetturale e ipotetica, inoltre, sarebbe l’interpretazione della conversazione riportata a pagina 64 della sentenza e citata dal teste COGNOME.
Infine, la difesa deduce che il ruolo di capo promotore organizzatore non può fondarsi sulle dichiarazioni dei testi di polizia giudiziaria.
5.1.5. Violazione di legge in relazione all’art. 74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990, non essendovi elementi idonei a dimostrare il numero degli associati necessario per configurare l’aggravante.
5.1.6. Violazione di legge in relazione all’art. 649 cod. proc. pen. in quanto la sentenza impugnata avrebbe violato il divieto di divieto di bis in idem non ritenendo assorbita la fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in quella di cui all’art. 416bis cod. pen., trattandosi di associazioni costituite tra le medesime persone, operanti nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, associate
al fine di commettere una serie indeterminata di delitti, tra cui quelli legati al traffico di stupefacenti.
5.1.7. Violazione di legge in relazione all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 contestato al capo n. 7, per difetto di prova della detenzione dello stupefacente da parte del ricorrente, non essendo univoco il contenuto dell’intercettazione ambientale n. 10546 Rit 2648/17, né la conversazione che il ricorrente avrebbe avuto con il figlio (citata alle pagine 81 e 82 della sentenza impugnata) né le ulteriori conversazioni captate in cui non si fa esplicito riferimento né alla sostanza stupefacente né al suo costo.
5.1.8. Violazione di legge in relazione all’art. 416bis .1. cod. pen. contestato al capo n. 7.
5.1.9. Violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen. contestato al capo n. 59, ritenuto, dai giudici di primo grado, nella forma consumata nonostante la dazione della somma di denaro non sia avvenuta per l’intervento delle forze dell’ordine. Nella prospettazione difensiva la condotta dovrebbe essere riqualificata ai sensi dell’art 393 cod. pen., avendo il ricorrente posto in essere l’azione al fine di ottenere la realizzazione di un proprio diritto azionabile innanzi al giudice come emergerebbe dalle conversazioni n. 9015 e 9016 RIT 1259/2017.
5.1.10. Violazione di legge in relazione all’art. 416bis .1. cod. pen. contestato al capo n. 59, non essendo stata dimostrata la finalità di agevolare l’associazione mafiosa mediante la commissione del reato di estorsione. Sul punto la difesa evidenzia che vi è una discrasia temporale tra il reato di cui al capo n. 59 e l’accertamento dell’esistenza di un’associazione di tipo mafioso, al fine di agevolare la quale il reato sarebbe stato posto in essere.
5.1.11 Violazione di legge in relazione all’art. 648 cod. pen. contestato al capo n. 60, per difetto sia dell’elemento oggettivo che dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione. Deduce la difesa che i beni provento di furto sono stati da altri ricevuti, e cioè dal coimputato COGNOME, e, poi, da questo spontaneamente regalati al ricorrente, che non ha posto in essere alcuna delle condotte tipiche di ricettazione e che, peraltro, non era animato dalla volontà di ingiusto profitto.
5.1.12. Violazione di legge in relazione all’art. 62bis cod. pen. in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, in quanto la Corte di appello avrebbe dovuto valutare positivamente gli elementi di fatto idonei a ritenere la condotta di minore gravità
5.1.13 Violazione di legge in relazione all’art. 81 cod. pen., per difetto di adeguata motivazione in ordine ai singoli aumenti di pena applicati per ciascuno dei reati posti in continuazione.
5.1.14 Violazione di legge in relazione all’art. 133 cod. pen., per difetto di motivazione in ordine all’entità della pena applicata.
5.2. Ricorso dell’avocato COGNOME
5.2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 416bis cod. pen. in ordine alla sussistenza e all’operatività di una associazione mafiosa a RAGIONE_SOCIALE, per motivi in parte sovrapponibili quelli dedotti dall’AVV_NOTAIO COGNOME, cui si rinvia.
Aggiunge il difensore che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente motivato in ordine al collegamento funzionale tra la presunta ‘locale’ RAGIONE_SOCIALE e la cd. casa madre, collegamento che presuppone che la prima riceva e attui le direttive del programma criminoso della seconda. Non sono sufficienti a tale fine incontri avvenuti in locali pubblici, di cui non si conosce il contenuto, né visite di cortesia all’ospedale durante la degenza del ricorrente né la spregiudicata operazione immobiliare di NOME, che dovrebbe essere qualificata come una iniziativa economica individuale dello stesso.
Quanto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia la difesa rileva: a) che i fatti oggetto del procedimento sono molto successivi rispetto alla data di inizio della collaborazione di NOME COGNOME (2008); che, inoltre, le sue dichiarazioni non sono specifiche, in quanto l’essere vicino alla famiglia COGNOME non è significativo di un collegamento criminale con la stessa (del resto vi è stato un solo incontro tra NOME COGNOME con COGNOME ma di esso non sono state provate le ragioni); b) che la deposizione del collaboratore NOME COGNOME attiene unicamente a NOME COGNOME; c) che le dichiarazioni di NOME COGNOME sono generiche, in quanto egli riferisce di un summit a RAGIONE_SOCIALE di cui non ricorda né i partecipanti né l’epoca; d) che NOME COGNOME, intraneo alla presunta RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, riferisce, in modo molto generico, circostanze che avrebbe appreso da NOME e da un esponente di altre consorteria, COGNOME. Peraltro, il viaggio di NOME a RAGIONE_SOCIALE, di cui parla COGNOME, è legato ad una vicenda personale di NOME, che ha dichiarato NOME voleva incontrarlo, unitamente a NOME COGNOME, per vicende personali, legate ai debiti di suo fratello.
Né le dichiarazioni dei collaboratori possono riscontrarsi reciprocamente per difetto di specificità e convergenza.
Aggiunge il difensore che l’operatività della RAGIONE_SOCIALE sotto le direttive di quella operante a isola di Capo Rizzuto sarebbe stata del tutto illogicamente dedotta da circostanze che, sia se considerate isolatamente sia se considerate unitariamente, possono al più denotare un rapporto di contiguità di NOME COGNOME con esponenti della casa madre.
Erronea sarebbe anche l’interpretazione della cd. vicenda COGNOME, considerato che la persona offesa ha dichiarato di non conoscere le famiglie o la consorteria di riferimento e che lo stesso NOME COGNOME si oppose all’utilizzo della violenza.
Illogica, ancora, sarebbe la motivazione in riferimento alla vicenda COGNOME, in cui mancano sia il metodo mafioso la percezione soggettiva della pericolosità della famiglia COGNOME.
Errata, poi, sarebbe la valorizzazione della sentenza divenuta definitiva in relazione ai coimputati che hanno optato per il rito abbreviato, poiché l’istruttoria dibattimentale ha permesso di acquisire dichiarazioni, quali quelle di COGNOME e COGNOME, di sostanziale rilievo ai fini dell’esclusione dell’operatività concreta dell’operato mafioso inteso come forza di intimidazione diffusa e senso di omertà e assoggettamento.
Meramente apparente sarebbe anche la motivazione nella parte relativa al controllo delle attività economiche, in quanto l’unico episodio citato è quello riferibile al collaboratore NOME che, come detto, ha carattere meramente personale.
5.2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione per violazione del divieto di bis in idem, per motivi sovrapponibili a quelli dedotti dall’AVV_NOTAIO COGNOME.
Con il medesimo motivo si deduce la violazione del divieto di bis in idem in riferimento alla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. in relazione al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, per effetto della quale l’imputato risponde due volte per un medesimo fatto, ossia il metodo mafioso, che costituisce elemento essenziale del reato di cui all’art. 416bis cod. pen., di cui al capo n. 1, e elemento accidentale del reato di cui all’art. 74, di cui al capo n. 3.
5.2.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. contestata in riferimento al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 nella sua declinazione soggettiva, avendo il ricorrente agito, come desumibile dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME, unicamente per un arricchimento proprio.
Ricorso con motivi aggiunti dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
5.3.1 Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 68 cod. proc pen., in quanto la responsabilità di NOME COGNOME con ruolo apicale nell’associazione di cui al capo n. 1 è stata desunta principalmente sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e uno di essi, ossia NOME COGNOME, dopo aver reso dichiarazioni su NOME COGNOME, in sede di individuazione fotografica, lo ha scambiato per il cugino NOME COGNOME, detto il ‘Marocchino’, nato ad Isola di Capo Rizzuto in data 01.10.1977.
Ciò integra un errore di persona, rilevabile anche d’ufficio e, quindi, deducibile nonostante la scadenza dei termini per l’impugnazione, in quanto l’errore sull’identità fisica dell’imputato rende il provvedimento affetto da una anomalia
genetica così radicale da determinare l’inesistenza del provvedimento nonché, di conseguenza, l’inidoneità dello stesso a passare in giudicato.
5.3.2. Violazione di legge in relazione all’art. 649 cod. proc. pen. per violazione del divieto del bis in idem in quanto i delitti di cui agli artt. 416 bis c.p. e 74 DPR 309/1990, sanzionando entrambi la condotta associativa, tutelando l’uno il bene giuridico dell’ordine pubblico e l’altro la salute individuale e collettiva, possono concorrere a patto che non incidano sul medesimo fatto storico naturalistico. Deve riconoscersi la medesimezza del fatto quando vi sia corrispondenza storiconaturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutto i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona, come, secondo la prospettazione difensiva, accade nel caso di specie, in cui la medesima condotta è stata punita due volte.
Ricorso di NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati dedotti i motivi di annullamento di seguito sintetizzati.
6.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 416bis cod. pen., non essendo configurabile l’associazione di tipo mafioso di cui al capo n. 1;
6.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla partecipazione di NOME COGNOME all’associazione di cui al capo n. 1;
6.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, non essendo configurabile l’associazione dedita al narcotraffico di cui al capo n. 3;
6.4. Violazione di legge in ordine alla ritenuta partecipazione di NOME COGNOME l’associazione dedita al narcotraffico contestata al capo n. 3;
6.5. Violazione di legge in relazione all’art. 74 d. P.R. n. 309 del 1990, quanto al ruolo di organizzatore di NOME COGNOME;
6.6. Difetto di motivazione in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 contestato al capo n. 5;
6.7. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art 416bis .1. cod. pen., erroneamente ritenuta applicabile all’associazione dedita al narcotraffico.
Ricorso di NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME, condannato per i reati di cui ai capi n. 1, n. 57 e n. 59, sono stati presentati un ricorso principale e motivi aggiunti.
Con il ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi di annullamento:
7.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art 416bis cod. pen. non essendo il quadro indiziario a carico del ricorrente sufficiente a dimostrare la partecipazione all’associazione di cui al capo 1.
Deduce il difensore che l’interpretazione delle intercettazioni ambientali effettuate presso l’ospedale di Negrar, durante la lunga degenza di NOME COGNOME, è stata parziale, in quanto da esse emergerebbe non un allentamento dei rapporti tra quest’ultimo e il ricorrente, quanto piuttosto l’interruzione degli stessi, quanto meno da maggio 2016. Dopo tale data, l’unico contatto tra i due è stato registrato il 23 maggio 2020, in occasione di un pranzo che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, non era una riunione di ‘RAGIONE_SOCIALE, come risulta dalle dichiarazioni del AVV_NOTAIO.
Aggiunge il difensore che la Corte di appello ha omesso di considerare:
-che la condotta di partecipazione, dal giugno 2017, sarebbe, poi, ulteriormente ristretta temporalmente in ragione dei periodi di latitanza e di detenzione del ricorrente (dal 6 giugno 2016 al 28 settembre 1016: latitante; fino al 6 marzo 2018: ristretto in carcere; fino all’aprile 2019: ristretto agli arresti domiciliari);
che NOME COGNOME è stato assolto dal reato di favoreggiamento per aver sostenuto economicamente la latitanza del ricorrente e che, nella conversazione captata il 28/10/2017, il figlio del ricorrente ha rifiutato l’aiuto economico offertogli da NOME COGNOME; del resto, il ricorrente ha lavorato in carcere, come emerge dall’estratto conto depositato; inoltre nella conversazione prog. 4237 NOME COGNOME farebbe riferimento solo a un presente per le festività natalizie e non a un sostentamento duraturo, che non vi è mai stato e a cui non sarebbero riferibili i due vaglia postali dell’ottobre 2016 e del febbraio 2017;
che nella vicenda NOME il ricorrente non ha avuto alcun ruolo, se non quello di ascoltare il narrato dei due protagonisti; in ogni caso non sarebbe provato il collegato tra tale vicenda e l’associazione di cui al capo n. 1;
che, quanto alla sala giochi RAGIONE_SOCIALE , il ricorrente e NOME COGNOME avrebbero percepito un compenso per garantire la sicurezza del locale, attraverso personale appositamente ingaggiato; peraltro, tale vicenda non può essere ricondotta alla associazione di cui al capo n. 1, in quanto NOME COGNOME dimostra una sola vaga conoscenza di essa;
7.2. Vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione agli artt. 192, comma 3, cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen. in relazione: a) alla valutazione di credibilità soggettiva di NOME COGNOME e di attendibilità delle sue dichiarazioni, incompatibili, in più punti, con lo stato detentivo del ricorrente. Nella prospettazione difensiva l’inattendibilità di NOME COGNOME è decisiva, in quanto la partecipazione all’associazione del ricorrente, a partire dalla seconda metà del
2017, è stata fondata sulle sue dichiarazioni; b) alla valutazione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, affiliato a una associazione mafiosa RAGIONE_SOCIALE, che a RAGIONE_SOCIALE si è occupato di acquisto e cessione di stupefacenti e le cui dichiarazioni riguardano principalmente i reati di tale tipo, cui il ricorrente è estraneo. Esaminato in dibattimento, ha riferito di aver condiviso un periodo di detenzione con NOME COGNOME e di aver saputo da altro detenuto, NOME COGNOME, classe 1977, facente parte della famiglia RAGIONE_SOCIALE, del tutto estranea al presente procedimento, che il ricorrente era un cugino dei RAGIONE_SOCIALE e che veniva utilizzato per il recupero dei crediti, dichiarazioni, queste, del tutto generiche e, in ogni caso, inidonee a costituire un indizio dell’appartenenza al sodalizio criminoso di cui al capo n. 1.
7.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla detenzione di armi contestata al capo n. 57. Deduce il difensore che il rinvenimento delle armi non può ritenersi un riscontro esterno alle dichiarazioni di NOME COGNOME in quanto il sequestro è stato originato esclusivamente da dette propagazioni, ossia dalla fonte che occorre riscontrare.
Evidenzia inoltre:
che, sentito in sede di indagini preliminari in merito al fucile a canne mozze di cui alla conversazione ambientale prog. 5779 RIT 354/2018 del 19/05/2018, NOME COGNOME ha riferito che si trattava di un fucile rinvenuto nel maggio 2018 in un campo a Novaglie e, poi, gettato a San Martino Buon Albergo. Tali dichiarazioni non sono state riscontrate dalle indagini che hanno rilevato che nessuna delle celle dell’utenza in uso al collaboratore nel maggio 2018 ha agganciato i luoghi di interesse. La Corte d’appello non si sarebbe confrontata con tali dati, ritenendo attendibili le dichiarazioni dibattimentali del collaboratore che ha riferito in dibattimento che si trattava di un fucile diverso.
In relazione al luogo in cui il collaboratore avrebbe visto le armi è sempre stato indicato il garage dell’abitazione di COGNOME, circostanza questa smentita dalla planimetria prodotta dalla difesa, da cui risulta che NOME COGNOME non ha un garage ma unicamente un posto auto scoperto e una cantina di dimensioni esigue, come peraltro da lui stesso dichiarato.
Con riferimento, poi, al borsone di armi sequestrato, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che le dichiarazioni di NOME COGNOME riscontrino quelle di COGNOME, in quanto vi sarebbe, invece, una divergenza sul tipo di borsone, su chi abbia prestato il borsone, sulla ripetizione nel tempo del deposito, sulla data in cui esso sarebbe stato portato dal COGNOME infine sulla circostanza che il NOME che ha accompagnato COGNOME fosse COGNOME NOME che, peraltro, in quel momento era agli arresti domiciliari. Né è motivata adeguatamente la consapevolezza del contenuto del borsone da parte di NOME.
7.4. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen., contestata al capo n. 59, relativo a un fatto risalente a settembre 2013 e gennaio 2014, ossia a un periodo di tempo antecedente rispetto all’accertamento dell’associazione contestata al capo n. 1.
7.5. (motivo privo di numero) Violazione di legge e difetto di motivazione, avendo la Corte del tutto contraddittoriamente individuato come riscontro dell’esistenza del metodo mafioso il reato di cui al capo n. 62, relativo a una estorsione in danno del gestore di una sala giochi, le cui modalità esecutive avrebbero evidenziato la forza intimidatrice del gruppo, nonostante la sentenza di primo grado abbia escluso la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. in relazione al capo n. 62, e nonostante la stessa Corte di appello abbia ratificato un concordato ex art. 599bis cod. proc. pen., riqualificando il reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
7.6. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla quantificazione della pena, alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e all’indicazione dei criteri seguiti per determinare gli aumenti di pena per ognuno dei reati satellite.
7.7. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla recidiva, non avendo la Corte motivato in ordine alle ragioni per cui i delitti per cui si procede sono sintomo di maggiore pericolosità del ricorrente.
Con i motivi aggiunti si precisano e si approfondiscono:
il primo motivo di ricorso nelle parti relative: a) alla valutazione delle intercettazioni ambientali eseguite all’ospedale di Negrar (relative a conversazioni con persone estranee alla compagine associativa, che non avrebbero alcuna valenza dimostrativa di una partecipazione del ricorrente in relazione al periodo successivo al 2016 e, cioè, rispetto al lasso di tempo oggetto dell’imputazione); b) nella parte relativa al presunto sostentamento economico del ricorrente mentre si trovava in carcere, avendo la Corte travisato la prova documentale prodotta (estratto conto carcerario intestato al ricorrente); c) alla rilevanza del coinvolgimento del ricorrente nella vicenda RAGIONE_SOCIALE, in quanto la sua condotta, di mero ‘ascoltatore’ sarebbe oggettivamente e causalmente neutra; d) alla rilevanza, ai fini della partecipazione all’associazione, della vicenda relativa alla gestione e la distribuzione degli utili della sala giochi RAGIONE_SOCIALE ;
il secondo motivo di ricorso, in relazione alla credibilità del collaboratore NOME COGNOME e all’attendibilità delle sue dichiarazioni, riproponendo, sostanzialmente, le considerazioni svolte con il ricorso principale;
il terzo motivo di ricorso, riproponendo le considerazioni svolte con il ricorso principale;
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Vanno, in via preliminare, esaminati i motivi di ricorso di NOME COGNOME (motivo n. 1 dell’AVV_NOTAIO COGNOME e motivo n. 1 dell’AVV_NOTAIO COGNOME) afferenti al delitto di cui all’art. 416bis cod. pen. di cui al capo n. 1, e con i quali si pone in dubbio la stessa sussistenza di tale associazione; si tratta di questione rilevante anche per gli altri ricorrenti, che hanno contestato solo la partecipazione o l’essere i reati loro contestati aggravati ai sensi dell’art. 416bis .1 cod. pen.
1.1. L’art 416bis cod. pen. configura un reato di pericolo, che si differenzia dall’associazione per delinquere di cui al precedente art. 416 cod. pen. – che è integrata dall’accordo tra tre o più persone per la commissione di una serie indeterminata di delitti, accordo che, proprio per il programma che ne è oggetto, attribuisce carattere di stabilità al vincolo – per due elementi specializzanti: le modalità con cui l’associazione di tipo mafioso si manifesta e il relativo effetto.
Innanzi tutto, l’associazione è di tipo mafioso quando ‘coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo’, quando, cioè, l’associazione concretamente opera nella realtà in cui è inserita attraverso il metodo mafioso. «Il metodo mafioso costituisce il mezzo, lo strumento, il modo con cui l’associazione persegue gli scopi indicati dalla norma e per tale ragione è necessaria, sempre, la sua concreta manifestazione esterna» (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, Bolla, Rv. 279555 – 05).
La forza di intimidazione, che deve essere propria dell’associazione e non del singolo associato, può discendere dal compimento di atti di violenza e minaccia, ma anche da atti non violenti e esplicitamente minatori che, tuttavia, richiamino e siano espressione del prestigio criminale del sodalizio.
Il secondo elemento specializzante è l’effetto che la forza di intimidazione deve produrre nella realtà sociale in cui l’associazione opera, ossia la ‘condizione di assoggettamento e di omertà’.
Tale condizione deve essere sufficientemente diffusa, anche se non generale, e può derivare non solo dalla paura di danni alla propria persona, ma anche dall’attuazione di minacce che comunque possono realizzare danni rilevanti, di modo che sia diffusa la convinzione che la collaborazione con l’autorità giudiziaria non impedirà ritorsioni dannose per la persona del denunciante, in considerazione della ramificazione dell’organizzazione, della sua efficienza, della sussistenza di altri soggetti non identificabili forniti del potere di danneggiare chi ha osato contrapporsi (Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Cicero, Rv. 258637 – 01).
1.2. Il reato, introdotto e pensato con riferimento alle mafie cd. storiche, può essere, ovviamente, commesso anche da altre compagini, che, ad esempio,
possono operare in un settore determinato o nei confronti di soggetti determinati (le cd. mafie straniere) oppure, ancora, in altri luoghi, diversi da quelli di origine.
In relazione a tale ultima ipotesi,
-può verificarsi che l’associazione, seppur derivata da una RAGIONE_SOCIALEmadre, si stabilizzi in altre realtà territoriali, divenendo autonoma. In questo caso, si è in presenza di una associazione di tipo mafioso se, nel territorio di pertinenza, l’associazione concretamente opera avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e se questo metodo crea assoggettamento e omertà nei consociati. Dal punto di vista probatorio, quindi, occorrerà accertare se, al di là del dato della derivazione da una RAGIONE_SOCIALE-madre, che finisce con l’essere elemento del tutto secondario, siano integrati tutti i presupposti costitutivi del reato di cui all’art. 416bis cod. pen. (appunto, esternazione del metodo mafioso, con le sue ricadute nell’ambiente esterno in termini di assoggettamento e di omertà).
-Può anche verificarsi il caso in cui l’associazione sia una mera articolazione territoriale di una tradizionale organizzazione mafiosa, in stretto rapporto di dipendenza da essa o, comunque, in collegamento funzionale con la “casa madre”.
Anche in questo caso, per ritenere che la struttura delocalizzata sia effettivamente configurabile come mafiosa in ragione delle attività svolte nel ‘nuovo’ territorio, deve sprigionare in tale contesto territoriale una forza intimidatrice obiettiva ed effettiva, assoggettando la comunità locale o, quantomeno, la generalità degli operatori del settore o dei settori in cui opera. Ovvero, non è sufficiente che intimidisca le singole vittime dei reati commessi nel nuovo territorio. Come questa Corte ha efficacemente affermato, anche in questo caso, «la manifestazione della capacità di intimidazione deve esserci; può essere provata sul piano processuale da ogni circostanza obiettiva idonea a dimostrare la capacità attuale dell’associazione di incutere timore e la generale percezione dell’efficienza del gruppo criminale. Non è sufficiente che la c.d. locale abbia moduli organizzativi, regole e rituali uguali a quelli dell’associazione da cui deriva (ad esempio la RAGIONE_SOCIALE), ma è necessario che il “nuovo territorio”, ovvero i soggetti del nuovo territorio che con il gruppo si relazionano, capiscano che il proprio “interlocutore” è l’associazione mafiosa; è necessario che la cellula spenda, con qualunque forma, la fama criminale del gruppo di derivazione, faccia cioè capire, con qualunque modo, di essere l’associazione mafiosa, non essendo sufficiente che “possa farlo capire” e che ciò possa, se necessario, essere avvertito» (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, cit.).
-È invece diverso il caso del ‘distaccamento’ di una associazione che si insedia in un dato territorio ove esercita attività, non necessariamente criminali, che siano, ad es., il reimpiego dei soldi del RAGIONE_SOCIALE, o altri reati che non abbiano, però, caratterizzazione mafiosa, ad es. con la rivendita dello stupefacente importato, etc. In tale caso, la natura mafiosa è quella propria del nucleo centrale della associazione operante nelle aree di origine e il gruppo ‘delocalizzato’ è, semplicemente, parte di esso. È quanto risulta, in base a quanto espone la sentenza, avvenuto nel caso in esame.
In applicazione di tali criteri, i motivi di ricorso relativi al capo n. 1 sono infondati e la sentenza impugnata va confermata, seppure con le precisazioni che seguono.
Agli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME è contestato di fare parte, unitamente ad altri soggetti, dell’associazione mafiosa denominata ‘RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, della RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE, operante principalmente a Isola di Capo Rizzuto, della quale hanno istituito una locale in territorio scaligero.
Il ricorrente NOME COGNOME ha contestato la sussistenza dell’associazione, mentre NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno contestato unicamente la loro partecipazione ad essa.
Taluni degli altri originari co-imputati hanno optato per il rito alternativo e sono stati condannati con sentenza definitiva (Sez. 2, n. 24549 del 21/05/2024, non massimata), acquisita agli atti ai sensi dell’art. 238bis cod. proc. pen.
Sul punto va precisato che nel giudizio dibattimentale è utilizzabile, ai sensi dell’art. 238bis cod. proc. pen., l’accertamento dell’esistenza e del radicamento territoriale di un’associazione mafiosa, contenuto in una decisione irrevocabile, emessa all’esito di giudizio abbreviato, nel caso in cui il sodalizio criminale oggetto di prova coincide, nei profili strutturali, temporali e finalistici, con quello ritenuto esistente e il patrimonio probatorio e valutativo, fatte salve le peculiarità delle regole di acquisizione dibattimentale, è pressoché identico in entrambi i procedimenti (Sez. F, n. 56596 del 03/09/2018, Rv. 274753 – 01).
In applicazione di tali principi la Corte di appello, premesso che la sentenza della seconda Sezione si poggia su elementi di prova sostanzialmente sovrapponibili a quelli valutati in dibattimento, ha rilevato che l’accertamento dell’esistenza e del radicamento territoriale dell’associazione mafiosa di cui al capo n. 1 ha acquisito efficacia di giudicato.
Ciò premesso, la sentenza di secondo grado, confermando quella di primo grado, ha rilevato, in primo luogo, che, sulla base di plurime sentenze passate in giudicato (citate a pagg. 31 e 32) può assumersi come fatto notorio che la RAGIONE_SOCIALE operi da oltre quarant’anni nel territorio di Isola di Capo Rizzuto.
Il legame tra il tale RAGIONE_SOCIALE e il gruppo RAGIONE_SOCIALE, secondo i giudici di merito, emerge:
-dai rapporti familiari tra NOME e NOME COGNOME con le famiglie COGNOME e COGNOME, contigue ai COGNOME, nonché con la famiglia COGNOME, contigua agli COGNOME;
dai continui collegamenti di NOME COGNOME con la RAGIONE_SOCIALE COGNOME, collegamenti che emergono dalle captazioni ambientali, da cui si desume anche l’attività di mediazione da lui svolta per dirimere controversie interne alle cosche. Sono valorizzate le conversazioni riportate alle pagine dal 40 a 42, intercettazioni ambientali presso l’ospedale di Negrar, in cui il ricorrente: a) narra l’episodio del trasporto di alcune bombe da parte di NOME COGNOME verso il Nord Italia, circostanza che aveva allarmato COGNOME NOME, esponente di spicco della RAGIONE_SOCIALE, tanto da determinare la convocazione del ricorrente stesso per un chiarimento (prog. 3551); b) racconta degli ottimi rapporti intrattenuti con gli COGNOME di San AVV_NOTAIO rievocando l’episodio relativo all’acquisto di una partita di droga – prog. 17973 e 17976- ; c) racconta di quando era solito prestare la sua pistola a COGNOME NOME mentre si trovavano a isola di Capo Rizzuto -prog. 17980 e 17981-; d) rievoca le circostanze che avevano preceduto l’uccisione di NOME COGNOME, in compagnia del quale si trovava pochi minuti prima che venisse ucciso – prog. 8756, 8757 e 8758;
dagli incontri e dalle conversazioni intercettate tra appartenenti alla casa madre e gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (pag. 32-33);
dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e, segnatamente di: a) NOME COGNOME, che ha riferito che la famiglia COGNOME ha operato nel contesto territoriale RAGIONE_SOCIALE negli anni 2010-2013 per conto della famiglia RAGIONE_SOCIALE nell’ambito di attività di estorsioni, usura, false fatturazioni, droga, armi; b) NOME COGNOME, che ha descritto il ruolo di NOME COGNOME come vertice del gruppo criminale operante nel RAGIONE_SOCIALE, affiliato alla RAGIONE_SOCIALE, tanto da costituire l’unico referente nel territorio RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME (dichiarazioni riportate a pag. 36). COGNOME ha anche riferito del ruolo di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, nei termini sotto indicati e ha definito l’organigramma del gruppo e i settori criminali in cui ha operato; c) NOME COGNOME che, pur avendo reso dichiarazioni dibattimentali più limitate rispetto a quelle rilasciate nel corso delle
indagini preliminari, di fatto riducendo il suo contributo a ciò che era già emerso dalle altre fonti di prova, ha fornito informazioni in merito alla disponibilità di armi e all’attività di stupefacenti. Ha descritto un incontro avvenuto a RAGIONE_SOCIALE con NOME NOME ed esponenti della famiglia COGNOME di RAGIONE_SOCIALE, in cui è intervenuto NOME COGNOME in qualità di garante della buona riuscita dell’operazione economica; d) NOME COGNOME ha confermato il ruolo di vertice di NOME COGNOME e ha descritto un incontro con NOME COGNOME, fratello di NOME COGNOME, e NOME NOME, personaggi di spicco della famiglia egemone a isola di Capo Rizzuto, in relazione a una attività di false fatturazioni.
Secondo la Corte di appello tutti i collaboratori sono credibili, le loro dichiarazioni sono attendibili, specifiche e tra di loro indipendenti e, quindi, in grado di riscontrarsi; esse, inoltre, trovano piena conferma nelle intercettazioni, nelle dichiarazioni delle vittime, nel ritrovamento di armi.
Rilevanti sono, poi, il pieno riconoscimento ottenuto da altre compagini criminali sia nelle aree di operatività sia nel contesto operativo di origine (pagg. 52 e 53), nonché la disponibilità di armi, anche da guerra (capo n. 57), e la rete di protezione è assicurata ai sodali colpiti da provvedimenti restrittivi (pagina 55).
Quanto all’operatività, l’associazione, nell’area RAGIONE_SOCIALE:
si è occupata dell’attività di approvvigionamento e smercio anche al dettaglio di cocaina;
ha tentato di penetrare nel tessuto economico sociale mediante la corruzione di politici e amministratori locali (capo n. 66, relativo alla vicenda RAGIONE_SOCIALE, che avrebbe dovuto costituire il primo episodio di un più ampio progetto finalizzato a corrompere pubblici ufficiali locali);
ha posto in essere estorsioni, consumate o tentate, utilizzando, come strumento di intimidazione, il chiaro riferimento alle richieste provenienti ‘da giù’ – ovvero dal proprio territorio calabrese (vicenda COGNOME, ricostruita in base alle intercettazioni telefoniche da cui emerge con estrema chiarezza che NOME COGNOME intendeva ottenere con ogni mezzo la dazione di una somma di denaro non dovuta, inducendo la vittima a pagare con il pretesto che i soldi sarebbero serviti per tacitare le richieste provenienti ‘da giù’);
ha organizzato spedizioni punitive realizzate da NOME COGNOME e NOME COGNOME in esecuzione di richieste formulate al primo ‘da giù’ (pag. 132 e 133; cfr prog. 4622 e 4623 RIT 1106/17);
ha offerto protezione alla casa da gioco New RAGIONE_SOCIALE up , ricevendo in cambio una percentuale sulle vincite, con spartizione degli utili tra gli associati;
ha organizzato un sistema di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, sotto la gestione di NOME COGNOME (giudicato con rito abbreviato) e
NOME COGNOME, consentendo a numerosi imprenditori di acquisire illecitamente capitali, che il RAGIONE_SOCIALE riciclava.
Molteplici sono i riferimenti degli imputati al prestigio criminale del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (cfr. ad esempio, dialoghi riportati a pag. 48 in cui NOME COGNOME fa chiaramente riferimento, come minaccia al suo creditore, alla sua appartenenza al RAGIONE_SOCIALE di Isola di Capo Rizzuto).
Sulla base di tali elementi, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, non vi è dubbio che esistesse l’associazione RAGIONE_SOCIALE e che abbia concretamente operato nel territorio RAGIONE_SOCIALE tramite gli imputati. Non è dubbio, cioè, che gli imputati, appartenenti a tale associazione di tipo mafioso, come contestato nel capo di imputazione, abbiano agito, in collegamento con la casa madre, a RAGIONE_SOCIALE, e che qui abbiano costituito un gruppo, guidato da NOME COGNOME.
Ciò è sufficiente per ritenere l’esistenza dell’associazione di cui al capo n. 1 e la partecipazione ad essa di NOME COGNOME.
3.1. I motivi sono invero fondati solo in parte, lì dove escludono che, per i fatti accertati ed esposti dalla Corte di appello, sia dimostrata l’esistenza di una autonoma associazione mafiosa ( locale ) che abbia esercitato nel contesto territoriale di RAGIONE_SOCIALE una forza intimidatrice obiettiva ed effettiva con le caratteristiche di cui all’art. 416bis cod. pen.
Manca, infatti, la prova che la forza di intimidazione esercitata dal sodalizio abbia, nel territorio RAGIONE_SOCIALE, indotto nella generalità dei consociati, o quanto meno negli appartenenti ai singoli settori di operatività del sodalizio, una condizione di assoggettamento e omertà.
Non è provato, in altri termini, che la compagine RAGIONE_SOCIALE abbia creato un clima di intimidazione e omertà nei confronti di imprenditori, operatori economici né altri gruppi di consociati; non risulta accertata alcuna particolare notorietà, neanche nello stretto ambito delle singole vittime dei loro reati.
Non sono significativi in tale senso, infatti, gli episodi individuati nella sentenza impugnata.
Tale non è l’estorsione di cui al capo n. 59, posta in essere da NOME COGNOME e NOME COGNOME, in quanto non aggravata dalla finalità di agevolare l’associazione, per i motivi di seguito esposti.
Né sono tali le minacce di morte rivolte al dipendente COGNOME e alla direttrice della sala giochi di RAGIONE_SOCIALE (vicenda per cui si è proceduto separatamente, contestata al capo 62), in quanto l’aggressione posta in essere da NOME COGNOME e NOME COGNOME era finalizzata a ottenere giustificazioni in merito al licenziamento di NOME COGNOME e la stessa sentenza della Seconda sezione di questa Corte, prima citata, ha annullato con rinvio la sentenza di
secondo grado in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen.
Del resto, la Corte di appello ha valorizzato questo episodio come manifestazione di forza criminale plateale, ma non risulta provato che le vittime abbiano percepito la forza di intimidazione ‘dell’associazione’, non essendo sufficiente come prova la mancata reazione di fronte alla violenza, che potrebbe essere derivata da altre cause, quali la paura di criminali ‘comuni’.
Tale parziale fondatezza delle deduzione difensive, però, finisce con l’essere irrilevante ai fini della sussistenza del reato associativo di cui al capo n. 1, in quanto la contestazione attiene alla partecipazione, con vari ruoli, alla RAGIONE_SOCIALE di Crotone (questa l’imputazione: ‘per aver fatto parte, unitamente a altri soggetti allo stato in corso di identificazione, dell’associazione mafiosa denominata RAGIONE_SOCIALE, ed in particolare della RAGIONE_SOCIALE, operante prevalentemente nella provincia di Crotone (e nello specifico ad isola Capo Rizzuto), del quale istituivano un locale in territorio scaligero ‘).
3.2. In conclusione, dunque, i motivi di ricorso in ordine al capo n. 1 vanno respinti, anche se la motivazione della sentenza impugnata va corretta nei termini sopra indicati, riportando il carattere mafioso dell’associazione all’attività svolta nell’area geografica di provenienza.
Ricorso di NOME COGNOME
Il primo motivo di ricorso, con cui si denuncia la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, è infondato.
L’art. 521 cod. proc. pen. consente al giudice di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa, purché non ecceda la propria competenza (comma 1), e gli impone di disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero quando, invece, il fatto contestato sia diverso da quello accertato (comma 2).
Tale previsione costituisce attuazione del diritto dell’imputato di essere informato, in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico (art. 111, comma 3, Cost., art. 6, comma 3, lett. a), Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha rilevato che questo diritto è funzionale a quello di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare le proprie difese e del più generale diritto a un processo equo, per cui l’informazione data deve contenere gli elementi necessari per permettere all’imputato di preparare le proprie difese (Corte E.D.U. COGNOME contro Italia, 15/12/1998; COGNOME contro Italia, 25/07/2000; COGNOME contro Italia, 11/12/2007).
La necessaria correlazione tra imputazione e sentenza viene meno nei casi di mutamento del fatto, ossia nei casi in cui la trasformazione del fatto concreto addebitato all’imputato sia così radicale da rendere oggettivamente incerto l’oggetto dell’imputazione, tanto da pregiudicare il diritto di difesa.
Ciò che rileva, in altri termini, è che l’imputato non sia stato colto di sorpresa, per essere stato messo per la prima volta di fronte a un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità di effettiva difesa, così trovandosi di fronte a un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali rispetto all’originaria imputazione, di cui rappresenti uno sviluppo inaspettato (Sez. 2, n. 10989 del 28/2/2023, Pagano, Rv. 284427 – 01).
Per questo «l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’ iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione» (Sez. 3, n. 24932 del 10/2/2023, Gargano, Rv. 284846 – 04).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, rilevando che i fatti per cui è intervenuta condanna sono esattamente quelli contestati, commessi da giugno 2007 in poi, mentre la valorizzazione di riferimenti temporali antecedenti all’epoca della contestazione non ha comportato alcuna modifica dell’imputazione, essendo stata funzionale unicamente ad affermare l’esistenza del sodalizio e la sua operatività in epoca precedente. Ciò significa che la condotta associativa attribuita agli imputati, contestata come ‘accertata’ da giugno 2017, è stata valutata a partire da questo momento e non è stata estesa nel dies a quo a un momento imprecisato precedente.
5. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che il ricorrente non contesta l’esistenza dell’associazione di cui al capo n. 1 ma unicamente la sua partecipazione a essa.
Sotto tale profilo si devono richiamare i principi stabiliti dalle Sezioni unite Modaffari (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889) secondo cui va considerato partecipe dell’organizzazione di tipo mafioso l’affiliato che “prende parte” attiva al fenomeno associativo.
La partecipazione implica, cioè, un’attivazione fattiva a favore della consorteria che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel “prendere parte”. Assume, quindi, assoluta decisività, ai fini della valutazione di “appartenenza”, la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni
caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza.
Sul piano probatorio, quindi, è necessario ricercare elementi che rendano certo il contributo concreto ed attuale dell’associato a favore della consorteria mafiosa. In sostanza, la condotta di partecipazione punibile potrà dirsi provata quando la “messa a disposizione” assuma i caratteri della serietà e della continuità attraverso comportamenti di fatto capaci di dimostrare in concreto l’adesione libera e volontaria al sodalizio, intesa nel senso di una stabile e duratura relazione, potenzialmente permanente.
La sentenza impugnata motiva diffusamente in ordine alla partecipazione del ricorrente all’associazione, affrontando, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, tutte le censure proposte in appello, e reiterate con il presente ricorso.
La partecipazione all’associazione è stata, dalle conformi sentenze di merito, desunta dai seguenti elementi:
il rilascio, tramite il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui NOME COGNOME era presidente, di diplomi e certificazioni ISO. Secondo la Corte di appello il ruolo del ricorrente, data la natura e la tipologia degli affari che curava, richiedeva un approccio di tipo professionale e giustificava la frequentazione di ambienti imprenditoriali e di politici e amministratori locali, funzionale all’infiltrazione del sodalizio criminoso nel tessuto economico RAGIONE_SOCIALE. Il collaboratore di giustizia NOME COGNOME, della cui attendibilità la difesa non ha dubitato, limitandosi a rilevare che sue dichiarazioni riguardano fatti accaduti in periodi precedenti rispetto a quelli contestati, ha riferito di conoscere personalmente i fratelli COGNOME, che gestivano RAGIONE_SOCIALE attraverso cui era possibile ottenere diplomi e lauree in modo irregolare, in quanto la commissione di esame veniva informata su quali persone dovessero superarli. Il collaboratore ha riferito che l’attività dei RAGIONE_SOCIALE era finalizzata anche agli interessi della ‘RAGIONE_SOCIALE, poiché, grazie a essa, gli affiliati potevano ottenere diplomi o certificazioni;
l’accordo corruttivo di cui al capo n. 66 (su cui si fa rinvio al punto n 7). La Corte di appello ha rilevato che i dialoghi intercettati (riportati a pag.126) sono univocamente indicativi del fatto che l’affare era di interesse dell’intera compagine ed è stato portato avanti allo scopo di agevolarla; di esso era, peraltro, costantemente tenuto al corrente NOME COGNOME. L’infiltrazione nel settore degli appalti pubblici, realizzata attraverso l’accordo con COGNOME, doveva costituire l’inizio di un percorso criminale, che avrebbe coinvolto anche altri amministratori e politici locali. La circostanza è confermata dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, che ha riferito «quell’inizio era una cosa che stavamo creando noi, ma con il progetto di coinvolgimento dell’intero gruppo poi, perché l’operatività era del gruppo» (pag. 127).
l’emissione di fatture per operazioni inesistenti a vantaggio del gruppo come emerge dalle intercettazioni ed è confermato dal collaboratore NOME COGNOME;
l’organizzazione di spedizioni punitive unitamente a NOME COGNOME, che emerge in modo chiaro dalle intercettazioni, da cui risulta anche che esse sono poste in essere in esecuzione di ‘ambasciate’ che il ricorrente riceveva da persone di ‘giù’. Né è idonea a scalfire la valenza di tale prova la circostanza che non siano stati effettuati accertamenti in ordine all’effettiva realizzazione delle azioni progettate nei dialoghi captati, in quanto si tratta di conversazioni dal contenuto inequivoco, attraverso cui si organizzano azioni di violenza e minaccia per intimidire le vittime;
la conoscenza delle dinamiche del RAGIONE_SOCIALE emergente da un lungo colloquio tra il ricorrente e NOME COGNOME, intercettati in auto. Secondo la Corte di appello, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, le informazioni fornite da NOME COGNOME non sono inesatte se non per dettagli marginali, ed è irrilevante la circostanza che il ricorrente non fosse affiliato al RAGIONE_SOCIALE, in quanto ciò che rileva è che egli si sia accreditato come tale e portato ‘in dote’ i propri legami con la famiglia COGNOME nel RAGIONE_SOCIALE COGNOME.
In questo contesto probatorio si sono inserite le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che, da una parte, lo hanno riscontrato e, dall’altra parte, lo hanno ampliato in relazione ad aspetti di dettaglio.
Come anticipato, il collaboratore, che aveva conosciuto NOME COGNOME tramite NOME COGNOME, ha dichiarato che i primi affari con il ricorrente avevano riguardato l’attività di fatturazione per operazioni inesistenti (circostanza, questa, confermata dalle intercettazioni riportate a pag.138) nonché spedizioni punitive e recupero crediti. Ha aggiunto che lui stesso aveva proposto a NOME COGNOME un affare relativo a forniture di armi, tanto che aveva conservato per un periodo una borsa contenente armi in una cantina sotto la scuola di COGNOME e le cui chiavi erano nella disponibilità di quest’ultimo (circostanza questa confermata dalla teste COGNOME).
Ebbene, reputa il Collegio che le attività poste in essere in favore dell’associazione sopra elencate siano indubbiamente qualificabili come contributi concreti e fattivi alla vita dell’associazione, che impongono di ritenere il ricorrente partecipe di essa.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile perché meramente reiterativo di identica censura proposta in appello e adeguatamente respinta dalla sentenza impugnata, con la cui motivazione, di fatto, il ricorso non si confronta.
In ogni caso esso è manifestamente infondato.
La distinzione tra la condotta di partecipazione ad associazione mafiosa e il concorso esterno è collegata alla organicità del rapporto tra il singolo e la consorteria: il partecipe è permanentemente a disposizione dell’associazione, di cui, appunto, ‘prende parte’, mentre il concorrente esterno è un extraneus , sulla cui disponibilità a tempo indeterminato il sodalizio non può contare, il quale tiene singole condotte agevolative, concordate sulla base di autonome determinazioni (Sez. 2, n. 35185 del 21/09/2020, Cangiano, Rv. 280458 – 02).
La Corte di appello, con motivazione logica e immune da vizi, ha ritenuto che la condotta di NOME COGNOME debba essere qualificata come partecipazione, all’associazione e non come concorso esterno, in considerazione della continuità dell’apporto nel ricorrente al gruppo criminale, che su di lui poteva contare in modo permanente in una pluralità di settori di intervento del RAGIONE_SOCIALE calabrese in RAGIONE_SOCIALE (vicenda RAGIONE_SOCIALE, custodia delle armi, false fatturazioni, forniture di titoli di RAGIONE_SOCIALEo, progetto di avviare nuove iniziative illecite per infiltrarsi nel settore economico produttivo).
Il quarto motivo di ricorso, con cui si contesta la sussistenza della corruzione di cui al capo n. 66, è infondato.
L’art. 319 cod. pen. punisce un contratto a causa illecita tra il corrotto e corruttore, che si consuma con l’accordo per la consegna di denaro o di altra utilità per «omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio». L’atto di ufficio non deve essere inteso in senso strettamente formale, ma può consistere anche in un comportamento materiale, che sia esplicazione di poteridoveri inerenti alla funzione concretamente esercitata.
Secondo la sentenza impugnata la prova della corruzione emerge nitidamente dal contenuto delle intercettazioni (di cui sono riportati stralci) ed è confermata dalle dichiarazioni di NOME COGNOME. Dalle intercettazioni, in particolare, risulta che il ricorrente ha promesso al correo NOME COGNOME, Presidente di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, 16.000 euro in più tranche in cambio dell’affidamento, da parte della RAGIONE_SOCIALE, dell’incarico di svolgere corsi – fittizi o comunque sovra-fatturati- per il personale, in modo da consentire al ricorrente di ottenere, con una fattura di 25.000/26.000 euro, la restituzione del contante consegnato a COGNOME e di un plus valore di 10.000 euro (cfr. prog. 227538 RIT 1094/17 del 20/4/2018 in cui NOME COGNOME riferisce alla moglie il contenuto dell’accordo ‘Sì sì lo fa solo NOMECOGNOME gli dà una mano lui .. gli da 4.000 euro ogni mese .. gli ha fatto rate da .. da .. 4000 al 20 del mese e lui mi fa una fattura da 25.000, praticamente gli mette sopra 10.000 € di guadagno»).
È stata consegnata soltanto la prima tranche di 3.000 euro in contanti per l’affidamento dell’incarico di erogazione dei corsi ma poi le dazioni di denaro sono state sospese per ritardi nella pratica dell’affidamento e, infine, interrotte per il rinvenimento, da parte di NOME COGNOME, di microspie installate nella sua auto (intercettazioni riportate a pagina 149).
Come correttamente rilevato dalla Corte di appello – che ha richiamato sul punto la sentenza n. 25459 del 21/05/2024 della seconda Sezione di questa Corte, emessa nei confronti nei coimputati, tra cui di NOME COGNOME, che hanno definito la loro posizione con rito abbreviato- l’atto contrario ai doveri di ufficio consiste nell’affidamento, mediante una gara pilotata, dell’incarico di svolgere corsi sostanzialmente fittizi, per salvare le apparenze, per il personale (cfr. intercettazione riportata a pag. 148: alla domanda di COGNOME se i corsi dovranno essere tenuti davvero, COGNOME risponde «Beh, qualcosina, si, dai! Anche perché sennò almeno … sennò dicono, non si è fatto niente Si meglio fare qualcosa»).
La circostanza, poi, che i corsi siano stati «ridotti a mero simulacro, evidenzia come non sia stato perseguito l’interesse pubblico, conseguentemente escludendo la configurabilità sia del reato di cui all’art. 318 cod. pen., che di quello di cui all’art. 346-bis cod. pen.» (Sez. 2, sent. n. 25459 del 21/05/2024, cit.).
Del tutto infondata, dunque, è la prospettazione difensiva secondo cui la dazione di denaro sarebbe stata una mera regalia al Presidente di RAGIONE_SOCIALE, essendo stata raggiunta la piena prova del patto corruttivo.
Il quinto motivo di ricorso, con cui si contesta la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen., è inammissibile perché sollecita una diversa valutazione delle prove acquisite e, segnatamente, delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, il cui apprezzamento è, in via esclusiva, riservato al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).
La Corte di appello ha, infatti, valutato in maniera non manifestamente illogica le dichiarazioni di NOME COGNOME, secondo cui, fin dalla prima fase, della progettazione dell’affare, che rientrava in un più ampio progetto coinvolgente l’intera associazione, con il fine della progressiva infiltrazione nel tessuto economico, è stato costantemente tenuto informato NOME COGNOME, che ha dato il suo placet (pag. 155-156).
In conclusione, il ricorso di NOME COGNOME va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Ricorso di NOME COGNOME
10. Il ricorso di NOME COGNOME, che ha definito la sua posizione concordando la pena in appello ex art. 599bis cod. proc. pen, è inammissibile, in quanto proposto in relazione alla misura della pena concordata. Infatti, il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti, una volta recepito nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato, salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata (Sez. 3, n. 19983 del 09/06/2020, Coppola, Rv. 279504 – 01).
All’inammissibilità del ricorso consegue l’obbligo al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Ricorso di NOME COGNOME
11. I motivi di ricorso con cui si contesta l’esistenza dell’associazione di stampo mafioso di cui al capo n. 1 sono stati esaminati nella parte introduttiva.
12. Il secondo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO COGNOME, con cui si contesta il ruolo apicale di NOME COGNOME, è inammissibile, perché la relativa doglianza era stata dichiarato inammissibile in appello e il ricorrente non si duole della declaratoria di inammissibilità ma si limita a riproporre il motivo di ricorso, senza, dunque, confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata (pag. 58-60).
Anche il primo dei motivi aggiunti dell’AVV_NOTAIO, con cui si deduce la violazione dell’art. 68 cod. proc. pen., è inammissibile perché manifestamente infondato.
Nella prospettazione difensiva l’errore sull’identità fisica dell’imputato deriverebbe dal fatto che uno dei collaboratori di giustizia, ossia NOME COGNOME, dopo aver reso dichiarazioni su NOME COGNOME, indicandolo come vertice dell’associazione, in sede di individuazione fotografica, lo ha scambiato per il cugino.
L’erronea individuazione fotografica, infatti, può, al più, inficiare le dichiarazioni del collaboratore ma non determina in alcun caso un errore sull’identità fisica dell’imputato, che ricorre solo quando si procede nei confronti di soggetto diverso da quello che avrebbe dovuto assumere la qualifica di imputato.
13. Il terzo motivo di ricorso, con cui si contesta la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis , comma 4, cod. pen. e il quinto motivo di ricorso, relativo all’aggravante di cui all’art. 74, comma 3, del d.P.r. n. 309 del 1990, entrambi proposti dall’AVV_NOTAIO, sono inammissibili in quanto dal non contestato riepilogo dei motivi di appello, riportato nella sentenza impugnata, emerge che in quella sede non sono state dedotte le relative censure.
Ebbene, il ricorrente, per l’onere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, imposto dall’art. 581, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., avrebbe avuto il dovere processuale di contestare specificamente il riepilogo dei motivi di gravame operato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se ritenuto incompleto o comunque non corretto (Sez. II, n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25 febbraio 2014, Carrieri, Rv. 259066) ma alcuna contestazione al riguardo è stata formulata, per cui si deve dedurre che entrambi i motivi sono inammissibili, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità vizi non dedotti in precedenza come motivo di appello (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01).
14. Il quarto motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO, con cui si contesta la sussistenza dell’associazione dedita al narcotraffico di cui al capo n. 3, il ruolo del ricorrente e la qualificazione come reati fine delle singole cessioni contestate ai capi successivi è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.
Inammissibile è la censura che involge il contenuto delle intercettazioni telefoniche, la cui interpretazione costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, sottratta al sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione, che non ricorre nel caso di specie (tra le altre, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 – 01).
Meramente reiterative sono, invece, le censure relative alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che sono state adeguatamente affrontate e disattese con la sentenza impugnata, di cui il ricorso non costituisce critica argomentata.
Infondate sono, invece, le censure di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla fattispecie associativa.
Va premesso che l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti va individuato nel carattere stabile dell’accordo criminoso per la commissione di una pluralità di reati in materia di stupefacenti e, cioè, nella permanenza del vincolo associativo tra i partecipanti, e nell’esistenza di una organizzazione, seppur rudimentale, che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 18055 del 10/01/2018, Canale, Rv. 273008).
Non è di ostacolo alla configurabilità del delitto associativo la radicale diversità degli interessi contrapposti perseguiti dai singoli componenti il sodalizio (che rilevano esclusivamente come motivi a delinquere) purché le condotte di ciascuno siano volte a realizzare il fine comune, che è quello di sviluppare il commercio degli stupefacenti (Sez. 6, n. 22046 del 13/12/2018, COGNOME, Rv. 276068 – 02).
Sotto il profilo probatorio, lo svolgimento di un’attività sistematica e continuativa di cessione di sostanze droganti per un apprezzabile periodo di tempo può essere desunto anche nel caso in cui risultino dimostrate o riscontrate da sequestri soltanto alcune delle cessioni, monitorate attraverso servizi di intercettazione di conversazioni, quando le stesse siano collegate probatoriamente alle altre condotte contestate, senza che sia necessario riscontrare tutti i singoli episodi, specie quando tali fatti coinvolgano le medesime persone, si presentino omogenei e risultino avvinti tra loro da continuità cronologica (Sez. 5, n. 14863 del 21/12/2020, Rv. 281138 – 01).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, descrivendo la composizione soggettiva del gruppo, i ruoli da ciascuno rivestiti, l’organizzazione e la sua adeguatezza strutturale rispetto al perseguimento delle finalità del programma criminoso, la connessione delle singole condotte in un’unica dimensione criminale.
La sentenza impugnata (pagg. 60 e ss) ha, in primo luogo, valorizzato la sentenza n. 24549 del 21/05/2024, emessa dalla seconda Sezione di questa Corte nei confronti dei compiutati che hanno optato per il rito abbreviato, che ha accertato l’esistenza di una struttura, che ha avuto il fine esclusivo della commissione di più reati relativi all’acquisto, al commercio, al trasporto e alla distribuzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina e che si è avvalsa stabilmente di una serie di mezzi per il raggiungimento del fine comune, quali, ad esempio, luoghi e persone deputate al deposito dello stupefacente e una rete di vendita al dettaglio.
Inoltre, la Corte di appello ha rilevato che: dalle intercettazioni telefoniche (in cui viene utilizzato un linguaggio criptico) e ambientali (in cui gli imputati, invece, parlano esplicitamente di cocaina, facendo riferimento a sostanza da taglio, e di prezzi al grammo) emergono la stabilità del vincolo associativo, i ruoli degli associati, la capacità di smerciare rilevanti quantitativi di sostanza stupefacente (perlomeno 500 grammi in 10 giorni: prog. 75 RIT 1647/17; il dato è confermato dai testi di polizia giudiziaria che, sulla base dell’ascolto delle conversazioni, hanno stimato l’entità del traffico in circa due chilogrammi di cocaina al mese); lo stupefacente, per lo più, proviene dal Sud Italia; gli associati provvedono a tagliarlo, confezionarlo e successivamente venderlo al prezzo da loro imposto ai pusher , i quali a loro volta rivendono al dettaglio.
Il ruolo apicale del ricorrente è dedotto dalle conversazioni intercettate dal contenuto ritenuto, con motivazione non manifestamente illogica né irragionevole, univoco (tra cui prog. 3774 RIT 1648/17 in cui NOME COGNOME fa esplicito riferimento al traffico di cocaina da lui gestito; prog. 25161 e 25183 RIT 1865/17, da cui emerge che era il ricorrente a fornire le direttive su coloro a cui cedere
sostanza e a stabilire i quantitativi; prog. 50410 RIT 1228/17, in cui NOME NOME AVV_NOTAIO riferisce chiaramente che il padre aveva ordinato loro di aspettare ad acquistare delle ‘magliette’ inducendo gli acquirenti ad attendere le indicazioni provenienti dal capo).
Tali risultanze, dà atto la Corte di appello, sono confermate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e, in particolare, da NOME COGNOME – che ha riferito del ruolo direttivo svolto da NOME COGNOME, che gestiva direttamente la compravendita della sostanza, rifornita, fino ad un certo punto dallo stesso COGNOME, fino a che il ricorrente non si è organizzato in proprio, creando un suo gruppo- e da NOME COGNOME– che ha delineato i ruoli, confermando che al vertice vi era il ricorrente, e ha riferito che i guadagni venivano reimpiegati per acquisiti di altro stupefacente o per implementare la cassa comune.
I numerosi reati di cessione di stupefacente accertati sono stati correttamente considerati reati fine perché mancano, di volta in volta, separati ed autonomi accordi per l’acquisto e lo smercio dello stupefacente, sicché la stabile dedizione degli associati alla cessione di stupefacente del tipo cocaina, reiterata nel tempo, non può che essere espressione di una attività preordinata e strutturata, costituente esecuzione del programma associativo.
15. Il sesto motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO COGNOME, ripreso e approfondito con il secondo dei motivi aggiunti, e il secondo motivo dell’AVV_NOTAIO COGNOME, con cui si contesta la violazione del divieto di bis in idem , per il mancato assorbimento del reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in quello di cui all’art 416bis cod. pen., sono infondati.
L’art. 649 cod. proc. pen. vieta che l’imputato, condannato o prosciolto, sia sottoposto a giudizio per il ‘medesimo fatto’. Identica garanzia è prevista dalle fonti sovranazionali (art. 4, Prot. n. 7, alla Convenzione EDU, art. 50 CDFUE).
Secondo le Sezioni unite, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, PG/Donati, Rv. 231799 – 01). La Corte di Strasburgo ha chiarito che per “stesso fatto” ( same offence ) ai fini della Convenzione EDU deve intendersi un fatto naturalisticamente identico o «sostanzialmente» uguale a quello costituente oggetto del primo procedimento (Corte EDU, Grande Chambre, 10 febbraio 2009, caso NOME COGNOME c. Russia). La Corte costituzionale (sentenza n. 200 del 30/05/2016) ha affermato, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., che il giudice può affermare che il fatto oggetto del
nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza «della triade condotta – nesso causale – evento naturalistico assunti in una dimensione empirica».
Ebbene, gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 416bis cod. pen. non coincidono con quelli del reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto accanto ad un nucleo comune (accordo per la commissione di un numero indeterminato di reati, struttura necessaria alla sua realizzazione) ciascuna fattispecie ha elementi specializzanti: l’associazione di cui all’art. 416bis cod. pen., costituita per commettere una serie non tipizzata di delitti, richiede il ricorso alla forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e, come effetto di esso, la condizione di assoggettamento e di omertà nel contesto in cui il sodalizio opera, mentre l’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 è costituita per la sola commissione di delitti in materia di stupefacenti.
Pertanto, non essendovi coincidenza né di condotta, né di evento, è configurabile il concorso tra i due delitti quando il sodalizio mafioso strutturi al proprio interno, come spesso accade, un riconoscibile assetto organizzativo specificamente funzionale al narcotraffico (Cass. Sez. 6, n. 563 del 29/5/2015, dep. nel 2016, Viscido, Rv. 265762).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, rilevando che l’esistenza di due distinte strutture era già stata accertata in via definitiva dalla sentenza della seconda Sezione di questa Corte che si è pronunciata sugli abbreviati e specificando, comunque, che dal materiale probatorio utilizzabile emerge, in primo luogo, che le due associazioni contestate ai capi n. 1 e n. 3 differiscono, almeno in parte, per l’identità dei partecipi (essendovi una parziale coincidenza soggettiva, limitata a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) e, in secondo luogo, che l’associazione finalizzata al narcotraffico ha mantenuto una sua autonomia organizzativa e operativa rispetto a quella di tipo mafioso .
Con il secondo motivo di ricorso l’AVV_NOTAIO COGNOME deduce la violazione del divieto di bis in idem in riferimento alla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. in relazione al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il motivo è inammissibile per i motivi già esposti al punto n. 13 cui si fa rinvio, in quanto dal non contestato riepilogo dei motivi di appello, riportato nella sentenza impugnata, emerge che in quella sede non sono state dedotte le relative censure (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01).
Per gli stessi motivi è inammissibile il terzo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO, con cui si deducono i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione in
relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. contestata in riferimento al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, nella sua declinazione soggettiva.
18. Il settimo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO COGNOME, relativo al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 contestato al capo n. 7, è inammissibile, perché attiene all’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, che non è sindacabile in sede di legittimità, se non per manifesta infondatezza o illogicità, che nel caso di specie non ricorrono. Secondo la Corte di appello, infatti, nell’intercettazione ambientale (prog. 10546 del 28/04/2018) le espressioni utilizzate sono certamente riferibili a sostanza stupefacente, alla sua qualità («è più leggera .. quella tagliata … questa qua è marrone e quella là è scura», pag. 81 sentenza impugnata) e quantità («mo.. quanti sono…nove»).
19. Anche l’ottavo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO è inammissibile, perché aspecifico, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata (pag. 83), che respinge identica censura, rilevando che il reato è stato commesso al fine di agevolare l’attività del sodalizio mafioso che lo stesso ricorrente dirigeva in posizione apicale, accrescendone la capacità operativa, perché ha contribuito a creare un’importante piazza di spaccio e ha garantito ai membri del gruppo criminale la partecipazione ai relativi utili.
20. Il nono motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO, relativo al capo n. 59, è, del pari, inammissibile perché aspecifico, in quanto non si confronta con l’ampia e dettagliata motivazione (pagg. 202-207) della sentenza impugnata, secondo cui con gli atti di appello era stata solo genericamente dedotta l’esistenza di un accordo tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, accordo che non aveva, comunque, coinvolto NOME COGNOME, ossia l’imprenditore che aveva sottoscritto il contratto con il condominio per la realizzazione dei lavori edili.
Secondo la non contestata ricostruzione della sentenza impugnata, una volta avviata l’opera si erano, però, presentati in cantiere NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi del tutto estranei all’appalto, l’avevano picchiato e poi costretto a consegnargli il 20% dell’importo che aveva pattuito con il condominio quale corrispettivo dell’appalto.
Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U, n. 29541 del
16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 02), rilevando che i fatti vanno ricondotti alla fattispecie di cui all’art. 629 cod. pen. in quanto la pretesa esercitata dal ricorrente e da NOME COGNOME era del tutto arbitraria (come, del resto, riconosciuto dallo stesso ricorrente nella conversazione oggetto di intercettazione ambientale riportata a pagina 203, in cui si dimostra del tutto consapevole della qualità estorsiva della propria azione e del rischio di essere arrestato, senza fare alcun accenno alla sussistenza di un diritto o a un inadempimento contrattuale).
21. Il decimo motivo dell’AVV_NOTAIO COGNOME, con cui si contesta che il reato di estorsione di cui al punto precedente sia aggravato ex art. 416bis .1. cod. pen. è fondato.
L’aggravante è stata contestata, e ritenuta sussistente, nella sua declinazione soggettiva, caratterizzata dal dolo intenzionale (finalità di agevolare l’associazione di stampo mafioso).
La “finalità tipizzante” della fattispecie di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è costituita dallo scopo di agevolare non il singolo esponente dell’associazione di tipo mafioso, bensì l’attività dell’associazione quale gruppo sopraindividuale, come si desume dal dato testuale della previsione legislativa: infatti, l’art. 416-bis.1 cod. pen. prevede l’aggravante con riferimento ai «delitti commessi al fine di agevolare le associazioni previste ».
Ebbene, la sentenza impugnata reputa l’aggravante sussistente, anche se riferita ad un reato commesso negli anni 2013-2014, perché l’associazione, accertata dal 2017, si sarebbe affermata nel territorio RAGIONE_SOCIALE a partire almeno dal 2013 e proprio grazie all’emergere di alcune vicende, tra cui principalmente l’estorsione di cui al capo n. 59, in cui si è manifestata la forza intimidatrice derivante dal vincolo ‘ndranghetistico in favore dell’organizzazione locale facente capo a NOME COGNOME (pag. 207)
Tale interpretazione non è corretta, perché sovrappone la declinazione oggettiva dell’aggravante, del metodo mafioso, con quella soggettiva, della finalità agevolatrice, deducendo la sussistenza del dolo specifico (finalità di agevolare l’associazione mafiosa) dal metodo (mafioso) utilizzato.
In tale modo si priva di autonomia la declinazione soggettiva dell’aggravante, che finisce per essere sussistente in ogni caso in cui si fa ricorso al metodo mafioso, in contrasto con la lettera dell’art. 416-bis.1 cod. pen., che prevede due distinte fattispecie, una avente natura oggettiva, che si caratterizza e si esaurisce nelle modalità dell’azione, e l’altra, come detto, di natura, soggettiva.
Il ragionamento circolare della Corte di appello, cioè, lega due aspetti che devono, invece, essere mantenuti nettamente distinti, sia sul piano concettuale che sul piano probatorio.
In conclusione, manca la prova che l’azione estorsiva sia stata posta in essere al fine di agevolare un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all’art. 416-bis cod. pen., e, segnatamente, il gruppo facente capo ad NOME COGNOME.
Sul punto va rilevato che, poiché il materiale probatorio a carico del ricorrente è stato puntualmente e completamente analizzato nei giudizi di merito, un eventuale giudizio di rinvio non potrebbe in alcun modo colmare la carenza probatoria. Per questo motivo l’annullamento deve essere disposto senza rinvio, non residuando ambiti per una diversa decisione (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003. PG in proc. Andreotti, Rv. 226100 – 01).
Va, altresì, disposta la trasmissione degli atti a diversa Sezione della Corte di appello di Venezia per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, per effetto della eliminazione dell’aggravante.
L’undicesimo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO è inammissibile perché aspecifico, in quanto non si confronta con l’analitica motivazione della sentenza di secondo grado.
In ogni caso, è infondato in quanto la Corte di appello ha dedotto dall’univoco contenuto delle conversazioni intercettate (prog. 66 RIT 1830/2017) la provenienza illecita dei sedili e dei pannelli, del valore di almeno 2.000 euro, ricevuti dall’imputato e dal figlio dal gestore della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, nonché la consapevolezza dell’origine furtiva dei beni (‘Hanno rubato una Golf e l’hanno smontata e me li sono presi io! Siamo andati là…. ‘NOME vieni qua! Gli ha detto a NOME. Siamo andati là… quanto ti devo? Questo è il regalo per Natale’ pag. 80).
Sul punto va solo rilevato che, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è sufficiente che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo della fattispecie, sia individuato nella sua tipologia, non essendone necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali (Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, Cremonese, Rv. 282629 – 01; n. 46773 del 23/11/2021, Peri, Rv. 282433 – 02; n. 29689 del 28/5/2019, COGNOME, Rv. 277020 – 01).
Il dodicesimo motivo, relativo alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non supera il vaglio di ammissibilità perché formulato in modo del tutto generico.
Sul punto la Corte di appello aveva rilevato che non era stato prospettato alcun elemento di segno positivo idoneo a giustificare il riconoscimento delle circostanze generiche, per cui aveva dichiarato il motivo ai limiti dell’inammissibilità, per genericità intrinseca, prima ancora che manifestamente infondato.
24. Il tredicesimo motivo di ricorso, con cui si rileva il difetto di motivazione in relazione ai singoli aumenti di pena per i reati posti in continuazione, è infondato.
Infatti, se è vero che, nel determinare la pena complessiva per gli aumenti dei reati satellite ritenuti in continuazione, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, il giudice deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, è vero anche che l’astratto rigore che assiste tale decisione deve essere di volta in volta calato nel caso concreto. Ciò in quanto l’onere motivazionale in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall’art. 81 cod. pen., al fine di garantire che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269 – 01).
La motivazione è, infatti, funzionale a garantire il controllo sul buon uso fatto dal giudice del suo potere discrezionale, non essendo invece consentita la complessiva determinazione della pena senza indicazione della pena stabilita per ciascun reato, di quello ritenuto più grave e dell’aumento per la continuazione (Sez. U, n. 7930 del 21/04/1995, Zouine, Rv. 201549 – 01).
La Sentenza Pizzone citata, pur rilevando come il peso in concreto assegnato dal giudice a ciascun reato satellite concorra a determinare un razionale trattamento sanzionatorio con la conseguente necessità che siano palesati gli elementi che hanno condotto al risultato cui si è pervenuti, ha tuttavia precisato che l’obbligo della motivazione non può essere astrattamente circoscritto secondo canoni predeterminati. Una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena da irrogare è, pertanto, necessaria allorché la determinazione avvenga in misura prossima al massimo edittale.
Nel caso di specie, per il più grave reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, la pena è stata determinata nel minimo edittale, mentre gli aumenti per la continuazione sono stati ridotti, in accoglimento delle istanze difensive, per il capo n. 59, in ragione della gravità dei fatti, da mesi otto – inflitti in primo grado- a mesi sei di reclusione; per il capo n. 1 da anni cinque- inflitti in primo grado- ad anni due; mentre, per i capi n. 60 e n. 7 l’aumento è stato quantificato nella misura di mesi uno di reclusione per ciascun reato.
Reputa il Collegio che l’esigua entità di tali aumenti, per i quali peraltro è stata fornita una pur succinta motivazione, consenta di escludere l’abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. e deponga per una ponderata
valutazione degli elementi posti a base della decisione in ordine al trattamento sanzionatorio.
Per gli stessi motivi è infondato l’ultimo motivo di ricorso, avendo, peraltro, la Corte accolto il motivo di ricorso relativo l’eccessività del trattamento sanzionatorio e avendo provveduto a ridurre la pena inflitta.
In conclusione, i ricorsi di NOME COGNOME vanno accolti, limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416bis cod. pen. contestata al capo n. 59, e rigettati nel resto.
Ricorso di NOME COGNOME
27. Il primo motivo di ricorso, ribadito e ampliato con i motivi aggiunti, con cui si contesta la partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo n. 1, è inammissibile perché costituito da mere doglianze di fatto, volte ad ottenere una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità.
Sul punto va ribadito che il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione. Ne consegue che sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 3, n. 17395 del 24/1/2023, COGNOME, Rv. 284556 01; Sez. 5, n. 26455 del 9/6/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/2/21, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
Quanto, poi, alle censure sul contenuto delle intercettazioni telefoniche, va ribadito che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sezioni Unite, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
Ebbene, la Corte di appello ha, con motivazione logica e immune da vizi, affrontato tutte le questioni dedotte dalla difesa, rilevando, sulla base del materiale probatorio acquisito: a) che il periodo di detenzione in carcere di NOME COGNOME, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, è stato considerato tanto dalla sentenza di quanto della sentenza di secondo grado; b) che il rapporto tra NOME COGNOME e NOME COGNOME certamente si è allentato nel giugno 2016 ma non si è mai interrotto, come emerge dalle intercettazioni ambientali dell’anno 2017, in cui NOME COGNOME, riferendosi a COGNOME ne parla al presente come «uno di azione che se deve fare un’azione la fa» (conversazioni riportata a pag. 189): c) che NOME COGNOME è stato sostenuto economicamente durante la latitanza nel 2016 e, poi, durante la detenzione in carcere. La Corte di appello ha riportato alcune conversazioni, che, secondo la difesa, sarebbero da interpretare diversamente – censura, questa, non deducibile in sede di legittimità se non nei limiti sopra riportati- e che sarebbero prive di valore alla luce della prova documentale prodotta, ossia della lista dei movimenti sul conto dell’amministrazione penitenziaria acceso a nome di NOME COGNOME, che vorrebbe evidenziare la ricezione di denaro solamente da colloqui con i propri familiari. Secondo la sentenza impugnata, invece, tale documento nulla prova in merito alla provenienza della provvista del denaro e non si presenta idoneo a superare l’univoco tenore delle intercettazioni; d) che il ricorrente ha svolto il ruolo di custode delle armi del gruppo (cfr. capo n. 57); e) che, presso la casa del gioco RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE App , ha svolto il ruolo di rappresentante della protezione ambientale offerta da NOME COGNOME, nonostante, per un periodo, si trovasse agli arresti domiciliari. La RAGIONE_SOCIALE , in particolare, riceveva protezione da parte della consorteria a cui riconosceva una percentuale sulle vincite, come emerge dall’attività di intercettazione e, in particolare, dalle conversazioni, riassunte nella sentenza impugnata (pagg. 194-195), in cui NOME COGNOME parla liberamente in merito al denaro ricavato dalla protezione ambientale resa e alla partecipazione di COGNOME a tale attività. Del medesimo tenore sono le conversazioni captate all’interno dell’abitazione del COGNOME, in cui si discute della spartizione del denaro ricavato; f) che nella vicenda RAGIONE_SOCIALE di cui al capo n. 66 il ricorrente non ha svolto un ruolo passivo, avendo incontrato NOME COGNOME poco dopo la consegna nella prima tranche di denaro. Del resto, le intercettazioni impongono di ritenere il ricorrente supervisore nell’affare (cfr. conversazione telefonica a tre, prog. 7703, del 04/06/32018, riportata a pag. 195 in cui NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME discorrono dei ritardi di COGNOME nell’adempimento degli impegni assunti).
Tale motivazione, logica e immune da vizi, non è scalfita dalle censure dedotte con il ricorso che, come detto, si limitano a proporre una diversa lettura delle emergenze probatorie.
28. Il secondo motivo di ricorso, ripreso e ampliato con i motivi aggiunti, è infondato.
Ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità, secondo il criterio di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., il giudice deve in primo luogo affrontare la questione della credibilità del dichiarante in relazione, tra l’altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici; in secondo luogo deve verificare l’intrinseca consistenza, e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; infine egli deve esaminare i riscontri esterni (Sez. U n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192465 – 01).
L’interesse a “collaborare”, che può animare, e normalmente anima, utilitaristicamente ogni collaborante in ragione della possibilità di fruire dei benefici di legge, non ne per ciò solo inficia la credibilità, in mancanza di quantomeno serie allegazioni contrarie, indicative dell’interesse concreto a rendere dichiarazioni eteroaccusatorie inquinate – per rancore, intese collusive o altro – tale da rendere legittimo il sospetto concreto di inattendibilità delle propalazioni accusatorie, ciò che deve indurre il giudice a maggiore cautela e ad applicare con criterio di rigore gli ulteriori parametri valutativi offerti dall’esperienza e dalla logica (Sez. 6, n. 48320 del 12/04/2022, PMT/Manna e altri, Rv. 284074 – 02).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, rilevando, quando a NOME COGNOME, che l’origine e le ragioni della sua collaborazione, legata ad un tornaconto in termini di pena, non inficia la credibilità delle sue dichiarazioni, né la difesa ha allegato elementi concreti da cui desumere il contrario.
28.1 COGNOME è stato ritenuto credibile, non avendo mai dimostrato alcun intento di danneggiare i compiutati, e le sue dichiarazioni sono state ritenute attendibili, perché precise, complete, costanti, in riferimento a tutti gli episodi.
Se è vero, poi, che egli si è determinato a collaborare quando oramai il quadro probatorio era cristallizzato, è vero anche che il suo narrato in parte riscontra le prove già acquisite e in parte le amplia, offrendo precisazioni e dettagli non noti.
In ogni caso la Corte di appello ha rilevato, quanto alla posizione del ricorrente, che «le dichiarazioni del collaboratore non costituiscono prova determinante per l’affermazione della sussistenza dei fatti o per la loro attribuzione
all’imputato, in quanto già ricostruiti attraverso altre specifiche evidenze acquisite in atti -prima tra tutte, l’esito delle attività intercettive-e solamente confermati dal portato dichiarativo del collaboratore COGNOME» (pag. 190).
Inammissibile, perché non si confronta con la puntale motivazione della sentenza impugnata, la censura relativa al ‘fiore’ che COGNOME avrebbe portato alla moglie di NOME COGNOME, mentre costui era in carcere.
La Corte di appello, infatti, ha rilevato che la lettura difensiva è il frutto di una parcellizzazione delle dichiarazioni del collaboratore, il quale ha riferito che all’interno dell’associazione vi erano delle regole di spartizione degli utili « io avevo il mio utile, NOME e la locale aveva il suo utile, NOME aveva il suo utile C’erano le divisioni, c’erano le parti prestabilite». (pag. 212). Il collaboratore ha precisato che, durante la lunga malattia di NOME COGNOME, NOME COGNOME avrebbe ‘ dovuto portare i soldi ‘. Quanto alla spartizione degli utili che mensilmente il ricorrente riceveva per la protezione della New RAGIONE_SOCIALE app il collaboratore ha riferito di aver appreso da NOME COGNOME che avrebbe dovuto portarne una parte a NOME COGNOME, precisando però di non sapere se NOME COGNOME l’avesse fatto, avendo in realtà appreso solo dalla lettura delle intercettazioni telefoniche che NOME COGNOME si lamentava dell’inadempimento di COGNOME, che stava tenendo, per questo motivo, sotto controllo.
28.2. Anche NOME COGNOME, che per la maggior parte ha riferito episodi direttamente vissuti nell’ambito del traffico di stupefacenti e che ha parlato anche delle armi a disposizione dell’associazione, è stato ritenuto pienamente credibile; il suo narrato, poi, ha trovato puntuale riscontro nelle intercettazioni telefoniche. Il collaboratore ha riconosciuto in aula NOME COGNOME, con cui aveva condiviso un periodo di detenzione, e ha riferito che NOME COGNOME di RAGIONE_SOCIALE, anche lui conosciuto in carcere, gli aveva riferito che i suoi cugini, per il recupero crediti, molte volte si avvalevano di NOME e COGNOME che «usavano metodi pesanti, picchiavano, andavano pesanti» (pagina 192).
Tali dichiarazioni, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non sono determinanti per l’affermazione della partecipazione all’associazione del ricorrente, né per l’individuazione del suo ruolo, ma costituiscono, secondo la corretta impostazione della Corte di appello, una conferma del già solido quadro probatorio a suo carico. In conclusione, secondo la Corte, il ruolo di partecipe del ricorrente è legato alla custodia delle armi per la RAGIONE_SOCIALE (capo 57), alla protezione offerta per conto del RAGIONE_SOCIALE alla sala giochi, in cambio della quale riceveva una percentuale delle vincite, al sostentamento economico offertogli mentre era latitante e in carcere, alla partecipazione, come supervisore a favore del RAGIONE_SOCIALE, nella vicenda RAGIONE_SOCIALE, alla stabile messa a disposizione del RAGIONE_SOCIALE per azioni di tipo violento (pag. 37).
29. Il terzo motivo di ricorso, ripreso e ampliato con i motivi aggiunti, relativo al capo n. 57, è inammissibile perché versato in fatto e tendente a una diversa valutazione delle fonti probatorie, inammissibile in sede di legittimità.
Il capo n. 57 ha ad oggetto la detenzione di armi. Per tale reato NOME COGNOME è stato condannato con sentenza divenuta irrevocabile, mentre la responsabilità del ricorrente è stata fondata sia sulle dichiarazioni del collaboratore, che ha indicato il luogo ove le armi sono state rinvenute, sia sulla base delle dichiarazioni NOME COGNOME, ignaro custode delle stesse.
COGNOME ha riferito che il borsone dove sono state rinvenute le armi era stato portato nel suo garage da COGNOME accompagnato da tale NOME, che la Corte, con motivazione non illogica, ha ritenuto essere NOME COGNOME, sulla base della certa frequentazione tra i due, dell’età, dell’arrivo in macchina, elementi questi che riscontrano puntualmente le dichiarazioni rese sul punto da NOME COGNOME.
Quanto alla diversità del tempo in cui sarebbe avvenuto il trasporto, la Corte ha rilevato che il teste ha fatto riferimento al periodo di poco antecedente al lockdown (quindi prima di marzo 2020), mentre il collaboratore ha collocato l’episodio nel settembre 2018, ma in via meramente logico-deduttiva e non con sicurezza, per cui non vi è alcun reale contrasto sul punto.
Quanto alla circostanza, ribadita anche in questa sede dalla difesa, secondo cui il COGNOME in quell’epoca si sarebbe trovato agli arresti domiciliari per cui non avrebbe potuto lasciare la sua abitazione, la Corte ha evidenziato che le intercettazioni ambientali dimostrano la spregiudicata e reiterata violazione da parte del ricorrente delle prescrizioni afferenti tale misura.
Infine, in relazione alle ulteriori doglianze, la Corte ha adeguatamente motivato nel senso che la difesa ha omesso di confrontarsi con il contenuto della deposizione del collaboratore, che ha spiegato di aver preso la pistola nel corso di un furto in abitazione di averla consegnata a COGNOME, che poi gliel’aveva restituita dicendo di occultarla insieme alle altre armi, che, in un primo momento, erano state riportate nel garage del COGNOME e, poi, trasferite altrove.
Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, poi, il fucile rinvenuto in sede di perquisizione non ha nulla a che vedere con quello vecchio e arrugginito cui si riferisce il ricorso, come emerge chiaramente dalle intercettazioni (pag. 211 sentenza impugnata).
Quanto, poi, al locale in cui NOME COGNOME avrebbe visto le armi in possesso del ricorrente, la sentenza ha precisato che la descrizione resa dal collaboratore non è affatto smentita dalla piantina prodotta.
La circostanza, infine, che le armi fossero depositate per conto dell’associazione emerge dalle dichiarazioni di COGNOME, secondo cui erano
funzionali alla commissione di reati predatori, finalizzati al mantenimento e al rafforzamento del economico della consorteria, implicanti quando necessarie il ricorso ad azioni violente.
Il quarto motivo di ricorso, con cui si contesta che l’estorsione di cui al capo n. 59, sia stata commessa con la finalità di agevolare l’associazione è fondato, per i motivi già espositi in riferimento alla posizione di NOME COGNOME, cui si fa rinvio.
La sentenza impugnata, dunque, va annullata senza rinvio limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416bis cod. pen. in relazione al capo n. 59, con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Venezia per la rideterminazione della pena.
Il quinto motivo di ricorso (numerazione attribuita con la presente sentenza, essendo il motivo privo di numerazione nel ricorso) è inammissibile perché il riferimento al reato di cui al capo n. 62 non è stato elemento decisivo ai fini della prova del metodo mafioso, per cui l’eventuale accoglimento della censura sul punto non avrebbe alcuna conseguenza sulla sentenza impugnata.
Il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato quanto alla doglianza relativa all’omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
L’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME Crescenzo, Rv. 281590 – 01).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, confermando la pronuncia di primo grado, che aveva negato l’applicazione dell’art. 62bis cod. pen., oltre che per la mancanza di qualsivoglia elemento di segno positivo da valutare in tal senso, anche per la negativa condotta processuale del ricorrente e per il ruolo di primo piano assunto nel ramo armato e violento dell’associazione.
Il motivo di ricorso relativo al difetto di motivazione in relazione alla determinazione della pena è infondato.
L’onere motivazionale, come sopra ricordato richiamando la sentenza Pizzone delle Sezioni unite, è funzionale al controllo sull’esercizio del potere discrezionale di quantificazione della pena entro i limiti edittali ed è tanto più pregnante quanto più il giudice si discosti dal limite minimo.
Ebbene, in secondo grado, escluso il ruolo apicale di COGNOME, la pena per il capo n. 1 è stata determinata in dieci anni di reclusione, ossia nel minimo edittale,
per cui nessuna motivazione era necessaria sul punto. Su tale pena è stato, poi, apportato l’aumento per la recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod .pen. vincolato nel quantum , così giungendo ad anni sedici e mesi sei di reclusione; la pena è stata ulteriormente aumentata di mesi sei di reclusione per la continuazione con il capo n. 57 (in luogo di mesi dieci inflitti in primo grado) e di ulteriori mesi sei per la continuazione con il capo n. 59. La circostanza che l’aumento per la continuazione sia stato ridotto rispetto al primo grado e che l’aumento di pena per i reati satellite, tenuto conto della loro gravità sia stato assolutamente minimo, consente di escludere ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen.
Il settimo motivo di ricorso, relativo alla recidiva, è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha rilevato, infatti, che NOME COGNOME è già stato dichiarato recidivo ex art. 99, quarto comma, cod. pen., che ha plurimi precedenti per delitti commessi con violenza o prodromici all’esercizio della stessa, quali, ad esempio i delitti in materia di armi, che ha patito prolungati i periodi di detenzione e che, nonostante ciò, ha continuato a delinquere, commettendo i reati oggetto del presente procedimento che, così, sono stati del tutto condivisibilmente considerati sintomo di accentuata pericolosità (pag. 214).
In conclusione il ricorso di NOME COGNOME va accolto limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. contestata al capo 59) e rigettato nel resto.
I ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME vanno, altresì, condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano in complessivi euro 3686, oltre accessori di legge, per ciascuna parte civile.
COGNOME NOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME vanno, poi, condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, spese che si liquidano, per ciascuna parte, in complessivi euro 3686 oltre accessori di legge
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME per morte dell’imputato.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. contestata al capo 59), rigetta i loro ricorsi nel resto. Rinvia per rideterminazione della pena ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro 3686 oltre accessori di legge nonché COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che liquida per ciascuna in complessivi euro 3686 oltre accessori di legge.
Così deciso il 08/07/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME