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Associazione di tipo mafioso: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo contro la custodia cautelare in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso. La sentenza chiarisce che la partecipazione al sodalizio non richiede la commissione di specifici reati, essendo sufficiente la ‘messa a disposizione’ nei confronti del gruppo. Inoltre, il trasferimento all’estero non è stato ritenuto sufficiente a superare la presunzione di pericolosità sociale, dato il mantenimento dei contatti con altri membri dell’organizzazione.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: quando la ‘messa a disposizione’ è reato

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sui confini del reato di associazione di tipo mafioso, delineando con precisione i criteri per distinguere la mera contiguità dalla partecipazione attiva. La pronuncia offre importanti chiarimenti sulla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e sulla persistenza delle esigenze cautelari, anche in caso di trasferimento all’estero dell’indagato.

I fatti del caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti. L’accusa era quella di partecipazione a un sodalizio di stampo mafioso, una cosca operante nel territorio calabrese. La difesa sosteneva l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza e l’inadeguatezza della misura carceraria, argomentando che il trasferimento dell’indagato all’estero da diversi anni avrebbe dovuto far venir meno la presunzione di pericolosità sociale.

La partecipazione all’associazione di tipo mafioso secondo la Cassazione

La Corte ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati, elaborati soprattutto dalle Sezioni Unite, in materia di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso. Il punto centrale non è la commissione di specifici ‘reati-fine’, bensì l’inserimento stabile nella struttura organizzativa.

La sentenza chiarisce che il paradigma della partecipazione si integra quando l’agente tiene comportamenti che manifestano la sua ‘militanza attiva’. Il concetto chiave è la ‘compenetrazione’ con il sodalizio. Non è necessario un contributo causale diretto ed efficiente allo sviluppo dell’associazione; è sufficiente che l’individuo faccia ‘parte’ del gruppo, operando al suo interno o manifestandosi all’esterno come affiliato.

Questa ‘messa a disposizione’ rappresenta il nucleo della condotta penalmente rilevante. Si tratta di un comportamento oggettivo, attuale e non meramente ipotetico, che dimostra un’adesione concreta e una vocazione di ‘irrevocabilità’ al legame con il gruppo criminale.

Le esigenze cautelari e la presunzione di pericolosità

Un altro aspetto fondamentale affrontato dalla Corte riguarda le esigenze cautelari. Per il reato di associazione di tipo mafioso, l’articolo 275 del codice di procedura penale prevede una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari. Superare questa presunzione è particolarmente difficile e richiede la prova di un recesso effettivo e irreversibile dal vincolo associativo.

Nel caso di specie, il trasferimento all’estero dell’indagato non è stato ritenuto un elemento sufficiente a dimostrare tale recesso. La Corte ha sottolineato che, nonostante l’allontanamento fisico dal territorio, erano proseguiti i rapporti personali con altri membri del sodalizio. Questo ha impedito di considerare superata la presunzione di pericolosità, confermando la necessità della misura cautelare di massimo rigore.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure proposte come un tentativo di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. I giudici hanno ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse motivato in modo logico e congruo la propria decisione. Gli elementi a carico dell’indagato, tra cui le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e il contenuto di conversazioni intercettate, erano stati correttamente valorizzati. In particolare, da alcune intercettazioni emergeva il rammarico dell’indagato per non essere ‘adeguatamente utilizzato’ dal gruppo, una chiara ammissione della sua ‘intraneità’ e della sua volontà di contribuire alle attività del sodalizio. La Corte ha quindi confermato che la valutazione del giudice di merito era immune da vizi logici o giuridici, sia riguardo alla sussistenza dei gravi indizi sia alla persistenza delle esigenze cautelari.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida un importante principio: per essere considerati partecipi di un’associazione di tipo mafioso, non è indispensabile commettere attivamente dei delitti, ma è sufficiente dimostrare la propria stabile ‘messa a disposizione’ al gruppo. Questa pronuncia ribadisce inoltre il rigore con cui la giurisprudenza valuta la presunzione di pericolosità per questo tipo di reati, affermando che solo una prova concreta e oggettiva di rescissione del vincolo associativo può portare al superamento delle esigenze cautelari, non essendo a tal fine sufficiente il mero allontanamento fisico dal territorio di operatività del clan.

Per configurare la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso è necessario commettere dei reati?
No, secondo la sentenza, non è indispensabile che il partecipe commetta specifici reati-fine. È sufficiente che si metta a disposizione del sodalizio, manifestando un’adesione stabile e la volontà di essere parte integrante della struttura criminale.

Trasferirsi all’estero è sufficiente per superare la presunzione di pericolosità sociale per chi è indagato per mafia?
No. La Corte ha stabilito che il solo allontanamento dal territorio nazionale non costituisce prova di un recesso irreversibile dal sodalizio, specialmente se, come nel caso esaminato, l’indagato continua a mantenere contatti con esponenti del gruppo.

Cosa si intende per ‘intraneità’ al sodalizio in un processo per associazione di tipo mafioso?
L”intraneità’ indica l’essere un membro effettivo e organico dell’associazione. Nel caso specifico, è stata desunta da conversazioni intercettate in cui l’indagato non solo dimostrava di conoscere le dinamiche interne del gruppo, ma esprimeva anche il suo rammarico per non essere impiegato più attivamente, confermando così la sua appartenenza e la sua volontà di operare per il sodalizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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