Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10227 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10227 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME, nato a Catanzaro il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 17.10.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17.10.2023 il Tribunale di Cal:anzaro, ha respinto l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento del GIP che, in data 14.9.2023, ravvisando a suo carico gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di partecipazione a sodalizio di stampo mafioso denominato RAGIONE_SOCIALE, articolazione di ‘ndrangheta operante nel territorio di COGNOME, nonché le relative esigenze cautelari fronteggiabili esclusivamente con il ricorso alla misura personale di massimo rigore, aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere;
ricorre per cassazione NOME AVV_NOTAIO tramite il difensore che deduce:
2.1 erronea applicazione della legge penale, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del reato associativo: rileva che gli elementi valorizzati dai giudici della cautela – partendo dalle dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia NOME COGNOME – restituiscono un quadro inidoneo a supportare, anche sul piano indiziario, una ricostruzione dei fatti sovrapponibile ad una lettura della fattispecie legale coerente con le indicazioni della giurisprudenza, a partire dall’arresto RAGIONE_SOCIALE SS.UU. 36598 del 2021; segnala che le stesse dichiarazioni del COGNOME sono state valorizzate senza una adeguata ponderazione della loro effettiva valenza, a partire da quella concernente la intervenuta affiliazione del NOME cui, tuttavia, egli non aveva assistito, non avendo nemmeno chiarito come ne fosse venuto a conoscenza; aggiunge che la conversazione del 6.2.2019, richiamata nella ordinanza, finisce con il dimostrare il contrario di quanto sostenuto dal Tribunale in merito alla mancata attivazione del ricorrente in favore del sodalizio mentre il rilievo attribuitc alla frequentazione del NOME con sodali o appartenenti al RAGIONE_SOCIALE finisce per disegnare una condotta che non può corrispondere al modello legale se non trasformando la fattispecie legale in una sorta di reato di “status”; segnala, quindi, la illogicità della considerazione svolta dai giudici della cautela a proposito della richiesta del NOME al COGNOME di intervenire a causa del rifiuto opposto da un soggetto al pagamento RAGIONE_SOCIALE castagne, circostanza di per sé emblematica dell’assenza di caratura criminale; sottolinea la sostanziale irrilevanza degli atteggiamenti del NOME evidenziati nella ordinanza impugnata e non estrinsecatisi in condotte di sostegno causalmente efficienti; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2.2 errata, carente ed illogica motivazione e conseguente violazione di legge rispetto alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari ed alla ritenuta adeguatezza della misura carceraria: richiama la motivazione resa dal Tribunale quanto alla risalenza RAGIONE_SOCIALE condotte evidenziando come i presunti rapporti con i sodali, anche in data successiva all’aprile del 2019, si risolvano in due scambi di “sms” intervenuti con il solo COGNOME e dal contenuto del tutto neutro; ribadisce
come, alla luce della giurisprudenza, l’allontanamento dal territorio nazionale sin dal 2019 avrebbe comportato il superamento della presunzione invocata dai giudici della cautela;
3. la Procura AVV_NOTAIO, nonostante la tempestiva richiesta di trattazione orale, ha trasmesso una requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso: rileva, infatti, che le censure articolate in questa sede sono meramente ripetitive di quelle già articolate con la richiesta di riesame, omettendo di confrontarsi con la puntuale motivazione svolta dal tribunale che ha argomentato, in termini congrui, in merito alla sussistenza degli elementi deponenti, sul piano indiziario, per la conferma della ipotesi investigativa e, sottc altro profilo, per l persistente attualità RAGIONE_SOCIALE esigenze cauteiari su cui il Tribunale ha motivato facendo leva sulla presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. non superata da elementi concretamente indicativi di una effettiva rescissione dal vincolo associativo, stante la accertata e pacifica prosecuzione dei rapporti personali dell’indagato con i sodali anche in epoca successiva al suo trasferimento all’estero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato con censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede.
Non è inutile ribadire quali siano i limiti alla sindacabilità, in questa sede, dei provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale; è infatti consolidato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto RAGIONE_SOCIALE ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie.
Il ricorso è perciò ammissibile soltanto se con esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di
diritto, e non si ci limiti a propone e sviluppare censure che attengono alla ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione RAGIONE_SOCIALE circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
La censura con cui si denunci il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in altri termini, consente al giudice di legittimità di vagliare la adeguatezza RAGIONE_SOCIALE ragioni addotte rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie non potendo prendere in esame quei rilievi che, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 3, Sentenza n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Va anche ricordato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen.) ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; questo Collegio, in particolare, condivide la tesi secondo cui “in tema di misure caute/ari personali, la nozione di gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen. non si atteggia allo stesso modo con cui il termine indizi inteso viene utilizzato quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 cod. pro pen., comma 2, come si desume dall’art. 273 cod. proc. peri., comma ibis, che richiama í commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)” (cfr., Sez. 5, n. 36079 del 5.6.2012, COGNOME; Sez. 4, n. 6660 del 24.1.2017, COGNOME; Sez. 4, n. 53369 del 9.11.2016, COGNOME; conf., ancora, Sez. 4, n. 17247 del 14.3.2019, COGNOME, in cui la Corte ha ribadito i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non
richiamato dall’art. 273 comma 1 -bis, cod. proc. pen.; conf., sul punto, e tra le altre, Sez. 1, n. 43258 del 22.5.2018, Tantone; Sez. 2, n. 22968 dell’8.3.2017. Carrubba).
Esula, certamente, dai poteri della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30.4.1997, COGNOME; Sez. 4, n. 4842 del 2.12.2003, COGNOME; Sez. 6, n. 49153 del 12.11.2015, secondo cui la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura).
2.1 Tanto premesso, rileva il collegio che il provvedimento impugnato non meriti le censure articolate con il primo motivo del ricorso, con cui si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sulla diagnosi di gravità indiziaria quanto al profilo della appartenenza del NOME alla compagine di stampo mafioso indicata nella provvisoria incolpazione.
In particolare, la difesa, prima ancora di censurare la valutazione operata dai giudici della cautela in merito alle dichiarazioni del collaboratore COGNOME, ha segnalato che le circostanze valorizzate nel provvedimento impugnato e, prima ancora, nella ordinanza genetica, non sono tali da disegnare una condotta riconducibile alla fattispecie incriminatrice nella dimensione chiarita dai più recenti interventi della giurisprudenza di legittimità.
Rileva perciò il collegio come sia opportuno ripercorrere, sia pure brevemente, i principi di recente riaffermati dalle SS.UU. nella nota (e da talune difese evocata) sentenza “Modaffari”.
In quella occasione, infatti, sono state passate in rassegna le diverse impostazioni ermeneutiche proposte dalla dottrina e, soprattutto, rilevabili nella giurisprudenza: a partire dalla teoria c.d. “organizzatoria” che, tuttavia, a loro avviso “… mostra tutti i suoi limiti nel momento in cui collega la fattispeci criminosa all’acquisizione della qualifica formale di associato, ritenendo sufficiente ai fini dell’integrazione del reato l’ingresso nel sodalizio e finendo per ritenere irrilevante l’attivazione o meno del partecipe a favore della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 34 della sentenza).
Si è segnalato, tuttavia, che nemmeno la teoria c.d. ‘causale” può essere nella sua assolutezza condivisa: in particolare, le SS.UU. Modaffari hanno spiegato che “… la maggiore criticità involge necessariamente la riconosciuta teorica possibilità di sovrapposizione di due categorie dogmatiche (concorso esterno e partecipazione) del tutto autonome e con profonde caratterizzazioni differenziali” mentre “… la aprioristica svalutazione della condotta di messa a disposizione RAGIONE_SOCIALE energie del singolo a favore del RAGIONE_SOCIALE non tiene conto della possibile autonoma rilevanza probatoria del fatto in sé considerato alla stregua degli indicatori evidenziati dalla sentenza COGNOME” ma, anche, “… con riferimento al rilievo operato dalla sentenza Pesce in relazione al riconosciuto effetto di attivazione in favore dell’associazione conseguente all’acquisizione della «qualità di uomo d’onore», al pari della dimostrata progressione nelle doti, introducendo una conoscenza appartenente al piano storico ed esperienziale, finisce per elevare a massima d’esperienza generalizzata una specifica realtà processuale” (cfr., ivi, pagg. 34-35).
Ed è proprio con riguardo alla teoria “causale” che, alla luce dei rilievi e RAGIONE_SOCIALE considerazioni sviluppate dalle SS.UU. “Modaffari”, occorre confrontarsi in quanto, come accennato, molti ricorsi tendono a sottolineare come le captazioni e gli elementi acquisiti al processo non siano stati in grado di dimostrare l’esistenza di condotte dei singoli imputati dotate di reale e concreta efficienza causale sulla vita e sulla attività del sodalizio.
Detto questo, e come acutamente osservato dalle SS.UU., occorre soffermare l’attenzione sulle peculiarità della condotta di partecipazione ad associazione di stampo mafioso evitando il rischio di confonderne i tratti distintivi rispetto a quella di concorso esterno e, in particolare, considerare che, come è noto, solo per quest’ultima il presupposto essenziale (come ribadito nelle sentenze COGNOME e COGNOME) ed imprescindibile è rappresentato dalla possibilità di ravvisare un reale ed effettivo apporto causale alla organizzazione che, peraltro, non necessariamente, come si era affermato dalle SS.UU. COGNOME, deve intervenire in momenti di fibrillazione del sodalizio ma che, invece, come avrebbero chiarito le SS.UU., COGNOME, ben può essere essenziale per la vita “ordinaria” della associazione.
Proprio le SS.UU. AVV_NOTAIO hanno spiegato che risponde di concorso esterno “… il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’affectio societatis, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento RAGIONE_SOCIALE capacità operative dell’associazione (o, per
quelle operanti su larga scala come “RAGIONE_SOCIALE“, di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anch parziale, del programma criminoso della medesima” (cfr., per l’appunto, Sez. U. n. 33748 del 12/7/2005, COGNOME, Rv. 231671).
Tenendo ferme queste coordinate, allora, se la mera “affiliazione” non è di per sé sufficiente ad integrare il paradigma della “partecipazione” alla associazione, quel che occorre verificare è che l’agente abbia effettivamente tenuto comportamenti espressivi ed emblematici di militanza attiva; in tal senso, non è indispensabile che il partecipe si prodighi attivamente ed in termini causalmente efficienti sull’attività e lo sviluppo dell’associazione nei campi di operatività illecita, atteso che il proprium del reato risiede proprio – e, allo stesso tempo, essenzialmente – nella “compenetrazione” con il sodalizio che è l’oggetto RAGIONE_SOCIALE condotte esteriori che lo manifestino.
In tal senso, le SS.UU. Modaffari hanno richiamato le conclusioni della sentenza COGNOME secondo cui “… va considerato partecipe dell’organizzazione criminale l’affiliato che prende parte attiva al fenomeno associativo” tenendo conto che “… la partecipazione non si esaurisce né in una mera manifestazione di volontà unilaterale né in una affermazione di status” ma che “… implica un’attivazione fattiva a favore della RAGIONE_SOCIALE che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel prendere parte; in quest’ottica, si è chiarito che “… l’opera di concretizzazione giurisprudenziale del significato della locuzione normativa fa parte di cui all’art. 416-bis, primo cornma, cod. pen. non può pertanto lasciare spazio ad ipotesi di identificazione della condotta punibile che risultino del tutto svincolate dalla verifica di un contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell’organizzazione criminosa: tale contributo, che può assumere carattere sia materiale che morale, ben potrà essere ricostruito anche in via indiziaria e ben potrà concretizzarsi solo in un momento successivo (allorquando l’affiliato darà concreto corso alla messa a disposizione) rispetto al formale ingresso nell’associazione” assumendo “… assoluta decisività ai fini della valutazione di appartenenza ad un RAGIONE_SOCIALE criminale avente le caratteristiche sin qui illustrate, la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un cualsivoglia apporto concreto, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva”.
In definitiva, rileva il collegio che, alla luce RAGIONE_SOCIALE coordinate offerte dall elaborazione RAGIONE_SOCIALE SS.UU., il contributo del singolo “partecipe” deve essere riferito ad aspetti che attengano alla vita dell’associazione, ben potendo a tal fine rilevare
anche condotte che si esauriscano all’interno del sodalizio ovvero nelle sue dinamiche organizzative non richiedendosi, necessariamente, un apporto causale che riguardi la sua concreta operatività e la sua proiezione esterna, ovvero, più in particolare, il compimento di reati-fine essendo sufficienti, ad integrare il delitto in esame, comportamenti emblematici del fatto che l’agente faccia “parte” del sodalizio operando al suo interno (o, anche, manifestandosi all’esterno come affiliato) e nella piena consapevolezza della natura della associazione e del legame fideistico e di reciproco riconoscimento che rappresenta, in effetti, il proprium della fattispecie.
Non a caso, sono state ancora una volta le SS.UU. Modaffari a chiarire che la condotta penalmente rilevante (di “messa a disposizione”) si debba esplicitare in atti “… di conservazione e di potenziale rafforzamento dell’associazione” che non necessariamente, tuttavia, devono tradursi in un “evento” oggettivamente rilevabile alla luce della sua connotazione di immaterialità, scché “… ai fini dell sua valutazione non potrà utilizzarsi il parametro della causalità e si dovrà invece ricorrere a quello della rilevanza in concreto”.
Ed in tal senso, le SS.UU. hanno osservato che “… potranno venire in rilievo, oltre all’accertamento della comprovata mafiosità del RAGIONE_SOCIALE associante, la qualità dell’adesione ed il tipo di percorso che l’ha preceduta, la dimostrata affidabilità criminale dell’affiliando, la serietà del contesto ambientale in cui la decisione è maturata, il rispetto RAGIONE_SOCIALE forme rituali anche con riferimento all’accertamento dei poteri di chi sceglie, di chi presenta e di chi officia il rito dei nuovi adepti, la tipologia del reciproco impegno preso, la misura della disponibilità pretesa e/o offerta ed ogni altro elemento di fatto che, sulla base di tutte le fonti di prova utilizzabili e di comprovate massime di esperienza, costituisca circostanza concreta, capace di rendere inequivoco e certo il contributo attuale dell’associato a favore della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 36 della sentenza).
Di assoluto rilievo, inoltre, è il passaggio in cui le SS.UU., in coerenza con le premesse ricostruttive di cui hanno dato ampiamente conto, hanno chiarito che, ai fini della prova della “partecipazione”, rilevano “… i comportamenti di fatto precedenti e/o successivi al rituale di affiliazione – non necessariamente attuativi RAGIONE_SOCIALE finalità criminali dell’associazione, ma tuttavia capaci di dimostrare in concreto l’adesione … e di rivelare una reciproca vocazione di irrevocabilità (intesa nel senso di una stabile e duratura relazione, potenzialmente permanente) testimoniandosi in fatto e non solo nelle intenzioni il rapporto organico tra singolo e struttura” aggiungendo che “… la messa a disposizione non solo costituisce l’effetto dell’ammissione al RAGIONE_SOCIALE, ma indica un comportamento oggettivo e non solo intenzionale, attuale e non meramente ipotetico, che finisce così per
concretizzare e rendere riconoscibile, sotto il profilo dinamico della partecipazione, non potendo questo effetto condizionarsi in negativo e legarsi esclusivamente alla successiva – e, a volte, solo eventuale chiamata per l’esecuzione di un incarico specifico, essendo l’adepto già inglobato nel RAGIONE_SOCIALE e pronto per le necessità attuali o future della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 41 della sentenza).
In altri termini, le SS.UU. hanno insistito sulla necessità di appuntare la attenzione sulla esistenza di fatti e condotte che siano emblematici e rappresentativi della partecipazione al sodalizio, quand’anche non necessariamente manifestatasi nel compimento di reati-fine o di fatti funzionali alla sua attività esterna, ma che siano espressione certa della militanza nella associazione di cui il soggetto è parte manifestando tale partecipazione nel collaborare al suo funzionamento, alla sua organizzazione, alla conservazione della sua integrità anche sul piano del persistente controllo del territorio nel quale opera ed agisce.
2.2 Ritiene il collegio che l’ordinanza in verifica si sia conformata ai principi sopra richiamati.
I giudici della cautela hanno infatti passato in rassegna il compendio indiziario formato, in primo luogo, dalle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME e, in secondo luogo, a riscontro di quelle, dal contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni intercettate nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini.
Hanno congruamente valutato la attendibilità intrinseca del dichiarante la cui affidabilità era stata già certificata nell’ambito di altro procedimento penale (NUMERO_DOCUMENTO) ed avvalorata dalla circostanza di essere egli stesso partecipe del medesimo contesto associativo avendo perciò potuto riferire di fatti appresi in via diretta, con precisione e specificità, individuando il ricorrente non soltanto con nome e cognome ma anche con il rapporto di parentela con altri soggetti a lui noti, quali NOME COGNOME.
Il Tribunale ha quindi riportato le dichiarazioni del COGNOME nell’interrogatorio reso in data 30.10.2018 sulle due riunioni alla seconda RAGIONE_SOCIALE quali aveva preso parte (enumerando i partecipanti) anche il COGNOME che, ha precisato il COGNOME, era stato affiliato nell’occasione, ancorché prima del suo arrivo.
Tanto premesso, ha chiarito che le propalazioni del dichiarante avevano trovato riscontro, quanto all’organico inserimento del NOME nella compagine, nel suo documentato comprovato in questiono associative oltre che nelle assidue frequentazioni con i sodali; ha attribuito, quindi, un significativo rilievo indiziar al contenuto della conversazione del 6.2.2019 intercorsa con COGNOME e nel corso della quale il ricorrente aveva espresso il suo rammarico di non essere adeguatamente utilizzato; è appena il caso di rilevare che non può certamente
trovare ingresso, in questa sede, una censura fondata sulla lettura “alternativa” che di tale conversazione ha fornito dalla difesa rispetto a quella, logicamente del tutto lineare, operata nel provvedimento impugnato che ne ha valorizzato il contenuto in termini di sostanziale ammissione della “intraneità” del ricorrente al sodalizio.
Analogamente si deve ritenere per quanto concerne il contenuto della conversazione intercettata il giorno 14.2.2019 ed intercorsa sempre con COGNOME riferita ad una somma che taluno doveva dare e che il COGNOME riferiva di non aver ricevuto.
E’ d’altro canto appena il caso di ribadire che l’interpretazione RAGIONE_SOCIALE frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, dovendosi ancora una volta ribadire che si tratta di una questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza di volta in volta utilizzate (cfr., tra le tante, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, R.v. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784; Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, COGNOME, Rv 2544:39).
Il Tribunale, per altro verso, ha richiamato altri elementi quali la conversazione del 24.3.2019, quelle del 20.10.2018, del 22.10.2018 e del 6.2.2019 ma, anche, le parole del ricorrente che, nelle intercettazioni del 3.2.2019, del 5.2.2019 e del 14.2.2019, finiva per rivendicare orgogliosamente la sua appartenenza al sodalizio.
Altrettanto significativa della “intraneità” del NOME al sodalizio, i Tribunale ha giudicato la sua conoscenza RAGIONE_SOCIALE dinamiche interne al RAGIONE_SOCIALE, testimoniata dal contenuto della conversazione del 5.2.2019 sul tentato omicidio di NOME COGNOME, affiliato al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, come, anche, dal contenuto della conversazione del 29.1.2019 sulle conseguehze del “pentimento” del COGNOME e gli inviti alla cautela da lui rivolti ai suoi interlocutori.
In definitiva, secondo il Tribunale, il NOME “… ha palesato in più occasioni la propria intraneità all’articolazione ‘ndranghetistica di COGNOME, coltivando stabili contatti con plurimi associati anche appartenenti a gruppi malavitosi alleati, condividendo con i sodali COGNOME e COGNOME interessi criminali nell’ambito del commercio RAGIONE_SOCIALE castagne, presentandosi ed operando quale referente dell’associazione, rendendosi disponibile all’esecuzione di azioni delittuose ulteriori così da incrementare la propria esperienza RAGIONE_SOCIALE e dimostrando assoluta adesione e interiorizzazione RAGIONE_SOCIALE regole della RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pagg. 6-7 dell’ordinanza).
In questo contesto non è inutile richiamare il principio, anche di recente ribadito, secondo cui, in tema di associazione di tipo mafioso, le relazioni qualificate con esponenti della medesima organizzazione e, in specie, con soggetti in posizione apicale, pur non potendo essere poste autonomamente a fondamento dell’affermazione di responsabilità, valgono da riscontro estrinseco, ex art. 192, comma 3, cod. proc. pen., a una chiamata in correità intrinsecamente valida (cfr., Sez. 2, n. 51694 del 02/11/2023, COGNOME, Rv, 285623 – 01; Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270468 – 01 Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, COGNOME, Rv. 269659 – 01).
3. Anche il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale, infatti, ha correttamente richiamato la presunzione di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. e ritenuto la mancanza di elementi deponenti per la interruzione del vincolo anche all’esito del suo trasferimento all’estero che, difatti, non aveva impedito di mantenere contatti con esponenti del RAGIONE_SOCIALE quantomeno sino al 2020.
In tal modo, dunque, i giudici della cautela si sono conformati al principio, dal quale il collegio non ritiene di doversi discostare, secondo cui, in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibil allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari (cfr., Sez. 2 – , n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131 – 01; Sez. 2 – , n. 7837 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280889 – 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma, che si stima equa, di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non essendo ravvisabile ragione alcuna d’esonero.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 13.2.2024