Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14403 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14403 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME nato a San Mauro Marchesato il 9 giugno 1946; NOME nato in Romania il 4 marzo 1979; NOME nato a Torino il 23 dicembre 1968; NOME NOME nato a San Mauro Marchesato il 29 gennaio 1966; COGNOME NOME nato a Torino il 3 ottobre 1966;
avverso la sentenza del 3 ottobre 2022 della Corte d’appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il per il rigetto del ricorso in riferimento alle posizioni di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e per l’inammissibilità del ricorso riguardo alla posizione di NOME COGNOME Conclude inoltre per l’annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla fattispecie di cui all’art 379 cod. pen., con eventuale rideterminazione della pena e con rigetto nel resto, in riferimento, alla posizione di NOME COGNOME uditi gli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME i quali, riportandosi ai rispettivi motivi di ricorso, insistono per il loro accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Il procedimento penale trae origine dall’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Torino volta ad accertare l’esistenza di un sodalizio mafioso attivo in Torino, denominato ‘ndrina di San Mauro Marchesato, riconducibile al raggruppamento territoriale denominato ndrangheta e, in ipotesi accusatoria, diretto da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e partecipato da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
All’esito delle attività d’indagine, i predetti sono stati tratti giudiz rispondere di quaranta capi d’imputazione nei quali sono stati contestati i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, una pluralità di estorsioni (tentate e consumate), plurimi reati di usura, reati in tema di gestione dei rifiuti, acces abusivo a sistemi informatici, nonché danneggiamenti, violazioni di domicilio e violazioni in materia di prevenzione patrimoniale.
2. All’esito del giudizio di primo grado,
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso (capo 1, esclusa la circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416-bis), violazione aggravata di domicilio (capo 12, ritenuta in questa assorbita la fattispecie di cui all’art. 635) e accesso abusivo sistema informatico (capi 14, 16 e 18);
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso (capo 1, esclusa la circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416-bis) e del reato di usura (capo 10, escluse le aggravanti di cui all’art. 644 comma 5 n. 3 cod. pen. e 7 d.l. n. 152/1991);
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del solo reato di usura (capo 10, con esclusione delle circostanze aggravanti di cui all’art. 644 comma 5 n. 3 cod. pen. e 7 d.l. n. 152/1991);
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di tentata estorsione aggravata e violazione aggravata di domicilio (capo 12, ritenuta in questa assorbita la fattispecie di cui all’art. 635);
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso (capo 1, esclusa la circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416-bis), dell’estorsione commessa ai danni di NOME COGNOME (capo 7, limitatamente alla fattispecie di estorsione consumata e con esclusione delle circostanze aggravanti di cui all’art. 644 comma 5 n. 3 cod. pen. e 7 d.l. n. 152/1991) e del reato di accesso abusivo a sistema informatico (capo 15);
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di concorso esterno in associazione mafiosa (capo 3).
Si disponeva, in ultimo, oltre alle conseguenti pene accessori e alle parallele condanne risarcitorie, anche la confisca, ai sensi dell’art. 12-sexies d. I. n. 306 dell’8 giugno 1992, di quanto oggetto dei sequestri preventivi emessi nei confronti di NOME NOME e della relativa documentazione, nonché dell’escavatore idraulico cingolato di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE
Investita delle impugnazioni proposte dal Pubblico Ministero, dalle parti civili e dagli stessi imputati, la Corte d’appello, in parziale riforma della sente pronunciata in primo grado,
esclusa la recidiva, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi 12) (così come qualificato in primo grado), 14), 16), 18), perché estinti per prescrizione;
ha escluso la recidiva contestata a NOME COGNOME
ha dichiarato NOME COGNOME responsabile anche del reato associativo e ha riqualificato il fatto di cui al capo 10) nel reato di cui all’art. 379 cod. pen.;
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di violazione aggravata di domicilio, perché estinto per prescrizione;
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di cui al capo 15) (accesso abusivo a sistema informatico) perché estinto per prescrizione e lo ha assolto dal reato di cui al capo 7), relativamente alla contestazione di estorsione consumata;
ha assolto NOME COGNOME dall’unico reato a lui ascritto (capo 3, concorso esterno in associazione mafiosa).
Propongono ricorso per cassazione, NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si compone di due motivi d’impugnazione, ai quali si aggiungono gli ulteriori motivi formulati con la memoria del 12 gennaio 2024.
5.1. Il primo è formulato sotto i profili della violazione di legge e connesso vizio di motivazione e censura la ritenuta appartenenza del Mirante all’associazione di cui al capo 1).
Secondo la prospettazione difensiva, la Corte territoriale si sarebbe preoccupata solo di stigmatizzare con meticolosa puntualità le dichiarazioni rese dall’imputato, tese a giustificare i suoi rapporti con i partecipi all’associazio disperdendosi in una congerie di dettagli tali da far perdere la distinzione tra contenuto delle prove e i fatti che da esse si desumono. Avrebbe, così, fornito un’interpretazione parziale e distorta delle dichiarazioni rese dal Talluto e de sostegno economico a lui fornito, rivalutando la vicenda in modo difforme rispetto alla parallela valutazione offerta in primo grado, senza che sul punto vi fosse stata specifica impugnazione. Mancherebbe, poi, un effettivo vaglio critico di tutti gl elementi indicati a sostegno della ritenuta condotta di partecipazione, sia sotto i profilo della loro storica esistenza, sia sotto il profilo della relativa va probatoria.
In questi termini, nessun valore probatorio avrebbero:
la partecipazione dell’imputato alle plurime riunioni con i soggetti affilia non conoscendosi il relativo contenuto;
la bonifica degli uffici e delle autovetture o la ricerca di notizie c l’espletamento di indagini a suo carico, stante la loro equivocità;
i rapporti di frequentazione con NOME COGNOME e NOME COGNOME non conoscendosi i motivi sottostanti e tenuto conto che la disponibilità mostrata dal COGNOME in riferimento alla concessione del mutuo e all’assunzione del figlio di NOME attiene a vicende estranee all’associazione ed al perseguimento dei suoi scopi;
i rapporti economici con il COGNOME stante l’assoluzione di quest’ultimo;
il ruolo di tramite nei rapporti tra la COGNOME e NOME COGNOME (in ipotes finalizzati a consentire l’infiltrazione della ‘ndrangheta nel tessuto imprenditoria e politico locale), attesa l’intervenuta assoluzione della prima;
i rapporti economici avuti con NOME COGNOME perché mai oggetto di specifica contestazione e, comunque, significativi, al massimo, di un’ipotetica contiguità, in sé non punibile.
5.2. Il secondo motivo, anch’esso formulato sotto il profili della violazione di legge e del vizio di motivazione ed afferente al capo 1), censura la ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo, rilevando come, sul presupposto per cui l’eventuale condivisione di interessi con uno o più associati, anche di livello apicale, non coincide con la volontà di far parte dell’associazione, diverrebbero irrilevanti
tanto gli evidenziati rapporti con NOME e NOME COGNOME (relativi alla sola gestione di affari strettamente personali), quanto quelli, peraltro non provati, con NOME COGNOME (estraneo al consesso criminale contestato), quanto, ancora, il sostegno nei confronti di due soli associati.
5.3. Il primo motivo aggiunto attiene alla ritenuta condotta di partecipazione e deduce, sotto i profili della violazione di legge e del vizio motivazione, che in nessuna occasione il COGNOME è stato attivamente coinvolto nei reati perpetrati dall’associazione e che nessun investimento, da parte degli altri imputati, è mai stato fatto con l’ausilio del COGNOME. Difetterebbe, quindi, qu necessario requisito della “messa a disposizione” richiesto dalla giurisprudenza per fondare, validamente, la responsabilità per il reato contestato.
5.4. Il secondo motivo aggiunto attiene alla sussistenza dell’aggravante armata e deduce, sotto il profilo della violazione di legge, che il riconoscimento di tale aggravante sarebbe avvenuto sulla base di un mero nesso meccanicistico, conseguente alla pronuncia di questa Corte in relazione alla posizione dei coimputati. Senza considerare, però, che la ricorrenza della stessa presuppone un accertamento specifico in ordine alla consapevolezza – nell’agente – della disponibilità di armi da parte dell’associazione. Accertamento che, con riferimento alla posizione del Mirante, è radicalmente mancato.
5.5. Il terzo motivo aggiunto, in ultimo, attiene al trattament sanzionatorio e, segnatamente, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso proposto nell’interesse del Lubine si compone di due motivi d’impugnazione.
6.1. Il primo deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso ogni motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all’art. 628, comma 3, nn. 1 e 3 cod. pen., specificamente contestata nei motivi di appello. Circostanze che, alla luce della dinamica dei fatti, non potrebbero ritenersi perfezionate, atteso che, da un canto, la condotta ascritta al ricorrente riconducibile esclusivamente al medesimo (per cui non potrebbe neanche ipotizzarsi la necessaria simultaneità di azione richiesta per la circostanza dì cui a n. 1); dall’altro, l’appartenenza del soggetto agente ad un’associazione mafiosa (che caratterizza la circostanza di cui al n. 3) non è neanche contestata al COGNOME e, in sé, non potrebbe automaticamente riverberarsi sul ricorrente.
6.2. Il secondo motivo, formulato sotto il profilo della violazione di legge, attiene alla sussistenza della circostanza di cui all’art. 7 I. 12 luglio 1991, n. 2
La difesa sostiene che l’attività della consorteria avrebbe agito su piano distinto rispetto alla realizzazione del fatto e che, comunque, non risulterebbe
provato in quale misura il ricorrente avesse agito (anche) con la finalità di forni un ausilio specifico alla consorteria, non essendo argomenti di per sé decisivi, sintomatici di stretti legami con i componenti del sodalizio, né l’esistenza di u episodio singolo riguardante il collaboratore di giustizia (l’ospitalità prestat presso la sua abitazione), né l’occasionale intreccio con gli affari del coimputato NOME COGNOME
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si compone di nove motivi d’impugnazione.
7.1. Il primo censura, sotto il profilo del vizio dì motivazione, il rigetto d richieste istruttorie avanzate dalla difesa del ricorrente (quanto, in particolare, a richiesta di audizione del m.11o COGNOME; all’acquisizione della documentazione relativa all’acquisto dell’escavatore; alla rendicontazione della carta di credito nel titolarità del ricorrente; alla richiesta di esame del perito trascrittore subordine, all’acquisizione dell’elaborato peritale redatto dalla difesa; al trascrizione di una registrazione audio; all’acquisizione dei verbali delle deposizion testimoniali rese dal COGNOME e dal COGNOME nel procedimento c.d. COGNOME), fondato, secondo la difesa, su argomentazioni manifestamente illogiche, attesa la rilevanza delle questioni sottese alle singole richieste, tutte utilizzate ai fini della deci di condanna.
7.2. Il secondo deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine alle questioni sollevate con la memoria difensiva scritta personalmente dal ricorrente e alle questioni connesse alla sentenza emessa dal Tribunale di Torino in relazione al reato di bancarotta (nella quale veniva dichiarata inammissibile la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 2, cod. pen.).
7.3. Il terzo, formulato sotto il profilo del vizio di motivazione, attiene sussistenza dell’associazione. Premette la difesa che il fulcro principale dell’assunto accusatorio sarebbe la sentenza n. 6933 del 4 luglio 2018, pronunciata da questa Corte di cassazione in relazione ai ricorsi proposti dai coimputati giudicati con rito abbreviato e acquisita dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., e dalle dichiarazioni rese dal collaboratore giustizia COGNOME
Ebbene, da un canto, in applicazione di principi costituzionali cristallizzat nell’art. 111 Cost., l’acquisizione di sentenze divenute irrevocabili non comporta alcun automatismo (come invece sembra prospettare la Corte territoriale) nel recepimento e nell’utilizzazione, ai fini decisori, dei fatti e dei relativi contenuti nei passaggi argomentativi della sentenza acquisita (che, invece, devono essere autonomamente vagliati e valutati alla stregua della regola probatoria di
cui al terzo comma dell’art. 192 cod. proc, pen.); dall’altro, le dichiarazioni r dal collaboratore sarebbero intrinsecamente inattendibili in quanto:
all’inizio della sua collaborazione (nel 2012), non era in grado di riferire componenti della presunta ‘ndrina: riferiva solo nel 2013 il nome di qualche componente;
riconosceva di non aver partecipato al rito dell’affiliazione del NOME, che, peraltro, gli era stato presentato solo come un “amico nostro”;
affermava erroneamente l’esistenza di una parentela tra NOME COGNOME e gli altri NOME;
affermava erroneamente che il COGNOME era socio della RAGIONE_SOCIALE
rilasciava dichiarazioni contraddittorie in ordine alla vicenda dell’escavatore, contraddittorietà particolarmente significativa in ragione dell’esplicita particola rilevanza della questione nell’economia dell’impianto argomentativo della Corte territoriale.
7.4. Il quarto deduce che la Corte avrebbe omesso di motivare o, comunque, avrebbe fornito una motivazione illogica e contraddittoria in ordine alla partecipazione del COGNOME al sodalizio mafioso; partecipazione ritenuta, pur in assenza di specifiche condotte di reato commesse da quest’ultimo, alla luce solo di alcune vicende, in sé penalmente irrilevanti, che, tuttavia, nella logica seguit dalla Corte sarebbero significative di una reale partecipazione del COGNOME. In particolare:
la vicenda COGNOME, oggetto di altri procedimenti penali, conclusi l’uno con l’archiviazione (per l’inattendibilità dello stesso COGNOME) e l’altro con l’esclus dell’aggravante del metodo mafioso;
la vicenda relativa al villaggio Carioca, in relazione alla quale la Cort avrebbe omesso di tenere in conto le dichiarazioni del commercialista COGNOME e del teste NOME COGNOME
la vicenda relativa alla lite condominiale tra NOME e NOME COGNOME in relazione alla quale la Corte avrebbe omesso di considerare la decisione del ricorrente di adire l’autorità giudiziaria (circostanza logicamente incompatibile con la valutazione offerta dalla Corte);
la vicenda COGNOME, in relazione alla quale la Corte omette di confrontarsi, da un canto, con la deposizione dello stesso COGNOME e, dall’altro, con l conclusioni alle quali era giunto il Tribunale (che, invece, aveva escluso la rilevanza di tale vicenda).
7.5. Il quinto, anche questo formulato sotto il profilo del vizio motivazione, attiene ai contenuti della perizia fonica del dott. COGNOME e a rilevanza e valutazione dei rapporti personali tra i coimputati. La difesa ripropone, indicandoli analiticamente, alcuni errori di trascrizione insiti nella perizia red
dal consulente (già prospettati alla Corte territoriale e fondanti la richiesta rinnovazione rigettata dal Collegio) e specifiche doglianze volte a spiegare i rapporti con i coimputati (diversamente valorizzati dalla Corte) rispetto alle qual in ipotesi difensiva, la Corte avrebbe omesso qualsivoglia considerazione, limitandosi a riproporre, pedissequamente, le motivazioni offerte in primo grado.
7.6. Il sesto deduce l’omessa valutazione in ordine alle argomentazioni offerte attraverso la produzione della consulenza di parte redatta dal dott. COGNOME in relazione ad alcune singole intercettazioni.
7.7. Il settimo deduce che la Corte non avrebbe indicato il contributo che il ricorrente avrebbe apportato al perseguimento dello scopo comune associativo. Tanto più che, con riferimento alla ritenuta aggravante di cui al comma 4 dell’art. 416-bis cod. pen., non vi sarebbe stato alcun sequestro di armi illegalmente detenute nei confronti dei presunti appartenenti alla ‘ndrina.
7.8. L’ottavo attiene al capo 12) e deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso di confrontarsi con la puntuale ricostruzione dei fatti fornita dalla difes quanto, in particolare, alla devoluta inattendibilità del COGNOME e al (rite travisamento delle relative dichiarazioni (alle quali la Corte avrebbe attribuito u significato radicalmente diverso da quello emergente dall’esplicita formulazione delle frasi) e alla invocata derubricazione del reato contestato in quello di c all’art. 393 cod. pen. (in ragione della ragionevole convinzione del Donato di esercitare un suo diritto).
7.9. Il nono, in ultimo, attiene alle disposizioni patrimoniali e censura argomentazioni offerte dalla Corte quanto alla ricostruzione del patrimonio del Donato, alla provenienza della relativa provvista, alla compatibilità del valor patrimoniale con i flussi finanziari (provenienti, prevalentemente, dagli istit bancari) e alla ritenuta sproporzione tra il valore patrimoniale e il redd percepito.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati proposti due distinti ricorsi: uno a firma dell’avv. NOME COGNOME nell’interesse anche di NOME COGNOME e l’altro firma dell’avv. NOME COGNOME nell’interesse del solo NOME COGNOME.
Quest’ultimo, in particolare, si compone di quattro motivi di censura.
8.1. Il primo attiene alla prospettata violazione dell’art. 603, comma 3 -bis, cod. proc. pen., nella parte in cui la Corte, nel ribaltare l’originaria assoluzione ricorrente in ordine al reato associativo, da un canto, si sarebbe limitata rinnovare solo formalmente l’esame del collaboratore COGNOME (richiedendo solo se confermava le precedenti dichiarazioni, impedendo, così, la piena estrinsecazione del diritto di difesa dell’imputato e adottando una soluzione radicalmente difforme rispetto a quella del coimputato COGNOME in relazione al quale l’esame si è svolto
compiutamente ed ha condotto all’assoluzione dello stesso); dall’altro non avrebbe rinnovato le dichiarazioni di altro teste (NOME COGNOME, esaminato in primo grado e valorizzato anche in appello, e non avrebbe disposto (anche d’ufficio) l’esame dell’imputato. Tutto ciò in violazione non solo della norma interna richiamata (art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen.), ma anche dei principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza della Corte EDU.
8.2. Il secondo, strettamente connesso al primo, deduce, sotto il profilo della violazione di legge e del connesso vizio di motivazione, che la Corte territoriale, nel ribaltare l’assoluzione pronunciata in primo grado, si sarebb limitata a prospettare una diversa valutazione del materiale probatorio senza escludere l’esistenza di ricostruzioni alternative, così come ritenute in primo grado, in palese violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata. Avrebbe, infatti, omesso di valutare: la riferibilità al periodo in contestazione (dal 2011 in poi) del nar del collaboratore; le censure difensive in ordine alla valutazione delle condotte tenute in favore di NOME COGNOME e ai contrasti (emersi nel corso delle captazioni) insorti con gli altri sodali; l’incoerenza cronologica dell’aiuto economico offerto NOME; l’intervenuta esclusione della matrice mafiosa in relazione al capo 10) e la riqualificazione del reato ai sensi dell’art. 379 del codice penale.
8.3. Il terzo deduce la violazione dell’art. 157 cod. pen. nella parte in cui Corte territoriale, riqualificato il reato di cui al capo 10) ai sensi dell’art. 37 pen. ed escluse (già in primo grado) le aggravanti contestate, non avrebbe valutato la maturazione (già prima della pronuncia della sentenza) del termine prescrizionale.
8.4. Il quarto, in ultimo, attiene al trattamento sanzionatorio quanto, i particolare, alla ritenuta impossibilità di ritenere prevalenti le pur riconosciute attenuanti generiche alla luce dell’esplicito disposto di cui al quarto comma dell’art 69 del codice penale; questione in relazione alla quale la difesa solleva questione di legittimità costituzionale (in relazione ai principi di eguaglianza, offensivi proporzionalità), richiamando, sotto tale profilo, le plurime pronunce della Corte Costituzionale dettate sul tema e la necessaria funzione riequilibratice della norma.
Il ricorso proposto nell’interesse (anche) di NOME COGNOME a firma dell’avv COGNOME si compone di sette motivi.
9.1. Il primo, formulato sotto i profili della violazione di legge e connesso vizio di motivazione e riferito ad entrambe le posizioni processuali, attiene alla sussistenza dell’associazione e deduce:
la mancanza di un concreto esercizio del metodo mafioso ad opera dei componenti del gruppo, in assenza della prova dell’uso (manifestato) della forza di intimidazione di tale gruppo in Piemonte;
la contraddittorietà (testuale) della ritenuta sussistenza dell’associazione rispetto alla parallela esclusione della relativa aggravante in relazione ai singo reati fine;
l’ulteriore contraddittorietà (extratestuale) della decisione assunta rispett alla sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Catanzaro (del 10 maggio 2013) con la quale è stata negata l’esistenza di una “locale” a San Mauro Marchesato. Cosicché sarebbe configurabile in Piemonte la riedizione di una consorteria, sconosciuta giudizialmente in Calabria, che, pertanto, non avrebbe mai potuto esportare un (inesistente) metodo mafioso. Né la doglianza potrebbe ritenersi superata assumendo che si trascurerebbe di apprezzare l’esistenza della ‘ndrina di San Mauro, da considerarsi come costola della locale di Cutro, giacché, in tal caso, mancherebbe il requisito della notorietà della fama criminale;
l’assenza di forza inferenziale degli elementi utilizzati dalla Corte per ritene l’effettiva esteriorizzazione della forza d’intimidazione, GLYPH proprio perché mancherebbe la prova anche di un solo episodio di indole criminale consumato profittando della condizione di assoggettamento della vittima consequenziale all’esercizio del metodo mafioso o spendendo il nome dell’associazione;
l’insufficienza del tanto valorizzato riferimento alla sentenza emessa da questa Corte nel 2018 (con riferimento ai coimputati giudicati con rito abbreviato), rappresentando, questa, solo una probatio semiplena che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, risulterebbe smentita dagli es dell’istruttoria dibattimentale espletata in relazione agli altri coimputati.
9.2. Il secondo, riferibile al solo NOME COGNOME deduce, sotto il profilo del violazione di legge e del connesso vizio di motivazione, che la Corte:
avrebbe omesso di evidenziare la benché minima condotta di partecipazione al funzionamento della supposta consorteria e di considerare, parallelamente, gli interventi del ricorrente diretti a scongiurare i tentativi di vessazione post essere ai danni dei suoi “amici”;
avrebbe, contraddittoriamente, escluso, con riferimento al fatto contestato al capo 9), l’esistenza di un’effettiva coartazione della volontà della persona offesa (COGNOME) posta in essere dal ricorrente in favore di altri sodali (peraltro defi dallo stesso ricorrente come soggetti “pericolosi”);
avrebbe, illogicamente, ritenuto significative, sotto il profilo de sussistenza di una condotta di partecipazione del ricorrente, le usure contestate al capo 10), senza considerare come le usure non rientrassero nel programma criminoso e che, comunque, in relazione a tali condotte, era stata esclusa l’aggravante mafiosa;
non avrebbe considerato l’oggettiva liceità della condotta del ricorrente in relazione alla vicenda COGNOME (conclusasi con l’arresto di COGNOME e COGNOME), le reali
,/ 1
motivazioni sottese alla vicenda COGNOME (e la connessa ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa) e l’assoluta inconferenza dei fatti relativi alla vicen NOME (dove, peraltro, nelle dichiarazioni del COGNOME, persona offesa dal reato, mancherebbe ogni riferimento a NOME COGNOME).
9.3. Il terzo, riferito esclusivamente alla posizione di NOME COGNOME deduce la violazione dell’art. 603 comma 3-bis cod. proc. pen. ed è formulato in termini sostanzialmente sovrapponibili al primo motivo di ricorso proposto dall’avv. COGNOME
9.4. Il quarto, anche questo riferito alla sola posizione di NOME COGNOME attiene alla ritenuta condotta di partecipazione e deduce che la Corte territoriale avrebbe illogicamente esaltato le dichiarazioni del collaboratore COGNOME senza considerare: che il ricorrente non è mai stato condannato per il delitto di cui all’a 416-bis cod. pen.; l’inesistenza (accertata giudizialmente) di una locale in San Mauro; la mancata frequentazione nell’area torinese di soggetti contigui nel corso di feste o riunioni e l’assenza di comunanza d’impresa con tali soggetti; l’inconferenza delle pur valutate condotte intimidatorie nei confronti del COGNOME (marito della nipote di NOME COGNOME); l’assoluzione dal reato di usura e il mancato coinvolgimento nel reato di cui all’art. 615-ter cod. pen., seppur nella qualità concorrente.
9.5. Il quinto, riferito ad entrambe le posizioni processuali, attiene al sussistenza dell’aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416-bis cod. pen. e deduce le medesime argomentazioni già sinteticamente evidenziate in relazione al primo motivo di ricorso.
9.6. Il sesto, riferito alla sola posizione di NOME COGNOME (in relazione capo sub 10), deduce, sotto i profili della violazione di legge e del connesso vizio di motivazione, che la Corte avrebbe ritenuto perfezionato un solo episodio di usura (ancorché a consumazione prolungata), pur a fronte delle evidenze emergenze istruttorie che, invece, davano conto dell’esistenza di due distinti fatti ancorché connessi tra loro, dei quali il primo si sarebbe prescritto.
9.7. Il settimo, in ultimo, attiene alla sola posizione di NOME COGNOME e si riferisce al medesimo capo d’imputazione, riqualificato, solo per quest’ultimo, ai sensi dell’art. 379 cod. pen. e deduce, da un canto, l’erroneo riferimento giurisprudenziale, operato dalla Corte territoriale, a precedenti riferiti al favoreggiamento personale e, dall’altro, l’omesso rilievo dell’intervenuta prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La valutazione delle censure attraverso le quali si articolano i ricorsi impone di delineare alcune coordinate ermeneutiche alla luce delle quali poi valutare i singoli motivi.
1.1. In primo luogo, il perimetro del sindacato riservato a questa Corte.
Com’è noto, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo d provvedimento impugnato, anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen., dettata dalla L. 20 febbraio 2006 n. 46, ha una conformazione radicalmente diversa rispetto a quella propria del giudizio di merito, in quanto deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva” ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) internamente non “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) logicamente non “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così d vanificare o inficiare radicalmente sotto il profilo logico la motivazione (Sez. 6, 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708).
Il controllo riservato a questa Corte, infatti, concerne il rapporto motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione, ma nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione (Sez. 5, n. 11049 del 13/11/2017, COGNOME).
Sotto altro parallelo profilo, poi, il sindacato di legittimità, in quanto ave per oggetto il complesso argomentativo offerto nel provvedimento impugnato, per sua natura, è destinato a tradursi in una valutazione di carattere necessariamente unitario e globale sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice. Sicché, non è sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante, perché ogni singolo fatto deve essere valutato non in modo parcellizzato, ma nella sua unitaria sistemazione all’interno del generale contesto
12 GLYPH
probatorio (Sez. 2, n.33578 del 20/05/2010, Rv. 248128). È, quindi, necessario che gli atti dei processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di u vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’inte ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. (Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270465).
Da ultimo, per quel che rileva in questa sede, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che spieghi in modo logico e adeguato le ragioni dei suo convincimento, anche attraverso una loro valutazione globale, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; in ciò rimanendo implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME ed altri, Rv. 254107).
1.2. Il secondo profilo attiene alla valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e, più in particolare, della relativa chiamata in correit
Va premesso, sotto tale specifico profilo, che la valutazione della chiamata di correità presuppone un doppio giudizio di attendibilità: dapprima intrinseca, avente carattere preliminare, poiché la dichiarazione deve appunto apparire veritiera sotto i profili della spontaneità, coerenza, precisione e specifici successivamente estrinseca, poiché ad essa deve aggiungersi altro elemento di prova idoneo a corroborarne il contenuto in applicazione della regola probatoria di cui all’art. 192, comma 3, del codice di procedura penale. Riscontro che, quindi, dovendosi aggiungersi ad una chiamata di reità o correità, già valutata intrinsecamente attendibile, non deve necessariamente rappresentare una prova (di per sé sola sufficiente) della responsabilità dell’imputato per quel determinato fatto di reato (tale, quindi, da escludere l’utilità della chiamata), ma deve esse solo idonea a provare con certezza un collegamento tra imputato e contestazione, integrando la chiamata.
Il riscontro, in quanto tale, può essere di qualsiasi tipo o natura, potendo consistere, per quel che rileva in questa sede, non solo in un’altra chiamata di correo (essendo, questa, dotata di autonoma efficacia probatoria, seppur limitata), ma anche, con specifico riferimento ai reati associativi, nell’accertat partecipazione del singolo chiamato alla consumazione di delitti-fine dell’associazione (condotta attraverso cui si manifesta il ruolo del singolo
all’interno del gruppo) e nei contatti, nelle relazioni o nelle frequentazioni d singolo con altri associati, in quanto “il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa “vive” per sua natura di legami e relazioni tra gli associati nel contesto delle quali il programma associativo criminale viene deliberato e perfezionato, prima ed indipendentemente dalla consumazione dei singoli delitti-fine” (Sez. 6, n. 12554 del 01/03/2016, COGNOME, Rv. 267418). Ciò, però, precisando che, proprio con particolare riferimento al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., essend reato associativo privo di evento naturalistico e strutturato intorno ad condotta di partecipazione, l’elemento di riscontro individualizzante non deve necessariamente riguardare singole attività attribuite all’accusato, ma solo l’appartenenza del “chiamato” al sodalizio (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, P.G., COGNOME e altri, Rv. 264380; Sez. 5, n. 17081 del 26/11/2014, COGNOME e altri, Rv. 263699).
1.3. Il terzo profilo, in ultimo, attiene alla lettura, all’interpretazione valutazione delle conversazioni intercettate.
Ebbene, sotto tale profilo, va ribadito il principio in base al quale il contenu di un’intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno di terza persona, indicata come concorrente in un reato, non è equiparabile alla chiamata in correità e, pertanto, se anch’esso deve essere attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però soggetto, in tale valutazione, ai canoni di cui all’art. 192 del codice di procedura penale (Sez. 5, n. 50589 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 257832). Valutazione che, anche quando il linguaggio adoperato sia criptico o cifrato, costituisce sempre questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e, quindi, se risulta log e coerente, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Cosicché, dinanzi a questa Corte è ben possibile prospettare un’interpretazione diversa da quella proposta dal giudice di merito, ma solo in presenza di un oggettivo e determinante travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo radicalmente difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Rv. 272558, in motivazione).
Ciò considerato, possono essere valutate le singole censure, a partire da quelle comuni a tutti i ricorrenti. Prima fra tutte, il profilo della conte sussistenza dell’associazione (terzo motivo del ricorso proposto dal COGNOME; primo motivo del ricorso proposto da NOME e NOME COGNOME) e la connessa esternazione del metodo mafioso.
2.1. Va premesso che a tutti i predetti imputati è contestato di aver fatto parte della ‘ndrina di San Mauro Marchesato, quale articolazione territoriale della
ndrangheta operante in Torino e provincia, diretta emanazione della “locale di San Mauro Marchesato”, ma in stretto collegamento con alcune delle altre strutture della ‘ndrangheta piemontese (analiticamente indicate) e con le parallele strutture della ‘ndrangheta insediate in Calabria, rispetto alle quali manteneva autonomia organizzativa e potere decisionale sul territorio, assurgendo a riferimento nel capoluogo piemontese per le articolazioni mafiose sedenti nella provincia di Crotone.
2.2. Gli elementi utilizzati dai giudici di merito (e, sotto tale profil ricorda che le due successive decisioni, non essendovi difformità sulle conclusioni raggiunte sotto tale profilo, si integrano vicendevolmente, formando una sola entità logico – giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare del congruità della motivazione: ex multis, Cass., Sez. 2, n. 17336 del 29/03/2011, Rv. 250081) sono plurimi e tutti dotati di autonoma forza logica inferenziale.
In primo luogo, la più volte richiamata sentenza emessa da questa Corte (Sez. 1, n. 6933 del 4 luglio 2018), che ha definitivamente accertato, per quel che rileva in questa sede, l’esistenza di una ‘ndrina distaccata localizzata nel territorio di Sa Mauro Marchesato e attiva nella provincia torinese, quale nucleo delocalizzato della ‘ndrangheta calabrese, proiezione di una preesistente struttura radicata nel territorio calabrese, nella specie la locale di Cutro, e in stretto e autonomo rapporto con altre strutture delocalizzate pure operanti in territorio piemontese.
In secondo luogo, le convergenti dichiarazioni dei collaboratori. In particolare, quelle rese da:
NOME COGNOME, soggetto attivo proprio nella locale di Cutro, che ha riferito, ancorché con riguardo al periodo storico antecedente all’anno 2008 (inizio della sua collaborazione con l’autorità giudiziaria): a) di avere conosciuto NOME COGNOME (detto NOME) quale vertice della locale di San Mauro Marchesato in Calabria; b) che il COGNOME era affiancato da NOME COGNOME, suo braccio destro nonché effettivo gestore della locale, che pure COGNOME aveva conosciuto personalmente; c) che la locale era attiva nel territorio torinese e si occupava di traffico di stupefacenti, soprattutto di riciclaggio e reinvestimento di danaro nel settore dell’edilizia; d) c la ‘ndrina della locale di San Mauro Marchesato a Torino era stata formata previa autorizzazione della casa madre sedente in Calabria; e) che il gruppo piemontese, nel 2002, aveva favorito la latitanza di NOME COGNOME, capo della locale d Strongoli (come dallo stesso appreso nel carcere di Catanzaro dopo la cattura), e avrebbe offerto sostegno finanziario a NOME COGNOME durante la sua detenzione, anche pagandogli l’avvocato.
COGNOME NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno confermato la presenza a San Mauro Marchesato di una cosca ‘ndranghetista, che COGNOME e COGNOME hanno precisato essere una ‘ndrina e non una locale, attiva
dal 2000, al cui vertice sedeva NOME COGNOME coadiuvato da NOME COGNOME; in particolare COGNOME aveva appreso da NOME COGNOME che la cosca NOME operava a Torino;
NOME COGNOME che ha ribadito l’esistenza in San Mauro Marchesato di una ‘ndrina, affine alla locale di Cutro, capeggiata da NOME COGNOME (detto NOME), e gestita da NOME COGNOME conosciuto per la prima volta in carcere nel 2001 e successivamente frequentato;
NOME COGNOME (personaggio di spicco della locale di Belvedere Spinello nonché figlio del capo del gruppo ‘ndranghetista, che ha vissuto per lungo tempo nel territorio lombardo), che ha riferito: a) dell’esistenza di una ‘ndrina distacca del locale di Cutro, facente capo a NOME COGNOME (detto NOME, soggetto condannato in via definitiva quale partecipe della locale di Cutro), da lui personalmente conosciuto in Calabria nel 2017; b) che, con il benestare della casa madre cutrese, era stata successivamente attivata una ‘ndrina distaccata a Torino, parimenti capeggiata da COGNOME, il quale ne aveva delegato la materiale gestione a NOME COGNOME anch’egli personalmente conosciuto da COGNOME e spesso incontrato sia in Calabria che in Piemonte; c) che componenti intranei al gruppo erano NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; d) che COGNOME, NOME e NOME COGNOME si occupavano di attività formalmente lecite quale la rivendita di autovetture, mentre NOME COGNOME e NOME COGNOME operavano nel settore dell’edilizia quale canale di riciclaggio dei proventi del traffico di cocaina, oltre che in ulteriori se commerciali; e) che la ‘ndrina distaccata a Torino, facente capo a NOME COGNOME, poteva conferire “doti” solo previa autorizzazione della locale di origine, quella d Cutro, ed era tenuta a rispondere delle decisioni di maggiore importanza al capo società, corrispondendo una percentuale dei ricavi; f) che tale ‘ndrina era attiva soprattutto nel territorio dei comuni di Torino e di Volpiano, sicché, operando nell’ambito territoriale di pertinenza della locale di ‘ndrangheta ivi insediata (la esistenza è stata giudizialmente accertata in via definitiva nell’ambito del processo cd. “Minotauro”), si appoggiava ad esso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In ultimo, le intercettazioni, i servizi di osservazione e controllo e le relat dichiarazioni testimoniali, elementi dai quali è emersa un’intensa attività d programmazione degli incontri e attraverso i quali è stato possibile ricostruire gl interventi, le vicende (anche estranee ai fatti in contestazione), il modus operandi degli imputati (forza di intimidazione, sinergia, inserimento nella gestione di realt imprenditoriali altrui, intervento a sostegno di richiedenti protezione), frequentazioni e i rapporti tra i singoli partecipanti, l’attività di assiste detenuti, il procacciamento di informazioni riservate per eludere le investigazioni.
2.3. Ciò considerato, per come si è detto, i ricorrenti hanno contestato i criteri di valutazione della sentenza (acquisita ai sensi dell’art. 238-bis cod. pro pen.), la valutazione delle dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME (allegando una pluralità d circostanze asseritamente idonee a minarne l’attendibilità), l’esistenza di un concreto esercizio del metodo mafioso ad opera dei componenti del gruppo (mancando la prova dell’uso della forza di intimidazione di tale gruppo in Piemonte), deducendo la contraddittorietà (testuale) della ritenuta sussistenza dell’associazione rispetto alla parallela esclusione della relativa aggravante in relazione ai singoli reati fine e l’ulteriore contraddittorietà (extratestuale) d decisione assunta rispetto alla sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Catanzaro (del 10 maggio 2013) con la quale è stata negata l’esistenza di un locale a San Mauro Marchesato.
Le censure sono, in parte, infondate e, in parte, inammissibili.
2.3.1. Quanto al primo profilo (relativo al regime probatorio connesso alla valutazione delle sentenze definitive acquisite ai sensi dell’art. 238bis cod. proc. pen.), l’assunto dal quale partono le difese è, in linea di principio corretto: le sentenze divenute irrevocabili, acquisite ai sensi della richiamat disposizione normativa, non sono, di per sé, idonee – per esplicito disposto normativo – a fondare, autonomamente, la prova diretta del fatto oggetto del suo accertamento. Esse rappresentano, a tal fine, solo una probatio semiplena la cui valenza deve essere riscontrata, alla stregua della regola probatoria di cui all’art 192, comma 3, cod. proc. pen., da altri eventuali elementi probatori acquisiti all’esito dell’istruttoria.
Ma è quanto in concreto avvenuto. La Corte non ha fondato la prova della sussistenza del sodalizio mafioso e dei relativi caratteri esclusivamente alla luce della richiamata decisione (che, peraltro, quanto all’esistenza dell’associazione e al suo radicamento territoriale, ben avrebbe potuto rappresentare un autonomo supporto probatorio in termini di “notorietà” del fatto: Sez. F, n. 56596 de 03/09/2018, COGNOME, Rv. 274753): ha inserito il dato processuale all’interno di un più ampio, articolato e convergente compendio probatorio rappresentato, per come si è detto, dalle dichiarazioni rese dai collaboratori e dagli esiti del intercettazioni e dei servizi di osservazioni e dalle parallele dichiarazio testimoniali acquisite.
E tanto, in sé, è sufficiente a dar conto dell’infondatezza dell’assunto. Tanto più che il giudizio ordinario (nel quale si inserisce la decisione impugnata) ed i giudizio abbreviato (all’esito del quale è stata emessa la sentenza acquisita) originavano da un unico procedimento, oggetto di separazione processuale solo in virtù della richiesta di alcuni imputati di definizione alternativa; sicché il patrimo probatorio e valutativo, fatte salve le peculiarità delle regole di acquisizion
dibattimentale (rispetto alle quali, peraltro, le difese nulla hanno in concre evidenziato), era pressoché identico in entrambi i procedimenti. Cosicché, per come chiaramente evidenziato dalla Corte territoriale, il giudizio ordinario definito con la sentenza impugnata – verteva sui medesimi fatti contestati nel giudizio abbreviato, avvenuti nella medesima realtà territoriale, non emergeva una variazione delle finalità perseguite dal sodalizio (diretto all’acquisizione d controllo delle attività amministrative ed economiche) e vi era una identità soggettiva totale tra la formazione oggetto di accertamento nel giudizio abbreviato e quella oggetto dell’accertamento impugnato. E ciò esonera il giudice dal richiamato onere valutativo e motivazionale, costituendo le sentenze divenute irrevocabili, acquisite ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., prova dei f considerati come eventi storici (Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, Rv. 270384).
2.3.2. Le censure afferenti al profilo della valutazione di attendibilità delle dichiarazioni del collaboratore sono, invece, indeducibili in questa sede.
È pur vero che la nuova formulazione dell’art. 606 cod. proc. pen., per come si è detto in premessa, consente la possibilità di verificare la conformità al specifico atto del processo (anche a contenuto probatorio) della rappresentazione che di esso dà la motivazione del provvedimento impugnato. Ma tanto non può condurre ad estendere l’ambito di cognizione di legittimità ad una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove. Il giudizio d cassazione rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa, obiettivamente incontrovertibile e decisivi rispetto alla motivazione assunta. Viceversa, ogni questione che postuli una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti si pone fuori dal perimetro de vizio deducibile (Sez. 1, n. 42369 del 16 novembre 2006, Rv. 235507; Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, Rv. 272324), atteso che la selezione dei dati ritenuti rilevanti (all’interno del singolo mezzo di prova e, complessivamente, alla luce dell’intero materiale probatorio raccolto) e la conseguente attribuzione dello specifico significato ad una prova raccolta è attività riservata al giudice di merit insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione logica e coerente con i dati processuali.
Ebbene, la Corte ha analiticamente motivato in ordine a tutti i rilievi prospettato dalla difesa dando atto:
dell’irrilevanza della circostanza che COGNOME non abbia avuto occasione di conoscere tutti gli attuali imputati: non conosceva neanche il COGNOME, pacificamente intraneo al sodalizio;
della crescente specificità delle dichiarazioni rese, quale diretta conseguenza della parallela crescente specificità degli esami condotti dall’autorità giudiziar torinese, precipuamente interessata ad approfondire il tema della esistenza e composizione della ‘ndrina in quel territorio;
del pregresso accertamento giudiziale di tale attendibilità (con sentenza del Tribunale di Catanzaro in data 25 luglio 2013, che gli ha riconosciuto l’attenuante prevista dall’articolo 8 della legge nr. 203/1991)
della complessiva coerenza del narrato (anche con riferimento alla vicenda dell’acquisto dell’escavatore) e della modestia e marginalità delle contestazioni, giustificate dal significativo arco temporale intercorso tra i fatti (avvenuti nell’ 2010) e l’epoca dell’esame dibattimentale;
delle convergenti deposizioni rese dalla moglie, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME proprio sulla vicenda dell’escavatore;
della incoerenza dell’assunto sostenuto dalla difesa del COGNOME (quanto ad una presunta truffa connessa alla vendita di stupefacenti), esso stesso intrinsecamente incomprensibile e, comunque, inconciliabile con la decisa negazione di un suo coinvolgimento nel traffico di cocaina.
Ebbene, a fronte di tali analitiche argomentazioni, tutte le censure si manifestano come rivalutazione del materiale probatorio, riproduttive di censure analiticamente vagliate dalla corte territoriale, fondate su una visione parcellizzat dei singoli elementi probatori. Da ciò la loro inammissibilità.
2.3.3. L’ulteriore profilo di censura attiene alla necessaria esteriorizzazione del metodo mafioso da parte delle nuove articolazioni periferiche di sodalizi criminali radicati nel contesto territoriale di origine, probl ontologicamente connesso alla c.d. mafia “delocalizzata”, conseguente alla “colonizzazione” dei territori nei quali la mafia “storica” (e, in particola `ndrangheta, per le sue peculiarità strutturali e organizzative) decide di estendere la propria forza egemonica mediante una sua progressiva diramazione in zone geograficamente e culturalmente differenti da quelle d’origine e la conseguente creazione di cellule distaccate che, con la struttura “madre”, custodiscono uno saldo legame e dalla stessa replicano le modalità organizzative, la distinzione dei ruoli, i rituali di affiliazione e l’imposizione di rigide regole interne.
All’interno della giurisprudenza di questa Corte, nel corso degli anni si sono avvicendati due distinti filoni interpretativi: un primo che, nel rigoroso risp del principio di legalità, proprio in ragione della delocalizzazione del sodalizio del carattere territoriale del fenomeno mafioso), impone di accertare, in concreto e in termini di effettiva attualità, tutti i costituenti normativi posti dal comma dell’art. 416-bis e, con essi, l’effettivo esercizio, obiettivamente riscontra anche nel nuovo contesto territoriale, della forza intimidatrice caratterizzante
sodalizio mafioso (fra le altre, Sez. 6, n. 30059 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 262398; Sez. 2, n. 25360 del 15/05/2015, COGNOME, Rv. 264120; Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 269043; Sez. 6, n. 27094 del 01/03/2017, COGNOME, Rv. 270736; Sez. 6 n. 6933 del 04/07/2018, dep. 2019, Audia, Rv. 275037); un secondo che, di contro, alla luce del carattere immanente del reato (delineato in termini di “pericolo presunto per l’ordine pubblico”), prescinde dall’effetti esplicazione del metodo mafioso nel territorio di riferimento, ritenendo sufficient il mero “collegamento” con la “casa madre” e le mutuate connotazioni in termini di capacità d’intimidazione (fra le altre, Sez. 5, n. 28722 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 273093; Sez. 5, n. 47535 del 11/07/2018, N., Rv. 274138; Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811; Sez. 2, n. 47538 del 18/11/2022, COGNOME, Rv. 284182; Sez. 2, n. 45584 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 283857)
Il contrasto veniva cristallizzato dalla Prima Sezione di questa Corte, che, con ordinanza del 19 aprile 2019, rimetteva la questione alle Sezioni Unite con il seguente quesito: “Se sia configurabile il reato di cui all’art. 416-bis c.p. c riguardo a una articolazione periferica (cd. «locale») di un sodalizio mafioso, radicata in un’area territoriale diversa da quella di operatività dell’organizzazio «madre», anche in difetto della esteriorizzazione, nel differente territorio insediamento, della forza intimidatrice e della relativa condizione d assoggettamento e di omertà, qualora emerga la derivazione e il collegamento della nuova struttura territoriale con l’organizzazione e i rituali del sodalizi riferimento”.
La questione, tuttavia, non è stata mai rimessa alla decisione delle Sezioni Unite, ritenendo il Presidente (e, così, ribadendo una precedente analoga decisione assunta nel 2015) il difetto dei presupposti fondanti la rimessione in ragione della ritenuta inesistenza di un effettivo contrasto: il panorama giurisprudenziale «appare consolidato nell’affermare che ai fini della configurabilità d un’associazione di tipo mafioso è necessaria una effettiva capacità intimidatrice del sodalizio criminale da cui derivino le condizioni di assoggettamento ed omertà di quanti vengano con esso effettivamente in contatto»
Delineato in questi termini le diverse opzioni ermeneutiche, questo Collegio ritiene che il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. possa ritenersi concretament configurato anche nell’ipotesi in cui non vi siano forme manifeste di esteriorizzazione della forza intimidatrice. E tanto non solo non rappresenta una violazione del principio di legalità, ma non comporta neanche l’illogica deduzione che non occorra provare l’esistenza dei presupposti fondanti la fattispecie. Ciò che caratterizza il sodalizio mafioso è la forza di intimidazione posseduta e la tangibil percezione che di essa ne ha il territorio di riferimento, in termini assoggettamento ed omertà. Elementi che, proprio in quanto riferiti ad una diffuso
stato di soggezione psicologica, ben possono desumersi dal semplice collegamento della nuova struttura territoriale con quella “madre” (in relazione alla quale ta elementi risultano storicamente provati), della quale la prima conserva il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide r interne, sostegno ai sodali in carcere) e i relativi tratti distintivi. Elementi, sufficienti per ritenere provata la sussistenza della forza intimidatrice del sodalizi la quale, proprio in ragione della sua natura e della “storicità” della strutt originaria, non necessita di alcuna manifestazione concreta ove diffusamente percepita sul territorio. In questi termini, la forza di intimidazione non è “implici ma “intrinseca” nella natura del sodalizio, concretamente esercitata non in forma potenziale o meramente presuntiva, ma nella spendita d’una vera e propria fama criminale ereditata dalla “casa-madre”.
Ciò considerato, la natura mafiosa del sodalizio criminale oggetto dell’imputazione deriva proprio dalla sua stessa natura (accertata nei termini in precedenza indicati) di articolazione territoriale della ‘ndrangheta operante in Torino e provincia, “gemmazione” del locale di Cutro e, quindi, immediatamente riconducibile alla ‘ndrangheta calabrese, la quale, proprio in ragione della sua natura e della sua “storicità”, non necessita di alcuna manifestazione concreta, perché come tale è diffusamente percepita sul territorio.
Ma quand’anche si volesse ritenere necessaria la concreta ed attuale manifestazione di una (ulteriore) capacità d’intimidazione, in ragione della stessa delocalizzazione del sodalizio, la conclusione non muterebbe, essendo emersi, per come chiaramente evidenziato dalla Corte territoriale, plurimi elementi. In tal senso, oltre alla qualificata conoscenza, da parte dei suoi appartenenti, delle vicende processuali di altri componenti di ‘ndrangheta nei territori di espansione, (evidenza fattuale logicamente significativa di una affiliazione al fenomeno mafioso) e il sostegno offerto (in termini di pagamento dei costi dell’assistenza legale) agli appartenenti di ‘ndrangheta, detenuti in esito all’esecuzione dell’ordinanza cautelare nello stesso procedimento “Minotauro”, genericamente significativi dell’esistenza di un vincolo associativo, valgono, in particola l’adozione di metodi mafiosi per sanare la contesa tra COGNOME e COGNOME, la protezione prestata dai sodali a NOME COGNOME e NOME COGNOME, gli interventi di COGNOME e COGNOME (esponenti di spicco della `ndrangheta) nel contrasto insorto tra COGNOME e COGNOME.
Né vale evocare la differente formulazione sintattica e grammaticale del terzo comma dell’art. 416-bis cod. pen., strutturato in un’unica proposizione formulata con l’utilizzo dell’indicativo, rispetto all’ultimo, dove, invece, si utilizza il g (differenza dalla quale la difesa dedurrebbe che per la ‘ndrangheta sarebbe comunque necessaria la contestualità tra l’azione associativa e il momento in cui
si esercita in concreto tale condizione); non solo perché i dati sostanziali richiamat nelle due diverse previsioni normative sono i medesimi (e una diversa formulazione sintattica non può valere, ex se, a fondare una differente ricostruzione sostanziale delle fattispecie), ma anche e soprattutto in quanto la prospettata interpretazione cozzerebbe con il principio di ragionevolezza, in quanto condurrebbe a ritenere che il legislatore abbia inteso disciplinare differentemente due fattispecie sostanzialmente sovrapponibili.
2.3.4. Quanto alle residue censure, è sufficiente rilevare, sotto il primo profilo (l’evocata contraddittorietà della ritenuta sussistenz dell’associazione rispetto alla parallela esclusione della relativa aggravante in relazione ai singoli reati fine), che la sussistenza dell’associazione è dato fattua logicamente distinto dalla successiva (ed eventuale) consumazione dei reati fine; cosicché, seppur elemento privilegiato di prova è, proprio, la consumazione di questi ultimi, tale dato non è necessario né ai fini della configurabil dell’associazione, né ai fini della prova della sussistenza della condotta d partecipazione (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, Rv. 280703). Ebbene, se la consumazione stessa del reato fine non è elemento necessario ai fini della sussistenza dell’associazione, a maggior ragione non lo è la sussistenza di una specifica aggravante. Tanto più alla luce delle specifiche motivazioni sottese all’esclusione dell’aggravante stessa.
Quanto all’ulteriore censura, la questione trova, in realtà, la sua soluzione nelle parallele valutazioni offerte da questa Corte (nella richiamata sentenza del 2018), seppur con riferimento al profilo della (in)sussistenza di un evocato difetto di correlazione tra accusa e sentenza. La circostanza per cui è stata negata l’esistenza di una locale in San Mauro Marchesato non solo non incide sul concreto esercizio del diritto di difesa (eccezione in quella sede sollevata), ma appare del tutto irrilevante sotto il profilo motivazionale in quanto non esclude l’esistenza una ‘ndrina e non si comprende come tale differente dato possa, in qualche modo, incidere sotto il profilo della “fama criminale” (circostanza semplicemente evocata dalla difesa).
3. La difesa del COGNOME (settimo motivo), quella del COGNOME (secondo motivo) e quella di NOME e NOME COGNOME (quinto motivo proposto dall’avv. COGNOME) contestano, poi, la sussistenza dell’aggravante di cui al quarto comma dell’art. 416-bis cod. pen., originariamente esclusa in primo grado e, successivamente, ritenuta, all’esito dell’impugnazione del Pubblico Ministero, in grado d’appello.
Va premesso che, per giurisprudenza largamente prevalente, l’aggravante c.d. “armata” è un’aggravante oggettiva (Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013, dep. 2014, Sapienza, Rv. 258956), configurabile a carico di ogni
partecipe che sia consapevole del possesso dì armi da parte degli associati o lo ignori per colpa; disponibilità desumìbile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, essendo questi elementi da considerare come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori (Sez. 2 Sentenza n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284761; Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 278010; Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 276831; Sez. 1, n. 7392 del 12/09/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272403; Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270467).
Ciò considerato, la sussistenza di tale aggravante (e, quindi, la stabile dotazione di armi da parte dell’associazione) è chiaramente desumibile: a) dalla diretta derivazione dell’associazione dalla ‘ndrangheta (della quale il sodalizio era articolazione territoriale distaccata), che, in quanto “mafia storica”, “notoriamente” disponibilità di armi; b) dalla già richiamata sentenza emessa da questa Corte nel 2018, pronunciata a definizione del giudizio che ha interessato le posizioni dei coimputati; c) dagli esiti delle intercettazioni e dalle dichiarazioni r dal collaboratore COGNOME
Ebbene, a fronte di tale dato, il mancato rinvenimento di armi al momento della emissione delle misure cautelari non solo è circostanza francamente irrilevante, ma logicamente giustificabile, per come evidenziato dalla stessa Corte territoriale alla luce dello “stato di allerta in cui si trovavano gli imputati, g consci di essere sottoposti ad indagini”.
Definite le questioni comuni, è possibile ora analizzare le censure individualmente proposte dai singoli ricorrenti.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
4.1. La difesa contesta, con due separati motivi, anche sotto il profilo soggettivo, la ritenuta partecipazione all’associazione.
Le censure (delle quali si è dato atto analiticamente in precedenza) sono tutte infondate.
Va premesso che la condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio, per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889), nella piena consapevole volontà di partecipare a detta associazione rendendosi disponibile a porre in essere quanto necessario per l’attuazione del comune programma delinquenziale con qualsivoglia condotta idonea alla conservazione o al rafforzamento della struttura associativa (Sez. 1,
n. 27 4043 del 25/11/2003, dep. 2004, Cito, Rv. 229992; Sez. 1, n. 2348 del 18/05/1994, COGNOME, Rv. 198328).
Non è necessario che il singolo membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale (Sez. 2, n. 18559 del 13/03/2019, COGNOME, Rv. 276122).
Sotto il profilo probatorio, pur dovendosi escludere che le “frequentazioni” possano essere poste autonomamente a fondamento di un’affermazione di responsabilità, a fronte di una chiamata di correità intrinsecamente valida, le relazioni qualificate con altri esponenti della stessa organizzazione criminale, tr cui quelle con soggetti posti in posizione verticistica, possono valere da riscontr esterno ex art. 192, comma 3, cod. proc. pen. e, in questi limiti, sono idonee ad essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità per il delitto di associazione mafiosa (Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270468; Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, COGNOME, Rv. 269659).
Ebbene, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha ricostruito tutti i passaggi del comportamento “esecutivo” all’interno dell’associazione da parte del Mirante, richiamando talune evidenze che vedono l’imputato chiamato in causa in determinati progetti intimidatori e nelle frequentazioni con alcuni degli odierni coimputati cui lo stesso era solit accompagnarsi. E, in particolare, con:
NOME COGNOME (condannato in via definitiva quale promotore e organizzatore della `ndrina), definito abitualmente come suo “cugino” (per vantare il suo stretto legame con un personaggio di elevato spessore criminale), con il quale il COGNOME chiede ripetutamente di incontrarsi e si reca, addirittura, in Germania per affari e anche in questo caso, le telefonate – invocate dalla difesa – altro non sarebbero che uno strumento per fornire una giustificazione alternativa lecita della loro presenza negli uffici e nei cantieri di Mirante;
NOME COGNOME socio di RAGIONE_SOCIALE nel commercio di auto, al quale il COGNOME, sospettando la presenza di una microspia sulla sua autovettura, si era rivolto dicendogli di avere, sulla sua auto, il medesimo problema che aveva avuto NOME e dal quale aveva ricevuto un versamento di euro 22.000, senza alcuna giustificazione lecita;
NOME COGNOME che gli aveva presentato NOME COGNOME (per la “bonifica” dell’autovettura) e al quale il COGNOME aveva effettuato un bonifico di euro 25.000, aveva fornito i D.U.R.C. e aveva predisposto un falso contratto preliminare di acquisto al fine di consentirgli di ottenere un finanziamento bancario per proseguire la sua attività imprenditoriale;
NOME COGNOME in favore del quale sono state elargite ingenti somme di denaro su richiesta di NOME;
NOME COGNOMEcondannato in via definitiva come partecipe) e il suo coinvolgimento nella cd. “vicenda Chiapparino”;
NOME COGNOME cl. 1960 (capo della locale di Volpiano), al quale COGNOME dichiara di essergli affezionato e di considerarlo “un amico”, spesso presente presso gli uffici dell’imputato e partecipe anche all’incontro tra COGNOME e Spagnolo anch’egli mafioso (intervento finalizzato a che anche la ‘ndrina potesse eventualmente partecipare degli utili conseguiti dall’impresa economica) e con il quale nelle conversazioni ambientali intercettate, il COGNOME manifesta evidente timore circa un loro possibile coinvolgimento nelle indagini;
g) tutti gli altri sodali, presso la concessionaria Spazio, oggetto di commento da parte di NOME COGNOME in ordine alla caratura criminale dei partecipi.
In questo contesto sono state valutate anche: la vicenda COGNOME, quale certificazione dell’evidente interesse economico della intera compagine mafiosa sottostante al coinvolgimento di COGNOME e COGNOME (dimostrata dall’utilizzo del plurale e del sostantivo “amici” attribuita a COGNOME e COGNOME, essi stessi sodali); conversazioni nelle quali COGNOME esortava COGNOME (suo amico d’infanzia) a “mettere la testa a posto” (evocate dalla difesa a sostegno dell’asserita estraneità del COGNOME), ritenute del tutto irrilevanti, in quanto avvenute dopo che COGNOME aveva scoperto di essere intercettato; l’aiuto economico prestato da COGNOME a Talluto dopo la sua collaborazione, ritenuto, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, funzionale ad assicurarne il “silenzio”.
Ebbene, sul presupposto per cui la condotta di partecipazione si concretizza nella ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio, per il perseguimento dei comuni fini criminosi e l’esplicita manifestazione di una volontà associativa non è necessaria per la costituzione del sodalizio, potendo la consapevolezza dell’associato essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in un’attiva e stabile partecipazione (Sez. 3, n. 20921 del 14/03/2013 Rv. 255776), gli elementi probatori valutati dalla Corte territoriale appaiono tut ampiamente sufficienti per dedurre la partecipazione del COGNOME al sodalizio, in quanto, attività tipiche di un soggetto intraneo ad una struttura di stampo criminale, che partecipa a momenti fondamentali della vita associativa ed economica del clan e che, per la sua posizione sociale e per la sua collocazione professionale (un imprenditore), è in grado di far “girare il danaro” e di mettere frutto quanto gli associati hanno guadagnato con la loro attività contra jus.
Condotte che, sotto il profilo soggettivo, valutate unitariamente, sono espressione di una evidente affectio societatis, che non è né l’esistenza di un accordo consacrato in atti di costituzione, in uno “statuto”, in una cerimonia di
25 GLYPH
iniziazione o affiliazione o in altre manifestazioni di rituale adesione, e neanche l formale attribuzione della qualifica di associato da parte degli altri sodali, m posta l’esistenza, di fatto, della struttura delinquenziale prevista dalla legg l’innestarsi del consapevole contributo apportato dai singolo nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune (Sez. 5, n. 13071 del 14/02/2014, Rv. 260211).
E, in questo contesto, alla luce dei plurimi elementi valutati dalla Corte, l circostanze per cui in nessuna occasione il Mirante è stato attivamente coinvolto nei reati perpetrati dall’associazione e che nessun investimento, da parte degli altr imputati, è mai stato fatto con l’ausilio del Mirante, appaiono francamente irrilevanti, in quanto, in sé, non necessarie ai fini della sussistenza della condot partecipativa, logicamente dedotta dai plurimi elementi in precedenza evidenziati.
4.2. Tutti gli altri motivi (aggiunti) sono inammissibili in quanto estranei petitum prospettato attraverso la formulazione dei motivi principali. La facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi, invero, incontra il limite del necessar riferimento ai motivi principali, dei quali i motivi ulteriori devono rappresent mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma pur sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti.
Sono, pertanto, ammissibili soltanto i motivi aggiunti con i quali, fondamento del petitum formulato con i motivi principali (rispetto ai quali i primi devono indicare espressamente il collegamento con il motivo, principale, al quale si riferiscono: Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, COGNOME, Rv. 272821), si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali intenda allargare l’ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione” (Sez. U. n. 4683 del 25/02/1998, COGNOME, Rv. 210259; Sez. 2, n. 28853 del 11/01/2013, Platamone, Rv. 244301).
Ebbene, se il primo motivo aggiunto attiene alla sussistenza della condotta di partecipazione (ed è ammissibile in quanto mero sviluppo dei due motivi principali), gli altri due afferiscono alla sussistenza dell’aggravante “armata” (del quale, peraltro, si è dato conto con riferimento a quanto eccepito dagli altr ricorrenti) e al trattamento sanzionatorio e, quindi, in quanto estranei al petitum fondante i motivi principali, sono in sé inammissibili.
5. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
Va premesso che il COGNOME è stato condannato per il solo reato di tentata estorsione aggravata contestata (originariamente anche con i reati di danneggiamento e violazione aggravata di domicilio) al capo 12), in concorso con NOME COGNOME
La vicenda attiene all’acquisto di una villetta, da parte di tale NOME COGNOME oggetto di una denuncia per truffa sporta da quest’ultimo nei confronti di NOME COGNOME e alle condotte estorsive, in ipotesi di accusa, poste in essere dal ricorrente, aggravate dall’aver commesso i fatti avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 629, comma 2, cod. pen. (in relazione all’art. 628 nn. 2 e 3 co pen.) e dall’art. 7 I. 12 luglio 1991, n. 203.
Il ricorrente contesta la sussistenza di tali aggravanti. In particolare:
a) la ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all’art. 628 comma 3, nn. 1 e 3 cod. pen., atteso, da un canto, che la condotta ascritta al ricorrente sarebbe riconducibile esclusivamente al medesimo (per cui non potrebbe neanche ipotizzarsi la necessaria simultaneità di azione richiesta per la circostanza di cui al n. 1); dall’altro, che l’appartenenza del soggetto agente ad un’associazione mafiosa (che caratterizza la circostanza di cui al n. 3) non è neanche contestata al COGNOME e, in sé, non potrebbe automaticamente riverberarsi sul ricorrente;
b) la sussistenza della circostanza di cui all’art. 7 I. 12 luglio 1991, n. 203, quanto, in ipotesi difensiva, l’attività della consorteria avrebbe agito su un pian distinto rispetto alla realizzazione del fatto e, comunque, non risulterebbe provato in quale misura il ricorrente abbia agito (anche) con la finalità, non esclusiva m comunque ben delineata, di fornire un ausilio specifico alla consorteria, non essendo argomenti di per sé decisivi, sintomatici di stretti legami con i componenti del sodalizio, né l’esistenza di un episodio singolo riguardante il collaboratore d giustizia (l’ospitalità prestatagli un paio di giorni presso la sua abitazione) l’occasionale intreccio con gli affari del coimputato NOME COGNOME
Le censure sono fondate con riferimento alle sole circostanze di cui all’art. 628 cod. pen., in relazione alle quali, avendo la Corte territoriale omesso ogn motivazione, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, per nuovo esame.
Simmetricamente, con riferimento alla sussistenza dell’aggravante mafiosa, le censure sollevate appaiono generiche e, comunque, manifestamente infondate, avendo la Corte territoriale offerto argomentazioni logiche e coerenti con i consolidati principi elaborati da questa Corte.
Va premesso che, ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso (di cui all’art. 7 d. I. n. 152 del 13 maggio 1991, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203), non occorre che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere: è solo necessario che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella, ben più penetrante, energica ed efficace, che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a
molteplici ed efferati delitti (ex multis, Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, COGNOME, Rv. 285018). Essa, pertanto, è configurabile non solo con riferimento ai reati-fine commessi in esecuzione del programma associativo, ma anche nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei che utilizzino, però, quelle specifiche modalità di condotta che caratterizzano l’aggravante in contestazione (Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, COGNOME, Rv. 271103).
Ebbene, ciò considerato, la Corte territoriale ha dato atto, da un canto, che il collaboratore COGNOME ha indicato proprio in Lubine il soggetto vicino alla ‘ndrina San Mauro Marchesato a Torino, perfettamente informato dei suoi componenti, indicato come idoneo (da NOME COGNOME) ad ospitare COGNOME durante la sua latitanza, presso la cui abitazione l’COGNOME stesso aveva accompagnato gli agenti di polizia; dall’altro le modalità attraverso cui era stata posta in essere la condot estorsiva (le minacce di morte e la forzatura dei serramenti, del portone e del garage; il falso contratto di locazione predisposto per confezionare una parvenza di legittimità alla pretesa avanzata), perfettamente coerenti rispetto allo scopo perseguito (poi effettivamente raggiunto).
A fronte di ciò, da un canto il ricorrente si limita ad una generica censura i ordine alla sussistenza dell’aggravante senza confrontarsi con le analitiche argomentazioni offerte; dall’altro, non tiene conto dei limiti connaturati sindacato riservato a questa Corte, funzionale, per come sì è detto, alla sola verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata. Da ciò l’inammissibilità della relativa censura.
6. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
Valutando partitamente le singole censure, appare opportuno analizzare, in primo luogo, quelle afferenti ai profili processuali, relativi al rigetto delle rich istruttorie, all’omesso esame delle memorie difensive e all’interpretazione e valutazione delle trascrizioni acquisite ed utilizzate dai giudici di merito (prim secondo, quinto e sesto motivo).
6.1. Per come si è detto, il ricorrente, con il primo motivo, censura il riget delle richieste istruttorie avanzate dalla difesa, fondato, si sostiene, argomentazioni manifestamente illogiche, attesa la rilevanza delle questioni sottese alle singole richieste, tutte utilizzate ai fini della decisione di condan con il secondo, deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine alle questioni sollevate con la memoria difensiva scritta personalmente dal ricorrente e alle questioni connesse alla sentenza emessa dal Tribunale di Torino in relazione al reato di bancarotta (nella quale veniva dichiarata inammissibile la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis, comma 2, cod. pen.).
Le richieste, in particolare, riguardavano: l’audizione del m.11o COGNOME; l’acquisizione della documentazione relativa all’acquisto dell’escavatore; la rendicontazione della carta di credito nella titolarità del ricorrente; la richies esame del perito trascrittore o, in subordine, l’acquisizione dell’elaborato perital redatto dalla difesa; la trascrizione di una registrazione audio; l’acquisizione de verbali delle deposizioni testimoniali rese dal Riva e dal Vigna nel procedimento c.d. COGNOME
Ebbene, valutando partitamente le singole istanze, la Corte territoriale ha dato atto che:
la richiesta relativa alla deposizione del m.NOME COGNOME (in subordine all’acquisizione di una registrazione audio tra presenti effettuata in data 25.3.2016 da NOME COGNOME in ulteriore subordine all’acquisizione del file audio e nomina di un perito per la sua trascrizione, istanze tutte relative alla titol dell’escavatore in capo ad una società di leasing), non appare rilevante ai fini della decisione atteso che la notizia relativa alla titolarità formale di quel mezzo era gi emersa durante l’istruttoria dibattimentale di primo grado;
la richiesta relativa all’acquisizione di due fatture asseritamente emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE, la prima per la vendita di un escavatore (con data apposta del 18 maggio 2010), la seconda quale “storno” della vendita del medesimo (con data apposta del 20 settembre 2010), oltre ad essere documentazione non certo sopravvenuta o scoperta dopo il primo grado, non appare rilevante ai fini della decisione;
la richiesta relativa all’acquisizione della rendicontazione della carta credito intestata a NOME COGNOME nel periodo dal 2 al 31 agosto 2010, oltre ad essere documentazione non certo sopravvenuta o scoperta dopo il primo grado, risulta irrilevante ai fini della decisione: non può infatti esservi certezza alcuna fatto che tale carta di credito, anche se a lui intestata, sia stata in quel peri utilizzata esclusivamente da NOME COGNOME e non, invece da suoi parenti o amici;
la richiesta di esame del perito COGNOME relativamente ad alcune traduzioni, dal dialetto in italiano, delle conversazioni ambientali e telefoniche indicate (in v subordinata, di acquisire un elaborato peritale eseguito per conto della difesa di NOME COGNOME delle medesime conversazioni; in via ulteriormente subordinata dell’ascolto diretto in aula di tali intercettazioni) non può essere accolta attesa l’inutilità dell’ascolto in aula, posto che per la comprensione delle conversazioni s è dovuto in primo grado ricorrere all’ausilio di un perito; la pari inutili convocare il perito, il quale ha svolto il suo compito; con riferiment all’affermazione dei “gravi errori” che il perito avrebbe commesso, non essendo specializzato nel “vernacolo” crotonese, si deve osservare che gli “errori” di
traduzione indicati dalla difesa riguardano esclusivamente le intercettazioni n. 5016 e n. 23708, per le due frasi indicate, non rilevanti ai fini della decisione;
la richiesta dì acquisizione di una registrazione audio effettuata in data 12 febbraio 2015 dall’imputato NOME COGNOME con NOME COGNOME e NOME COGNOME “per meglio lumeggiare la vicenda riguardante NOME Sergio” non può ritenersi, con certezza, genuina, completa e non manipolata, e, comunque, non è sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado;
la richiesta di acquisizione delle deposizioni rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME nel processo c.d. Minotauro all’udienza del 28.1.2013, non solo non riguarda certo un documento sopravvenuto o scoperto dopo il giudizio di primo grado, ma non rileva ai fini della decisione;
la richiesta di acquisizione di sette faldoni non può essere accolta in quanto: privi di numerazione; all’interno si trovano documenti di varia provenienza inframmezzati da “commenti”; non si ravvisa – tra le centinaia di pagine che li compongono – alcuna formale richiesta ai sensi del primo comma dell’art. 603 cod. proc. pen.; molti dei documenti contenuti (a prescindere da alcune intercettazioni e da fotocopie di trascrizioni di deposizioni dibattimentali in primo grado) non sono sicuramente mai entrati tra le prove acquisite dal primo giudice, anche considerato che si procedeva con giudizio ordinario; molti erano nella disponibilità dell’imputato, con le già sopra riportate ed evidenti criticità in relazione alla l genuinità, completezza e mancanza di manipolazione.
Ciò considerato, in linea di principio, va premesso:
quanto alle richieste istruttorie, che la disposizione di cui all’art. 603 co proc. pen. è fondata sulla presunzione di completezza dell’indagine probatoria esperita in primo grado e subordina la rinnovazione del dibattimento o alla condizione che il giudice, cui demanda ogni valutazione in proposito, la percepisca e la valuti come necessaria, non potendo decidere allo stato degli atti (comma 1), o alla circostanza che la rinnovazione riguardi prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado (comma 2). Cosicché, mentre nelle prime ipotesi (richiesta di riassunzione di prove già acquisite e di assunzione di nuove prove) è necessaria la dimostrazione, in positivo, della necessità del mezzo di prova da assumere, onde superare la presunzione di completezza del compendio probatorio, nell’ipotesi di cui al comma secondo del citato art. 603, al contrario, è richiesta prova, negativa, della manifesta superfluità e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessità della rinnovazione, discendente dalla impossibilità di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado (Sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017, Rv. 269334);
– quanto all’ulteriore profilo di censura, che l’omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione de provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive che devono essere esaminate dal giudice cui vengono rivolte, a meno che contengano la mera ripetizione di difese già svolte o siano inconferenti rispetto all’oggetto del giudizio (Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, COGNOME, Rv. 272739). Cosicché, la parte che deduce la loro omessa valutazione ha l’onere di indicare, pena la genericità del motivo di impugnazione, l’argomento decisivo per la ricostruzione del fatto contenuto nelle memorie e non valutato dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 276511, con gli ampi riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti).
Ciò considerato in linea di principio, in concreto, quanto alle richiest istruttorie, non essendo le prove invocate dalla difesa nuove o sopravvenute, ai fini dell’applicazione del secondo comma dell’art. 603 cod. proc. pen. (o. comunque, nulla viene dedotto in proposito), l’eventuale assunzione in appello rimane soggetta alla disciplina indicata nel primo comma e, quindi alla dimostrazione, in positivo, della necessità del mezzo di prova da assumere. E la Corte territoriale, a fronte delle deduzioni degli imputati, ha valutato, nel meri l’eventuale incidenza del singolo mezzo di prova richiesto sul complessivo materiale probatorio acquisito nel corso dell’istruttoria dibattimentale di prim grado, escludendone la rilevanza. E a fronte di tali analitiche argomentazioni, la difesa si limita a riproporre le medesime argomentazioni offerte a sostegno dell’ammissibilità e rilevanza delle richieste istruttorie: non solo non si confronta con le motivazioni offerte dalla Corte, ma non indica, in concreto, neanche la decisività di ogni singola istanza rigettata, non essendo, all’evidenza, sufficiente sotto tale profilo che il tema oggetto dell’istanza sia coerente con i fatti contestazione.
La discrezionalità dell’apprezzamento, dalla legge rimesso al giudice di merito, determina l’incensurabilità in sede di legittimità della relativa valutazione (cfr. termini, Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, Rv. 274230).
Quanto al secondo profilo, non avendo il ricorrente adempiuto all’onere di indicarne gli argomenti decisivi, la relativa doglianza va dichiarata inammissibile per genericità. D’altronde, anche in questo caso, a prescindere dal rilievo di ordine formale (quanto alla necessaria indicizzazione, onere che trova il suo logico presupposto nella necessità di porre il giudice nella condizione di poter comprendere, prima di giudicare), la Corte territoriale ha rilevato: a) l’assenza d una formale richiesta ai sensi del primo comma dell’art. 603 cod. proc. pen.,
31 GLYPH
quanto alla produzione documentale allegata alla memoria; b) la novità di tale produzione; c) i dubbi in ordine alla loro genuinità, completezza e mancanza di manipolazione. Argomentazioni a fronte delle quali, ancora una volta, la difesa non si confronta, limitandosi a prospettare un generico obbligo di valutazione della memoria, senza considerare, da un canto, il parallelo onere incombente sulla parte (porre il giudice nella possibilità di comprendere le censure sollevate o le deduzioni svolte), dall’altro gli oneri di allegazione imposti alla parte che deduca l’omess valutazione della memoria.
6.2. Il quinto e il sesto motivo, in ultimo, deducono alcuni errori trascrizione contenuti della perizia fonica del dott. COGNOME, l’omessa valutazione ordine alle argomentazioni offerte attraverso la produzione della consulenza di parte redatta dal dott. COGNOME e specifiche doglianze volte a spiegare i rapporti con i coimputati (diversamente valorizzati dalla Corte), rispetto alle quali, in ipot difensiva, la Corte avrebbe omesso qualsivoglia considerazione, limitandosi a riproporre, pedissequamente, le motivazioni offerte in primo grado.
Le censure sono inammissibili sotto due distinti profili.
Ove il ricorrente avesse inteso sottoporre a questa Corte di legittimità, puramente e semplicemente, una diversa trascrizione (o interpretazione) delle parole dei colloquianti, quasi che questo Collegio dovesse “scegliere” tra le due versioni prospettate, è sufficiente ribadire quanto in precedenza osservato, ossia che l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito, il cui giudizio non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti dell manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337) o nell’eventuale alterazione del relativo contenuto, ma solo in presenza di un oggettivo e determinante travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risult decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Rv. 272558, in motivazione). Circostanze neanche allegate e, comunque, non provate.
Ove il proposito del ricorrente sia quello di evidenziare meri errori d trascrizioni, è sufficiente ribadire quanto evidenziato in precedenza: le censure, per come esplicitamente chiarito dalla Corte territoriale, sono riferit esclusivamente alle intercettazioni n. 5016 e n. 23708, per le due frasi indicate, afferenti a circostanze irrilevanti ai fini della decisione, e, quindi, in quanto inammissibili.
6.3. Il quarto ed il settimo motivo attengono al capo sub 1) e, particolare, alla ritenuta partecipazione al sodalizio mafioso.
Le censure (delle quali si è dato conto analiticamente in precedenza) sono tutte inammissibili.
La Corte ha desunto la partecipazione del COGNOME alla luce di plurimi elementi logici e fattuali, tutti dotati di autonoma forza inferenziale. In particolare:
le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e, in particolare le propalazi di COGNOME;
i numerosi incontri tra il COGNOME e gli altri imputati (desun documentalrnente, dagli o.c.p. e dai servizi di osservazione svolti attraverso la telecamera installata nel piazzale delle due società;
i rapporti personali tra gli imputati, in relazione ai quali, co correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, va ribadito come l’affectio si risolve solo in una precisa condotta coerente con i canoni propri del sodalizio mafioso, improntati al necessario “rispetto” per la gerarchia interna. In quest termini: la vicenda relativa alle “bonifiche” e la vicinanza con NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME, NOME e NOME COGNOME;
l’insanabile contrasto tra quanto dichiarato in dibattimento e quanto riferito, in modo anche circostanziato, nella fase delle indagini, illogicament giustificato in ragione di asserite precarie condizioni psicologiche e del fin specifico di conseguire la libertà;
la condotta contestata al capo 12) (tentata estorsione in concorso con COGNOME) e l’oggettiva valenza “mafiosa” della condotta posta in essere;
alcune vicende le quali, pur prive di valenza penale, danno conto della sua piena adesione alla ‘ndrangheta. In particolare:
la lite “condominiale” intervenuta tra il ricorrente e NOME COGNOME in cui lo “sgarbo” subito dal primo aveva fondato la richiesta di intervento del “capo” della ‘ndrina (NOME COGNOME, sotto il controllo del “capo” in Calabria (NOME COGNOME);
l’usura commessa in danno di NOME COGNOME che, per quanto perpetrata da NOME COGNOME, dà conto dell’intraneità del COGNOME rispetto alle dinamiche del sodalizio. Il COGNOME aveva, infatti, presentato il COGNOME ai COGNOME e questi ultim nonostante la dichiarata amicizia intercorrente tra il COGNOME e lo stesso COGNOME, ne avevano in sostanza “approfittato” prestando soldi a usura a quest’ultimo, che, consapevole del fatto che si era contrapposto ai COGNOME e che questi ultimi potevano dolersi in Calabria, affermava che il suo comportamento apparentemente “scorretto” – perché contro l’agire dei sodali Greco – fosse “dovuto” alla “scorrettezza” di questi nei confronti di una persona – il COGNOME – che era stat loro da lui presentata;
la vicenda “Riva”, gestita dal COGNOME non in proprio, ma nell’interesse del sodalizio e con l’evidente cointeressenza di tutti gli altri sodali;
– la vicenda “RAGIONE_SOCIALE“, anch’essa significativa dell’attivazion imprenditoriale congiunta, realizzata attraverso il ricorso alla protezione all’autorevolezza di NOME COGNOME per gestire le richieste provenienti dalla famiglia mafiosa dei COGNOME. Vicenda in relazione alla quale la Corte ha dato anche atto: a) dell’assoluta irrilevanza dell’invocata testimonianza del commercialista (COGNOME), che avrebbe aiutato il COGNOME a redigere la domanda da inviare al Ministero per il finanziamento necessario all’acquisto del villaggio turisti (afferente a irrilevanti questioni tecniche); b) dell’incoerenza dell’assunto difensi secondo cui sarebbe illogico che la ‘ndrangheta, trovandosi in Calabria, appaltasse i lavori a ditte “esterne”, atteso che, in realtà, nessun lavoro era mai sta appaltato.
Ebbene, sul già evidenziato presupposto per cui la condotta di partecipazione si concretizza nella ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio, per perseguimento dei comuni fini criminosi, anche in questo caso gli elementi probatori valutati dalla Corte territoriale appaiono tutti ampiamente sufficienti pe dedurre la partecipazione del COGNOME al sodalizio; laddove le censure sollevate dal ricorrente non solo non si confrontano con le tali analitiche argomentazioni, ma si limitano a prospettare una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale ed utilizzati dalla Corte territori fondamento della ritenuta partecipazione, dimenticando i limiti connessi al sindacato di legittimità riservato a questa Corte e il carattere necessariamente unitario e globale della valutazione sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice.
Quanto, in ultimo alla censura afferente alla sussistenza dell’aggravante, comune anche ad altri ricorrenti, si rinvia alle argomentazioni già offerte i precedenza.
6.4. L’ottavo motivo attiene al capo 12) e deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso di confrontarsi con la puntuale ricostruzione dei fatti fornita dalla difesa quanto, in particolare, alla devoluta inattendibilità del COGNOME, al (rite travisamento delle relative dichiarazioni (alle quali la Corte avrebbe attribuito u significato radicalmente diverso da quello emergente dall’esplicita formulazione delle frasi) e alla invocata derubricazione del reato contestato in quello di cu all’art. 393 cod. pen. (in ragione della ragionevole convinzione del Donato di esercitare un suo diritto).
Il motivo è indeducibile.
Quanto al primo profilo, va premesso che la Corte territoriale, a fronte delle specifiche censure sollevate dalla difesa (ricollegate all’incongruità della condott assunta dal COGNOME che, per l’acquisto dell’immobile, si era rivolto a soggett diverso dal proprietario, pagando, peraltro, i lavori alla C.MRAGIONE_SOCIALE) h
evidenziato, da un canto, come non si potesse seriamente revocare in dubbio che il COGNOME fosse stato effettivamente truffato dall’COGNOME (condannato per t specifico episodio); dall’altro, come non vi fossero elementi sufficienti per ritener come insinuato dal difensore, che il COGNOME fosse “complice” di COGNOME per “truffar NOME COGNOME, sia perché sarebbe falsa l’affermazione del “tempo” trascorso dalla convocazione dal notaio per il rogito – settembre 2010 (in cui COGNOME aveva appreso che COGNOME non era proprietario dell’immobile) – alla denuncia per truffa (avvenuta il 7 ottobre 2010), sia perché agli atti non si riviene alcun elemento idoneo a ritenere non solo una pregressa conoscenza tra COGNOME e COGNOME, tanto meno una “macchinazione” tra i due posta in essere in danni del COGNOME, sia, ancora, perché la vendita della villetta da COGNOME al COGNOME risaliva al maggio de 2009. È pur vero che la deposizione di COGNOME, osserva correttamente la Corte territoriale, appare in alcuni tratti dettata da “prudenza” soprattutto verso NOME, ma ciò che rileva (e che colora la sua deposizione) è il suo serio timore nei confronti del NOME, per le plurime minacce subite.
Ciò considerato, ai fini della valutazione delle censure sollevate dal ricorrente, è sufficiente ribadire quanto già osservato in precedenza: la nuova formulazione dell’art. 606 cod. proc. pen., non può condurre ad estendere l’ambito di cognizione della Corte di cassazione ad una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove. Ed è, invece, quanto prospetta il ricorrente: una nuova e differente selezione dei dati ritenuti rilevanti (all’interno del singolo mezzo prova e, complessivamente, alla luce dell’intero materiale probatorio raccolto) e la conseguente diversa ricostruzione del portato semantico e logico delle dichiarazioni rese dal teste, attività riservata al giudice di merito e insindacabil sede di legittimità se sorretta da motivazione logica e coerente con i dati processuali.
Da ciò l’indeducibilità della censura.
Quanto all’ulteriore profilo (afferente alla prospettata riqualificazione dei fa in contestazione), va premesso che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è un reato proprio (potendo essere commesso unicamente dal titolare del preteso diritto, dal soggetto che eserciti legittimamente in sua vece il predett diritto e dal negotiorum gestor) e si distingue dal delitto di estorsione, pur caratterizzato da una materialità non esattamente sovrapponibile, essenzialmente in relazione all’elemento psicologico: nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia.
Elemento psicologico da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027).
Ebbene, la Corte territoriale ha dato atto di come le condotte siano state poste in essere proprio dopo il rigetto, da parte del Tribunale Civile, dell’intentata azio possessoria e del relativo successivo reclamo, con condanna al pagamento anche delle spese di lite. Cosicché non può porsi in dubbio la circostanza relativa al fatt che il NOME NOME non solo fosse privo, in quel momento, di una legittima azionabilità in giudizio della richiesta possessoria, ma anche che di tanto fosse pienamente consapevole. Oggettivo riscontro di ciò è rappresentato proprio dalle pregresse modalità organizzative poste in essere dallo stesso COGNOME che, per riuscire a “espellere” dalla villetta il Serioli, si è rivolto al Lubine, predispon a monte, un fasullo contratto di affitto (“dettato” dal NOME alla segretaria) favore di quest’ultimo.
Ancora una volta il ricorrente non si confronta con tali argomentazioni, riproponendo le medesime argomentazioni offerte dinanzi alla Corte territoriale e limitandosi a prospettare, a fronte di una motivazione logica e coerente, una differente ricostruzione dei fatti e una diversa valutazione del material probatorio; tutte attività riservate al giudice di merito e precluse al giudice legittimità.
6.5. Il nono, in ultimo, attiene alle disposizioni patrimoniali e censura argomentazioni offerte dalla Corte quanto alla ricostruzione del patrimonio del Donato, alla provenienza della relativa provvista, alla compatibilità del valor patrimoniale con i flussi finanziari (provenienti, prevalentemente, dagli istit bancari) e alla ritenuta sproporzione tra il valore patrimoniale e il redd percepito.
Il motivo è infondato.
Va premesso che i presupposti per l’applicazione della confisca (in concreto disposta nei confronti del COGNOME), vanno individuati: a) nella condanna per alcuni reati, tassativamente indicati nella stessa norma che la prevede; b) nel possesso o nella disponibilità di taluni beni, anche per interposta persona; c) nell sproporzione tra i detti beni e reddito dichiarato o i proventi dell’attività economi esercitata; d) nella mancata giustificazione credibile circa la provenienza delle cose da apprendere, rimanendo del tutto irrilevante la derivazione di tali beni dal singolo episodio criminoso.
Per quel che rileva in questa sede, nella valutazione della “sproporzione”, i termini di raffronto dello squilibrio (che deve essere significativo ed incongruo: Corte cost. n. 33 del 7 novembre 2017) devono essere oggetto di un rigoroso accertamento dei rispettivi valori economici, individuati nel reddito dichiarato nelle attività economiche (valutati non al momento della misura, ma al momento
dei singoli acquisti) rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti. Accer la sproporzione, la misura può essere evitata solo ove il condannato giustifichi (fornendo argomentazioni “credibili”) la prova della positiva liceità della lo provenienza, essendo del tutto irrilevante quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna (Sez. U. n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella, in motivazione).
In altri termini, dall’accertata sproporzione tra guadagni e patrimonio scatta una presunzione iuris tantum d’illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall’interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle qua si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (Sez. 4, n. 51331 del 13/09/2018, S., Rv. 274052; Sez. 2, n. 29554 del 17/06/2015, Fedele, Rv. 264147).
Cosicché, la ricostruzione della liceità dell’acquisto non può e non deve fermarsi alla mera provvista immediatamente utilizzata per l’acquisto dei beni, ma, all’evidenza, anche alla fonte della provvista medesima, che deve essere essa stessa legittimamente acquisita. Ed in tali termini deve prospettarsi, per essere “credibile”, la giustificazione da offrire: l’onere di allegazione difensiva in or alla legittima provenienza dei beni non può essere soddisfatto con la mera indicazione dell’esistenza di una provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo invece il condannato indicare gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre anche la liceità di tale provvista. E la valutazio prospettata dal giudice di merito in ordine alla sproporzione tra il valore di acquist dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nucleo familiare presupponendo un necessario apprezzamento di fatto, non è censurabile nel giudizio di legittimità, ove la stessa sia congruamente motivata con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive (Sez. 3, n. 1555 del 21/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282407).
Ciò premesso, con decreti del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino (del 13 giugno 2013 e del 7 luglio 2014) sono stati sottoposti a sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, alcune società, facenti capo al COGNOME, comprensive di tutte le proprietà delle medesime, i rapporti bancari-valutari dello stesso e della moglie, NOME COGNOME In sede di esecuzione della misura cautelare nei suoi confronti, il 10 luglio 2014, è stata, poi, sottoposta a sequestro probatorio tutta la documentazione relativa alla sua posizione patrimoniale e societaria.
La Corte territoriale premette, quale argomento logico rafforzativo, che, secondo le concordi dichiarazioni rese dai collaboratori (COGNOME e COGNOME) tutte le “famiglie” utilizzavano il nord per riciclare i soldi e il COGNOME, in particolar affiliato alla ndrina di San Mauro Marchesato ma cercavano di tenerlo più fuori possibile, perché era ancora valido come imprenditore”. Assunto che colora la gestione, da parte del COGNOME, di una pluralità di società, partecipate, tra gli al anche dai parenti di NOME COGNOME, capo della locale calabrese.
Sulla scorta di tale premessa, la Corte territoriale, ricostruita la relativa st economica del COGNOME, ha dato atto:
delle numerose “anomalie” riscontrate nella contabilità delle varie società (operazioni infragruppo in perdita, finanziamenti da società non operative, pagamenti privi di giustificativo, fatture contabilizzate e mai emesse, fattur emesse e mai pagate anche per importi rilevanti, acquisto di beni non pertinenti all’oggetto sociale, operazioni contabili fittizie, verbali di assemblee societarie dubbia veridicità, generale sottostima dei costi oltre a una generale approssimazione contabile, gestione poco chiara dei dipendenti che lavoravano per l’una o l’altra società);
del radicale cambiamento avvenuto nel 2004, quando il ricorrente si trovò ad avere la disponibilità di un’ingente quantità di denaro, con risorse inizia provenienti da persone fisiche, per importi del tutto incongrui rispetto al condizioni economiche dell’epoca;
della connessa “sproporzione reddituale”, quanto, in particolare, all’emersione di un fondo obbligazionario di investimento per 860.000 euro della RAGIONE_SOCIALE;
della circostanza che l’attività imprenditoriale svolta era condotta nell’interesse anche di terzi (emersa da una serie di conversazioni, dai bonifici indicati dal mar.NOME COGNOME, dagli aiuti ricevuti da Audia in momenti di difficolt economica e, in ultimo, dalla vicenda “RAGIONE_SOCIALE“, iniziativa imprenditoriale decisa collettivamente e dai vertici dell’associazione);
della sostanziale inutilità della consulenza della dott.ssa COGNOME versata i atti dalla difesa, che, limitandosi alla verifica solo formale di regolarità contab non riesce a giustificare né le rilevate anomalie, né l’incoerenza “sistemica” tra l descrizioni che si ritrovano nelle causali bancarie e le descrizioni che si trovano i contabilità, né le anomalie della contabilità delle rimanenze di magazzino (che hanno impedito la precisa ricostruzione del valore delle rimanenze finali), né l’esistenza di vorticosi flussi finanziari tra le varie società del gruppo, né, in u (e ciò è, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, il “fulcro del questione”) “l’origine” del finanziamento che ha consentito il compimento delle
prime operazioni immobiliari, svoltesi pacificamente senza il ricorso al sistema bancario.
Dirimente, in ultimo, ai fini della sussistenza dei presupposti fondanti l misura ablativa, è il fortissimo incremento delle somme erogate dai soci nelle casse della RAGIONE_SOCIALE, per un importo di euro 1.083.646, gran parte del quale nel solo esercizio 2004. Un dato del tutto incoerente con i redditi dichiarati dal NOME, dalla moglie e degli altri soci (accertati non solo nell’anno riferimento, bensì retrodatati agli ultimi anni ’90 e sino al 2012). Sproporzione che non risulta giustificata neanche dalla prospettazione offerta dalla difesa (quanto al fatto che “sarebbero stati apportati in azienda i rimborsi di finanziamenti soci ch riceve dalla Nemesia per un ammontare di euro 760.000,00”, prospettazione che non dà conto dell’origine di tale ricchezza e della sua sproporzione con il reddito dell’imputato e dei suoi congiunti.
A fronte di tale analitica motivazione, la difesa oppone differenti criteri valutazione, ma dimentica che la previsione normativa non individua parametri unitari del giudizio di sproporzione, limitandosi a indicare il presuppost dell’ablazione, ossia che il condannato non possa giustificare la provenienza di determinati beni, di cui egli risulta essere titolare a qualsiasi titolo, in sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica.
Ebbene, per come si è detto, la valutazione sulla sproporzione è riservata al giudice di merito e, ove la stessa sia congruamente motivata con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive, come appunto avvenuto nel caso di specie, non risulta censurabile in sede di legittimità.
Da ciò l’indeducibilità delle censure difensive.
7. I ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME.
7.1. La prima questione da affrontare, seguendo un ordine logico, è di natura processuale e attiene alla individuazione degli oneri istruttori motivazionali incombenti sui giudice dell’impugnazione che intenda riformare, in senso peggiorativo, una precedente sentenza assolutoria pronunciata in primo grado (primo e secondo motivo del ricorso proposto dall’avv. COGNOME e terzo motivo del ricorso proposto dall’avv. COGNOME). Oneri motivazionali e istruttor conseguenti, in generale, alla “ontologica contraddittorietà della decisione sulla colpevolezza dell’imputato, derivante da due sentenze dal contenuto antitetico, pur essendo entrambe fondate sulle medesime prove” (Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112).
Va premesso, per quanto rileva in questa sede, che si è di fronte ad una sentenza di appello che – sulla base dello stesso materiale probatorio valutato dal
giudice di primo grado ed in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero – ha riformato l’originaria assoluzione, giungendo ad una simmetrica pronuncia di condanna.
In questi casi, l’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., impone al giudice, ferme le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3, di assumere direttamente, in ossequio ai canoni dell’immediatezza e dell’oralità, le prove dichiarative già assunte nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado (o all’esito dell’integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato).
Tale onere, tuttavia, non solo non è “generale e incondizionato” (concentrandosi sulla sola fonte la cui dichiarazione sia oggetto di una specifica censura da parte del pubblico ministero, ritenuta dal giudice d’appello “decisiva” ai fini dell’accertamento della responsabilità), ma è imposto solo ove la sentenza assolutoria sia stata riformata alla luce di un diverso apprezzamento della attendibilità di una prova dichiarativa decisiva (cfr. Sez. U, n. 14800 de 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272431).
Cosicché, ove la diversa decisione sia stata assunta non sulla base di un diverso apprezzamento della prova dichiarativa (decisiva), ma alla luce di un differente apprezzamento del suo significato e, quindi, di una difforme valutazione logica dell’intero compendio probatorio, l’obbligo di rinnovare l’istruttoria, c l’assunzione diretta della fonte, viene meno (Sez. 5, n. 53210 del 19/10/2018, Rv. 275133; Sez. 3, n. 19958 del 21/09/2016, dep. 2017, Rv. 269782).
Ciò considerato, in concreto, va considerato che il ribaltamento della sentenza assolutoria non è stato fondato su di una diversa valutazione delle prove dichiarative, quanto piuttosto su di una differente valutazione dei risultati di pro raggiunti, letti in modo ragionato e critico unitamente a tutte le altre emergenze istruttorie. La Corte territoriale, infatti, non ha affatto posto in discus l’attendibilità delle dichiarazioni rese da COGNOME NOME in quanto h pacificamente ritenuto COGNOME NOME affiliato alla ndrangheta con riferimento alla “casa madre calabrese”; si è limitata a rilevare, da un canto, l’intrinsec contraddizione interna alle argomentazioni offerte in primo grado (che, pur ritenendo il Greco affiliato all’associazione “madre”, ne ha escluso l’intraneità a distaccamento territoriale esistente all’interno dell’abito territoriale dove lo st Greco viveva), dall’altro a considerare irrilevanti i pur significativi contrasti i al gruppo.
In ogni caso, anche a volere considerare che per “motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa”, devono intendersi non solo quelli concernenti la questione dell’attendibilità dei dichiaranti, ma tutti quelli che implicano “diversa interpretazione” delle risultanze delle prove dichiarative (posto che un “fatto” non sempre presenta una consistenza oggettiva di natura astratta e
asettica, ma è talvolta mediato attraverso l’interpretazione che ne dà il dichiarante, con la conseguenza che la risultanza probatoria risente di tale mediazione che incide sull’approccio valutativo del giudice, anch’esso pertanto mediato: Sez. 3, n. 16444 del 04/02/2020, C., Rv. 279425), va rilevato, come circostanza dirimente, che, proprio in applicazione del comma 3 -bis dell’art. 603 cod. proc. pen., la Corte d’appello ha comunque disposto il nuovo esame del collaboratore.
La difesa, infatti, censura solo le modalità attraverso le quali è stato condott il nuovo esame (concretamente svolto attraverso la mera conferma delle dichiarazioni rese in precedenza); modalità che avrebbero, nella sostanza, frustrato la ratio dell’obbligo di rinnovazione, impedendo la piena estrinsecazione del diritto di difesa nell’interesse dell’imputato.
L’assunto è infondato sotto plurimi profili.
In primo luogo, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria, in sé, non esclude piena utilizzabilità delle dichiarazioni, legittimamente assunte nel precedente grado di giudizio (Sez. 5, n. 21710 del 26/03/2009, COGNOME, Rv. 243894, in tema di rinnovazione dell’istruttoria per mutamento del collegio).
In secondo luogo, se la ratio legis della predetta disposizione normativa va rinvenuta nella tutela del contraddittorio, il contraddittorio stesso, essend previsto nell’interesse individuale delle parti, è da queste liberamente disponibil (Corte EDU, 26/04/2007, Vozhigov c. Russia § 57). Cosicché, nel caso in cui le parti, dopo che sia stata disposta la rinnovazione della prova dichiarativa, abbiano concordemente rinunciato all’esame del dichiarante, il giudice non è tenuto a procedere ugualmente all’escussione (Sez. 5, n. 16286 del 28/03/2023, Rv. 284397; Sez. 5, n. 2493 del 16/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278294; Sez. 5, n. 46855 dell’11/11/2022, Cosimo, Rv. 283879).
Ed è quanto avvenuto in concreto, poiché, se è vero che né il Pubblico Ministero, né la Corte hanno inteso rivolgere, al collaboratore, specifiche domande (limitandosi a chiedere se, rispetto alle precedenti dichiarazioni, avesse da aggiungere ulteriori precisazioni, anche in ragione del tempo trascorso), è vero anche che la stessa difesa, pur potendo pacificamente proporre le domande ritenute necessarie, non le ha poste, implicitamente rinunciando all’esame del dichiarante.
Tanto dà conto dell’infondatezza della censura sollevata.
In ultimo, quanto all’omessa rinnovazione dell’esame del teste COGNOME e dello stesso imputato, è sufficiente ribadire quanto rilevato, in generale, precedenza: l’obbligo di rinnovazione non è “generale e incondizionato”, dovendosi concentrare sulla sola fonte la cui dichiarazione sia oggetto di una specifica censura da parte del pubblico ministero e solo ove sia ritenuta dal giudice d’appello
“decisiva” ai fini dell’accertamento della responsabilità. Circostanze in concreto insussistenti (alla luce degli elementi utilizzati dalla Corte a fondamento dell ritenuta responsabilità) e, comunque, neanche allegate dalla difesa.
7.2. Strettamente collegata a quanto finora osservato è il quarto motivo formulato nel ricorso sottoscritto dall’avv. COGNOME afferente, per come si è detto al profilo motivazionale offerto dalla Corte territoriale a sostegno dell’opera ribaltamento e, con esso, della ritenuta intraneità del ricorrente all’interno d sodalizio contestato al capo 1)
La censura è infondata.
L’assunto da cui parte la difesa è corretto in diritto: in tutte le ipote progressione processuale non conforme, anche quando venga meno l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva, resta fermo l’onere di motivazione rafforzata, attraverso l’enucleazione di un percorso argomentativo dissenziente dotato di adeguata e maggiore persuasività che consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056). La decisione di riforma della sentenza di primo grado ha, infatti, sempre l’onere di confutare specificamente le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della sua decisione, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quind rappresentare una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, COGNOME, Rv. 233083; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 254638). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ebbene, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, la Corte d’appello ha puntualmente adempiuto a tale onere motivazionale, evidenziando le contraddizioni interne alla decisione assunta in primo grado e (analiticamente) le ragioni per le quali ha ritenuto di addivenire alla statuizione di condanna.
Il Tribunale, infatti, aveva assolto il ricorrente rilevando: a) l’esistenz contrasti non occasionali e significative ostilità manifestate versd gli a componenti; b) una sua totale riservatezza ed estraneità rispetto alla vita sociale intrattenuta dagli altri sodali (non sarebbe mai stato monitorato in loro compagnia e non sarebbe mai intervenuto in favore di altri); c) il disconoscimento del ruolo
GLYPH
di COGNOME, capo indiscusso (per delega di NOME COGNOME) del distaccamento territoriale piemontese.
Ebbene, a fronte di tali rilievi, la Corte territoriale, ha evidenziato:
la conoscenza diretta riferita da COGNOME della partecipazione dell’imputato alla ndrangheta e della sua collocazione nel gruppo di San Mauro Marchesato
l’irrilevanza della mancata partecipazione agli incontri (circostanza che risulta anche per la posizione di COGNOME che lo stesso Tribunale ha ritenuto partecipe dell’associazione mafiosa), in presenza di altri significativi indic appartenenza;
l’irrilevanza dei pur esistenti contrasti tra i diversi membri del grupp fisiologici all’interno di qualsiasi organizzazione, tanto più alla luce della previs di specifici ruoli finalizzati a conciliare tali contrasti;
la logica contraddizione, interna al complesso argomentativo offerto dal Tribunale, tra la ritenuta appartenenza di NOME COGNOME all’associazione madre di San Mauro Marchesato e la parallela esclusione dello stesso dal distaccamento esistente nell’ambito territoriale dove vive e opera da moltissimi anni, gestendo attività imprenditoriali lecite ed illecite e dove ha rapporti con membri del loca come emerge dalle intercettazioni in atti;
i contenuti delle plurime conversazioni intercettate tra i componenti del gruppo circa la necessità di ricomporre i dissidi interni, essi stessi indicativi d appartenenza di COGNOME Pasquale alla locale e dell’importanza che aveva la riconciliazione per il positivo funzionamento dell’associazione criminosa;
la circostanza per cui gli altri componenti del gruppo, consapevoli dell’attivit usuraria svolta dal Greco, non solo inviavano a quest’ultimo potenziali “clienti” (come nella vicenda COGNOME, che fu inviato al Greco da Sisca), ma si rivolgevano essi stessi, direttamente, per ottenere prestiti;
il collegamento economico tra NOME COGNOME e lo stesso COGNOME dimostrato dal trasferimento di fondi (privo di alcuna specifica giustificazione) effettuato conto personale del primo in favore di quello intestato al secondo;
l’intervento dell’imputato nei confronti di NOME COGNOME quale evidente manifestazione di utilizzo del metodo intimidatorio da parte della ‘ndrina di San Mauro Marchesato a Torino;
lo strettissimo rapporto tra NOME e NOME COGNOME (detto NOME), la cui responsabilità per il reato associativo di cui al capo 1) è stata accertata co sentenza passata in giudicato e con il quale è evidente il rapporto gerarchico;
la sua richiesta avanzata ad alcuni sodali per ottenere documenti necessari (certificati di carichi pendenti) che gli sarebbero stati utili avanti al Tribuna sorveglianza di Catanzaro;
la visita effettuata da NOME COGNOME il 3 luglio 2012, quando appena giunto a Torino con NOME COGNOME si recò a ispezionare le attività degli associati;
il regalo (circa 15 kg di carne) offerto alla moglie di COGNOME altro associat in quel periodo detenuto.
Ebbene, all’evidenza, il percorso argomentativo adottato dalla Corte d’appello non solo ha confutato specificamente le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della sua decisione, ma ha anche indicato compiutamente le ragioni delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati. Da ciò l’infondatezza della censura.
Quanto alla sussistenza della condotta partecipativa, richiamato quanto già in precedenza osservato (quanto al contenuto specifico dì tale condotta), anche in questo caso le censure sollevate dal ricorrente (ed analiticamente indicate in precedenza) non solo non si confrontano con le tali analitiche argomentazioni, ma si limitano a prospettare una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale, dimenticando i limiti connessi al sindaca di legittimità riservato a questa Corte e il carattere necessariamente unitario e globale della valutazione sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice. Tanto più che, per come si è osservato, il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni dei suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, in ciò rimanendo implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
7.3. Il terzo motivo proposto dall’avv. COGNOME e il settimo motivo dell’avv. COGNOME eccepiscono, con riferimento al reato contestato al capo 10) l’intervenuta prescrizione.
L’assunto è manifestamente infondato.
Il reato risulta commesso dal 2009 al luglio 2011, per cui, in applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 157, 159 e 161 e alla luce della pena edittale prevista per il reato e della contestata (e ritenuta) recidiva reiterata specific termine di prescrizione (decorrente dal primo luglio 2011, data di cessazione della condotta) deve individuarsi nel primo maggio 2025. In ciò la manifesta infondatezza della censura.
Né, in astratto, rileverebbe l’ipotizzata subvalenza della recidiva (oggetto del quarto motivo di censura sollevato, nell’interesse del ricorrente, dall’avv COGNOME), atteso che l’eventuale subvalenza della circostanza, nel giudizio di
,
. GLYPH
bilanciamento, non incide sul calcolo del tempo necessario alla prescrizione del reato contestato, atteso che l’art. 157, comma 3, cod. pen. esclude espressamente che il giudizio di cui all’art. 69 cod. pen. abbia incidenza sulla determinazione della pena massima del reato (Sez. 6, n. 50995 del 09/07/2019, Rv. 278058).
7.4. Il quarto motivo proposto dall’avv. COGNOME in ultimo, attiene al trattamento sanzionatorio e censura la ritenuta impossibilità di ritenere prevalenti le pur riconosciute attenuanti generiche alla luce dell’esplicito disposto di cui al quarto comma dell’art. 69 del codice penale; profilo in relazione alla quale la difesa solleva questione di legittimità costituzionale.
La censura è indeducibile e la questione sollevata, pertanto, irrilevante.
Va premesso che il quarto comma dell’art. 69 cod. pen. prevede, per quel che rileva in questa sede, un limite inderogabile alla generale disciplina dettata, nei commi precedenti, per il giudizio di bilanciamento, rappresentato dall’esplicito divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla recidiva descritt nell’art. 99, comma 4, del codice penale. Per cui, in linea di principio, la decision assunta dalla Corte d’appello (che, dando atto di tale esplicito divieto, ha escluso la possibilità di modificare in melius il bilanciamento già prospettato, in primo grado, in termini di equivalenza) è corretta.
La difesa, tuttavia, per come si è detto, solleva questione di legittimità costituzionale proprio in relazione alla predetta disposizione, invocando, all’esito, un giudizio di bilanciamento più favorevole.
La censura è indeducibile.
Il divieto di prevalenza delle attenuanti sull’aggravante della recidiva reiterata è già stato più volte dichiarato costituzionalmente illegittimo con riferimento a specifiche circostanze diminuenti e a singoli reati (sentenze nn. 105 e 106/2014, 74/2016, 205/2017, 73/2020, 55 e 143/2021, 94/2023).
Le direttrici sulla base delle quali sono state, di volta in volta, motivate pronunce di illegittimità costituzionale parziale dell’art. 69 co. 4 c.p. (per co esplicitamente indicate nella sentenza n. 94 del 2023) sono sostanzialmente tre: a) evitare l’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nell strutturazione della responsabilità penale, nella parte in cui l’applicazione del detto divieto condurrebbe ad applicare pene identiche per violazioni di rilievo penale marcatamente diverso; b) bilanciare la particolare ampiezza della fattispecie del reato non circostanziato, ove questo accomuna condotte diverse che necessitano invece di essere differenziate nella determinazione del trattamento sanzionatorio; c) tener conto della ridotta rimproverabilità soggettiva dell’autore. Esigenze alle quali si aggiunge una quarta, specifica per l’attenuante della collaborazione, volta ad incentivare il ravvedimento post-delittuoso del reo.
Ebbene, la censura è generica, non solo in quanto non esplicita gli elementi da valorizzare all’interno del bilanciamento e da ritenere, in ipotesi, prevalen rispetto alle connotazioni soggettive tipiche della recidiva, ma anche perché non indica, in concreto e in relazione alle singole diverse rationes in astratto individuat dalla Corte costituzionale, in quali termini si dovrebbe prospettare un’eventuale applicazione di pene identiche per violazioni di rilievo penale marcatamente diverso (stante il riconoscimento delle attenuanti generiche in termini di equivalenza e comportando l’eventuale riconoscimento in termini di prevalenza un ordinaria diminuzione di un terzo della pera irrogata) o l’eventuale specificità dell condotta all’interno di un range editale particolarmente ampio (in concreto comunque insussistente) o, ancora, le componenti oggettive del fatto, rilevanti nel giudizio di bilanciamento, da ritenere prevalenti rispetto ai valorizzati element soggettivi della recidiva.
Gli evidenziati profili di genericità rendono la censura inammissibile e, quindi, la questione di legittimità costituzionale irrilevante.
8. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
8.1. Prescindendo dalle questioni comuni anche ad altri ricorrenti (già valutate in precedenza), il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, contesta anche la ritenuta partecipazione al sodalizio mafioso del ricorrente.
Le censure (delle quali si è dato conto analiticamente in precedenza) sono tutte inammissibili.
La Corte ha desunto la partecipazione di NOME COGNOME alla luce di plurimi elementi logici e fattuali, tutti dotati di autonoma forza inferenziale. In particol
il ruolo tenuto nella vicenda di cui al capo 9) (concorso di COGNOME con COGNOME e COGNOME nell’estorsione continuata ai danni di COGNOME Lorenzo);
la condotta tenuta nella vicenda di cui al capo 10 (art. 644 cod. pen., commesso ai danni di COGNOME NOME);
l’intervento di protezione effettuato a favore di NOME e quanto emerso, nella ricostruzione dell’episodio suddetto, circa la richiesta d intercessione, presso il direttore di una concessionaria Mercedes (tale NOME), effettuata da NOME COGNOME a NOME COGNOME, dallo stesso “girata” allo zio NOME COGNOME;
l’intervento, sollecitato da NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME in occasione del tentativo di estorsione che quest’ultimo ebbe a subire;
le informazioni assunte da NOME COGNOME finalizzate a sapere se il suo creditore fosse persona inserita in ambienti della delinquenza organizzata o meno;
il coinvolgimento nella gestione della vicenda avente ad oggetto il “RAGIONE_SOCIALE“;
i legami, anche per rapporti di natura economica, con NOME COGNOME nipote di NOME COGNOME esponente della famiglia COGNOME, legata a NOME COGNOME
l’interessamento personale in favore di detenuti ‘ndranghetisti (in particolare di NOME COGNOME, amico o cugino di NOME COGNOME, zio di NOME COGNOME, detenuto presso il carcere di Cuneo);
le dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME che ha espressamente indicato in NOME COGNOME un affiliato alla ‘ndrangheta, precisando che l’imputato operava a Torino ma anche in Lombardia, insieme ai fratelli NOME e NOME COGNOME suoi parenti, anch’essi affiliati alla ‘ndrina di S.Mauro Marchesato;
l’irrilevanza: a) dei (pacifici) dissidi insorti con i coimputati, circostanza semmai, dimostra come si trattasse di comportamenti che interessavano l’associazione in quanto tale e gli equilibri in seno alla stessa; b) della mancata presenza, da parte di NOME COGNOME, agli incontri che avvenivano da “Spazio” e da “RAGIONE_SOCIALE“; c) della gestione in proprio delle attività commerciali (non solo quella lecita avente ad oggetto la macelleria, ma anche quella illecita, l’attività di usur
Ebbene, anche in questo caso, richiamato quanto già in precedenza osservato (in relazione alla conformazione normativa di tale condotta), le censure sollevate dal ricorrente: a) non si confrontano con le tali analitiche argomentazioni; b) s limitano a prospettare una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale; c) appaiono radicalmente incompatibili con i limiti connessi al sindacato di legittimità riservato a questa Corte, con carattere necessariamente unitario e globale della valutazione sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice, con la non necessarietà di un’analisi di tutte le deduzioni delle parti.
Da ciò l’indeducibilità del motivo in esame.
8.2. Rimane da esaminare il sesto motivo di ricorso, afferente al capo 12).
Il ricorrente, per come si è detto, sostiene che l’esistenza di due distinte condotte, ancorché connesse tra loro, delle quali la prima si sarebbe prescritta.
Anche questo motivo è, in questa sede, indeducibile non solo perché non si confronta con le argomentazioni offerte nella sentenza impugnata, limitandosi a prospettare una diversa valutazione del fatto probatorio, ma anche perché manifestamente infondato.
Il dato fattuale è pacifico: il Vesentini, a fronte di un prestito di 15.000 eu si era impegnato a versare 1050 euro al mese sino alla restituzione del capitale maggiorato degli interessi, versando, complessivamente, a NOME COGNOME, una somma compresa tra i C 25.000 e C 30.000.
Ebbene, a fronte di ciò, il frazionamento dell’operazione prospettato dalla difesa: a) cozza con il dato fattuale rappresentato dall’unicità del prestito; b) è,
fatto, privo di un supporto probatorio; c) rappresenta un’indebita rilettura degl elementi di prova, inammissibile in sede di legittimità.
Da ciò l’inammissibilità della censura.
9. In conclusione, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere accolto, limitatamente alla sussistenza delle aggravanti di cui all’articolo 628 comma 3 nn.
1 e 3 cod. pen., con conseguente annullamento, in relazione a tale punto, della sentenza impugnata e rinvio, per nuovo giudizio sul predetto punto, ad altra
sezione della Corte di appello di Torino; nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
I ricorsi proposti nell’interesse degli altri ricorrenti devono, invece, esse rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME limitatamente alla sussistenza delle aggravanti di cui all’articolo 628 comma 3 nn. 1 e 3 cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Inammissibile il ricorso nel resto.
Rigetta i restanti ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30 gennaio 2024
Il Preside i te
Il CopsjIierf esten re