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Associazione di tipo mafioso: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la misura cautelare in carcere per un’imputata accusata di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso. La sentenza analizza la natura di un sodalizio criminale operante in Lombardia, descritto come una confederazione di diverse organizzazioni mafiose storiche (Cosa Nostra, ‘ndrangheta, camorra). La Corte ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, rigettando il ricorso e sottolineando come anche un contributo di natura amministrativo-contabile possa configurare la partecipazione all’associazione.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: La Cassazione sui nuovi sodalizi confederati

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il complesso tema dell’associazione di tipo mafioso, delineando i contorni di un nuovo modello di criminalità organizzata. Il caso esaminato riguarda una struttura definita “confederativa”, composta da esponenti di diverse mafie storiche, e chiarisce quali elementi siano sufficienti per integrare la partecipazione a tale sodalizio e giustificare l’applicazione di misure cautelari.

I Fatti del Processo

Il procedimento nasce da un’indagine su una vasta e strutturata associazione criminale operante principalmente in Lombardia. Secondo l’accusa, il gruppo era composto da affiliati a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra, i quali avevano creato un “sistema mafioso lombardo” con una struttura orizzontale. Inizialmente, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) aveva escluso la sussistenza di gravi indizi per il reato associativo nei confronti di una delle indagate.

Il Pubblico Ministero ha proposto appello e il Tribunale del riesame, riformando la decisione, ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere. Il Tribunale ha ritenuto provata, a livello di gravità indiziaria, l’esistenza di un’associazione operante dal 2018, dotata di mezzi, cassa comune e capace di esercitare un controllo sul territorio attraverso la forza intimidatrice. La difesa dell’indagata ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando sia la qualificazione del gruppo come associazione mafiosa, sia il suo effettivo coinvolgimento.

La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando l’ordinanza del Tribunale del riesame. I giudici hanno ritenuto la motivazione del provvedimento impugnato logica, completa e coerente, respingendo le censure difensive come tentativi di una nuova valutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.

L’analisi della Corte sull’associazione di tipo mafioso

Il punto centrale della sentenza è la qualificazione del sodalizio. La Cassazione ha validato l’impostazione accusatoria, secondo cui può esistere una nuova e autonoma associazione di tipo mafioso anche quando questa è formata da membri di diverse organizzazioni tradizionali. La “mafiosità” del gruppo non derivava solo dalla provenienza dei suoi membri, ma dalla sua capacità di proiettare all’esterno una forza di intimidazione propria, sfruttando la fama criminale delle organizzazioni di origine per infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, risolvere controversie e commettere reati.

Il sodalizio, pur mantenendo legami con le “case madri”, operava con autonomia, decidendo le strategie in appositi summit e gestendo una cassa comune, dimostrando così una chiara affectio societatis.

La posizione della ricorrente e il contributo al sodalizio

La difesa sosteneva che il coinvolgimento dell’indagata fosse limitato a una relazione sentimentale con uno degli esponenti di vertice. La Cassazione, invece, ha confermato la valutazione del Tribunale del riesame, che ha individuato un contributo concreto e consapevole. Dalle intercettazioni è emerso che l’indagata non solo era a conoscenza delle dinamiche interne del gruppo, ma svolgeva un ruolo attivo e cruciale.

In particolare, sovrintendeva ad attività amministrativo-contabili funzionali alla commissione di reati tributari e di riciclaggio (come la gestione di crediti d’imposta derivanti da bonus edilizi), custodiva un’arma per conto del sodalizio e partecipava alla gestione dei profitti illeciti. Questo contributo, secondo la Corte, è stato determinante per la conservazione e il rafforzamento dell’associazione, integrando pienamente la condotta di partecipazione.

Le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati, applicandoli al contesto di una criminalità organizzata in continua evoluzione. In primo luogo, ha ribadito che per la configurabilità di una nuova associazione di tipo mafioso sono necessari tre elementi: la conquista di una fama e un prestigio criminale autonomi, la capacità di intimidazione effettiva e percepita, e la produzione di un conseguente assoggettamento omertoso nel territorio. Nel caso di specie, la struttura “confederata” era riuscita a creare un proprio “marchio” criminale.

In secondo luogo, ha chiarito che la partecipazione al sodalizio non richiede necessariamente il compimento di atti violenti. È sufficiente assumere un ruolo, anche non di vertice, che fornisca un contributo apprezzabile alla vita e agli scopi dell’associazione. L’attività di gestione contabile di proventi illeciti è stata considerata un apporto essenziale.

Infine, riguardo alle esigenze cautelari, la Cassazione ha ricordato la presunzione legale di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. per i reati di mafia. Tale presunzione può essere superata solo con la prova di un recesso definitivo e irreversibile dal sodalizio, prova che nel caso in esame non è stata fornita. Anzi, elementi recenti dimostravano la persistenza dei legami dell’indagata con il gruppo, rendendo la misura carceraria attuale e necessaria.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per la lotta alla criminalità organizzata. Conferma che le mafie si evolvono, adottando modelli organizzativi complessi e “aziendali” per massimizzare i profitti e infiltrarsi nell’economia legale. La decisione sottolinea che la giustizia deve adattare i propri strumenti interpretativi per riconoscere e contrastare queste nuove forme di sodalizio. Inoltre, ribadisce un principio fondamentale: ogni contributo, anche quello apparentemente “pulito” o tecnico, che aiuta un’associazione mafiosa a raggiungere i suoi scopi, costituisce una piena e consapevole partecipazione al reato.

Può esistere un’associazione di tipo mafioso composta da membri di diverse organizzazioni storiche come Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che può costituirsi un’associazione mafiosa nuova e autonoma, con una propria forza intimidatrice, anche se composta da soggetti appartenenti a diverse organizzazioni criminali tradizionali. Tale struttura viene definita “confederativa”.

Quale tipo di contributo è sufficiente per essere considerati partecipi di un’associazione di tipo mafioso?
Non è necessario compiere direttamente atti violenti. La sentenza chiarisce che anche un contributo di natura amministrativo-contabile, come la gestione di società per riciclare denaro o la predisposizione di false fatture, è sufficiente a integrare la partecipazione se è funzionale al rafforzamento e alla realizzazione degli scopi illeciti dell’associazione.

È possibile superare la presunzione di necessità della custodia in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso?
È estremamente difficile. La Corte ha ribadito che la presunzione legale può essere superata solo con la prova certa ed evidente di un recesso irreversibile dell’indagato dal sodalizio criminale. Il semplice trascorrere del tempo dai fatti contestati non è, da solo, sufficiente a dimostrare la cessazione della pericolosità sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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