Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31538 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31538 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CASERTA il 31/10/1982 NOME nato a NAPOLI il 23/05/1969
avverso l’ordinanza del 28/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Napoli, adito ex art. 309, c.p.p., confermava l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli, in data 13.1.2025, aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME NOME e di NOME NOME, gravemente indiziati dei delitti ex artt. 416 bis, co. 1, 2, 3, 4, 5,; 110, 56, 629, cpv., 416-bis.1, cod. pen., loro ascritti ai capi a); h) I) ed s) dell’imputazione provvisoria.
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiede l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione entrambi gli indagati, con distinti atti di impugnazione
2.1. Il COGNOME e l’COGNOME, in particolare, nel ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME premesso che i motivi di impugnazione riguardano esclusivamente la contestazione del reato associativo, lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Osservano, al riguardo, i ricorrenti che il tribunale del riesame ha reso una motivazione apodittica e congetturale, non considerando una serie di elementi, che contrastano con l’ipotesi accusatoria, puntualmente rappresentati nella memoria depositata in sede di riesame.
Non sono emersi, infatti, contatti diretti o indiretti tra il COGNOME, secondo l’ipotesi accusatoria referente sul territorio dell’associazione camorristica “madre”, nota come “clan COGNOME“, e l’COGNOME, collocato gl vertice del suddetto sodalizio, né viene fatto riferimento al COGNOME nella parte dell’ordinanza cautelare dedicata alla cassa comune della compagine camorristica, al pagamento degli stipendi agli affiliati, alle estorsioni in danno degli imprenditori indicati in una apposita lista. Entrambi gli indagati, inoltre, non risultano coinvolti nelle attività dell’associazione madre relative al traffico di sostanze stupefacenti e alla disponibilità di armi da sparo.
Rilevano, altresì, i ricorrenti come vi sia un evidente contrasto logico nel ritenere il COGNOME e l’COGNOME coinvolti nel tentativo di estorsione di cui al capo I), commesso nel territorio di Frattamaggiore, luogo di
operatività dell’associazione “madre”, in danno di COGNOME NOME, fratello di COGNOME NOME, quest’ultimo, insieme con COGNOME NOME, dedito al compimento di attività estorsive anche nell’interesse del “clan COGNOME“, e la ritenuta appartenenza degli indagati all’associazione criminale di cui si discute, che deve escludersi anche alla luce del risentimento e della disapprovazione manifestati dai fratelli COGNOME e dal COGNOME in una serie di conversazioni oggetto di captazione. Né va taciuto che le affermazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME Pasquale COGNOME COGNOME, sul ruolo svolto dai ricorrenti, poste a base dell’assunto accusatorio, sono in contrasto con quelle rese dal collaboratore di giustizia COGNOME NOMECOGNOME che individua il COGNOME come soggetti autonomi, smentendo l’ipotesi secondo cui il gruppo di COGNOME, dunque il COGNOME e l’COGNOME, costituirebbe un’articolazione locale del “clan COGNOME/COGNOME“.
Infine, osservano i ricorrenti, priva di qualsiasi valenza indiziaria devono ritenersi le dichiarazioni de relato del collaboratore di giustizia COGNOME, essendo prive di riscontri estrinseci.
2.2. Il solo COGNOME nel ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME COGNOME lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione del ricorrente, in qualità di mandante, ai reati di tentata estorsione in concorso aggravata, di cui ai capi I) ed s), commessi in danno di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, e all’associazione a delinquere di stampo camorristico, di cui al capo a) dell’imputazione provvisoria.
Rileva il ricorrente, con particolare riferimento al reato di cui al capo I), che le dichiarazioni rese sul punto dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME non sono intrinsecamente attendibili e sono negativamente riscontrate dal contenuto delle intercettazioni in atti, che hanno formato oggetto di una valutazione inadeguata da parte del tribunale del riesame, apparendo meramente congetturale l’affermazione secondo cui da esse si ricaverebbe che il COGNOME si sia effettivamente lamentato con un esponente apicale dell’associazione camorristica dell’estorsione
perpetrata in danno del fratello da un loro sodale su mandato dell’COGNOME.
Identiche considerazioni valgono per la contestazione di cui al capo s), non potendosi ritenere tale da integrare il requisito dei gravi indizi di colpevolezza il contenuto di una conversazione intercettata, intercorrente tra il COGNOME e un uomo non identificato, che non presenta un significato univoco e non consente di sostenere che le affermazioni del COGNOME fossero effettivamente riferibili al ricorrente, risultando, inoltre, del tutto apodittica la motivazione dell’impugnata ordinanza, con riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante, di cui all’art. 416 bis 1., cod. pen.
Quanto alla contestazione avente a oggetto il reato associativo, il ricorrente denuncia un vero e proprio difetto motivazionale in ordine alla sussistenza di un sodalizio camorristico facente capo al ricorrente, operante in Crispano e l’inserimento di questo presunto “gruppo” nel “clan COGNOME/COGNOME“, quale “costola di tale sodalizio, difettando, in ogni caso, la prova dell’appartenenza del ricorrente a un sodalizio capeggiato dall’COGNOME, per le medesime ragioni illustrate dall’avv. COGNOME.
Con requisitoria scritta del 26.5.2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa NOME COGNOME chiede che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
I ricorsi vanno rigettati, essendo sorretti da motivi in parte infondati, in parte inammissibili.
In via preliminare va ribadito il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. II, 2.2.2017, n. 9212, rv. 269438; Sez. IV, 3.2.2011, n. 14726; Sez. III, 21.10.2010, n. 40873, rv. 248698; Sez. IV, 17.8.1996, n. 2050, rv. 206104; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, rv. 215331; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, rv. 265244).
Pertanto quando, come nel caso, in esame, vengono denunciati vizi del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza, oltre che all’esigenza di completezza espositiva (cfr. Sez. V, 20.10.2011, n. 44139, 0.M.M.).
5.1. Orbene, non appare revocabile in dubbio che il tribunale del riesame di Napoli abbia fatto buon uso di tali principi.
Il giudice dell’impugnazione cautelare, invero, ha ritenuto sussistenti a carico dei ricorrenti i gravi indizi di colpevolezza per i reati oggetto dell’imputazione provvisoria elevata nei loro confronti, sulla base di una meditata e congrua valutazione delle risultanze processuali, compiutamente esposta.
Al riguardo, in considerazione del rilievo attribuito dal tribunale del riesame, al contenuto delle conversazioni oggetto di captazione, vanno ribaditi i principi affermati da tempo dalla giurisprudenza di legittimità,
secondo cui gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato (o l’indagato), costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall’art. 192 comma primo, c.p.p., senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno (cfr. Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260842).
5.2 Ciò posto, il ruolo dell’COGNOME di partecipe all’associazione a delinquere di stampo camorristico di cui si discute, costituente articolazione del sodalizio camorristico noto come “clan COGNOME” (la cui esistenza non è contestata dal ricorrente con specifici argomenti), all’interno del quale l’indagato svolgeva il compito di esecutore delle direttive dei referenti del “clan”, preposto in particolare al compimento di attività estorsive sui territori dei comuni di Frattamaggiore, Frattaminore e zone limitrofe, è stato desunto da una serie di elementi concreti, dotati di oggettivo valore indiziario, sui quali il giudice dell’impugnazione cautelare si è soffermato con motivazione contraddistinta da intrinseca coerenza logica.
L’COGNOME, invero, risulta essere stato tratto in arresto, unitamente al COGNOME COGNOME, il 7.7.2022 per un tentativo di estorsione in danno dell’imprenditore COGNOME NOME, posto in essere con tipiche modalità mafiose, in quanto la richiesta estorsiva, finalizzata a ottenere una percentuale del 3% sul valore dell’appalto conferito all’imprenditore, era stata rivolta a quest’ultimo evocando l’esistenza di un gruppo criminale mafioso egemone sul territorio (i “compagni” con i quali bisognava “mettersi a posto”), di cui occorreva soddisfare le consistenti pretese economiche (corrispondenti a 15.000,00 euro l’anno) con versamenti rateali nei periodi di Pasqua, Agosto e Natale (fatto contestato al NOME NOME al capo s) dell’imputazione provvisoria).
Inoltre, pur in assenza di intercettazioni telefoniche svolte sull’utenza in uso al COGNOME che, giova ricordare, unitamente al COGNOME, è stato riconosciuto in fotografia dal COGNOME come uno degli autori della richiesta estorsiva in suo danno, il tribunale del riesame ha valorizzato il
contenuto di una serie di conversazioni intercettate sull’utenza di COGNOME NOME, esponente di rilievo del sodalizio camorristico di cui si discute, dalle quali emerge con chiarezza, nella congrua valutazione operatane dal giudice dell’impugnazione cautelare, come il NOMECOGNOME fosse uno degli uomini di fiducia, unitamente al COGNOME, di NOME NOME, soprannominato “COGNOME” (soprannome non contestato dal ricorrente), ritenuto il referente del sodalizio camorristico in parola per tutte le attività delittuose da compiere nel territorio del comune di Crispano.
All’COGNOME vengono, altresì, contestate anche le tentate estorsioni in concorso, aggravate ai sensi dell’art. 416 bis. 1 dall’agevolazione mafiosa e dal metodo mafioso, di cui ai capi h) ed I) dell’imputazione provvisoria, commesse in danno degli imprenditori COGNOME Gregorio e COGNOME NOME, in relazione alle quali nessun rilievo critico è stato prospettato dal ricorrente, che ha concentrato le sue doglianze, come si è visto, solo sull’imputazione relativa al reato associativo.
DellCOGNOME riferiscono, infine, anche i collaboratori di giustizia COGNOME Michele, NOME COGNOME e COGNOME NOME, che ne hanno delineato la carriera criminale nel mondo della criminalità organizzata operante nei comuni di Crispano, Frattaminore e Frattamaggiore
La conclusione del tribunale del riesame sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione dell’COGNOME al sodalizio camorristico di cui si discute appare, pertanto, del tutto conforme ai principi da tempo elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, alla luce dei quali si è evidenziato come, ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, l’investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso che emergono emergere anche da significativi “facta concludentia”.
Non è, pertanto, necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale, precisandosi che, qualora manchi la dimostrazione dell’inserimento formale del singolo all’interno della cosca, la prova della partecipazione può essere ricavata anche dal compimento di una o più attività significative nell’interesse dell’associazione criminale (cfr. Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, Rv. 273571, Sez. 2, n. 18559 del 13/03/2019, Rv. 276122).
Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, invero, si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell’organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiché, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l’offesa all’ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. «messa a disposizione», che è di per sé idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialità operative e la capacità di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale (cfr. Sez. 5, n. 27672 del 03/06/2019, Rv. 276897).
Se ciò è vero, è, tuttavia, altrettanto vero che il reato di cui all’art. 416 bis, c.p., pur nella sua peculiarità, resta pur sempre un reato associativo, trovando, pertanto applicazione anche in relazione a tale fattispecie, il tradizionale insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di associazione per delinquere, è consentito al giudice, pur nell’autonomia del delitto-mezzo rispetto ai delitti-fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che, attraverso di essi, si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, Rv. 285126).
In questo senso sono significativi il richiamo effettuato dal tribunale del riesame all’arresto operato nei confronti dell’COGNOME in data 7.7.2022 per il tentativo di estorsione aggravata dalla modalità mafiosa commesso in danno del COGNOME e l’incontestata sussistenza della gravità indiziaria a carico dello stesso COGNOME per le tentate estorsioni aggravate dall’agevolazione mafiosa e dalla modalità mafiosa, di cui ai capi h) ed I) dell’imputazione provvisoria, che dimostrano come l’COGNOME debba considerarsi soggetto messosi completamente a disposizione del sodalizio camorristico più volte indicato, svolgendo in esso un ruolo attivo nel settore delle estorsioni.
A fronte di tale limpido percorso argomentativo i rilievi del ricorrente volti a contestare la sussistenza dei gravi dei gravi indizi di colpevolezza, non solo non colgono nel segno, ma appai/i -2 n larga parte inammissibili, consistendo, in ultima analisi, in una mera rivalutazione del compendio indiziario, non consentita in questa sede posto che, in caso contrario, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Volta a prospettare una diversa lettura degli elementi raccolti nel corso delle indagini è la censura sul significato da attribuire alla conversazione con cui i fratelli COGNOME e COGNOME NOME si lamentano della richiesta estorsiva di cui è stato destinatario COGNOME NOME, che viene articolata nei seguenti termini: “delle due l’una: o i ricorrenti fanno parte dell’associazione COGNOME, ed allora non sono i responsabili della condotta estorsiva, sub capo L, o hanno consumato (come sembra chiaro) tale condotta estorsiva ed allora non sono partecipi dell’associazione RAGIONE_SOCIALE“.
Si tratta di un’alternativa logicamente insostenibile, essendo pacifico che all’interno della medesima compagine associativa possano sorgere contrasti interni tra gli associati per fatti attinenti all’attività ed al
funzionamento dell’organizzazione, senza che ciò metta in discussione la comune appartenenza al sodalizio mafioso (cfr., in questo senso, Sez. 3, n. 25994 del 22/07/2020, Rv. 279825).
Quanto alle censure relative alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, si osserva che le dichiarazioni del COGNOME NOME, per come riportate in ricorso, non riguardano l’COGNOME, mentre del tutto superfluo appare il rilievo relativo alle dichiarazioni del COGNOME NOME, perché, ove anche se ne volesse fare a meno, il grave quadro indiziario manterrebbe la sua solidità in ragione del contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate, dei più volte richiamati episodi estorsivi in cui è stato coinvolto l’COGNOME e delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia diversi dal COGNOME.
Va, infine, rilevato che nel ricorso a firma dell’avv. COGNOME si sottolinea come il giudice dell’impugnazione cautelare non abbia fornito risposta agli specifici rilievi difensivi contenuti nella memoria depositata in sede di riesame.
Tale censura, ove anche fosse fondata, non determinerebbe la nullità dell’ordinanza impugnata, come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Rv. 279578), motivazione che, per le ragioni già esposte, appare congrua e del tutto corretta sotto il profilo del ragionamento logico-giuridico.
5.3. Identiche considerazioni valgono per la posizione del Fortunato NOME.
Anche in questo caso il ruolo del COGNOME di partecipe all’associazione a delinquere di stampo camorristico di cui si discute, con il ruolo di referente del clan COGNOME sliterritorio di Crispano, in epoca antecedente all’aprile del 2022, (clan la GLYPH i esistenza non è contestata dal ricorrente con specifici argomenti) GLYPH è stato desunto da una serie di elementi
concreti, dotati di oggettivo valore indiziario, sui quali il giudice dell’impugnazione cautelare si è soffermato con motivazione contraddistinta da intrinseca coerenza logica.
Si tratta, in particolare, della dimostrata partecipazione del ricorrente alle vicende estorsive contestate nei capi I) ed s) dell’imputazione provvisorie, di cui si è già trattato, commesse in danno di COGNOME NOME e di COGNOME NOME.
Attraverso una puntuale ricostruzione del contenuto delle conversazioni captate il giudice dell’impugnazione cautelare ha evidenziato come in esse fosse costante il riferimento degli intercettati al NOME, indicato con il suo nome di battesimo ovvero con il soprannome con cui era conosciuto (“‘O Mussut”, non contestato dal ricorrente), come il soggetto al quale ricondurre le specifiche pretese estorsive contestate e, più in generale, il controllo delle attività estorsive sul territorio nell’interesse dell’associazione camorristica di riferimento…
Invero è nei suoi confronti che si concentrano le ire dei fratelli COGNOME e del COGNOME per l’affronto subìto dalla richiesta estorsiva avanzata nei confronti di COGNOME NOME; di lui parla COGNOME NOME, esponente di rilievo dell’organizzazione camorristica, nel corso di una conversazione in cui lo indica come “quello che comanda a COGNOME; sempre al COGNOME si riferisce il COGNOME, commentando l’avvenuto arresto del COGNOME e dell’COGNOME per il tentativo di estorsione in danno di COGNOME NOME, spiegando al suo ignoto interlocutore di avere fatto riflettere il Fortunato sull’errore commesso, in quanto sarebbe stato più prudente incaricare dell’estorsione qualcuno proveniente dal paese di origine dell’imprenditore (Quarto) e non di Crispano, perché, in tal caso, il COGNOME non avrebbe sporto denuncia, trattandosi di un “paesano” (cfr., in particolare, pp. 4, 5, 6 7 e 8 dell’impugnata ordinanza).
COGNOME riferiscono, infine, anche i collaboratori di giustizia COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME che ne hanno delineato la carriera criminale nel mondo della criminalità organizzata operante nei comuni di Crispano, Frattaminore e GLYPH Frattamaggiore, GLYPH con GLYPH dichiarazioni GLYPH convergenti
nell’attribuirgli il ruolo di esponente di spicco del clan nel territorio di Crispano.
Valgono per il COGNOME le medesime considerazioni svolte in tema di reato associativo affrontando la posizione dell’COGNOME, sicché può concludersi anche per il COGNOME come quest’ultimo, alla luce degli evidenziati elementi, debba considerarsi soggetto messosi completamente a disposizione del sodalizio camorristico più volte indicato, svolgendo in esso un ruolo attivo nel settore delle estorsioni, in particolare nella zona di Crispano.
A fronte di tale limpido percorso argomentativo i rilievi del ricorrente volti a contestare la sussistenza dei gravi T , indizi di colpevolezza, non solo non colgono nel segno, ma appaicen larga parte inammissibili, consistendo, in ultima analisi, in una mera rivalutazione del compendio indiziario, non consentita in questa sede posto che, in caso contrario, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
Con particolare riferimento alle doglianze articolate dall’avv. COGNOME si rimanda alle considerazioni già esposte affrontando la posizione dell’COGNOME.
Deve solo aggiungersi, con particolare riferimento alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME NOME, che l’affermazione secondo cui “O COGNOME“, unitamente a COGNOME e NOME avevano “una gestione autonoma del potere”, per la sua assoluta genericità non è certo idonea a scalfire il contributo conoscitivo fornito dagli altri elementi di accusa e, in particolare, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Generici e versati in fatto appaiono i rilievi articolati dall’avv. COGNOME che, peraltro, con riferimento all’esistenza del clan COGNOME e delle sue articolazioni non si confronta con l’ampio spazio dedicato al tema nell’ordinanza di custodia cautelare (pp. da 69 a 239), richiamata dal
tribunale del riesame, il quale si sofferma anche sui provvedimenti giudiziari attestanti l’esistenza dell’associazione, allegati agli atti (cfr. p. 9).
Infondato, infine, appare il rilievo sulla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.1, cod. pen., nella sua duplice veste, nelle condotte estorsive di cui ai capi I) ed s), come ritenuto dal tribunale del riesame (cfr. p. 8).
Risulta, infatti, evidente come le condotte estorsive siano state scientemente poste in essere al fine specifico di agevolare l’attività di un’associazione camorristica, della cui esistenza è stata fornita prova (cfr. Sez. 6, n. 11352 del 31/01/2023, Rv. 284471), e, al tempo stesso, siano state tali da incutere nella vittima il timore del coinvolgimento del gruppo criminale e non del singolo agente, sussistendo, solo in tal caso, sia la minaccia, quale elemento costitutivo dell’estorsione, sia l’intimidazione, richiamante il collegamento con il sodalizio mafioso (cfr., da ultima, Sez. 2, n. 15724 del 27/03/2025, Rv. 287947).
6. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1 ter, disp. att., c.p.p.
Così deciso in Roma il 12.6.2025.