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Associazione di tipo mafioso: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi di due indagati contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata. La Corte ha confermato la validità del quadro indiziario, basato su intercettazioni e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, ritenendolo sufficiente a dimostrare una qualificata probabilità di colpevolezza e un ruolo attivo degli indagati all’interno del sodalizio criminale, in particolare nel settore delle estorsioni.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: la Cassazione sui criteri per la custodia cautelare

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema dei requisiti probatori necessari per l’applicazione della custodia cautelare in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso. La decisione chiarisce come la prova della partecipazione a un sodalizio criminale possa essere desunta da un complesso di elementi, anche in assenza di un’investitura formale, e ribadisce i limiti del sindacato di legittimità sulle valutazioni di merito.

I Fatti del Caso

Due individui, gravemente indiziati per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.) e tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, proponevano ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli. Quest’ultimo aveva confermato la misura della custodia in carcere disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari.

La difesa sosteneva l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza. In particolare, gli indagati contestavano il loro inserimento in un noto clan camorristico, asserendo che le prove, principalmente basate su intercettazioni e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, fossero contraddittorie e non dimostrassero un loro stabile inserimento nell’organizzazione. Si lamentava, inoltre, un vizio di motivazione da parte del tribunale, che avrebbe offerto una lettura congetturale degli elementi a carico.

La Decisione della Cassazione e la Prova dell’Associazione di tipo mafioso

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili e infondati, confermando integralmente la decisione del Tribunale del Riesame. I giudici di legittimità hanno innanzitutto ribadito un principio cardine: in sede di ricorso avverso misure cautelari, la Cassazione non può procedere a una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto, ma deve limitarsi a un controllo sulla correttezza giuridica e sulla coerenza logica della motivazione del provvedimento impugnato.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse fatto buon uso di tali principi, fondando la propria decisione su una valutazione meditata e congrua delle risultanze processuali.

Le Motivazioni

La sentenza si sofferma su diversi punti cruciali per definire i contorni della partecipazione a un’associazione di tipo mafioso in fase cautelare.

La Sufficienza degli Indizi

Il quadro indiziario a carico degli indagati è stato ritenuto solido e convergente. Gli elementi chiave includevano:
Intercettazioni Telefoniche: Conversazioni in cui terzi, inclusi esponenti di spicco del clan, facevano riferimento agli indagati come uomini di fiducia e referenti per le attività estorsive in un determinato territorio.
Episodi Estorsivi Concreti: Il coinvolgimento diretto in tentativi di estorsione ai danni di imprenditori, posti in essere con modalità tipicamente mafiose (richieste di ‘pizzo’ corrispondente a una percentuale sui lavori, evocando la presenza di ‘compagni’ da ‘mettere a posto’).
Dichiarazioni dei Collaboratori di Giustizia: Testimonianze di diversi collaboratori che delineavano il ruolo e la carriera criminale degli indagati all’interno della criminalità organizzata locale.

La Corte ha sottolineato che questi elementi, letti in modo unitario e non atomistico, costituiscono gravi indizi di colpevolezza, idonei a giustificare la misura cautelare.

La Prova della Partecipazione al Sodalizio

Un aspetto fondamentale della motivazione riguarda la prova dell’appartenenza al clan. La Cassazione ha ribadito che, per integrare la condotta di partecipazione, non sono indispensabili né un’investitura formale né la commissione diretta di tutti i reati-fine dell’associazione. Ciò che rileva è la stabile ed organica compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo. Questa può essere dedotta dalla commissione di delitti rientranti nel programma comune (come le estorsioni) e dalle loro modalità esecutive, che manifestano in concreto l’operatività del sodalizio.

Irrilevanza dei Contrasti Interni e dell’Autonomia Operativa

La difesa aveva tentato di far leva su conversazioni che mostravano risentimento e disapprovazione da parte di altri membri del clan verso gli indagati. La Corte ha respinto questa argomentazione, affermando che l’esistenza di contrasti interni sul funzionamento dell’organizzazione non mette in discussione la comune appartenenza al sodalizio mafioso. Allo stesso modo, l’affermazione di un collaboratore secondo cui gli indagati avessero una ‘gestione autonoma del potere’ è stata ritenuta troppo generica per scalfire il solido quadro accusatorio.

Conclusioni

La sentenza in esame offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida l’orientamento secondo cui, ai fini delle misure cautelari per associazione di tipo mafioso, è sufficiente una qualificata probabilità di colpevolezza, desumibile da una lettura complessiva e logica di una pluralità di elementi indiziari. In secondo luogo, chiarisce che la partecipazione a un clan può essere dimostrata attraverso ‘fatti concludenti’ (facta concludentia), come l’assunzione di un ruolo attivo e riconosciuto nel compimento di attività illecite strategiche per il gruppo, quale è l’estorsione. Infine, riafferma la natura del giudizio di Cassazione come controllo di legittimità, escludendo una rivalutazione nel merito degli indizi raccolti.

Per applicare la custodia in carcere per associazione di tipo mafioso, è necessaria la prova certa della colpevolezza?
No, per le misure cautelari non è richiesta la prova piena della responsabilità, ma la sussistenza di ‘gravi indizi di colpevolezza’. Si tratta di un giudizio di qualificata probabilità, basato su un’analisi logica e coerente degli elementi disponibili, che deve rendere altamente probabile la commissione del reato da parte dell’indagato.

Come si dimostra la partecipazione di un individuo a un’associazione di tipo mafioso?
La partecipazione può essere provata non solo con un’investitura formale, ma anche attraverso la stabile e organica compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo. Questo può essere desunto dal compimento di reati-fine (come le estorsioni) funzionali agli interessi del clan, dal suo ruolo attivo nel settore operativo del sodalizio e da altri elementi di fatto (‘facta concludentia’) che, letti unitariamente, ne rivelano l’inserimento nel gruppo.

Un conflitto interno o una certa autonomia operativa escludono l’appartenenza a un clan mafioso?
No. La Corte di Cassazione, basandosi su precedenti orientamenti, ha chiarito che l’esistenza di contrasti interni tra associati sul funzionamento o sulle strategie dell’organizzazione non mette in discussione la comune appartenenza al sodalizio mafioso. Tali dinamiche sono considerate normali all’interno di strutture complesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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