Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 308 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 308 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
INDIRIZZO nato a Reggio Calabria il 18/01/1987
avverso l’ordinanza del 28/03/2024 del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi i difensori dell’indagato, avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con separati ricorsi dei suoi due difensori, NOME COGNOME COGNOME impugna l’ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria in epigrafe indicata, che ne ha confermato la custodia cautelare in carcere per i delitti di partecipazione ad associazione di tipo mafioso con ruolo dirigenziale, nonché di porto e detenzione di armi comuni da sparo e di armi clandestine, di ricettazione
di queste ultime, di danneggiamento seguito da incendio, di estorsione e di intestazione fittizia di beni, con il concorso di varie circostanze aggravanti, tra le quali quelle dell’impiego del metodo mafioso e della finalità agevolativa della cosca di appartenenza (capi 1, 3, 4, 5, 6, 7, 22, 24, 27, 28 e 29 dell’incolpazione provvisoria).
In cinque motivi, il ricorso dell’avv. COGNOME denuncia violazione di legge e vizi della motivazione, con riferimento al giudizio di gravità indiziaria.
2.1. Il primo riguarda il ruolo direttivo attribuito all’indagato all’inte dell’associazione, del quale mancherebbero tutti i presupposti, ovvero: l’investitura formale da parte dei predecessori, il riconoscimento da parte dei sodali e delle strutture sovraordinate dell’organizzazione, l’esercizio concreto delle relative funzioni organizzative e direttive.
La difesa ripercorre in dettaglio le circostanze valorizzate a tal fine dall’ordinanza, contestandone la valenza dimostrativa in tal senso assegnata loro dal Tribunale, ed evidenziando come le stesse siano espressive, piuttosto, del disconoscimento di un tale ruolo del ricorrente da parte dei componenti del suo ipotetico gruppo, dell’assenza di ogni sua autorità mafiosa e dell’aspecificità, a tal fine, di alcune sue condotte, quali la formulazione delle richieste estorsive ai commercianti e l’assistenza economica ai familiari dei detenuti, che sono tipiche anche dei semplici partecipi a tal specie di sodalizi.
2.2. Il secondo motivo attiene alla condotta semplicemente partecipativa, sostenendosi che l’ordinanza abbia dato rilievo a vicende espressive soltanto della personale indole delinquenziale del ricorrente. Quelli che vengono indicati come “reati-fine” del sodalizio, in realtà, costituirebbero semplici iniziative dei singo concorrenti, funzionali al perseguimento di loro interessi personali ed estranee alla condivisione strategico-operativa che deve caratterizzare le attività criminali di un sodalizio mafioso.
2.3. Il terzo motivo si sofferma sulle intestazioni fittizie di aziende compiute dall’indagato, in particolare su quella di cui al capo d’incolpazione 29), riguardante la società “RAGIONE_SOCIALE ed il trasferimento di essa a suo fratello NOME
Sostiene il ricorso che mancherebbe il relativo dolo specifico e che l’ordinanza abbia eluso la motivazione sulle causali alternative prospettate dalla difesa, ovvero la necessità che qualcuno della famiglia potesse proseguire l’attività qualora l’indagato fosse stato tratto in arresto; oppure quella di evitare possibili conflit d’interesse con la società “RAGIONE_SOCIALE“, di cui egli era dipendente, operando entrambe le aziende nel settore dell’autotrasporto. Si evidenzia, a sostegno, come il trasferimento delle quote sociali al fratello sia avvenuto oltre un anno e mezzo dopo che il Corso, essendosi reso conto della possibilità di provvedimenti giudiziari
a suo carico, aveva intestato a prestanome altre due sue aziende (la RAGIONE_SOCIALE e la “RAGIONE_SOCIALE, cui si riferiscono i capi 27 e 28 dell’incolpazione).
2.4. La successiva doglianza ha ad oggetto i reati in materia di armi.
Segnatamente, riguardo a quello di cui al capo 5), relativo alle armi rinvenute presso l’abitazione di NOME COGNOME, si contesta l’attribuzione all’indagato non solo della detenzione ma anche del porto di esse, citandosi alcune conversazioni intercettate, dalle quali risulterebbe che l’iniziativa di spostarle dal precedente nascondiglio e di portarsele a casa fosse stata del solo COGNOME.
Per quello di cui al capo 6), invece, relativo a due fucili da caccia con matricola abrasa, si lamenta la totale mancanza di motivazione.
2.5. Da ultimo si contesta la valutazione di gravità indiziaria con riferimento all’estorsione di cui al capo d’incolpazione 24) (e non 22, come erroneamente indicato in ricorso), consistita – secondo l’accusa – nell’aver imposto al panettiere NOME COGNOME di rifornirsi di farina per la sua attività da tale NOME COGNOME.
Deduce la difesa che l’iniziale rifiuto del COGNOME era stato sostanzialmente causato da un’incomprensione con COGNOME e che il primo si era quindi diversamente determinato non per effetto di una minaccia da parte del Corso, ma solo all’esito di un a composizione pacifica del dissidio.
Il ricorso dell’avv. COGNOME consta di sei motivi.
3.1. Con il primo, egli si duole dell’indeterminatezza dell’incolpazione relativa al reato associativo e della conseguente violazione del diritto di difesa. Ciò in quanto l’ordinanza non indicherebbe la cosca cui l’indagato ed i suoi asseriti sodali sarebbero affiliati, affermando semplicemente che essa avrebbe rappresentato un’articolazione della “ndrangheta”, quando, invece, essendo ormai giudizialmente accertato che quest’ultima sia una federazione tra cosche, il Tribunale avrebbe dovuto specificare quale fosse detta cosca preesistente e se essa fosse tra quella federate, nonché dar conto della “affectio societatis” di costoro alla stessa. Invece, limitandosi a rilevare una generica adesione degli indagati alla macro-organizzazione mafiosa, quei giudici avrebbero costretto il ricorrente ad una difesa generica e dall’oggetto indefinito.
3.2. Il secondo motivo censura la ritenuta gravità indiziaria per il delitto associativo.
Si afferma, in proposito, che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME e le conversazioni intercettate non attestino affatto il concorso del ricorrente nei delitti in materia di armi, invece valorizzato dal Tribunale per dedurne la partecipazione al sodalizio, ma dimostrino, al più, la sua consapevolezza delle condotte dell’Utano: ciò che, d’altronde, si evincerebbe
dall’esclusione della gravità indiziaria, già da parte del Giudice per le indagini preliminari, per ulteriori condotte analoghe ipotizzate dall’accusa, nonché dall’affermazione di COGNOME secondo cui COGNOME non sarebbe un personaggio conosciuto nel quartiere cittadino di Gallico, dove la cosca, in tesi, opererebbe.
Si contesta, poi, l’attribuzione del ruolo dirigenziale, rammentandosi le critiche e le insubordinazioni dei presunti sodali COGNOME e COGNOME.
3.3. Il terzo motivo si sofferma ancora sul reato associativo, deducendo:
l’irrilevanza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che si limiti ad indicare un dato soggetto come affiliato all’associazione, alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza sul punto e della necessità di un contributo attivo e dinamico del singolo aderente al perseguimento degli interessi dell’ente collettivo;
l’inconsistenza, ed anzi la contraddittorietà, del riferimento al radicamento della “‘ndrangheta” nel territorio di Gallico, compiuto dal Tribunale attraverso il richiamo di numerosi giudicati precedenti, ai quali, però, l’indagato è rimasto del tutto estraneo, non potendo perciò gli stessi risultare utili alla dimostrazione della sua appartenenza a quell’organizzazione mafiosa; il Tribunale avrebbe semmai dovuto dimostrare l’esistenza di una nuova cosca aderente alla federazione, ma ciò non è avvenuto;
il travisamento delle dichiarazioni del collaboratore COGNOME che ha mostrato di non conoscere l’indagato, riferendosi a tal “NOME COGNOME” (e correggendosi solo dopo il suggerimento di chi lo interrogava), e che comunque non ha indicato alcuna condotta di costui espressiva di un fattivo contributo alla vita ed all’attività dell’associazione, spesso, anzi, limitandosi a deduzioni personali non sorrette da fatti specifici;
il malgoverno della c.d. “convergenza del molteplice”, non ravvisandosi la concordia delle diverse risultanze probatorie invece ritenuta dal Tribunale, in quanto: le dichiarazioni dei collaboranti COGNOME e COGNOME delineano il Corso come figura di secondo piano, dedita ad attività di manovalanza criminale, e non come un “capo”; le precedenti sentenze definitive non lo lambiscono neppure, così come non toccano gli ipotetici componenti del suo gruppo; egli – secondo quei giudici – sarebbe assurto al ruolo di reggente per volere di tale NOME COGNOME ma il collaboratore COGNOME, cognato di COGNOME, ha accusato l’indagato di un danneggiamento nei suoi confronti; si legge nell’ordinanza che Corso avrebbe assunto la reggenza del clan dopo l’arresto di tale COGNOME e che quel suo ruolo sarebbe dimostrato dal suo coinvolgimento nei delitti in materia di armi, i quali, però, sono stati commessi tutti da altri e sono avvenuti un anno prima dell’arresto di COGNOME;
e) l’illogica configurazione del ruolo dirigenziale, non potendo dirsi raggiunta la dimostrazione dell’esistenza di un gruppo strutturato, né risultando tipicamente esclusivo di una tale posizione qualificata, ed anzi nemmeno di una partecipazione tout court, il concorso in condotte estorsive; l’ordinanza, in sintesi, non avrebbe individuato specifiche condotte direttive e funzionali al raggiungimento degli scopi dell’associazione, ma avrebbe valorizzato soltanto aspetti soggettivi ed organizzativi del fenomeno mafioso, erroneamente ritenendo espressivi di un siffatto vincolo comportamenti, frequentazioni, incontri o legami inevitabili in contesti territoriali ristretti e ad alta densità criminale, quando invece avrebbe dovuto dar conto della genesi e della operatività di una nuova organizzazione, della sua capacità d’intimidazione diffusa e dalla condivisione di un diffuso programma criminale tra gli adepti;
f) la mancata dimostrazione del dolo di partecipazione: nessuna delle condotte addebitate al ricorrente attesterebbe che egli abbia agito per agevolare l’associazione e non, invece, soltanto nel proprio interesse personale; tanto dicasi, in particolare, per l’intestazione fittizia al fratello di cui al capo dell’incolpazione, che sarebbe stata determinata, in realtà, dalla relazione parentale e dalla preoccupazione per i propri fabbisogni economici futuri e che, solo con un inaccettabile automatismo, e dunque con un salto logico, è stata invece ritenuta espressiva di un agire mafioso.
3.4. Il quarto motivo riprende le doglianze riguardanti i delitti in materia di armi, ribadendo come le conversazioni intercettate non diano riscontro di alain coinvolgimento diretto dell’indagato in quelle condotte, come queste ultime si rivelino piuttosto autonome anziché coordinate e come le stesse vengano a costui ascritte semplicemente sulla base della sua asserita reggenza del gruppo, cc:in deduzione che collide con la mancata indicazione di una cosca di appartenenza e con il fatto che il precedente reggente, NOME COGNOME sia stato arrestato soltanto un anno dopo quei fatti.
3.5. La quinta doglianza riguarda l’estorsione di cui al capo 24, sostenendosi che il giudizio del Tribunale si fondi sul travisamento dei dialoghi intercettati e che, comunque, si sia trattato di una condotta occasionale (come si evince dall’esclusione della gravità indiziaria per gli analoghi episodi oggetto dei capi 21 e 23 dell’incolpazione provvisoria), con la conseguenza della sua irrilevanza in prospettiva associativa.
3.6. Da ultimo, si contesta la valutazione di gravità indiziaria in relazione alle intestazioni fittizie (capi d’incolpazione 27, 28 e 29), deducendosi che, soltanto dopo aver previamente ricondotto le relative aziende ad una specifica consorteria mafiosa, si sarebbe potuta verificare l’infiltrazione di quest’ultima nella relativ gestione.
Di qui, l’impossibilità di configurare, se non altro, l’aggravante della finalit agevolativa mafiosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Passando partitamente in rassegna le doglianze rassegnate dai due difensori e cominciando da quelle dell’avv. COGNOME, la prima, con cui si contesta il ruolo dirigenziale assegnato all’indagato nell’ambito della cosca, è per lo meno infondata, se non addirittura inammissibile, giacché – come il Tribunale rileva – l’esclusione di detto ruolo comunque non avrebbe ricadute concrete sul piano cautelare, considerando la contestuale presenza d’incolpazioni che determinerebbero lo stesso trattamento quanto a misura applicabile e durata della stessa.
In ogni caso, le censure difensive attengono per lo più al merito della decisione, non sindacabile in sede di legittimità, poiché riguardano essenzialmente la valutazione delle singole emergenze investigative, a fronte di un impianto complessivo della motivazione che non presenta alcuna manifesta contraddittorietà od incongruenza logica. L’ordinanza, infatti, dà conto dell’esistenza di dichiarazioni di soggetti intranei a quei circuiti mafiosi, anche non collaboratori di giustizia, che attestano il ruolo di vertice del Corso nella consorteria (tale COGNOME, ad esempio, che è indicato come elemento di rango dell’organizzazione, lo definisce espressamente come “referente” di COGNOME per la stessa), nonché di circostanze ragionevolmente sintomatiche di una sua militanza mafiosa, quali i contatti qualificati da lui intrattenuti con esponenti di altre cosche gli ordini criminosi impartiti ad altri, le responsabilità da lui assunte n sostentamento delle famiglie dei detenuti, le iniziative intraprese in favore di questi ultimi (scelta di avvocati, impegno per far ottenere gli arresti domiciliari con lavoro all’esterno) ed il coinvolgimento in reati qualificanti per il sodaliz (estorsioni, detenzione di armi: vds., amplius, pagg. 24-27, 41-56).
L’unico rilievo difensivo suscettibile di minare la tenuta logica complessiva di una tale motivazione potrebbe essere, in astratto, quello che fa leva su alcuni episodi di insubordinazione, di cui si sarebbero resi autori nei confronti del Corso alcuni soggetti ritenuti dall’accusa come suoi sottordinati.
Di tali contegni, tuttavia, l’ordinanza offre una logica spiegazione, evidenziando come gli stessi diano semmai conferma del ruolo sovraordinato di costui, benché contrastato in ragione della competizione interna venutasi a creare per la successione al comando della cosca dopo l’arresto del precedente capo e della conseguente situazione di fibrillazione (peraltro – ricorda il Tribunale conclusasi con l’omicidio dell’aspirante concorrente del Corso, tale COGNOME, per il
quale fatto il ricorrente è stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare). E tale ragionamento si presenta immune da vizi logici, dal momento che il “riconoscimento” di un dato ruolo all’interno di un’organizzazione, da parte degli aderenti ad essa, non significa necessariamente “condivisione” od “accettazione” dello stesso.
Il secondo motivo, con cui si contesta anche la sola condotta partecipativa, è inammissibile per aspecificità intrinseca, consistendo di pure enunciazioni dissenzienti non motivate.
Anche il terzo motivo, relativo all’assenza del dolo specifico richiesto per le intestazioni fittizie di beni, si presenta generico, in questo caso perché si limita a riproporre i rilievi già rassegnati al Tribunale, senza misurarsi con gli argomenti utilizzati dall’ordinanza: la quale, invece, dà conto diffusamente di tale profilo soggettivo, con motivazione ampia e logicamente nonché cronologicamente razionale (pagg. 34-39).
Anche per quel che riguarda il quarto motivo di ricorso, relativo al porto delle armi, per lo meno dubbio risulta l’interesse ad impugnare del ricorrente, dal momento che rimangono incontroverse la detenzione delle stesse e l’aggravante mafiosa, che comporterebbero il medesimo trattamento cautelare.
In ogni caso, emerge dall’ordinanza che Corso curasse la custodia di quelle armi, per cui l’addebito riguardante il porto delle stesse non è riferito solo al trasferimento di esse dal nascondiglio precedente a casa di Utano, ma anche ai precedenti spostamenti.
Manifestamente infondata, inoltre, è la censura riguardante il difetto di motivazione per il reato di cui al capo 6), relativo ai fucili clandestini. Questi infatti, sono quelli rinvenuti in occasione della perquisizione a casa di Utano (pag. 28, ord.), che è l’episodio da cui muove l’intera motivazione per tali reati.
Inammissibile, infine, è anche l’ultimo motivo di ricorso, relativo all’estorsione in danno del panettiere COGNOME, risolvendosi in una censura di puro merito e nella semplice ed assertiva prospettazione di una diversa realtà di fatto.
Manifestamente infondato – passando all’esame del ricorso dell’avv. COGNOME – è il primo motivo del suo ricorso.
Tale è in fatto, perché l’ordinanza indica espressamente la cosca di appartenenza del Corso, individuata come l’articolazione operante nel quartiere di
COGNOME e collegata alle famiglie storiche di “RAGIONE_SOCIALE” COGNOME e COGNOME (pag. 25 s.).
Ma lo è anche in diritto.
Per un verso, difatti, il dato rilevante per la qualificazione mafiosa di un gruppo criminale non è la formale adesione di esso ad una più ampia federazione di cosche, laddove esistente, quanto piuttosto l’impiego del relativo “metodo” nelle attività criminali ed economiche svolte dallo stesso, vale a dire di quella particolare forza d’intimidazione all’interno di un determinato àmbito territoriale, che determina una diffusa condizione di assoggettamento ed omertà nel relativo tessuto sociale.
Per l’altro, sotto un profilo strettamente procedurale, versandosi ancora nella fase investigativa, e dunque in assenza di una formale imputazione, non può prospettarsi una genericità od indeterminatezza, in senso proprio, dell’addebito, poiché quest’ultimo si presenta naturalmente fluido ed il dato di riferimento per la difesa, al di là della descrizione del fatto contenuta o meno in un determinato capo d’incolpazione, è rappresentato esclusivamente dalle risultanze investigative poste a fondamento della misura, così come evidenziate nell’ordinanza [sul punto, tra molte, Sez. 3, n. 25995 del 22/07/2020, COGNOME, Rv. 279898; in termini, pure Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279505, che dà risalto alla diversità tra l’art. 417, cod. proc. pen., che, per la richiesta di rinvio a giudiz richiede l’enunciazione dell’addebito «in forma chiara e precisa», e l’art. 292, comma 2, lett. b), stesso codice, che, per le ordinanze applicative di misure cautelari, richiede invece la «descrizione sommaria del fatto», con ciò dimostrandosi che l’imputazione si cristallizza solo al momento dell’esercizio dell’azione penale).
I motivi dal secondo al quarto, con i quali si contesta il giudizio di gravità indiziaria per il delitto associativo e per quelli in materia di armi, nel loro complesso possono ritenersi infondati, benché non manifestamente.
Essi presentano un tratto comune, che ne consente la disamina congiunta e che consiste nel fatto di muovere dalla considerazione separata delle varie risultanze investigative valorizzate dall’ordinanza e dalla loro diversa interpretazione, variamente collegata all’assunto principale per cui sarebbe stato necessario individuare formalmente la cosca di appartenenza dell’indagato.
Relativamente, dunque, al delitto associativo, in aggiunta a quanto dianzi argomentato in relazione all’irrilevanza delle “insubordinazioni” manifestate dai sottoposti, con riferimento alle specifiche censure mosse dal ricorso in disamina di cui ai corrispondenti punti del § 3.3. della narrativa – può sinteticamente osservarsi che: a) l’ordinanza non valorizza soltanto le dichiarazioni dei
collaboranti; b) i precedenti giudicati sono stati richiamati dal Tribunale per dimostrare il risalente radicamento del fenomeno mafioso in quel territorio, il quale può ragionevolmente valere a connotare le manifestazioni criminali che ivi si verificano ed i soggetti che ne sono autori; c) Corso – come il Tribunale ha ben spiegato – era comunemente noto come “NOME” e, comunque, il collaborante COGNOME lo ha riconosciuto, rappresentando circostanze sicuramente a lui riferibili e, quindi, dovendo escludersi qualsiasi travisamento delle sue dichiarazioni; d) il denunciato “malgoverno della convergenza del molteplice” non è ravvisabile, consistendo la doglianza difensiva in una rivalutazione di singole risultanze istruttorie separatamente considerate e non nella lettura coordinata e complessiva del quadro probatorio, invece necessaria; e-f) si tratta di doglianze generiche, che sostanzialmente non vanno oltre la manifestazione di semplici opinioni dissenzienti.
Del tutto inammissibili, infine, sono il quinto ed il sesto motivo d’impugnazione, in quanto anch’essi semplicemente assertivi e fondati sul vizio d’origine della dedotta – ma inesistente – necessità della previa individuazione formale della cosca di appartenenza del ricorrente tra quelle della “galassia” della “ndrangheta” calabrese.
Da quanto sin qui esposto deriva il rigetto dell’impugnazione, con Ga conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. je – deffa – So- rn -nna di euro tremila in favore della Cassa delle ammencte.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2024.