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Associazione di tipo mafioso: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione conferma una misura di custodia cautelare per un individuo accusato di associazione di tipo mafioso. La decisione si fonda su prove del suo coinvolgimento in reati quali usura, estorsione e favoreggiamento di un latitante, considerati indicatori di un’integrazione stabile nell’organizzazione criminale, respingendo le tesi difensive che miravano a presentare le sue azioni come isolate o frutto di un errore di persona.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: quando i reati-fine provano l’appartenenza

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 4260 del 2024, offre un’importante analisi sui criteri per determinare la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso. Il caso esaminato riguarda un soggetto destinatario di una misura di custodia cautelare in carcere per reati gravissimi, tra cui usura, estorsione e favoreggiamento, tutti aggravati dal metodo mafioso. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha delineato con chiarezza come la commissione di specifici reati-fine possa costituire la prova di un inserimento organico e stabile all’interno di un sodalizio criminale, superando le tesi difensive che miravano a frammentare e sminuire la portata delle singole condotte.

Il Caso in Esame: Dalle Accuse al Ricorso in Cassazione

Il Tribunale di Catanzaro aveva confermato la custodia cautelare in carcere per un uomo accusato di essere partecipe di un’associazione per delinquere di stampo mafioso. Le accuse specifiche includevano il suo coinvolgimento in episodi di usura ed estorsione, nonché il favoreggiamento della latitanza di un altro esponente del clan. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le condotte contestate fossero occasionali e non sufficienti a dimostrare un’effettiva appartenenza all’associazione. Inoltre, venivano contestati gli elementi probatori relativi ai singoli reati, come la mancata conoscenza della natura usuraria di un credito e l’erronea identificazione dell’indagato in alcune intercettazioni.

I Criteri per l’Associazione di tipo mafioso e i Reati Collegati

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una lettura coesa e sistematica degli elementi probatori. I giudici hanno stabilito che le diverse azioni criminali, sebbene distinte, non potevano essere considerate isolatamente, ma come manifestazioni di un ruolo attivo e consapevole all’interno della struttura criminale.

Usura ed Estorsione come Attività del Sodalizio

Secondo la Corte, concorre nel reato di usura anche chi interviene in un momento successivo alla pattuizione del prestito, incaricandosi del recupero del credito. Nel caso di specie, l’imputato si era presentato alla vittima non come un comune creditore, ma come un emissario di un potente gruppo mafioso, intimidendola per ottenere il pagamento e dirottandolo verso un altro soggetto del clan. L’estorsione è stata ritenuta una conseguenza diretta, in quanto per ottenere il pagamento degli interessi usurari è stata esercitata una chiara minaccia. La questione del nomignolo, sollevata dalla difesa, è stata considerata marginale, poiché l’identificazione dell’imputato era stata confermata dal riconoscimento fotografico da parte della vittima e da altre intercettazioni in cui veniva chiamato per nome.

Il Favoreggiamento del Latitante

Anche il reato di favoreggiamento è stato ritenuto un tassello fondamentale del quadro accusatorio. L’assistenza prestata al latitante non si è limitata a gesti sporadici. L’imputato aveva procurato in più occasioni farmaci, anche con obbligo di prescrizione medica, e aveva supportato la compagna del ricercato. Tali condotte, secondo la Corte, non sono occasionali ma forniscono un apporto rilevante che favorisce la latitanza, dimostrando una piena disponibilità verso le esigenze dell’associazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Suprema Corte, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha ribadito che la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa. Questo inserimento non richiede necessariamente ruoli di vertice, ma la messa a disposizione del sodalizio per il perseguimento dei fini criminosi. Nel caso specifico, il Tribunale ha correttamente desunto la partecipazione dell’imputato da una serie di condotte convergenti: la sua attiva partecipazione ai reati di usura ed estorsione, che rappresentano attività tipiche del gruppo; il sistematico aiuto fornito a un latitante di spicco; il suo contributo in decisioni strategiche, come quella sul luogo in cui occultare delle armi. Questi elementi, visti nel loro complesso, non descrivono un collaboratore esterno, ma un membro organico del gruppo criminale. Di conseguenza, anche l’aggravante dell’agevolazione mafiosa per i singoli reati è stata ritenuta pienamente sussistente.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: la prova della partecipazione a un’associazione mafiosa può essere logicamente desunta dalla natura e dalla reiterazione dei cosiddetti ‘reati-fine’. Quando un individuo si impegna attivamente in attività come l’usura, l’estorsione e il supporto ai latitanti, dimostra non solo di commettere singoli crimini, ma di agire come parte integrante di un meccanismo più ampio. La decisione sottolinea come la valutazione del giudice debba essere complessiva, capace di collegare i singoli indizi per ricostruire il quadro di un’appartenenza stabile e consapevole al sodalizio criminale, confermando la validità delle misure cautelari basate su tali presupposti.

È possibile essere accusati di usura anche se non si è partecipato all’accordo iniziale del prestito?
Sì, la sentenza chiarisce che concorre nel delitto di usura anche chi, in un momento successivo al perfezionamento dell’accordo, interviene per recuperare il credito e ottenerne il pagamento.

Quali atti sono considerati sufficienti per provare la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso?
La Corte afferma che non sono sufficienti atti isolati, ma è necessario uno stabile inserimento nella struttura organizzativa. Tale inserimento è provato da condotte espressive di un ruolo organico, come la partecipazione attiva a reati-fine (es. usura, estorsione) e la fornitura di contributi funzionali all’associazione (es. favoreggiamento di un latitante).

Aiutare un latitante fornendogli farmaci è considerato un grave favoreggiamento?
Sì, secondo la sentenza, procurare a un latitante in più occasioni dei farmaci, specialmente quelli che richiedono una prescrizione medica, costituisce un apporto rilevante per la sua salute che ne favorisce la latitanza e viene quindi considerato una condotta di favoreggiamento significativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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