Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15943 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15943 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Napoli il 02/08/1977 avverso l’ordinanza del 04/04/2024 del Tribunale di Milano udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME sentite le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per il rigetto del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME che in difesa di COGNOME NOME si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Milano, Sezione per il riesame, con ordinanza del 4 aprile 2024, depositata il 15 ottobre 2024, ha accolto l’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano, in data 26 settembre 2023, e ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 416-bis, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto cod. pen. commesso dal 2019 e con permanenza attuale.
Il procedimento si riferisce a una intensa e articolata attività di indagine effettuata in Lombardia in esito alla quale il pubblico ministero, oltre ai reati fine costituiti da estorsioni, delitti in materia di armi e stupefacenti e anche
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un’associazione, ha richiesto l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere con riferimento al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. ritenuto come configurato dall’esistenza di un’associazione mafiosa operante nei territori di Milano e Varese e nelle rispettive province, costituita da soggetti appartenenti alle tre diverse organizzazioni di tipo mafioso denominate “cosa nostra”, “ndrangheta” e “camorra”, che avrebbero così contribuito alla creazione di una nuova associazione, autonoma ma collegata alle c.d. mafie storiche, che è denominata “sistema mafioso lombardo” ed è caratterizzata dal fatto che all’interno della stessa i singoli membri sono uniti in un rapporto non verticistico ma orizzontale e collaborativo.
Il giudice per le indagini preliminari, per quanto interessa ai fini dell’attuale ricorso e in estrema sintesi, ha escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. in quanto dagli elementi emersi non emergerebbero gli elementi costitutivi del reato associativo.
Secondo il primo giudice, infatti, non vi sarebbero in atti fonti di prova tali da far ritenere che il citato sodalizio di tipo confederativo aveva una propria capacità intimidatoria estrinseca e che sia mai stato esternato il metodo di agire tipicamente mafioso, ciò anche considerato che non vi era una effettiva autonomia tra le cosche di provenienza e il nuovo sodalizio e che, quindi, i rapporti tra i presunti sodali non sarebbero caratterizzati da una effettiva affectio societatis.
Avverso provvedimento ha proposto appello il pubblico ministero e il Tribunale del riesame, riformando la decisione del primo giudice, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di cui all’art. 416-b cod. pen. evidenziando che dalle indagini effettuate emergerebbe l’esistenza di una struttura associativa stabile, dotata di adeguati mezzi per la realizzazione dei propri scopi criminosi e autonoma rispetto alle compagini di riferimento dei singoli appartenenti ad essa. In tale contesto, d’altro canto, l’affectio societatis, come avviene per le c.d. mafie storiche, sarebbe comunque rinvenibile in quanto tutti i sodali perseguono un fine comune e che questo non è esclusa dalla coesistenza di interessi, diversi e ulteriori, dei singoli associati per cui s necessario dirimere o risolvere le eventuali controversie interne insorte. Sotto altro profilo, poi, in generale, dalle conversazioni intercettate emergerebbe anche che gli indagati avevano la piena consapevolezza di avere costituito un’associazione che era destinata a durare nel tempo con lo scopo di perseguire sia gli interessi comuni che realizzare ingenti profitti a vantaggio di ognuno di loro e dei gruppi di originaria appartenenza. Quanto al metodo utilizzato, inoltre,
il giudice del riesame ha valorizzato il fatto che il c.d. “sistema lombardo” era composto da soggetti già noti quali esponenti della criminalità organizzata e che questi, quindi, facendo ancora capo ai rispettivi sodalizi di origine, sfruttavano la fama delle rispettive consorterie storiche per intimidire le persone offese per cui spesso non era neanche necessario compiere azioni significative o dimostrative in quanto tale qualità era da sola sufficiente a esternare la forza intimidatrice tipica della mafia.
In merito alla specifica posizione del ricorrente, infine, il Tribunale, ha evidenziato che, diversamente da quanto indicato nel provvedimento del giudice, gli indizi di colpevolezza della partecipazione dello stesso al sodalizio mafioso emergerebbero dalle conversazioni intercettate e dalle indagini effettuate, dalle quali risulterebbe un suo diretto e personale interessamento nelle attività dell’associazione lombarda alla quale avrebbe anche partecipato per il tramite di NOME COGNOME NOME Amico, nonché NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, a mezzo dei difensori, ha dedotto i seguenti motivi.
5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 416 bis.1 cod. pen. e 273 cod. proc. pen. Nel primo motivo la difesa rileva che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine agli elementi costituivi del reato contestato sarebbe errata in quanto condotta sulla base di criteri giuridici errati e che la motivazione sul punto, nella sostanza acriticamente adesiva all’appello del pubblico ministero, non sarebbe rafforzata, così come richiesto nel caso di riforma di un provvedimento. Sotto tale profilo, d’altro canto, non sarebbero emersi effettivi e concreti elementi in ordine ai tre requisiti specifici richiesti, cioè che il sodalizi avesse la capacità di dimostrare una propria e autonoma forza d’intimidazione, che fosse idoneo a creare uno stato di assoggettamento nelle vittime e l’omertà.
5.2. Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta prova della partecipazione dell’indagato al sodalizio mafioso. Nel secondo motivo la difesa evidenzia che il Tribunale non ha fornito un’effettiva giustificazione in ordine al ruolo che l’indagato avrebbe svolto e ricoperto all’interno dell’associazione, ciò considerato che lo stesso è stato monitorato per un brevissimo periodo e che non può pertanto ritenersi che abbia avuto una presenza costante e qualificata all’interno del sodalizio all’attività del quale, a ben vedere, non avrebbe fornito alcun contributo e della quale, al più, sarebbe solo stato messo a conoscenza da NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 416-bis cod. pen. e 273 cod. proc. pen. quanto alla conclusione cui è pervenuto il Tribunale in ordine ai gravi indizi circa la sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo contestato e, in specifico, con riferimento alla carenza di una motivazione rafforzata a fronte della diversa e opposta valutazione del giudice per le indagini preliminari sul punto.
Le doglianze, formulate anche nei termini della violazione di legge ma che in effetti si riferiscono esclusivamente alla logicità e completezza della motivazione, sono infondate.
2.1. In tema di misure cautelari personali il ricorso per cassazione che deduce l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o l’assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (cfr. Sez. 5, n. 22066 del 06/07/2020, COGNOME Rv. 279495 – 02; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01).
Nel giudizio di legittimità, d’altro canto, sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidono sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione, ciò in quanto il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i procedimenti “de libertate”, a una diversa delibazione in merito allo spessore degli indizi e delle esigenze cautelari (Sez. un., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv 215828 – 01; Sez. 5, n. 22066 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279495 – 02; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, COGNOME, Rv 269885 – 01; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244 – 01).
Il controllo di legittimità, infatti, concerne il rapporto tra motivazione decisione, non già il rapporto tra prova e decisione e, quindi, il ricorso per cassazione che devolve il vizio di motivazione, per essere ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della
decisione e non deve riguardare la valutazione sottesa che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione (Sez. 5, n. 22066 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279495 – 02).
Per tale ragione il sindacato di questa Corte rimane circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. un., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv 215828 – 01; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Cusmano, Rv 269885 – 01).
Per cui, come anche di recente ribadito, «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che ‘attaccano’ la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 5, n. 22066 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279495 – 02; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 01).
Ciò, peraltro, sempre tenendo conto della specificità della valutazione che deve essere effettuata nel giudizio incidentale cautelare, caratterizzato dalla «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, P., Rv. 269683 – 01; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213 01).
2.2. Secondo l’indirizzo di legittimità maggioritario, nel caso di ribaltamento in appello del provvedimento di rigetto emesso dal giudice il Tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, è tenuto a rendere una motivazione rafforzata «valevole a superare le lacune dimostrative evidenziate dal primo giudice, essendo necessario confrontarsi con le ragioni del
provvedimento riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata» (Sez. 1, n. 47361 del 09/11/2022, COGNOME, Rv. 283784).
In tale ipotesi, infatti, il giudice dell’impugnazione cautelare, pure non essendo necessaria la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della decisione riformata, deve dare espresso conto della propria divergente valutazione che, quindi, deve essere dotata di maggiore persuasività e credibilità razionale (sempre Sez. 1, n. 47361 del 09/11/2022, COGNOME, Rv. 283784).
Le pronunce apparentemente divergenti su tale punto, d’altro canto, escludono solo formalmente la necessità della motivazione rafforzata in quanto comunque richiedono che il provvedimento dia adeguato conto di avere proceduto a «un confronto critico con il contenuto della pronunzia riformata, non potendosi ignorare le ragioni giustificative del rigetto, che devono essere, per contro, vagliate e superate con argomentazioni autonomamente accettabili, tratte dall’intero compendio processuale» (Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, COGNOME, Rv. 284982 – 04; Sez. 5, n. 28580 del 22/09/2020, M., Rv. 279593).
2.3. Nel caso di specie il Tribunale si è conformato ai principi indicati e l’ordinanza impugnata contiene una motivazione rafforzata rispetto all’ordinanza emessa Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano.
La valutazione circa i gravi indizi relativi alla sussistenza del vincolo associativo, all’esercizio e alla esternalizzazione del metodo mafioso per affermarsi sul territorio, infatti, è adeguata.
2.3.1. Ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen un’associazione è di tipo mafioso quando «coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti».
Pe tale ragione la giurisprudenza di legittimità stabilisce che «ai fini della qualificazione ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen. di una nuova ed autonoma formazione criminale è necessario accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da esser capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacità di intimidazione, ancorché non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia, nell’ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di effettiva operatività; c) abbia manifestato una capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale ed abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento onnertoso nel “territorio” in cui l’associazione è attiva» (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555-17).
2.3.2. Il Tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi indizi del delitto contestato al capo 1), inteso come costituzione di una associazione, legata ad uno specifico territorio, tra soggetti già appartenenti o comunque collegati alle mafie “storiche” denominate cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra, autonoma rispetto a queste anche se i singoli associati manterrebbero continui rapporti con i sodalizi di origine, dalla struttura non verticistica ma orizzontale, dotata di una cassa comune e dedita sia alla commissione dei reati tipici dei sodalizi mafiosi, dalla estorsione al traffico di sostanze stupefacenti, sia soprattutto alla costituzione di società dedite ad attività lecite, in particolare nel settore dell’edilizia, compiute però, in molti casi, con modalità illecite, sia quanto alla provenienza del denaro investito, sia quanto alla gestione e al raggiungimento dello scopo di profitto.
Tale conclusione risulta allo stato corretta.
Il Tribunale, infatti, ha dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto che gli indizi della sussistenza del delitto possano essere desunti dagli accertati collegamenti dei singoli indagati con le mafie storiche e dalle conversazioni intercettate, dalle quali emergerebbe l’esistenza di una struttura associativa stabile, dotata di adeguati mezzi per la realizzazione dei propri scopi criminosi e autonoma rispetto alle compagini di riferimento dei singoli appartenenti ad essa.
In ordine alla ritenuta esistenza di un gruppo associato, stabilmente costituito e tendenzialmente permanente, che non si esaurisce nella consumazione di singoli reati, il giudice dell’appello cautelare ha valorizzato, in particolare, la continuità e frequenza degli incontri e degli accordi, l’apporto comune di capitali e mezzi al fine di perseguire un comune fine di profitto, l’esistenza di un fondo comune (destinato anche al sostentamento dei sodali detenuti e delle loro famiglie cfr. pag. 166 e seguenti e pag. 196 e, poi, 211, e per effettuare investimenti in attività criminose, come l’acquisto di stupefacenti o l’acquisizione con metodi estorsívi di attività commerciali), la consapevolezza delle condotte criminose, anche gravi, commesse da altri sodali, e il frequente richiamo degli indagati stessi all’esistenza di un’associazione costituita in quel territorio e di cui sarebbero partecipi (così, ad esempio, le affermazioni di singoli indagati sull’attività di COGNOME quale “epicentro di molti equilibri”, sulla costruzione di “un’associazione che non finisce mai”, sulla necessità di “trovare una quadra per guadagnare tutti”, sulla non operatività di Sicilia, Roma e Napoli perché “Qua è Milano … le cose giuste qua si fanno” pag. 246, sulla scomparsa della distinzione tra le tre mafie storiche di provenienza, laddove NOME COGNOME dice ad Amico “qua siamo tutti e tre, siamo tutti insieme, siamo tutti una cosa”).
Sotto tale profilo, pertanto, appare corretta la conclusione quanto alla sussistenza della necessaria affectio societatis negando la rilevanza dei contrasti
interni, ciò proprio anzi evidenziando che anche gli sforzi dei vari associati per risolvere ogni contesa in vista del perseguimento della comune finalità di profitto sono, in quanto tali, significativi dell’esistenza del vincolo associativo (Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, Rv. 281589-01 per cui «in tema di associazione per delinquere, l’esistenza di scopi personali diversi e contrapposti tra i singoli associati, operanti nell’ambito di strutture imprenditoriali autonome e concorrenti, non è ostativa al riconoscimento del vincolo associativo, ove tali divergenze trovino composizione in un progetto generale, da realizzare mediante le attività delittuose, finalizzato a perseguire un utile da ripartire tra le divers imprese»; anche Sez. 3, n. 25994 del 22/07/2020, Rv. 279825-01).
Analogo rilievo, d’altro canto, viene coerentemente attribuito all’esistenza di una cassa comune, destinata soprattutto ad assicurare l’assistenza giudiziaria ed economica ai detenuti e alle loro famiglie, sottolineando che a questa contribuiscono tutti i gruppi, circostanza questa che evidenzia l’esistenza di un vincolo di mutua solidarietà in base al quale tutti provvedono a fornire la propria assistenza a prescindere dalla compagine di provenienza del singolo (cfr. pag. 211 del provvedimento impugnato).
In generale, poi, oltre che ai richiami alla comune “fratellanza”, all’essere parte di una famiglia, contenuti proprio nelle conversazioni intercorse tra COGNOME, COGNOME e COGNOME, il provvedimento rileva che dalle conversazioni intercettate emerge anche che gli indagati avevano la piena consapevolezza di avere costituito un’associazione che era destinata a durare nel tempo con lo scopo di perseguire sia gli interessi comuni che realizzare ingenti profitti a vantaggio di ognuno di loro e dei gruppi di originaria appartenenza.
Del pari coerente, infine, risulta la motivazione quanto alla sussistenza del metodo utilizzato, qualificato come mafioso valorizzando il fatto che il c.d. “sistema lombardo” era composto da soggetti già noti come esponenti di criminalità organizzata e che questi, quindi, facendo ancora capo ai rispettivi sodalizi di origine, per intimidire sfruttavano anche la fama delle rispettive consorterie storiche per cui spesso non era neanche necessario compiere azioni significative in quanto i comportamenti usati erano comunque idonei a esternare la forza intimidatrice tipica della mafia.
Sotto tale profilo, infatti, il Tribunale del riesame ha dimostrato di avere approfonditamente esaminato gli indizi emersi, valorizzando sia i singoli episodi di effettivo impiego di violenza e minaccia che, soprattutto ribadendo, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, come la capacità intimidatoria non debba necessariamente estrinsecarsi in atti specifici, ma sia sufficiente la spendita della fama criminale precedentemente acquisita o l’acquisizione dell’assoggettamento omertoso del territorio mediante piccoli soprusi,
prevaricazioni o, al contrario, illeciti privilegi (Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811 – 01). Secondo il tribunale, inoltre, è rilevante il fatto che la spendita della fama criminale delle mafie storiche di appartenenza avviene, talvolta, da parte di sodali affiliati, in realtà, ad una diversa associazione storica, evidentemente con il consenso degli altri associati (cfr. pagine 246 e 247 dell’ordinanza impugnata), in quanto dimostrazione della particolarità e autonomia dell’associazione qui contestata.
L’ordinanza, d’altro canto, ha ritenuto dimostrata l’avvenuta acquisizione della forza intimidatrice sul territorio lombardo anche da vicende specifiche dalle quali si evince che i sodali agivano come gruppo: quelle relative al capo 8), estorsione COGNOME a pag. 215; quelle relative al capo 13, estorsione COGNOME a pag. 218; quelle di cui al capo 18, estorsione COGNOME, pag. 219 (con minacce di morte, “se arrivano quelli di Roma poi sai quelli sparano”); quella che coinvolge tale COGNOME, da pag. 220 dell’ordinanza, nella già indicata conversazione in cui COGNOME si compiace del fatto di raggiungere “senza spari” lo scopo che l’associazione si è prefissata; quella relativa alla gestione del bar e dei parcheggi dell’ospedale di Desio da parte della RAGIONE_SOCIALE, le cui modalità avrebbero allarmato i dipendenti, tra i quali correva la voce che tali attività fossero in mano a “mafiosi” (pag. 235 dell’ordinanza impugnata) (cfr. Sez. 2, n. 24901 del 17/05/2024, COGNOME, Rv. 286689 – 02).
Del pari corretto appare pure il rilievo attribuito in generale all’atteggiamento omertoso di molte vittime di estorsioni, che avrebbero omesso di denunciare i fatti commessi in loro danno, o li avrebbero esposti in termini riduttivi rispetto a quanto emerge dalle intercettazioni. Ciò anche considerato che l’incapacità per gli abitanti del territorio di individuare con precisione l’associazione criminale che sta esercitando tale forza intimidatrice non è stata ritenuta rilevante, e anzi si è affermato che ciò potrebbe essere interpretato come una conferma della diversità e autonomia dell’associazione qui contestata, rispetto ai gruppi storici di riferimento dei vari associati (cfr. Sez. 2, n. 24851 del 04/04/2017, Garcea, Rv. 270442 – 01).
In tal modo l’ordinanza afferma specificamente, con motivazione logica e consequenziale alle vicende esaminate, che la forza intimidatrice promana dall’associazione stessa ed è ad essa «immanente», in virtù delle azioni che essa compie e dell’assoggettamento che ha realizzato nel territorio, e non deriva dai singoli associati o dalle mafie storiche a cui questi ultimi fanno riferimento (così nelle pagine da pag. 246 a 248 dell’ordinanza impugnata).
Secondo il tribunale del riesame, quindi, l’associazione qui delineata ha una propria “mafiosità”, derivante anche dalla partecipazione a essa di soggetti dalla già accertata caratura mafiosa, ma soprattutto la manifesta all’esterno in
modo autonomo, pur avvalendosi anche dell’assoggettamento già realizzato nel territorio lombardo, in passato, dalle singole mafie storiche, in quanto opera in modo distinto rispetto a queste ultime e mantiene, rispetto ad esse, una propria autonomia.
2.3.3. La disamina così effettuata, come anche già ritenuto da questa Corte (Sez. 1, n. 8563 del 30/1/2025, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 5042 del 24/1/2025, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 7501 del 16/1/2025, COGNOME, n.m.), risulta dettagliata per cui la conclusione cui è pervenuto il giudice dell’appello cautelare all’esito di una valutazione unitaria e complessiva non è sindacabile in questa sede.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, infatti, tenuto conto del livello di gravità indiziaria che deve essere ritenuto sufficiente per l’emissione di una misura cautelare, è logica e completa.
Ciò anche nella parte in cui il Tribunale non si esprime sulla qualificazione di detta associazione come una mafia “nuova”, o “atipica”, o “a soggettività differente”, o addirittura come un tertium genus, dichiarando anzi esplicitamente di sottrarsi all’«afflato definitorio» presente nell’ordinanza genetica e nell’appello del pubblico ministero (cfr. pag. 245 dell’ordinanza impugnata), sottolineando solamente che il fenomeno mafioso è in continua evoluzione e che la peculiarità della struttura associativa così come descritta non ne esclude la mafiosità in quanto la ritiene accertata, in via indiziaria, con le medesime caratteristiche richieste dalla giurisprudenza di legittimità.
Anche questa parte della motivazione è logica e non contraddittoria, e pertanto sufficiente, anche sotto il profilo della immanenza ed esternalizzazione del metodo mafioso, per ritenere presenti indizi gravi circa la sussistenza del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., quanto meno allo stato e con riferimento agli elementi sufficienti per il giudizio cautelare.
Nel secondo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta prova della partecipazione dell’indagato al sodalizio mafioso.
La doglianza è infondata.
Il Tribunale, nelle pag. 248 e seguenti e, riassuntivamente, da pag. 271, infatti, ha evidenziato come, diversamente da quanto indicato nel provvedimento del giudice per le indagini preliminari (pagine da 537 e seguenti dell’ordinanza del g.i.p.), siano emersi gravi indizi di colpevolezza della partecipazione dello stesso al sodalizio mafioso.
Gli specifici riferimenti ai contatti intercorsi con gli altri indagati (tra i v Vestini, Amico e Brancaccio), alle conversazioni intercettate (dalle quali risulta l’interessamento diretto dell’imputato alle attività illecite poste in essere da
COGNOME e dagli altri sodali, cfr. pag. 251 e seguenti dell’ordinanza impugnata) e ai summit ai quali è stato presente (in cui si è anche discusso di quello che era il
core business del sistema mafioso lombardo, cfr. pagine 255 e 256
dell’ordinanza impugnata), d’altro canto, danno conto del diretto e personale interessamento del ricorrente alle attività dell’associazione lombarda, alla quale
ha partecipato sia fisicamente che per interposta persona per il tramite di
NOME COGNOME e, poi, di NOME COGNOME ed NOME COGNOME che, sono stati designati da COGNOME quali propri referenti dopo l’arresto di COGNOME e hanno
dato seguito agli accordi in base alle istruzioni da questo ricevute (pag. 257 e seguenti dell’ordinanza impugnata).
A nulla, d’altro canto, rilevano la considerazione per cui il periodo di intercettazione che ha interessato il ricorrente è stato solo di pochi mesi in
quanto lo stesso è stato arrestato quasi subito e l’argomento per cui l’indagato farebbe parte del gruppo romano e non di quello lombardo.
Al di là del poco tempo intercorso, infatti, gli elementi acquisiti sono allo stato idonei a formulare il giudizio di gravità indiziaria e la contemporanea
appartenenza al “gruppo romano” non è incompatibile con la partecipazione dell’indagato al sodalizio contestato e ritenuto nell’attuale fase del procedimento iscritto a Milano.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 16 gennaio 2025
Il Presidente