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Associazione di tipo mafioso: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per un imputato accusato di far parte di una nuova associazione di tipo mafioso operante in Lombardia. La sentenza stabilisce che un’organizzazione criminale, composta da membri di diverse mafie storiche, può costituire un sodalizio autonomo con una propria forza intimidatrice, anche se questa deriva dalla fama criminale dei suoi affiliati, legittimando l’applicazione dell’art. 416-bis c.p.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: la Cassazione si esprime sul “sistema lombardo”

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un caso di grande attualità e complessità giuridica, relativo alla configurabilità del reato di associazione di tipo mafioso per un nuovo modello criminale. La pronuncia analizza la natura di un sodalizio sorto in Lombardia, definito dagli inquirenti “sistema mafioso lombardo”, caratterizzato dalla collaborazione tra esponenti di diverse mafie storiche come ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra. La decisione conferma l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, delineando principi fondamentali sull’autonomia e la forza intimidatrice di queste nuove forme di criminalità organizzata.

Il contesto della vicenda giudiziaria

Il procedimento trae origine da un’articolata indagine della Procura di Milano, che aveva ipotizzato l’esistenza di una nuova associazione mafiosa operante nei territori di Milano e Varese. Secondo l’accusa, soggetti appartenenti alle tre principali organizzazioni mafiose italiane avrebbero creato un’entità criminale autonoma, con una struttura orizzontale e collaborativa, finalizzata alla commissione di reati come estorsioni, traffico di armi e stupefacenti, e all’infiltrazione nell’economia lecita.

Inizialmente, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva escluso la sussistenza di gravi indizi per il reato di associazione di tipo mafioso, ritenendo che il gruppo non avesse una propria capacità intimidatoria autonoma rispetto a quella delle “cosche” di provenienza dei singoli membri. Contro questa decisione, il Pubblico Ministero ha proposto appello.

La decisione del Tribunale del Riesame e il ricorso in Cassazione

Il Tribunale del Riesame di Milano, riformando la decisione del GIP, ha accolto l’appello del PM, applicando la misura della custodia cautelare in carcere all’indagato. Secondo il Tribunale, le indagini avevano fatto emergere una struttura associativa stabile, autonoma e dotata di mezzi adeguati per perseguire i propri scopi. La forza intimidatrice del gruppo derivava proprio dalla “fama criminale” dei suoi componenti, già noti come esponenti di spicco della criminalità organizzata. L’imputato ha quindi presentato ricorso per cassazione, contestando la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza.

Le motivazioni: i requisiti per l’associazione di tipo mafioso

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e confermando la solidità dell’impianto accusatorio delineato dal Tribunale del Riesame. I giudici di legittimità hanno sottolineato diversi punti cruciali.

In primo luogo, è stato chiarito che il Tribunale del Riesame ha fornito una “motivazione rafforzata”, come richiesto dalla giurisprudenza quando si riforma una decisione di segno opposto. La motivazione è stata ritenuta adeguata, logica e completa nel superare le argomentazioni del GIP.

Nel merito, la Corte ha avvalorato la tesi che una nuova associazione di tipo mafioso possa sorgere dalla sinergia di membri di clan storici. L’autonomia del nuovo sodalizio non è esclusa dal mantenimento dei legami con le organizzazioni di origine. Anzi, la sua forza intimidatrice può essere “mutuata” proprio dalla spendita della fama criminale dei suoi affiliati. Spesso non è necessario compiere atti di violenza eclatanti, poiché la reputazione dei membri è di per sé sufficiente a generare un clima di assoggettamento e omertà nel territorio.

La Corte ha inoltre evidenziato la presenza di elementi strutturali tipici del vincolo associativo, come l’esistenza di una “cassa comune” per il sostentamento dei detenuti e per nuovi investimenti criminali, la frequenza degli incontri e la consapevolezza dei membri di far parte di un’entità duratura. Anche i contrasti interni, anziché negare l’esistenza del gruppo, ne confermano la vitalità, poiché gli sforzi per risolverli dimostrano la volontà di perseguire un fine comune.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto di riferimento nella lotta alla criminalità organizzata, specialmente di fronte alle sue continue evoluzioni. La Corte di Cassazione ribadisce che il concetto di associazione di tipo mafioso non è statico, ma si adatta a nuove forme criminali, come quelle confederative o a struttura orizzontale. Viene confermato che la forza intimidatrice, elemento cardine del reato, non deve necessariamente manifestarsi con violenza fisica, ma può basarsi sulla percezione esterna della pericolosità del gruppo. Questa pronuncia consolida gli strumenti giuridici per contrastare sodalizi che, pur operando in modo diverso dalle mafie tradizionali, ne replicano la capacità di controllo del territorio e di infiltrazione nel tessuto economico e sociale.

Può esistere una nuova associazione di tipo mafioso composta da membri di mafie storiche diverse?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che è possibile configurare un’associazione autonoma e distinta, anche se i suoi membri mantengono legami con le organizzazioni criminali di provenienza. L’elemento decisivo è la creazione di una nuova struttura con scopi e operatività propri.

Come può un’associazione criminale dimostrare la sua forza intimidatrice senza compiere atti di violenza palesi?
Secondo la sentenza, la forza intimidatrice può derivare dalla fama criminale dei suoi membri. La spendita del “nome” e della reputazione di soggetti già noti come esponenti di mafie storiche è sufficiente a generare nelle vittime uno stato di assoggettamento e omertà, integrando così uno degli elementi costitutivi del reato.

Cosa si intende per “motivazione rafforzata” in un procedimento cautelare?
Quando un giudice d’appello (in questo caso, il Tribunale del Riesame) ribalta la decisione del primo giudice, deve fornire una motivazione particolarmente solida e approfondita. Deve cioè confrontarsi criticamente con le ragioni della decisione riformata, spiegando in modo convincente perché giunge a una conclusione opposta sulla base dello stesso materiale probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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