Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17313 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17313 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 384/2025
NOME COGNOME
Relatore –
CC – 31/01/2025
GIORGIO POSCIA
R.G.N. 39320/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Marino il 3/10/1989
avverso l’ordinanza del 4 /04/2024 del Tribunale di Milano con funzione di riesame udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che si è riportata alla memoria già depositata, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il difensore, avv. M. S. CCOGNOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Milano con funzione di riesame, ha accolto l’ appello del Pubblico Ministero presso il Tribunale in sede e, in riforma dell’ordinanza resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale il 26 settembre 2023, ha applicato a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di cui ai capi 1), 5), 13) e 14) dell’incolpazione provvisoria.
Si tratta dell ‘accoglimento dell’appello ex art. 310 cod. proc. pen., in relazione alla contestazione al capo 1) del reato associativo di cui all’art. 416bis cod. pen., contestato a COGNOME in via provvisoria, per aver fatto parte, assieme
ad altre persone non individuate, di una struttura associativa mafiosa, operante nel territorio lombardo, in particolare nelle città di Milano, Varese e provincia, costituita da appartenenti a tre diverse organizzazioni di stampo mafioso, cosa nostra , ‘ndrangheta e camorra, avente struttura confederativa orizzontale, nell’ambito della quale i vertici di ciascuna delle tre componenti mafiose operano sullo stesso livello, contribuendo alla realizzazione di un sistema mafioso lombardo che, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo, della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva aveva lo scopo di commettere plurimi gravi delitti, tra cui omicidi, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, violazione della normativa in tema di armi e che esercitava il controllo del territorio mediante interventi per la risoluzione di controversie scaturenti d’affari illeciti o leciti, che imponeva il versamento di somme di denaro nella cassa comune destinata al sostentamento dei detenuti, che manteneva contatti con il mondo politico, istituzionale, imprenditoriale e bancario, che svolgeva attività di false fatturazioni per operazioni inesistenti, tramite un complesso di società intestate a prestanome, che seguiva la gestione del territorio in particolare nel settore dell ‘ edilizia, sanitario, delle piattaforme ecommerce, della ristorazione, del noleggio auto, della gestione dei parcheggi aeroportuali, petrolchimico e importazione di materiali ferrosi, utilizzando plurime società, con reinvestimento di proventi illeciti e intestazioni fittizie di società.
COGNOME (detto COGNOME , secondo la tesi di accusa recepita dal Tribunale, è parte della componente del sodalizio del gruppo facente capo ad appartenenti alla famiglia Senese, e ha partecipato al reato di cui al capo 5), relativo alla violazione della normativa in tema di a rmi (cfr. p. 287 dell’ordinanza impugnata), nonché all’esecuzione di due estorsioni ( di cui ai capi 13) e 14), nei confronti di NOME COGNOME per costringerlo a cedere la somma di 8.000,00 € e di NOME COGNOME onde costringere quest’ultimo a cedere in locazione un ramo di azienda della ditta RAGIONE_SOCIALE, condotte contestate in via provvisoria come aggravate dal metodo mafioso, nonché dalla finalità di agevolare la associazione di cui al capo 1).
La contestazione del reato di cui al capo 5) attiene al concorso nel reato di cui agli artt. 110, 99, 10, 12, 14, legge 14 ottobre 1974 n. 497, 416bis .1 cod. pen., per aver detenuto e portato il nuovo pubblico a una pistola calibro 38 e relativo munizionamento, condotta aggravata , secondo l’originaria contestazione provvisoria -esclusa dal Giudice – per aver commesso il fatto al fine di agevolare il sistema mafioso lombardo , oltre che dalla recidiva.
Il capo 13) si riferisce alla contestazione, in concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, del reato di cui agli artt. 81,
110, 99, 629, comma primo e secondo, in relazione all’art. 628, comma terzo, n. 1 e 3, 416bis .1 cod. pen., perché, in concorso tra loro e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con le condotte minacciose e violente e specificate nella imputazione, costringevano NOME COGNOME a consegnare la somma di almeno 8.000,00 € di una maggior somma di euro 15.000 ,00 pretesa, in particolare COGNOME dirigendo le operazioni di recupero del denaro, rintracciando direttamente la vittima, fatti aggravati dal numero delle persone, le quali fanno parte di un’associazione mafiosa e per essersi avvalsi delle condizioni di cui all’art. 416bis cod. pen., nonché per agevolare la associazione di cui al capo 1.
Il capo 14) attiene alla contestazione del concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel reato di cui agli artt. 81, 110, 99, 629, comma primo e secondo, in relazione all’art. 628 comma terzo, n. 1 e 3, art. 416bis .1 cod. pen., perché in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con le condotte minacciose e violente specificate nella imputazione, costringevano NOME COGNOME a cedere in locazione un ramo di azienda della ditta RAGIONE_SOCIALE (con sede legale in Alessandria e sede operativa in Tortona strada statale per Voghera), quale corrispettivo di un credito di 43.000,00 € . Fatti aggravati dal numero delle persone che fanno parte di associazione mafiosa e per essersi avvalsi delle condizioni di cui all’art. 416bis cod. pen. e per agevolare il gruppo denominato sistema mafioso lombardo .
1.1. Il Giudice per le indagini preliminari (v. p. 553 e ss. e p. 897 e ss.), ha rigettato la richiesta di misura cautelare in relazione al reato associativo per mancanza della gravità indiziaria, ha escluso per i capi 13) e 14) la gravità indiziaria (per il primo soltanto per COGNOME, per il secondo capo per tutti i partecipi), mentre per il capo 5), ritenendo la gravità indiziaria, ha escluso la sussistenza delle esigenze cautelari e, dunque, non ha applicato all’indagato alcuna misura (v. quadro sinottico p. 1969 e p. 553 -554 della ordinanza del Giudice per le indagini preliminari).
Secondo il Giudice, ai fini della insussistenza del reato associativo, rilevava la mancanza di elementi a suffragio della dedotta capacità intimidatoria in senso estrinseco, di una struttura propria del sodalizio e dell ‘ affectio societatis .
Si riscontrava che non erano stati correttamente valutati diversi elementi indiziari che deponevano in senso contrario alla tesi accusatoria con particolare riferimento all ‘ esistenza di specifiche condotte intimidatorie verso terzi -cd. esternazione del metodo mafioso – richiamando a riguardo una serie di episodi, anche coinvolgenti il gruppo individuato come di riferimento di COGNOME (gruppo Senese), ritenuti espressione di tale elemento favorevole, che deponeva in senso opposto a quanto ritenuto dal pubblico ministero.
Inoltre, si esaminava, di quel gruppo, la figura di NOME, individuato come promotore e capo del sodalizio di tipo confederativo, denominato sistema lombardo , evidenziando al contrario, l’esistenza di un rapporto paritario tra NOME e NOME COGNOME, dovendosi, comunque, escludersi, per il Giudice, l’esistenza di un legame assimilabile a quello che costituisce collante delle associazioni di cui all’art 416bis cod. pen.
Il Giudice riteneva significativa, in chiave favorevole all’indagato , la vicenda dell’estorsione di cui al capo 11), ai danni di NOME COGNOME, nonché quella dell’estorsione di cui al capo 18), posta in essere dagli COGNOME e dai COGNOME, in danno di NOME COGNOME COGNOME il quale, per cercare protezione, si era rivolto ad NOME. Il Giudice, inoltre, si richiamava a quanto osservato riguardo alla posizione del coindagato COGNOME‘COGNOME, nonché alla vicenda in cui un imprenditore, NOME COGNOME, si era rivolto ad NOME per ricevere protezione dalle richieste provenienti dai COGNOME del gruppo di Gela.
L’ordinanza genetica, poi, poneva l’accento sul fatto che i reati fine, concernenti le estorsioni commesse dall’associazione, tranne che per il capo 12), erano reati posti in essere da soggetti appartenenti a ciascuna delle singole compagini raggruppate al capo 1). Si trattava di condotte estorsive di soggetti appartenenti al medesimo gruppo familiare di ciascun sottogruppo individuato dall’organo requirente.
Secondo il Giudice, la pubblica accusa aveva precisato che le estorsioni erano condivise dall’intero sistema mafioso lombardo , con capitali e società acquisite con modalità estorsive, secondo un sistema unitario di tipo mafioso. Infatti, la tesi di accusa è che le tradizionali associazioni di stampo mafioso, camorristico e ‘ndranghetista , in Lombardia, avrebbero operato in modo trasversale, senza riferire ciascuna al proprio nucleo familiare di appartenenza. Proprio esaminando le modalità operative delle estorsioni ciò che difettava, a parere del Giudice, era la prova dell ‘ affectio societatis in capo ai singoli partecipanti, rispetto ad un diverso organismo unitario e trasversale, così come, secondo il Giudice, era mera ipotesi investigativa la circostanza che le società acquisite e i capitali andassero a ricostituire per fare parte delle sostanze di un unico sistema mafioso.
1.2. Il Tribunale (v. p. 96 e ss.) , con l’ordinanza impugnata, evidenzia l’errore metodologico in cui sarebbe incorso il giudicante, seguendo un approccio in contrasto con lo stesso capo di imputazione sub 1), all’interno del quale vengono descritte le tre componenti come coesistenti e come strutturate in un unico organismo associativo, nonché si individuano plurimi elementi gravemente indiziari che fanno reputare condivisibile l’impostazione della pubblica accusa.
Il Tribunale considera i rapporti e i legami che gli indagati vantano con i gruppi criminali di originario riferimento come non limitanti l’autonomia operativa
al Nord del sodalizio sub capo 1). I vari sottogruppi, nei quali gli indagati si coagulano in ragione di specializzazioni operative, mantengono, per il Tribunale, un elevato grado di indipendenza e libertà decisionale nonché operativa.
L’ordinanza impugnata (v. p. 124 e ss.) segnala che il sodalizio lombardo spesso opera su autorizzazione degli storici gruppi criminali stanziati sul territorio, come esprime la conversazione di Amico relativa al progetto superbonus 110% riportata nella ordinanza. Il sodalizio di cui al capo 1), secondo il provvedimento impugnato, mantiene un legame costante ai contesti originari, ma tale caratteristica e modalità operativa non impedisce, secondo il Tribunale, la formazione di gruppi operativi misti e la creazione dell ‘autonom a struttura unitaria contestata sub 1).
A ll’uopo, si riportano plurime conversazioni dalle quali emerge tale continuo riferimento dei diversi componenti del sodalizio alle varie articolazioni criminali di riferimento e si richiamano, esemplificativamente, due vicende ritenute particolarmente emblematiche dell’esistenza di un patto associativo criminale trasversale, avente ad oggetto un rapporto tra gli aderenti destinato a perdurare per un periodo di tempo apprezzabile e indeterminato.
Si tratta di accordo, ritenuto finalizzato al mantenimento in vita dell’associazione, avente ad oggetto uno stabile programma criminoso che oltrepassa la consumazione dei singoli reati fine e che costituisce pactum sceleris del tutto trasversale, dei vari gruppi, contestato sub capo 1).
Si prendono in esame gli elementi indiziari relativi alla contestazione sub capi 11) e 16), reputate espressione dell’operatività di vari gruppi criminali in modo trasversale, la messa a disposizione, a favore di tutti i partecipi del capitale sociale, liberamente spendibile anche da parte di coloro che sono diversamente schierati.
Il Tribunale, poi, conclude per la partecipazione al sodalizio di COGNOME (v. p. 121 dell’ordinanza) . Si esamina la struttura del sodalizio, l’elencazione delle società che costituiscono lo strumento operativo del gruppo, nonché la sede per la realizzazione di attività strumentali ai fini dell ‘ associazione (v. p. 124 e ss.), chiarendo dettagli circa la specifica progettualità del clan , con particolare riferimento al settore economico di interesse (in materia di ecobonus e di locazioni commerciali) . Si rimarca l’esistenza di incontri tra gli indagati, di controversie pendenti e di peculiari modalità di risoluzione di queste, con riferimento specifico alla vicenda della controversia Pace – Amico, valorizzando la convergenza di cassa, le attività intrinsecamente illecite, quelle finanziarie, attuate attraverso reati fiscali e di riciclaggio, quelle in materia di ecobonus e superbonus , il narcotraffico, indicato come uno di tanti settori in cui l’associazione agiva, sia finanziando altre attività illecite, sia favorendone l’operatività, sia, infine, agendo con modalità mafiose.
Si affronta (v. p. 207 e ss.) il tema dell’ affectio societatis e quello della necessaria esternazione del metodo, superando le conclusioni del Giudice per le indagini preliminari secondo il quale non vi sarebbero atti di intimidazione posti in essere dagli odierni indagati, nello svolgimento delle varie attività economiche a questi riconducibili, compresi gli episodi estorsivi e quelli relativi alla disponibilità di armi, in quanto condotte in numero limitato e, comunque, ritenute non gravi.
Inoltre, si richiamano annotazioni, prodotte al Tribunale dall’appellante , in particolare quella del 24 febbraio 2024, che documentano pesanti atti a carattere intimidatorio che appaiono riconducibili proprio ai gruppi criminali ai quali attinge la struttura associativa di cui al capo 1).
Si segnala che l’impiego di armi è stato concretamente evocato non solo nell’ambito di vicende estorsive, ma anche per la soluzione interna dei dissidi oltre ad essere più volte richiamata dagli indagati la necessità di girare armati per affrontare ogni evenienza.
Dunque, il Tribunale giunge a conclusioni (cfr. p. 245 e ss.) opposte a quelle del Giudice quanto alla sussistenza del sodalizio indicato al capo 1), specificando (v. p. 252 e ss.) gli elementi a carico di COGNOME. Infine, l’ordinanza esamina, specificamente i singoli reati fine e ravvisa, rispetto a questi, la gravità indiziaria anche per quanto concerne le circostanze aggravanti contestate in via provvisoria, per i capi 5), 13) e 14).
Propone tempestivo ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME denunciando plurimi vizi, attraverso tre motivi di seguito riassunti, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza di legge penale e vizio di motivazione.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato associativo di cui al capo 1), con la peculiarità che l’associazione come delineata non rappresenta né una confederazione né una nuova mafia.
La contestazione, secondo il contenuto del capo di imputazione, è quella di avere raggiunto un accordo, stabile e duraturo, tra gli indagati legati alle diverse componenti (calabrese, siciliana e romano-napoletana), di un sistema tra gruppi operativi, tra loro disomogenei ma associati attraverso l’apporto comune di capitali, predisposizione di mezzi e risorse umane, costituzione di società, tutti funzionalmente aggregati col fine di trarre profitto.
Il Tribunale afferma che i legami tra gli indagati con i gruppi di riferimento non si limitano ad un’autonomia operativa al Nord del sodalizio di riferimento.
I vari sottogruppi , secondo l’ordinanza impugnata, si coagulano in ragione di specializzazioni operative e dai territori di origine di riferimento sono ricevute
direttive, in alcuni casi sono esercitate forme di controllo, in altri sono impartite precise istruzioni o autorizzazioni. Esistono, però, per il Tribunale, significativi momenti di condivisione tra i vari sottogruppi che consentono di rilevare l’unità associativa.
Secondo l’ordinanza impugnata, v i è un patto associativo, avente ad oggetto un rapporto tra aderenti destinato a produrre, per un periodo apprezzabile ed indeterminato, una convergenza tra soggetti che hanno una diversa connotazione mafiosa di origine. L’appartenenza mafiosa di ciascuno costituisce il background del sodalizio, le mafie storiche e anche le loro articolazioni lombarde mantengono la loro autonomia e indipendenza, ma alcuni componenti danno vita a una struttura unitaria, fissa sul territorio lombardo, per aumentare i profitti illeciti. Il Tribunale individua l’esistenza di un uso trasversale della forza di intimidazione, perché il singolo partecipe è autorizzato a spendere, col metodo più efficace, la sua vicinanza anche alle altre componenti mafiose, pur non facendone originariamente parte.
Secondo la difesa si tratta di struttura farraginosa perché il Tribunale non spiega la professata autonomia della struttura come si concili con l ‘ autonomia del sodalizio, ex novo costituito, nonché non si spiegano i rapporti di tale sodalizio con le autorizzazioni e i resoconti delle case madri.
Secondo la giurisprudenza di legittimità è configurabile il concorso tra un’associazione di tipo mafioso e un’associazione a delinquere, dotata di un’autonoma struttura organizzativa che, avvalendosi del contributo di sodali di sodalizi mafiosi, persegue un proprio programma delittuoso dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell’interesse del clan.
In relazione al cd. gruppo COGNOME il Tribunale osserva che la sua operatività è stata oggetto di accertamento giudiziale, pur non irrevocabile. Ma il ricorrente si richiama alla sentenza di primo grado del Tribunale di Roma del 20 ottobre 2021, dalla risultano imputati NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME, nonché lo stesso COGNOME. Si segnala, sul punto, che il ricorrente, in quella sede, per il reato associativo è stato definitivamente prosciolto con sentenza irrevocabile, essendo stata confermata l’assoluzione pronunciata dal primo giudice, dalla Corte di appello di Roma chiamata a decidere sull ‘ impugnazione proposta dalla pubblica accusa.
Tuttavia, il Tribunale, nel riferirsi a COGNOME, evidenzia che l’appartenenza o il legame con il clan romano, denominato COGNOME, di stampo camorristico, è il biglietto da visita col quale l’indagato si presenta ai sodali in Lombardia nei primi mesi del 2021.
Quindi, nel caso specifico di COGNOME verrebbe meno la premessa secondo la quale tutti gli esponenti del sodalizio sono, prima di tutto, consociati delle rispettive organizzazioni criminali di stampo mafioso di origine.
Tale elemento esclude che il cd. gruppo Senese sia portatore di una fama mafiosa, cioè una forza di intimidazione, con assoggettamento del territorio in Milano. Secondo la difesa, infatti, non vi è dimostrazione dell’insediamento del gruppo Senese in Lombardia.
In definitiva, per il ricorrente il Tribunale, da un lato, indica che la struttura autonoma ipotizzata trae la sua fama mafiosa dalla ‘ mafiosità ‘ di più qualificati esponenti delle tre organizzazioni criminali di rilievo nazionale, dall’altro, indica che tale struttura è autonoma soltanto sotto il profilo operativo rispetto alle mafie storiche.
Quindi, illogica sarebbe la motivazione nella parte in cui spiega la configurazione del reato di cui all’art. 416bis cod. pen.
Si richiama il principio di legittimità secondo il quale la fonte della forza di intimidazione deriva all’associazione dal suo prestigio criminale, dalla sua fama e non dal prestigio criminale del singolo associato, in quanto la fama criminale è quella impersonale del gruppo. Un’associazione per delinquere che tra i suoi partecipi annoveri un soggetto di riconosciuta fama criminale non è, perciò solo, uno un’organizzazione di stampo mafioso. Né il Tribunale spiega come e perché basti menzionare l’appartenenza a queste organizzazioni per creare timore nella cittadinanza.
L’uso trasversale della fama mafiosa implica che l’eventuale intimidazione scaturisca non dalla propria associazione ma dall’altra, ciò facendo ritenere che il cittadino possa essere soggiogato in quanto intimorito per la diversa organizzazione per la quale agisce (il sistema mafioso lombardo contestato al capo 1).
2.1. Con il secondo motivo si denuncia l’ i nammissibilità dell’appello con riferimento ai capi 5), 13) e 14), nonché omessa motivazione, travisamento del ‘ fatto ‘ e illogicità della motivazione, con riferimento a gravi indizi di colpevolezza in ordine ai capi di incolpazione citati.
Si richiamano principi giurisprudenziali secondo i quali le disposizioni di cui agli artt. 581 e ss. del codice di rito sono applicabili anche all’appello cautelare, il quale, quindi, deve enunciare i motivi di gravame che hanno la funzione di determinare l’oggetto del giudizio di impugnazione, con specificità quanto all ‘ indicazione delle ragioni di fatto e di diritto dedotte.
Con riferimento al capo 5) si osserva che il Pubblico ministero si è limitato a richiamare integralmente l’ordinanza e la richiesta di misura cautelare, svolgendo osservazioni solo per le posizioni degli indagati per i quali il giudice non aveva ritenuto sussistenti gli elementi indiziari (cfr. appello del pubblico ministero, p. 772).
Con riferimento a COGNOME il Tribunale richiama le considerazioni già esposte per il capo 2), nonché si è precisato che il riconoscimento del reato
associativo di cui al capo 1), consente, quanto al capo 5) la gravità indiziaria anche per la circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen.
Si tratta di motivazione generica, perché priva del requisito di specificità di cui all’art. 581 cod. proc. pen.
Peraltro, il Tribunale, nell’ordinanza impugnata (v. p. 312), rileva che vi è assenza di precedenti penali o, comunque, che vi è la presenza di precedenti penali di scarso spessore per COGNOME, quanto alla contestata recidiva. Inoltre, la circostanza aggravante riconosciuta ha natura soggettiva e quindi avrebbe dovuto il Tribunale esporre le ragioni per le quali dal punto di vista soggettivo questa è configurabile in capo al ricorrent e, quanto all’attività di agevolazione del sodalizio.
Quanto al capo 13) il pubblico ministero riporta integralmente le argomentazioni del Giudice e quelle esposte nell ‘atto di appello , richiamando i punti di cui al § 5.2.5. dell’atto di gravame.
Il Pubblico ministero si sofferma sugli elementi non valorizzati dal Giudice in particolare osservando che COGNOME, al pari di COGNOME, ha diretto le operazioni di recupero del credito vantato e afferma che il Giudice non ha tenuto conto degli elementi di prova quanto al ruolo di intermediario, richiamando la conversazione n. 13167, e la n. 403, con riferimento alla conversazione intercorsa tra il ricorrente e NOME COGNOME.
L’appello, per il ricorrente, non è specifico perché fa riferimento soltanto alle conversazioni captate. Da quella riportata a p. 889 dell’atto di appello non risulta che COGNOME ha chiesto a COGNOME di rintracciare i sardi per recuperare il denaro.
La mera lettura della conversazione, secondo il ricorrente, consente di sostenere che la frase non è mai stata pronunciata da COGNOME. Né emergono altre frasi da questi rivolge agli interlocutori, tali da ritenere che questi abbia chiesto a COGNOME di rintracciare ‘ i sardi ‘ . Secondo il Tribunale COGNOME avrebbe dato disposizioni a COGNOME di far rientrare la persona offesa dalla posizione debitoria con modalità violente e intimidatorie. Invece mai risulta un contatto diretto tra COGNOME e l’estorto, NOME COGNOME tanto che il Tribunale non è in grado di indicare quando e come la condotta si è realizzata.
Per la difesa, non vi sono conversazioni dalle quali evincere che sia stato COGNOME a dare disposizioni a COGNOME di contattare il debitore con modalità violente o intimidatorie. Nulla osserva il pubblico ministero, nel suo atto d’appello, in ordine alla richiesta di riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen., circostanza che dunque non poteva essere riconosciuta per violazione del principio devolutivo.
Con riferimento al capo 14) le argomentazioni in punto di fatto e di diritto del Pubblico ministero sono completamente assenti. Inoltre, qualsiasi atto
successivo al deposito dell’appello non può avere valore in virtù del principio di cui all’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. Nulla argomenta il pubblico ministero, circa il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. che dunque il Tribunale non poteva riconoscere, stante la mancanza di devoluzione della questione.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia l’in ammissibilità dell’atto di appello con riferimento al punto relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari, ai sensi degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen., con violazione di legge e vizio di motivazione.
Il Pubblico ministero, nel suo atto di appello, non ha argomentato circa le esigenze cautelari; l’atto di impugnazione, invero, pedissequamente richiama la richiesta di misura cautelare, con l’unica aggiunta secondo cui il pericolo di reiterazione del reato è conclamato a seguito delle sopravvenute esigenze investigative, di cui alle note integrative dei giorni 8 maggio, 13 giugno, 20 settembre 2023, allegate all’atto d’appello alle quali si rinvia. Si richiamano tali note integrative per segnalare l’attualità delle condotte criminali riferibili agli indagati.
Si esclude, per il ricorrente, che l’impugnante possa sorreggere l’atto di appello attraverso il mero richiamo ad atti precedenti, quali il contenuto della originaria richiesta di misura cautelare, richiamando precedente di legittimità in termini, Sez. 1, n. 21174 del 2024.
Il Pubblico ministero si sarebbe limitato a riprodurre, nell’atto di appello, le stesse indicazioni poste a sostegno della formulata richiesta di misura cautelare, senza argomentare rispetto alle osservazioni contenute nell’ordinanza del Giudice dalle p. 1076 a 1119.
L’ impugnante nulla osserva, con particolare riferimento alla posizione del ricorrente. Questi non ha argomentato, specificamente, per ciascuno degli indagati la sussistenza delle esigenze cautelari.
L’atto di appello con riferimento al delitto di cui al capo 5) è stato formalizzato esclusivamente con riferimento alla posizione degli indagati per i quali il giudice aveva escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza con esclusione quindi dell’odierno di corrente. Per COGNOME, infatti, il primo Giudice aveva condiviso l’impostazione accusatoria escludendo l’applicazione della richiesta di misura coercitiva soltanto per la mancanza di esigenze cautelari (v. p. 746 e ss. dell’ordinanza).
Il richiamo , da parte dell’appellante, a quanto esposto in relazione al capo 2) della rubrica è assolutamente generico e, quindi, l’atto di appello sotto questo profilo è inammissibile; in ogni caso il Tribunale non poteva ritenere la sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio perché è stato già emesso il provvedimento di avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Il provvedimento, peraltro, trascurerebbe il tenore della sentenza irrevocabile, emessa nei confronti dell’indagato, nel procedimento celebratosi a Roma, concluso con sentenza n. 460 del 2024 della Corte di appello di Roma. Ciò influisce negativamente sul pericolo di recidiva perché la motivazione che adotta il Tribunale fonda su elementi risalenti nel tempo, quali la disponibilità di telefoni cellulari dotati di sistema di criptazione riferita al marzo 2021 o sulla presunta operatività di società riconducibili ad altri indagati, per episodi che non vedono partecipe e coinvolto il COGNOME.
Infine, per il ricorrente è soltanto apodittica l’affermazione relativa al tempo trascorso e alla permanenza della associazione che non risulta smantellata, visto invece il passaggio in giudicato dell’assoluzione del ricorrente nel procedimento denominato Affari di famiglia , celebrato in davanti all’Autorità giudiziaria di Roma.
3. La difesa ha fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione in udienza camerale partecipata, ai sensi degli artt. 127, 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, commi 2, lettere a), b), c) e 3 del d.l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha fatto pervenire memoria con la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
La difesa ha fatto pervenire, a mezzo p.e.c. del 15 gennaio 2025, sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma in data 9 febbraio 2023 nei confronti, tra gli altri, del ricorrente.
All’odierna udienza le parti presenti hanno concluso, a seguito di discussione in camera di consiglio partecipata, nel senso precisato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Va premesso, con riferimento alla produzione documentale della difesa, che questa, con p.e.c. del 15 gennaio 2025, ha fatto pervenire quale documento, non allegato a memoria illustrativa, la sentenza resa dalla Corte di appello di Roma, in data 9 febbraio 2023, depositata dai giudici emittenti il 9 maggio 2023.
Va rilevato, in punto ammissibilità della produzione, che la disciplina di cui all’art. 311, commi 4 e 5, cod. proc. pen., ivi compresa la facoltà di dedurre motivi nuovi innanzi alla Corte di cassazione, non consente di depositare documenti, al di fuori della disciplina di cui all’art. 127 cod. proc. pen., tenendo presenti, altresì, i limiti posti dal rito in sede di legittimità.
La giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 209 del 17/09/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281047) ha affermato il condivisibile principio secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione contro i provvedimenti sulla libertà
personale, l’art. 311, comma 4, cod. proc. pen. consente in via eccezionale, prima dell’inizio della discussione, la presentazione di motivi nuovi riguardanti capi o punti della decisione già oggetto di impugnazione ma non autorizza la produzione di documenti che, secondo le regole generali sul procedimento di legittimità ai sensi degli artt. 127 e 311, comma 5, cod. proc. pen., deve intervenire con una memoria depositata in cancelleria al più tardi cinque giorni prima dell’udienza (cfr. come massime conformi, n. 12641 del 2013, Rv. 255118 – 01, n. 34554 del 2003, Rv. 228393 -01).
È appena il caso di osservare che si tratta di documento senz’altro esistente alla data del deposito del ricorso per cassazione, in quanto la sentenza risulta depositata nel 2023 e quella di legittimità, successivamente emessa, nel mese di maggio 2024. Dunque, ove connesso ai motivi di ricorso, il documento andava depositato unitamente all’impugnazione.
In ogni caso, come più avanti si preciserà, ai fini che interessano, giova riscontrare il contenuto del precedente di questa Corte (Sez. 2, n. 11918 del 19 febbraio 2024), che ha parzialmente reso definitiva quella pronuncia, ma ne ha disposto, per alcuni capi e punti, l’annullamento con rinvio.
2. Ciò posto, si osserva che il ricorso è infondato.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Sotto il profilo della contestata sussistenza dell’esternalizzazione nel territorio di riferimento, del metodo mafioso da parte del gruppo trasversale contestato al capo 1), costituito ex novo , si osserva che il Tribunale è giunto a conclusioni opposte a quelle cui è pervenuto il primo Giudice, ritenendo la gravità indiziaria per tale fattispecie e per i capi di incolpazione 13 e 14.
Invero, il provvedimento impugnato nega l ‘ impermeabilità dell’area geografica lombarda, rispetto a fenomeni criminali, sulla base anche d ell’esito d i altri procedimenti che ne hanno escluso tale natura (v. p. 218 e ss.).
Anzi, il Tribunale conclude assumendo che proprio le estorsioni sono espressione di condotte di pesante intimidazione, attuate attraverso minacce, in alcuni casi tradotte in atti di aggressione e lesioni in danno di componenti della comunità, con impiego trasversale di tali metodi di attuazione da parte degli indagati vicini ai gruppi criminali di diversa origine, alcuni dei quali, peraltro, già accreditati sul territorio lombardo per effetto di precedenti condanne e da diffusa notorietà tra la popolazione di riferimento. Il Tribunale rimarca che dagli indagati viene anche richiamata, in maniera espressa a fini intimidatori, l’appartenenza o vicinanza a gruppi di criminalità mafiosa, ben noti agli interlocutori, per essere operativi anche in Lombardia e si fa riferimento all’esistenza anche di un nutrito gruppo di soggetti disposti a spalleggiarli.
Inoltre, l’ordinanza fa riferimento ad annotazioni, prodotte in sede di riesame, atte a documentare i pesanti atti a carattere intimidatorio riconducibili proprio ai gruppi criminali originari, ai quali attinge la struttura associativa di cui al capo 1). Inoltre, si segnala che l’impiego di armi è stato concretamente evocato non solo nell’ambito di vicende estorsive, ma anche per la soluzione interna dei dissidi tra i sodali, oltre ad essere più volte richiamata dagli indagati la necessità di girare armati per affrontare ogni evenienza.
Tale motivazione appare in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’integrazione della fattispecie di associazione di tipo mafioso implica che un sodalizio criminale sia in grado di sprigionare, per il solo fatto della sua esistenza, una capacità di intimidazione non soltanto potenziale, ma attuale, effettiva ed obiettivamente riscontrabile, capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano in contatto con i suoi componenti (tra le altre, Sez. 1, n. 55359 del 17/06/0216, Pesce, Rv. 269043; Sez. 1, n. 25242 del 16/05/2011, Rv. 250704).
Tale indirizzo (ribadito anche in Sez. 6, n. 34874 del 15/07/2015, Rv. 264647; Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Rv. 264623; Sez. 2, n. 25360 del 15/05/2015, Rv. 264120; Sez. 6, n. 50064 del 16/09/2015, Rv. 265656) si è espresso nel senso -seppure con taluni distinguo -che in tema di associazione mafiosa il patrimonio di «concreta capacità di intimidazione», lì dove si rivolga a zone che non hanno in precedenza vissuto neppure in parte le condizioni di «assoggettamento ed omertà», va debitamente attualizzato, nuovamente ricostruito e dimostrato in concreto per potersi ritenere consumato il reato di cui all’art. 416bis cod. pen.
Ai fini della qualificazione ai sensi dell’art. 416bis cod. pen. di una nuova ed autonoma formazione criminale è necessario, dunque, accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da essere capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacità di intimidazione, ancorché non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia, nell’ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di effettiva operatività; c) abbia manifestato una capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale ed abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel “territorio” in cui l’associazione è attiva» (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Rv. 279555-17)
Peraltro, n el caso al vaglio, le organizzazioni criminali ‘madre’ , attraverso proprie costole, sono indicate dal Tribunale come enti che hanno già agito, da tempo, nel territorio lombardo, esternando la loro forza intimidatrice sul territorio medesimo, attraverso l’a ttuazione di tipici reati fine, aggravati dal metodo mafioso.
Quindi, l’esternalizzazione del gruppo costituito ex novo , spende, secondo la ricostruzione non manifestamente illogica del Tribunale, da un lato, la caratura (già esternalizzata) di mafie all ocatesi in Lombardia, dall’altro – quanto meno a livello di gravità indiziaria sufficiente nella presente fase cautelare e salvo ogni approfondimento rimesso a quella di cognizione – attraverso la consumazione di delitti a base violenta o condotte che, comunque, evocano il prestigio delinquenziale della nuova consorteria, qualificante il sodalizio di cui al capo 1), impersonalmente inteso.
Secondo l’ordinanza impugnata, infatti, l’associazione ha una propria mafiosità, derivante anche dalla partecipazione ad essa di soggetti dall ‘ accertata caratura mafiosa, ma soprattutto la manifesta all’esterno, in modo autonomo, pur avvalendosi anche dell’assoggettamento già realizzato nel territorio lombardo, dalle singole mafie storiche, in quanto opera, in modo distinto rispetto a queste ultime e mantiene, rispetto ad esse, una propria autonomia gestionale ed economica.
Il Tribunale si è espresso, dunque, su tale sodalizio individuando una mafia ‘nuova’, come tertium genus , descrivendo il fenomeno mafioso come oggetto di evoluzione. Del resto, secondo la giurisprudenza di legittimità quanto alla pervasività della pressione criminale diffusa sul territorio, è sufficiente ad integrare il reato, che il sodalizio minacci non solo la vita o l’incolumità personale, ma anche le condizioni esistenziali, economiche o lavorative di determinati soggetti, attingendo i diritti inviolabili anche di tipo relazionale delle persone che vengono coattivamente limitate nelle loro facoltà (Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, Rv. 278745-02). Invero, non è necessario il controllo di tutti coloro che vivono in un determinato territorio qualora sia accertato il conseguimento della finalità di assoggettare, al proprio potere criminale, un numero indeterminato di persone appartenenti a una data comunità, sicché è indifferente la mancanza di azioni eclatanti violente, tenuto conto che la fattispecie è integrata anche senza atrocità o mattanze diffuse (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285908).
Peraltro, non deve trascurarsi il dato interpretativo secondo il quale nello schema normativo previsto dall’art. 416bis cod. pen., non rientrano solo grandi associazioni ad alto numero di appartenenti, dotate di mezzi finanziari imponenti, in grado di assicurare l’assoggettamento e l’omertà attraverso il terrore e la persistente messa in pericolo della vita delle persone. Rientrano in tale contesto anche le cd. piccole mafie, con un basso numero di appartenenti, non necessariamente armate, che assoggettano un limitato territorio avvalendosi del metodo mafioso senza necessità che la forza intimidatrice del vincolo sia penetrata, in modo massiccio, nel tessuto economico e sociale del territorio di
riferimento (Sez. 5 n. 15041 del 24/10/2018; Sez. 5, Rv. 274120; Sez. 6 n. 57896 del 26 ottobre 2017, Fasciani).
Perché sussista la condizione di omertà, invero, non è necessaria una generalizzata e sostanziale adesione alla subcultura mafiosa, né una situazione così generale di terrore, tale da impedire qualsiasi atto di ribellione o qualsiasi reazione morale alla condizione di sottomissione. È sufficiente che il rifiuto a collaborare con gli organi dello Stato sia diffuso anche se non generalizzato, che sia un atteggiamento dovuto a paura o danni all’integrità della propria persona o anche all’attuazione di minacce che possano realizzare danni rilevanti, che sussista la diffusa convinzione che la collaborazione con la autorità giudiziaria non impedirà che si riavviano ritorsioni per la ramificazione dell’associazione la sua efficienza la sussistenza di altri soggetti non identificabili e forniti di un potere capace di danneggiare coloro che vi resistono (Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Cicero, Rv. 258637).
Infine, è appena il caso di osservare che, secondo la ricostruzione del Tribunale, il controllo del territorio quale plateale estrinsecazione della carica intimidatoria dell’associazione, si è esplicato, altresì, proprio tramite NOMECOGNOME con il quale direttamente COGNOME collabora, da un certo momento in poi, infiltrando il tessuto economico locale non soltanto con le attività illecite (estorsive e il narcotraffico), ma anche attraverso lo schermo di ‘ test e di legno’, imprese commerciali in diversi ambiti, a un tempo, proficua modalità di reinvestimento dei profitti delittuosi e segno di tangibile presenza verso la collettività locale.
In definitiva, il Tribunale ha dato adeguata motivazione, non rivedibile nella presente sede e fatta salva ogni valutazione di merito rimessa alla fase di cognizione, per reputare sussistente, quanto meno a livello di gravità indiziaria, il sodalizio sub 1), inteso come costituzione di un ‘ associazione legata ad uno specifico territorio, tra soggetti già appartenenti o, comunque, collegati alle mafie ‘storiche’, denominate cosa nostra , ‘ndrangheta e camorra, ma autonoma rispetto ai clan di provenienza degli associati con i quali, questi ultimi continuano a mantenere collegamenti, dotata di cassa comune; si tratta di gruppo dedito sia alla commissione dei reati tipici dei sodalizi mafiosi (estorsioni e traffico di sostanze stupefacenti), sia alla costituzione di società aventi come oggetto sociale lo svolgimento di attività lecite, in particolare nel settore dell’edilizia e dell’autonoleggio , compiute però, in molti casi, con modalità illecite (con particolare riferimento alla provenienza del denaro investito e alla gestione e al raggiungimento dello scopo di profitto).
Con specifico riferimento alla posizione di COGNOME poi, non coglie nel segno l’osservazione difensiva secondo la quale assumere bbe valore dirimente la sua estraneità al gruppo criminale denominato Senese.
Invero, COGNOME non risulta raggiunto da condanna definitiva per appartenenza a sodalizio camorristico denominato clan Senese. Anzi questi è stato assolto, nel processo svolt o dinanzi all’Autorità giudiziaria di Roma, per due tentativi di estorsioni aggravate ai sensi dell’art. 416 -bis .1 cod. pen. (cfr. Sez. 2, n. 19118 del 19/2/24).
Tuttavia, nel sodalizio di cui al capo 1), non mancano partecipi, anche in posizione apicale, privi di precedenti penali per reati associativi (si pensi alla posizione di COGNOME, indicato come vertice del clan ).
Ciò in quanto il Tribunale descrive la struttura associativa come variegata e composita e che vede la partecipazione e l’apporto anche di partecipi privi di precedenti condanne per reati associativi, proprio per la peculiare attività che costituisce, oltre alle estorsioni e al narcotraffico, il core business del sodalizio (quale l’intestazione e la gestione di plurime società), onde poter operare in territorio lombardo, apparentemente, attraverso lo svolgimento di attività lecite. Dunque, la spendita della fama criminale non deriva solo dalle mafie di origine degli appartenenti ma anche da attività intimidatrici, già attuate sul territorio lombardo da gruppi -quali la ‘ndrangheta in particolare -ivi delocalizzati da tempo e, comunque, attraverso propri componenti, anche privi di condanne a proprio carico per reati associativi, vicini a quei sodalizi che si ricompattano ex novo , con proprie basi logistiche, società con sedi in Lombardia, attività illecite svolte sul territorio di riferimento.
Nel l’ordinanza, poi, sono enucleati tutti i summit cui COGNOME partecipa (v. p. 254 dell’ordinanza ) svolti negli uffici della RAGIONE_SOCIALE gestita da Amico, indicata dal Tribunale del riesame come sede operativa del sodalizio sita in Dairago. Il ricorrente viene descritto come uomo di fiducia e di azione di NOME COGNOME in Lombardia, gli si riconosce il ruolo di trasferire le comunicazioni tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e altri associati.
Dopo l’arresto di COGNOME questi viene indicato come stretto collaboratore di Amico per garantire continuità all’operatività dell’associazione. Il ricorrente, secondo il provvedimento impugnato, agisce e prende parte alla realizzazione di attività illecite, tipiche del sodalizio, quali le estorsioni di cui ai capi 13) e 14), ha disponibilità di armi e propone di acquistarne altre. Egli esterna la necessità di recupero di denaro per i carcerati nella cassa comune alla quale dovevano partecipare tutte le componenti che costituiscono l’organismo plurisoggettivo avente fulcro in Lombardia (cfr. prog. n. 6560 del 11.3.2021).
COGNOME, secondo il Tribunale, è intervenuto anche nella diatriba RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE, chiedendo ai creditori di scaglionare il pagamento del debito in più rate, facendosi garante con i Pace e con i Crea, per il debito di Amico. In tale contesto questi, secondo il provvedimento impugnato, ha organizzato le consegne di denaro ai Pace, per conto di RAGIONE_SOCIALE, stabilendo scadenze dei pagamenti. Infine,
viene ritenuta la gravità indiziaria per il reato di cui al capo 5) concernente la violazione della normativa in tema di armi, peraltro, contestato in concorso proprio con NOME e Vestiti.
Dunque, COGNOME viene indicato come partecipe in posizione significativa, espressione della famiglia COGNOME, originaria del territorio di Afragola e operante in Roma e che ha agito, in Lombardia, come persona di fiducia di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, partecipe delle attività estorsive di cui ai capi 13) e 14) (p. 261 e ss.), nonché del reato di cui al capo 5, per il quale il primo Giudice, pur avendo ritenuto la gravità indiziaria, aveva escluso la circostanza aggravante relativa all ‘ agevolazione della associazione di cui al capo 1), negando l’adozione della misura per insussistenza di esigenze cautelari.
Il Tribunale valorizza la circostanza che COGNOME si era recato accompagnato da NOME COGNOME, autista e guardia spalle di Senese, ad uno dei summit del gruppo (quello durante il quale il ricorrente, insieme a NOME COGNOME, rientrati nell’ufficio di Cinisello Balsamo, contavano i soldi ricevuti).
COGNOME, è inserito, per il Tribunale, a pieno titolo nella società costituita da NOME e NOME COGNOME (quest’ultimo proveniente dalla ‘ndrangheta di Lonate Pozzuolo) per porre in essere una serie di operazioni illecite. Si tratta della società RAGIONE_SOCIALE costituita il 13 aprile 2021, ritenuta riconducibile ad NOME come l’acronimo RAGIONE_SOCIALE dimostra (NOME NOME Emanuele: cfr. p. 271).
Dalla sua comparsa in Lombardia, COGNOME viene segnalato come figura di riferimento delle varie componenti dell’associazione, partecipa ad un incontro con una personalità di spicco del sodalizio che è NOME COGNOME dal quale si reca (presso gli uffici della società RAGIONE_SOCIALE in Abbiategrasso) il 13 aprile 2021. In questo incontro, si descrive COGNOME come soggetto che si presenta a nome di COGNOME e di COGNOME, che viene accolto e diventa interlocutore per le questioni che, da quel momento, venivano trattate, vedendo schierarsi gli associati, alcuni in favore di COGNOME, altri, nel sostenere le pretese dei COGNOME, appartenenti alla componente trapanese dell’associazione.
Il Tribunale considera, poi, significative le relazioni anche con soggetti come NOME COGNOME, esponente siciliano del gruppo, da tempo, operante in Lombardia, con NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME parente dell’allora latitante NOME COGNOME.
COGNOME è indicato come presente in quasi tutti i summit che si sono susseguiti alla data del marzo 2021, dopo la scarcerazione nell’ambito di procedimento pendente presso l’Autorità giudiziaria di Roma che ha portato all’arresto di COGNOME e dello stesso COGNOME. Questi è indicato come affiancato ad COGNOME il quale, nei momenti di difficoltà, contava proprio sul suo aiuto, non facendosi scrupolo di convocare anche figure storiche di cosa nostra ,
provando a organizzare ‘ abboccamenti ‘ e introducendo collegamenti con le famiglie trapanesi e della ‘ ndrangheta , onde proseguire gli affari.
A fronte di tale complesso di elementi indiziari, è appena il caso di osservare che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito: tra le doglianze proponibili non rientrano, infatti, quelle relative alla mera interpretazione degli indizi e delle prove, ancorché implicanti la ricomposizione di dissensi o contrasti sul loro reale significato, ovvero la scelta tra divergenti versioni e ricostruzioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01), non integrando manifesta illogicità della motivazione né la prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali, ritenuta più logica, né minime incongruenze, né la mancata confutazione, nel provvedimento impugnato, di un’argomentazione difensiva, non essendo tenuto, il giudice del merito, a compiere un’analisi dettagliata di tutte le deduzioni delle parti e di ogni risultanza processuale, essendo sufficiente una valutazione globale tale da esplicitare le ragioni della decisione, specie laddove queste siano incompatibili con quanto sostenuto da parte ricorrente; solo quando il dato probatorio asseritamente trascurato o travisato abbia una chiara e decisiva forza dimostrativa, tale da scardinare l’intero ragionamento su cui si fonda il provvedimento impugnato, è possibile riconoscere un vizio motivazionale (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168 – 01) .
2.2. Il secondo motivo è inammissibile.
D eve, innanzitutto, escludersi la dedotta inammissibilità dell’appello della parte pubblica, essendo in proposito sufficiente richiamare i passaggi con i quali il pubblico ministero ha indicato, con specificità e chiarezza, i specifici motivi che sorreggevano il gravame, con riferimento:
-al capo 5): il pubblico ministero ha contestato l’esclus ione della circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen., rilevando che «Il riconoscimento dell’esistenza del reato associativo di cui al capo 1), pertanto, consente il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p., in quanto, è evidente che la detenzione fosse funzionale al sistema mafioso lombardo» (v. p. 772);
-al capo 13): il pubblico ministero ha contestato l’esclusione del concorso di persona nel reato da parte di COGNOME (p. 888 e ss.), rilevando che il giudicante non aveva tenuto conto di una serie di elementi a riprova del ruolo rivestito, con particolare riferimento a una intercettazione telefonica e a una intercettazione ambientale, elementi ignorati nei confronti del ricorrente quanto alla qualità di
intermediario. Inoltre, si osserva che il Giudicante ha sottovalutato la circostanza che COGNOME (la persona offesa) abbia subito minacce, anche gravi, da parte degli estorsori, tanto da dover pagare una rilevante somma -definita come interessi -per il ritardo con cui ha saldato il debito iniziale. La circostanza poi che: ‘COGNOME NOME e COGNOME costoro non appartengono, neppure nella tesi accusatoria, ad alcun sodalizio’ non incide sulla sussistenza del metodo mafioso. Al riguardo, osserva l’appellante come ‘ la giurisprudenza di legittimità ha statuito che la circostanza aggravante del cosiddetto ‘metodo mafioso’ è configurabile anche a carico di un soggetto che non faccia parte di un’associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nell a commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga a un sodalizio del genere anzidetto (Sez. 2, n. 38094 del 05/06/2013; Sez. 1, n. 4898 del 26/11/2008) e non necessita che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo (Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019; Sez. 2, n. 16053 del 25/03/2015)’. Il riconoscimento dell’esistenza del reato associativo di cui al capo 1), pertanto, consente il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p. Anche per questo capo di imputazione, pertanto, l’ordinanza va riformata con applicazione della misura cautelare per tutti gli indagati» (p. 888 e ss.);
-al capo 14): il pubblico ministero ha contestato l’esclusione dei gravi indizi ricostruendo i fatti e rilevando che il Giudicante non tiene conto dell’insieme delle risultanze investigative a carico, rimarcando anche il rilievo delle frasi di uno dei concorrenti nel reato (COGNOME) direttamente nei confronti della vittima COGNOME; parole nelle quali emerge , per l’appellante, fortemente una condotta silente, fatta di messaggi velati, tipicamente mafiosa (v. p. 894), e che «Anche per questo capo di imputazione, pertanto, l’ordinanza va riformata, con applicazione della misura cautelare per tutti gli indagati» (v. p. 896);
-all ‘aggravante mafiosa: «Nel caso di specie l’aggravante in esame ricorre indubbiamente nella forma dell’agevolazione dell’ associazione mafiosa, vista la finalizzazione specifica delle attività contestate, nonché nella forma del metodo mafioso ogni qualvolta la condotta sia stata posta in essere avvantaggiandosi ed approfittando delle condizioni di assoggettamento ed omertà di cui il sistema mafioso lombardo si avvale (nelle singole articolazioni di riferimento). L’ordinanza del Gip va, pertanto, riformata anche sul punto» (pag. 1076).
L’appellante non si è, dunque, limitato a riproporre quanto già illustrato nella richiesta, parzialmente disattesa dal Giudice, m a ha corredato l’atto di appello di una puntuale critica delle motivazioni con le quali il giudicante aveva
escluso la gravità indiziaria in relazione ad alcuni reati ovvero ad alcune circostanze aggravanti.
Nel resto, le osservazioni svolte dal ricorrente sono versate in fatto e rivalutative rispetto alle fonti indiziarie esaminate dal Tribunale, nonché devolvono a questa Corte l’inammissibile rilettura dei dati valutati con l’ordinanza impugnata. Peraltro, la doglianza sviluppata in relazione al capo 5), con riferimento alla circostanza aggravante è generica, avendo il Tribunale del riesame messo in evidenza la stretta correlazione tra le attività delittuose del sodalizio mafioso oggetto di investigazione e la disponibi lità dell’arma in oggetto, con argomentazione sintetica ma esaustiva, non adeguatamente contrastata dal ricorrente.
Quanto ai residui capi di incolpazione, va riscontrata l’ampia ed articolata motivazione svolta dal Tribunale, che risponde ai canoni di quella che deve essere posta a base di un provvedimento che, in chiave peggiorativa, ribalti ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., la pronuncia del Giudice adito in prima battuta con la richiesta di misura cautelare.
Su tale punto, va osservato che secondo questa Corte di legittimità, in tema di appello cautelare proposto dal pubblico ministero, la riforma sfavorevole all’indagato della decisione emessa dal Giudice per le indagini preliminari, relativamente all’insussistenza dei gravi indizi di reato, non impone, diversamente da quanto richiesto nel giudizio di merito, la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, dell’insostenibilità della soluzione adottata dal primo giudice, essendo tuttavia, comunque necessaria, ai fini dell’applicazione della misura cautelare per effetto del ribaltamento, la gravità indiziaria connessa ad una prognosi di elevata probabilità di condanna (Sez. 2, n. 12851 del 07/12/2017, dep. 2018, COGNOME Rv. 272687; Sez. 2, n. 43146 del 28/06/2016, Battaglia, Rv. 268370).
Ove, come nella specie, il Tribunale in funzione di riesame accolga la domanda cautelare, riformando in sede di appello, ex art. 310 cod. proc. pen., la decisione di rigetto di applicazione della misura, per parte della giurisprudenza di legittimità, deve escludersi la sussistenza di un onere di motivazione cd. rafforzata, in quanto tale onere è configurabile solo in sede di giudizio di merito, dove il canone valutativo è costituito non dalla gravità indiziaria, ma dalla certezza processuale della responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. 5, n. 28580 del 22/09/2020, M., Rv. 279593). A tale indirizzo si contrappone quello secondo cui «in tema di appello cautelare, la riforma in senso sfavorevole all’indagato della decisione impugnata impone al tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, un rafforzato onere motivazionale, valevole a superare le lacune dimostrative evidenziate dal primo giudice, essendo necessario confrontarsi con le ragioni del provvedimento
riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata (Sez. 1, n. 474361 del 09/11/2022, Rv. 283784).
In ogni caso, incombe sul decidente la verifica, sia pur implicita, degli argomenti a sostegno della decisione liberatoria impugnata, se interferenti con i presupposti della divergente valutazione adottata in appello, configurandosi altrimenti un vizio di motivazione che deve essere specificamente dedotto, attraverso l’indicazione del profilo neppure implicitamente valutato (Sez. 6, n. 11550 del 15/02/2017, COGNOME, Rv. 269138), vizio che non si riscontra nell’ordinanza impugnata.
2.3. Il terzo motivo è infondato.
Le doglianze relative alle esigenze cautelari sono destituite di fondamento, essendo in proposito sufficiente rilevare che l’ultima parte dell’appello del pubblico ministero conteneva (v. p. 1076 e ss.) specifiche considerazioni in tema di esigenze cautelari, che andavano ad aggiungersi a quelle già sviluppate in sede di richiesta di misura. Peraltro, si sarebbe senz’altro potuto invocare ancora maggiore specificità nel motivo relativo alle esigenze cautelari solo ove il pubblico ministero avesse presentato appello avve rso un’ordinanza che, riconosciuti i gravi indizi di colpevolezza, aveva escluso la sussistenza di esigenze cautelari. Il Pubblico ministero ha, invece, impugnato un’ordinanza che ha escluso i gravi indizi della sussistenza del reato di associazione mafiosa, reato per il quale il legislatore ha previsto una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, sicché, anche alla luce di questa considerazione, i motivi di appello sviluppati sul punto devono ritenersi sufficientemente specifici.
Sul punto va, infine, rilevato che il provvedimento impugnato ha richiamato la sicura operatività della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Deve, in proposito, rammentarsi il consolidato orientamento di legittimità in base al quale «In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente”, ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati, non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari» (Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131 – 01).
Con specifico riferimento alla deduzione relativa all ‘accertata insussistenza di un gruppo denominato Senese, si osserva che Sez. 2, n. 11918 del 19/02/2024
cit., che ha deciso le impugnazioni avverso la richiamata sentenza della Corte di appello di Roma, riguarda reati di autoriciclaggio, artt. 512bis , 648-bis cod. pen., usura, a ggravati ai sensi dell’art. 416 -bis .1 cod. pen. a carico, tra gli altri di NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e di COGNOME. Quest’ultimo rispondeva, in quel processo, di due tentativi di estorsione (capi 53 e 57) e la pronuncia della Corte di appello è attinta da ricorso per cassazione dal Procuratore generale, perché aveva escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen., oltre che dai ricorsi degli imputati.
L’assoluzione era stata pronunciata perché i capi di imputazione, quanto alla circostanza aggravante, facevano riferimento, come associazione agevolata dai reati contestati, alla camorra, mentre l’istruttoria aveva fatto emergere che le attività andavano ad agevolare il gruppo COGNOME e, rispetto a questo, la Corte di appello, incidentalmente, aveva escluso che si trattasse di clan autonomo rispetto alla mafia storica indicata nell’imputazione (camorra nella specie). Sicché, per la posizione di COGNOME la pronuncia di assoluzione irrevocabile attiene a due reati fine.
È appena il caso di osservare, comunque, che dalla pronuncia di legittimità indicata risulta che è stato pronunciato, nei confronti di alcuni imputati, l’ annullamento con rinvio, proprio nella parte relativa alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen. nella forma dell’agevolazion e del clan COGNOME. Per gli altri coimputati (tra cui COGNOME e COGNOME) è stata pronunciato annullamento con rinvio sulla sussistenza del clan COGNOME. La pronuncia di questa Corte, in motivazione, peraltro, fa riferimento a molteplici procedimenti in cui questo gruppo è stato ritenuto esistente (e viene citata la sentenza del Giudice per le indagini preliminari il 12 luglio 2010 che ha rimarcato l’esistenza del clan COGNOME, descritto come capeggiato da NOME COGNOME originariamente affiliato al clan camorristico COGNOME, operante in Afragola, nel cui ambito NOME COGNOME aveva acquisito considerazione per le sue capacità di killer , giungendo a trasferirsi a Roma, dando luogo ad un gruppo criminale autonomo, strutturato e dota to di armi che si avvaleva dell’aurea criminale del capo e di metodi violenti così da imporsi nel territorio capitolino nel settore dell’usura, estorsioni, spaccio di sostanze stupefacenti).
Segue il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali. Per tutti i capi di incolpazione per i quali il Tribunale ha accolto l’appello della parte pubblica emettendo titolo cautelare, vanno eseguiti, a cura della Cancelleria, gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso, il 31 gennaio 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME