Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 24680 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 24680 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME AlessandroCOGNOME nato a Mazara del Vallo il 19/09/1982
avverso l’ordinanza del 07/01/2025 del Tribunale di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME per il tramite del difensore, impugna l’ordinanza del Tribunale di Palermo che, in funzione di Giudice del riesame ex art. 309 cod. proc. pen., ha rigettato il ricorso avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari che aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere in merito alla contestata partecipazione all’associazione di tipo mafioso ex art. 416bis, primo, terzo, quarto e sesto comma, cod. pen. (capo 1) ed al concorso nella turbativa d’asta, aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso e per aver agevolato l’associazione mafiosa ex artt. 81, 110, 353 e 416-bis.1 cod. pen. (capo 3).
Per quel che in questa sede rileva, le indagini effettuate avrebbero portato i Giudici della cautela, sulla base degli elementi provenienti dall’attività tecnica disposta, a ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza circa la partecipazione del ricorrente, in posizione sovraordinata ed in vece del fratello NOME COGNOME, detenuto, all’associazione mafiosa “Cosa nostra”, con particolare riferimento al “mandamento” di Mazzara del Vallo (capo 1).
Il ruolo di rappresentante di “RAGIONE_SOCIALE” veniva ricostruito attraverso l’analisi delle risultanze, da cui emergeva la diretta soluzione di questioni afferenti alla tutela degli uomini appartenenti al sodalizio, e con la ricostruzione della vicenda che aveva portato, previo allontanamento di altri offerenti, all’aggiudicazione di beni relativi al fallimento della “RAGIONE_SOCIALE Giuseppe RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE venduti in un’asta giudiziaria, delitto che il Tribunale ha ritenuto essere stato commesso con modalità mafiose e funzionale all’agevolazione della associazione mafiosa (capo 3).
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame il ricorrente formula tre motivi di ricorso complessivamente tesi a confutare la gravità indiziaria in ordine alla partecipazione all’associazione mafiosa ed al concorso nel delitto di cui all’art. 353 cod. pen. aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 416-bis cod. pen., 192 e 273 cod. proc. pen. nella parte in cui il Tribunale del riesame ha omesso di fornire risposta alle censure che intendevano evidenziare come, in disparte il rapporto familiare con il fratello NOME COGNOME, NOME COGNOME si fosse limitato ad ascoltare quanto riferitogli dal fratello ovvero da parte di terzi che si assumono essere partecipi del sodalizio, senza che da ciò si tragga un “facere mafioso”, a fronte di una ricostruita partecipazione alla associazione mafiosa sulla base di dati meramente congetturali e privi di capacità dimostrativa.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la mancanza di motivazione in ordine ai rilievi effettuati in sede di riesame, specie per quel che concerne: 1) la condotta afferente alla procurata inosservanza di pena in favore di NOME COGNOME; 2) la disamina delle intercettazioni del 2 agosto 2021; 3) le allegazioni probatorie relative alla figura di NOME COGNOME; 4) la valenza delle intercettazioni del 26 agosto 2017; 5) i dedotti contrasti interni al mandamento di Mazara del Vallo tra NOME COGNOME e NOME COGNOME; 6) e 7) le allegazioni di rilevanti captazioni telefoniche da cui era possibile ricavare l’autonomia operativa di NOME COGNOME e, conseguentemente, l’assenza del ruolo di alter ego del fratello NOME, in capo ad NOME COGNOME; 8) la rilevanza che era necessario attribuire all’annullamento della misura da parte del Tribunale del riesame in ordine alla gravità indiziaria per la turbativa d’asta, evenienza che conduceva il
ricorrente ad essere l’unico soggetto chiamato a rispondere del delitto di turbativa d’asta di cui al capo 3; 9) il dedotto contrasto sussistente tra NOME COGNOME e NOME COGNOME; 10) l’erronea interpretazione delle intercettazioni nella parte in cui si assume sussista un ruolo sovraordinato da parte del ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 110, 353 e 416bis.1 cod. pen. e 125, 192, 273 e 292 cod. proc. pen.
Si rivolgono censure all’omesso confronto rispetto alla devoluzione difensiva, superata attraverso la trascrizione pedissequa, acritica e decontestualizzata del contenuto delle conversazioni intercettate tra NOME COGNOME e NOME.
2.4. Con il quarto motivo di deduce la violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. ed artt. 192 e 273 cod. proc. pen. nella parte in cui il Tribunale ha erroneamente ritenuto che la violenza fisica esercitata da COGNOME fosse una metodica mafiosa.
Anche relativamente alla ritenuta sussistenza dell’aggravante soggettiva della finalità mafiosa, si rileva come la condotta del COGNOME esulasse dall’orbita decisoria del ricorrente e, pertanto, non sussistesse la consapevolezza del suo esercizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, in quanto manifestamente infondato e generico, deve essere dichiarato inammissibile.
Deve, in termini generali, ribadirsi il consolidato principio di diritto secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare se la decisione impugnata abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto il collegio ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460), dovendo qualificarsi inammissibile il ricorso per cassazione quando i motivi si risolvono nella censura di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti.
Costituisce, invece, una censura del merito della decisione quella attraverso cui si tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri (Sez. 5, n. 2459 del 17/04/2000, Garasto, Rv. 216367) o una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
Egualmente precluso in sede di legittimità risulta il tentativo di assegnare alle conversazioni captate un significato differente da quello dato dal Giudice di merito, salvo che lo stesso risulti manifestamente illogico (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
Anche nel giudizio di legittimità afferente all’impugnazione di una ordinanza resa dal tribunale del riesame deve ritenersi applicabile il principio giurisprudenziale, reiteratamente espresso in ipotesi di ricorsi avverso le sentenze di merito, secondo cui è inammissibile per genericità l’impugnazione carente di ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità (tra tante, Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945).
Ciò premesso in termini generali, il primo motivo con cui il ricorrente assume che sia stato valorizzato il dato che lo vedeva fratello di NOME COGNOME in assenza di condotte dimostrative di una “appartenenza attiva”, è manifestamente infondato ed aspecifico.
Sotto tale aspetto, completa e logica, nei limiti della presente fase cautelare, risulta l’analisi svolta in merito al contenuto delle captazioni da parte del Collegio della cautela, che ha ricostruito il ruolo attivo del ricorrente in conformità con la necessaria oggettivizzazione della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, tale da denotare lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi» (Sez. U, n. 36958 del 2021, Modaffari, Rv. 281889 -01).
Ed invero, la difesa, che rivolge diffuse critiche al provvedimento, omette in realtà di prendere in esame la motivazione del Tribunale che, contrariamente a quanto si deduce, non ha ritenuto asetticamente determinante (secondo una lettura edulcorata e riduttiva del provvedimento) il legame tra il ricorrente ed il fratello NOME COGNOME, vertice del sodalizio, ma ha evidenziato le plurime emergenze che deponevano per una presa in carico da parte di NOME
Messina delle prerogative di capo “mandamento” spettante al fratello, ergendosi ad alter ego di costui in quanto detenuto.
Plurimi risultano i fatti, tutt’altro che privi del carattere dell’operatività, c hanno visto NOME COGNOME porre in essere condotte che esprimevano in maniera tangibile l’esercitato ruolo di leader direttamente promanante dal rapporto con il fratello, partecipando attivamente, in conformità al ruolo che gli veniva riconosciuto dai sodali e dai terzi, per risolvere ogni controversia di specifico interesse del sodalizio mafioso di appartenenza, anche al cospetto di personaggi di vertice di compagini mafiose territorialnnente limitrofe.
Il Tribunale ha evidenziato come già in precedenza il fratello NOME, a capo del “mandamento”, avesse informato NOME COGNOME di questioni connesse ai rapporti con esponenti di differenti compagini mafiose, occasione in cui il ricorrente aveva dimostrato di essere a conoscenza delle dinamiche operative delle compagini mafiose, dei soggetti a capo delle stesse e dei meccanismi che disciplinavano i “corretti” rapporti tra esponenti e i sodalizi, anche con riferimento all’area di rispettiva influenza e “competenza” territoriale.
Proprio tale ruolo di esponente di vertice, quale detentore del potere riconosciuto al fratello che era impossibilitato ad esercitarlo dal carcere, veniva in concreto esercitato per difendere l’onore del fratello NOME COGNOME nei confronti di chi si era permesso di mancargli di rispetto, di dirimere le questioni connesse alla vendita di beni riconducibili al fallimento della “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE sulla cui definitiva attribuzione si era in passato già pronunciato il fratello NOME e che aveva visto NOME COGNOME impegnarsi con tutti i protagonisti della vicenda (soggetti interessati all’acquisto del compendio e vertici di altra compagine mafiosa) per tenere ferme le volontà espresse dal germano.
4. Aspecifico si rivela, altresì, il secondo motivo, con cui la difesa contesta l’omessa confutazione di plurime deduzioni presentate in sede di riesame che, invero, si risolve nella richiesta di assegnare prevalenza ad una lettura delle risultanze ponendole in contrapposizione con quelle (ignorate nel ricorso) che sono state invece valorizzate dal Tribunale, là dove, attraverso l’analisi delle captazioni che descrivevano il ruolo assunto in occasione delle vicende sopra enunciate (mancanza di adeguato “rispetto” nei confronti del fratello NOME e aggiudicazione ed acquisto dei beni provenienti dal fallimento), si è dato conto delle ragioni alla base della ritenuta partecipazione del ricorrente quale alter ego del fratello detenuto.
Né può omettersi di osservare come sia preclusa in sede di legittimità la possibilità per il ricorrente di assegnare un significato alle intercettazioni
differente da quello invero non illogico desunto dal contenuto dell’ordinanza, specie nella parte in cui vengono descritte le fasi del procedimento giudiziario teso all’aggiudicazione del compendio immobiliare proveniente dal fallimento, gli interessi della cosca di Mazara del Vallo, la pregressa attenzione da parte di NOME COGNOME la pretesa di essere “competenti” e “legittimati” ad esercitare l’imposizione del potere mafioso in ragione dell’allocazione territoriale dei beni in questione e ·la comunicazione della decisione, non negoziabile in quanto conforme alla decisione presa dal ricorrente, che i beni sarebbero stati ripartiti in parti uguali tra i pretendenti acquirenti.
Generica e manifestamente infondata si rivela la doglianza in ordine alla omessa risposta circa le ragioni che avevano visto altri soggetti implicati nella vicenda di cui al capo 3 ex art. 353 cod. pen., questione invero affrontata dal Tribunale, che ha evidenziato come l’annullamento della misura nei confronti di altri concorrenti fosse avvenuta per questioni di natura meramente processuale, punto della decisione ignorato nel ricorso.
Generici risultano il terzo ed il quarto motivo con cui si censura, in maniera apodittica e senza alcun confronto con le risultanze analizzate dal Tribunale, la gravità indiziaria del delitto di turbativa d’asta aggravata dall’avvalimento del metodo mafioso e dalla finalità di agevolare la compagine criminale di Mazara del Vallo.
Il Tribunale ha ripercorso la procedura giudiziaria tesa all’aggiudicazione dei beni immobili appartenenti al fallimento della “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE, sintetizzando le fasi in cui la stessa è andata deserta per l’allontanamento di ogni ulteriore compratore, la conseguenziale riduzione del prezzo che consentiva ad un solo partecipante di divenire titolare del compendio e le operazioni che, sulla base di accordi contestuali e successivi al trasferimento dei beni, erano strettamente finalizzati a far conseguire ai due sodalizi (di Mazara del Vallo e di Palermo) notevoli vantaggi economici o attraverso la consegna di parte del valore dei beni o per mezzo del trasferimento della metà degli stessi.
In disparte la condotta tipicamente mafiosa concretizzatasi con le violenze esercitate nei confronti del partecipante all’asta che, piuttosto che rivolgersi al vertice del mandamento di Mazara del Vallo, aveva preferito rivolgersi a “rappresentante” di altra compagine mafiosa che si assumeva fosse “incompetente”, determinante risulta, alla luce della aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. contestata in forma cumulativa nella sua declinazione oggettiva (dell’avvalinnento del metodo mafioso) e soggettiva (della finalità di agevolare l’associazione mafiosa), il dato valorizzato nell’ordinanza, da cui emerge come in data precedente alla definizione dell’acquisto dei beni fosse stata realizzata la
finalità di far conseguire vantaggi economici alla cosca di Mazara del Vallo. Tale obbiettivo veniva in concreto raggiunto attraverso la ripartizione dei benefici in
parti uguali (quantomeno in termini di vantaggi economici spettanti ad ogni parte in causa), coinvolgendo, oltre che i pretendenti titolari dei beni interessati
dal bando, anche i due sodalizi che proprio su detto punto avevano trovato un accordo solo grazie ad una diretta interlocuzione dello stesso NOME COGNOME
con esponenti dell’altra compagine.
6. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod.
proc. pen.
7. L’attuale stato cautelare cui è sottoposto il ricorrente impone, ai sensi dell’art. 94, comma
1 -ter, disp. att. cod. proc. pen., la trasmissione del presente
provvedimento a cura della Cancelleria al direttore dell’Istituto penitenziario per gli adempimenti di cui al comma 1-bis dell’art. cit.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/05/2025.