Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20161 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20161 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Torino il 21/03/1974
avverso l’ordinanza emessa il 16/10/2024 dal Tribunale del riesame di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni dell’Avvocato generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
NOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 16 ottobre 2024 il Tribunale del riesame di Torino confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino nei confronti di NOME COGNOME il 27 settembre 2024, per le ipotesi di reato ascrittegli ai capi A e C della rubrica.
Occorre premettere che il provvedimento cautelare genetico veniva adottato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino nel contesto di una più ampia attività d’indagine, che riguardava la sfera di operatività dell’articolazione ‘ndranghetistica attiva in Piemonte, nell’area di Carmagnola, egemonizzata da NOME COGNOME, così come contestata a NOME COGNOME al capo A.
Si accertava, in tale ambito, che il sodalizio ‘ndranghetistico di cui al capo A operava secondo il modello tipizzato dall’art. 416-bis cod. pen., risultando dimostrati il metodo mafioso, la forza intimidatrice e il vincolo di omertà, attraverso cui, nel corso degli anni, si erano imposti sulla porzione del territorio piemontese nel quale si era radicato. Sulla sfera di operatività di questa consorteria nel provvedimento cautelare genetico impugnato si richiamavano anche gli esiti di altri procedimenti penali, riguardanti le diramazioni piemontesi della ‘Ndrangheta, che confermavano l’immutata presenza nell’area piemontese del gruppo criminale in esame, chiarendo gli scenari nei quali il sodalizio operava nell’area carmagnolese, che costituiscono l’oggetto del presente procedimento cautelare.
In questa cornice indiziaria, si contestava a NOME COGNOME al capo A, ai sensi dell’art. 416-bis, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, cod. pen., la partecipazione dell’articolazione consortile presente nel territorio di Carmagnola, egemonizzata da NOME COGNOME, che è un esponente storico della criminalità ‘ndranghetistica, all’interno della quale si occupava di comunicare le direttive impartite agli affiliati dai vertici consortili e di sostene economicamente e logisticamente i vari sodali.
Si contestavano, inoltre, a NOME COGNOME, al capo C, ai sensi degli artt. 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, due reati satellite, riguardanti.- il porto e l detenzione di due pistole, commessi in relazione alla sfera di operatività del sodalizio carmagnolese, dei quali il ricorrente discuteva con NOME COGNOME in occasione delle intercettazioni ambientali, registrata all’interno dell’abitazione dello stesso COGNOME, richiamate nelle pagine 38-40 del provvedimento censurato.
Secondo il Tribunale del riesame di Torino, il coinvolgimento di NOME COGNOME nelle ipotesi delittuose che gli venivano contestate ai capi A e C, sopra descritte, si riteneva corroborato dalle attività di captazione svolte nel corso delle indagini preliminari, passate analiticamente in rassegna nelle pagine 35-40 dell’ordinanza impugnata, da cui si evinceva l’inserimento stabile nell’indagato nella consorteria carmagnolese, nella quale operava in stretta collaborazione con NOME COGNOME.
Si ritenevano, infine, sussistenti le esigenze cautelari indispensabili al mantenimento del regime detentivo applicato, rilevanti ai sensi dell’art. 274, comma 1, . lett. c), cod. proc. pen., per effetto dell’elevato disvalore delle condotte delittuose commesse da Russo e della loro riconducibilità a un più vasto ambito criminale, collegato del gruppo ‘ndranghetistico di cui si è detto, nel cui contesto si concretizzavano gli episodi delittuosi contestati all’indagato ai capi A e C, che apparivano strettamente collegati alla sua affiliazione al sodalizio in esame.
Sulla scorta di questi elementi indiziari, il Tribunale del riesame di Torino confermava il provvedimento cautelare genetico.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorreva per cassazione, articolando promiscuamente tre censure difensive.
Con il primo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto del compendio indiziario acquisito, necessario alla configurazione del reato associativo ascritto a NOME COGNOME al capo A, rispetto alla quale si evidenziava una discrasia motivazionale – analizzata alla luce delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari – tra il ruolo attribui al ricorrente all’interno del gruppo carrnagnolese e le emergenze probatorie, che apparivano prive di univocità, sia sotto il profilo del contributo causale sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, per non avere il Tribunale del riesame di Torino dato adeguato conto della configurazione dell’ipotesi delittuosa contestata a NOME COGNOME al capo C, che era il frutto di una ricostruzione meramente congetturale degli eventi esaminati e doveva essere esclusa sulla base delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, esclusivamente rappresentate dalla captazione ambientale n. 2883 del 26 febbraio 2024, che si riteneva sprovvista di univocità indiziaria nei confronti del ricorrente.
GLYPH
Con il terzo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, per avere la decisione in esame, a fronte della contraddittorietà del compendio indiziario acquisito nel corso delle indagini preliminari, resa evidente dalle doglianze precedentemente esposte, confermato la misura cautelare genetica, applicata a NOME COGNOME in modo automatico e senza tenere conto degli elementi sintomatici della sua pericolosità sociale, sui quali il Tribunale del riesame di Torino si era espresso in termini assertivi e svincolati dalle risultanze processuali.
2.1. Queste argomentazioni difensive venivano richiamate e ulteriormente ribadite con i motivi nuovi depositati dall’avv. NOME COGNOME che costituivano un approfondimento delle tre censure difensive prospettate nell’originario atto di impugnazione, riguardanti, le prime due, la conferma del giudizio di gravità indiziaria espressa nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi A e C, la terza, la ricorrenza degli elementi cautelari legittimanti la misura restrittiva applicata all’indagato.
2.2. Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere il Tribunale del riesame di Torino dato esaustivo conto del compendio indiziario acquisito, necessario alla configurazione del reato associativo ascritto a NOME COGNOME al capo A, rispetto alla quale si evidenziava una discrasia motivazionale tra il ruolo attribuito al ricorrente all’interno del grupp ‘ndranghetistico in esame e le emergenze probatorie, che apparivano prive di univocità, sia sotto il profilo del contributo causale sia sotto il prof dell’elemento soggettivo del reato.
Osserva il Collegio che il nucleo probatorio essenziale su cui il Tribunale del riesame di Torino fondava la conferma del giudizio di gravità indiziaria espresso nei confronti di NOME COGNOME nel provvedimento cautelare genetico, relativamente all’ipotesi delittuosa di cui al capo A, è costituito dagli esiti del attività di intercettazione svolte nel corso delle indagini preliminari, passate in rassegna nelle pagine 30-36 dell’ordinanza impugnata, mediante ineccepibili richiami testuali.
Tra queste captazioni, eminentemente ambientali, si ritiene opportuno richiamare per la loro peculiare rilevanza indiziaria, seguendo l’ordine di esposizione contenuto nel provvedimento censurato, le intercettazioni nn. 2881 e 2882 del 28 febbraio 2024, registrate tra NOME COGNOME e NOME COGNOME citate nelle pagine 30 e 31; le intercettazioni nn. 7715 e 7716 del 20 marzo 2024, registrate tra gli stessi soggetti, citate nelle pagine 31 e 32; l’intercettazione n. 9302 del 27 marzo 2024, registrata tra i medesimi indagati, citata a pagina 32; l’intercettazione n. 18592 del 9 maggio 2024, registrata tra gli stessi sodali, citata nelle pagine 32 e 33; le intercettazioni nn. 18593 e 18594 del 9 maggio 2024, registrate tra gli stessi indagati, citate a pagina 33; l’intercettazione n. 19694 del 9 maggio 2024, registrata tra gli stessi associati, citata a pagina 34; l’intercettazione n. 5041 dell’8 marzo 2024, registrata tra i medesimi indagati, citata a pagina 35.
Gli esiti indiziari di queste attività di captazione facevano emergere il ruolo svolto, in prima persona, da NOME COGNOME nella gestione delle attività illecite riconducibili all’articolazione ‘ndranghetistica, attiva nell’area di Carmagnola, egemonizzata da NOME COGNOME, nelle quali era coinvolto per effetto del suo rapporto privilegiato con lo stesso consociato, attestato dalle intercettazioni sopra richiamate, che venivano registrate all’interno dell’abitazione di quest’ultimo nel corso del 2024. Da tali, convergenti, elementi indiziari, come evidenziato a pagina 37 dell’ordinanza impugnata, con argomentazioni ineccepibili, si evinceva che la partecipazione associativa di Russo al gruppo carmagnolese in esame si concretizzava «con modalità specifiche, tali da rilevare causalmente nella conservazione della consorteria, avendo ricoperto il Russo un ruolo in tutto o in parte infungibile nella custodia del denaro del sodalizio, nella veicolazione dei messaggi da e per COGNOME con altri ‘ndranghetisti e con delinquenti comuni […}».
Di questi elementi indiziari, dunque, il Tribunale del riesame di Torino forniva un’interpretazione ineccepibile, inserendoli in un compendio probatorio che imponeva di ritenere dimostrato il coinvolgimento di NOME COGNOME – forte dei suoi rapporti personali con NOME COGNOME, peraltro non contestati nemmeno dal ricorrente – nelle attività di pianificazione criminosa e di controllo illecito dell’area piemontese controllata dal sodalizio in esame, del quale il ricorrente era un esponente di spicco.
Le conclusioni formulate dal Tribunale del riesame di Torino a proposito della posizione associativa di NOME COGNOME, pertanto, appaiono pienamente rispettose del compendio probatorio acquisito nei suoi confronti e conformi alla giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui il partecipe di un’organizzazione mafiosa deve essere definito, in senso dinamico e funzionale,
come «colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, non solo “è” ma “fa parte” della stessa: locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati svolgere perché l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima» (Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231671 – 01).
Si tratta, allora, di ribadire che, sul ruolo associativo svolto da NOME COGNOME all’interno della consorteria ‘ndranghetistica di cui al capo A, il percorso argomentativo seguito dal provvedimento impugnato è ineccepibile e conforme alla giurisprudenza di legittimità consolidata, da ultimo ribadita dalle Sezioni Unite, secondo cui: « , La condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza per lo stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi» (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 02).
2.1. A queste, pur dirimenti, considerazioni, deve aggiungersi che, in tema di valutazione del contenuto di intercettazioni telefoniche o ambientali, gli indizi raccolti in tale ambito possono costituire fonte probatoria diretta e non devono necessariamente trovare riscontro in altri elementi esterni, qualora siano gravi, precisi e concordanti, fermo restando che l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle captazioni che si sono richiamate nel paragrafo precedente, nelle quali NOME COGNOME risultava convolto, sia direttamente sia indirettamente, costituisce una quaestio facti, rimessa alla valutazione del giudice cautelare, che si sottrae al sindacato di legittimità, se motivata in conformità ai criteri dell logica e delle massime di esperienza, alla verifica dei quali questo Collegio si deve attenere (tra le altre, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164 – 01; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, dep. 2008, Sitzia, Rv. 239636 – 01).
Ne discende che non è possibile operare una reinterpretazione complessiva del contenuto di tali conversazioni in sede di legittimità, sulla scorta di quanto, pur pregevolmente, prospettato dalla difesa di NOME COGNOME nell’atto di impugnazione in esame, essendo una tale operazione di ermeneutica processuale preclusa a questo Collegio, conformemente alla giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui: «In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui
apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 1, n. 3643 del 26/05/1997, COGNOME, Rv. 208254 – 01).
Questa posizione ermeneutica, da ultimo, veniva ribadita dalle Sezioni Unite, che affermavano il principio di diritto, che occorre ulteriormente richiamare, secondo cui: «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
2.2. Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, per non avere il Tribunale del riesame di Torino dato adeguato conto della configurazione dell’ipotesi delittuosa contestata a NOME COGNOME al capo C, che era il frutto di una ricostruzione meramente congetturale degli accadimenti esaminati e doveva essere esclusa sulla base delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, esclusivamente rappresentate dalla captazione ambientale n. 2883 del 26 febbraio 2024, che si riteneva sprovvista di univocità indiziaria nei confronti del ricorrente.
Osserva il Collegio che il nucleo probatorio essenziale su cui il Tribunale del riesame di Torino fondava la conferma del giudizio di gravità indiziaria formulato nei confronti di NOME COGNOME nel provvedimento cautelare genetico, relativamente all’ipotesi delittuosa di cui al capo C della rubrica, è costituito da diverse captazioni. Non corrisponde, pertanto, al vero quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente sulla formulazione di un giudizio di gravità indiziaria, relativo al reato di cui al capo C, fondato su un’unica intercettazione, non convergente sulla posizione dell’indagato.
Tra queste captazioni, si ritiene opportuno richiamare l’intercettazione, censurata dalla difesa del ricorrente, citata a pagina 38 del provvedimento impugnato; l’intercettazione n. 97540 del 30 marzo 2024, registrata tra NOME COGNOME e NOME COGNOME citata nelle pagine 38 e 39; l’intercettazione n. 47412 del 4 aprile 2024, registrata tra gli stessi indagati,
citata a pagina 39; l’intercettazione n. 11038 del 4 aprile 2024, registrata tra i medesimi sodali, citata a pagina 39; l’intercettazione n. 47466 del 4 aprile 2024, registrata tra gli stessi soggetti, citata nelle pagine 39 e 40.
In questa cornice indiziaria, sulla base di un percorso argomentativo congruo, si riteneva dimostrato il coinvolgimento di NOME COGNOME nelle attività delittuose di cui al capo C, che riguardavano il porto e la detenzione di due armi comuni da sparo, che risultavano collegati alla sfera di operatività del gruppo ‘ndranghetistico carmagnolese, nell’interesse del quale il ricorrente, d’intesa con NOME COGNOME, operava. Tali conclusioni, del resto, apparivano corroborate dal rinvenimento, all’interno dell’abitazione di D’Onofrio di due pistole – una pistola Smith & Wesson modello 49 bodyguard e una pistola Beretta modello 98 2673 -, che venivano ritrovate all’esito di due perquisizioni domiciliari, eseguite il 24 e il 26 settembre 2024.
Non si può, in ogni caso, non ribadire, in linea con quanto si è già affermato nel paragrafo 2.1 il consolidato principio di diritto secondo cui, a seguito della riformulazione normativa dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di travisamento della prova, non è consentito dedurre il vizio di travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella che è stata compiuta nei giudizi di merito. Se così non fosse, si domanderebbe a questa Corte il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, come quella della reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (tra le altre, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623 – 01; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215 – 01; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167 – 01).
Discorso, questo, che vale anche con riferimento alla lettura del contenuto delle conversazioni e delle comunicazioni captate durante le indagini preliminari, rispetto alle quali è stato tratteggiato, nel ricorso in esame, un problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle intercettazioni, che costituisce una questione esclusivamente fattuale, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se e nella misura in cui le valutazioni effettuate dai giudici di merito risultano logiche e coerenti in rapporto alle massime di esperienza utilizzate per l’interpretazione di tali captazioni (Sez. 6, n. 29530 del 03/05/2006, COGNOME, Rv. 235088 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414 – 01; Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, COGNOME, Rv. 278611 – 01).
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.
Deve, infine, ritenersi inammissibile il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, per avere la decisione in esame, a fronte della contraddittorietà del compendio indiziario acquisito nel corso delle indagini preliminari, resa evidente dalle doglianze precedentemente esposte, confermato la misura cautelare genetica, applicata a NOME COGNOME in modo automatico e senza tenere conto degli elementi sintomatici della sua pericolosità sociale, sui quali il Tribunale del riesame di Torino si era espresso in termini assertivi e svincolati dalle risultanze processuali.
Osserva il Collegio che la presunzione di pericolosità sociale prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. impone la custodia cautelare per un indagato di associazione di tipo mafioso, in termini analoghi a quanto contestato a NOME COGNOME al capo A, salvo che non risultino definitivamente interrotti i suoi legami con la consorteria di riferimento ovvero quando il venire meno della pericolosità derivi da elementi processuali concreti e specifici, che dimostrino l’effettivo allontanamento dal sodalizio dell’affiliato (tra le altre, Sez. 5, n. 57580 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 272435 – 01; Sez. 2, n. 19283 del 03/02/2017, COGNOME, Rv. 270062 – 01).
Differente, invece, è la valutazione che deve essere compiuta, nell’ambito della stessa presunzione di pericolosità prefigurata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in riferimento alle ipotesi aggravate ex art. 416-bis.1 cod. pen. analogamente a quanto contestato a NOME COGNOME al capo C -, atteso che gli elementi indiziari che, in questo caso, si richiedono per superare il giudizio presuntivo non possono coincidere con quelli richiesti per l’associato. In tali ipotesi delittuose, infatti, non vi è alcun legame associativo da rescindere, anche tenuto conto del fatto che il collegamento funzionale dell’agente al sodalizio criminale può essere connotato da occasionalità o da sporadicità (tra le altre, Sez. 2, n. 2242 dell’11/12/2013, COGNOME, Rv. 261701 – 01; Sez. 1, n. 2946 del 17/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 257774 – 01).
Questi collegamenti, nel caso di specie, risultano dimostrati, per entrambi i reati contestati, per effetto del ruolo svolto dal ricorrente nella gestione di una parte significativa delle attività illecite dell’articolazione ‘ndranghetistica egemonizzata da NOME COGNOME alla luce del quale il Tribunale del riesame di Torino confermava il provvedimento cautelare genetico, sulla base di una valutazione ineccepibile del compendio indiziario, rispetto alla quale privi di rilievo, oltre che generici, appaiono i riferimenti difensivi all’apoditticità d
percorso argomentativo esplicitato nel provvedimento impugnato (tra le altre,
Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, COGNOME, Rv. 281273 – 01; Sez. 1, n. 24135
del 10/05/2019, Castorina, Rv. 276193 – 01; Sez. 6, n. 29807 del 04/05/2017,
COGNOME, Rv. 270738 – 01).
Queste ragioni impongono di ribadire l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso.
5. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente di rigettare il ricorso proposto da NOME COGNOME con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Consegue, infine, a tali statuizioni processuali, la trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto
penitenziario dove la ricorrente si trova ristretta, a norma dell’art. 94, comma
I- ter,
disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19 febbraio 2025.