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Associazione di tipo mafioso: il ruolo del familiare

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per associazione di tipo mafioso. L’accusa si basava su intercettazioni in carcere tra l’imputato e il fratello detenuto, capo del clan. La Corte ha stabilito che l’interpretazione delle conversazioni è una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità, se logicamente motivata, confermando la condanna e il ruolo dell’imputato come tramite tra il capo detenuto e l’esterno.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di tipo mafioso: quando i colloqui in carcere diventano prova

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 1777 del 2025, offre un’importante analisi sui criteri di valutazione della prova per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), in particolare quando l’accusa si fonda su intercettazioni ambientali. Il caso esaminato riguarda la condanna di un uomo accusato di essere partecipe di un’organizzazione criminale capeggiata dal proprio fratello, quest’ultimo detenuto. Secondo l’accusa, l’imputato agiva come tramite tra il capo recluso e gli affiliati in libertà, garantendo la continuità delle attività illecite.

I Fatti del Caso

L’imputato veniva condannato in primo grado e in appello per partecipazione ad associazione di tipo mafioso. La sua responsabilità penale era stata affermata sulla base di una serie di intercettazioni ambientali registrate durante i colloqui in carcere con il fratello, considerato il vertice del sodalizio criminale operante nel territorio vesuviano. Secondo le sentenze di merito, l’imputato non si limitava a semplici visite familiari, ma fungeva da vero e proprio raccordo, ricevendo ordini e indicazioni dal fratello per poi trasmetterli agli altri membri del clan.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione lamentando principalmente due aspetti:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Secondo il ricorrente, le corti di merito avevano interpretato erroneamente il contenuto delle conversazioni intercettate. Si sosteneva che da esse non emergesse alcuna condotta penalmente rilevante, ma solo dialoghi di natura familiare, privi di riscontri esterni. La difesa ha tentato di offrire una lettura alternativa dei dialoghi, evidenziando il presunto disinteresse dell’imputato verso le attività illecite del fratello.
2. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: Si contestava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, senza un’adeguata valutazione dell’incensuratezza del ricorrente, della sua età e delle modalità della condotta.

L’associazione di tipo mafioso e la valutazione delle prove in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale. L’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni intercettate costituisce una questione di fatto, la cui valutazione è riservata al giudice di merito. Il sindacato della Corte di legittimità è limitato alla verifica della logicità e coerenza della motivazione, senza poter entrare nel merito per offrire una diversa ricostruzione dei fatti. Nel caso di specie, la decisione dei giudici di appello è stata ritenuta immune da vizi logici, in quanto basata su un’analisi complessiva e coordinata delle risultanze processuali.

Le Motivazioni

La Corte ha sottolineato come la sentenza impugnata, in linea con la decisione di primo grado (realizzando una “doppia conformità”), avesse ampiamente dimostrato il ruolo organico dell’imputato all’interno del sodalizio. Dalle intercettazioni emergeva un quadro chiaro e inequivocabile: l’imputato non era un semplice parente, ma un partecipe attivo dell’organizzazione. Le prove evidenziavano che egli:

* Era destinatario di messaggi segreti veicolati dalla madre.
* Si occupava di riscuotere e cambiare assegni provenienti da attività estorsive.
* Riferiva al fratello “imbasciate” da e per altri affiliati.
* Incontrava soggetti di elevata caratura criminale per conto del sodalizio, per ribadire alleanze.
* Era a conoscenza delle dinamiche criminali del territorio e ne informava il fratello detenuto.

I giudici di legittimità hanno respinto il tentativo della difesa di “segmentare” le prove, affermando che la valutazione complessiva delle conversazioni dimostrava in modo coerente il contributo attivo dell’imputato alla vita dell’organizzazione. Per quanto riguarda le circostanze attenuanti, la Corte ha rilevato che la questione non era stata sollevata nel precedente ricorso per cassazione e, pertanto, non poteva essere riproposta.

Le Conclusioni

La sentenza conferma che la prova della partecipazione a un’associazione di tipo mafioso può essere legittimamente fondata su intercettazioni, a condizione che la loro interpretazione da parte del giudice di merito sia logica, coerente e basata su una valutazione complessiva degli elementi. Viene inoltre riaffermato il principio per cui il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul fatto. La decisione dei giudici di merito, se adeguatamente motivata, è insindacabile, specialmente in presenza di una doppia pronuncia conforme nei gradi precedenti. Infine, la pronuncia condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende, data l’evidente infondatezza del ricorso.

Può la Corte di Cassazione riesaminare le intercettazioni per dare una diversa interpretazione?
No, l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate è una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza impugnata è illogica o contraddittoria, ma non per sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti.

Quali elementi sono stati considerati prova della partecipazione all’associazione di tipo mafioso?
La prova si è basata su dialoghi intercettati da cui emergeva che l’imputato si occupava di riscuotere denaro di provenienza illecita, fungeva da messaggero per conto del fratello detenuto (“imbasciate”), partecipava a incontri con altri criminali per conto del clan e informava il capo sulle dinamiche del territorio, dimostrando un ruolo attivo e non meramente familiare.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché proponeva motivi non consentiti, volti a ottenere una nuova valutazione dei fatti già esaminati dai giudici di merito. Inoltre, le argomentazioni sono state ritenute manifestamente infondate, poiché la sentenza d’appello aveva fornito una motivazione logica e coerente per la condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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