Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1777 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1777 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI 1’08/05/1962
avverso la sentenza del 20/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in sede di rinvio della Corte di cassazione, disposto con sentenza emessa il 10 ottobre 2017, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Noia del 25 luglio 2013 (che aveva riguardato una pluralità di imputati), ha confermato la responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 416-bis cod.pen., rideterminando la pena in anni sette di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
L’imputato è stato ritenuto partecipe dell’omonima organizzazione di stampo camorristico operante in territorio vesuviano, capeggiata dal fratello detenuto NOME NOME, fungendo da raccordo tra questi e l’esterno, attraverso la prosecuzione delle attività criminose e il recapito degli ordini e delle indicazioni agli altri membri in libertà.
La prova di responsabilità è stata tratta da intercettazioni ambientali captate all’interno del carcere di Bellizzi Irpino, ove era recluso NOME NOME, intercorse tra costui e l’imputato, a volte alla presenza della madre NOMECOGNOME coimputata condannata per il medesimo reato ascritto al ricorrente e che non ha impugnato la sentenza della Corte di appello.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo, con unico ed articolato motivo:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità. Dalle intercettazioni non sarebbe emersa alcuna condotta rilevante ai fini della prova della partecipazione del ricorrente al sodalizio di stampo camorristico capeggiato dal fratello detenuto NOME NOMECOGNOME tanto non emergendo dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME Luigi e dalle attività di indagine compiute dalla polizia giudiziaria e sulle quali ha riferito il teste COGNOME L’imputato non avrebbe veicolato alcun ordine del fratello ai partecipi in stato di libertà ed aveva avuto contatti con il congiunto detenuto esclusivamente dovuti al loro rapporto di parentela.
Le conversazioni valorizzate dalla sentenza impugnata, prive di riscontri, non proverebbero alcunché, non evidenziando alcuna attività di contributo del ricorrente all’organizzazione criminale, né la sua adesione ad essa.
Nel ricorso si fa riferimento:
ad un dialogo tra il detenuto COGNOME Raffaele e la madre COGNOME, al quale il ricorrente non aveva partecipato;
alla conversazione tra i due fratelli COGNOME nella quale il NOME chiedeva all’imputato di dargli notizie sulla sorte di due suoi favoreggiatori;
ad un dialogo riferito al cambio di un assegno, che mostrava il disinteresse del ricorrente alla vicenda e, più in generale, alle attività illecite del fratello, venend anche stigmatizzato da costui in altro dialogo con parenti;
alla conversazione avente ad oggetto un incontro avvenuto tra il ricorrente e COGNOME NOME, soggetto la cui caratura criminale aveva messo l’imputato in stato di soggezione;
al dialogo dimostrativo della partecipazione del ricorrente al funerale di NOME, soggetto del quale non sarebbe stata provata l’affiliazione ad altro clan camorristico ed evento, comunque, legato ai rapporti leciti esistenti tra l’imputato e la famiglia del defunto;
violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, non essendosi tenuto conto dell’incensuratezza del ricorrente rispetto alla sua non giovane età, delle modalità minimali della condotta e del suo stato di salute.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti e comunque manifestamente infondati.
Deve premettersi, in punto di diritto, che secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, cui anche il Collegio aderisce, in materia di intercettazioni, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez.6 n.11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. 254439).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha basato la sua condanna esclusivamente sul contenuto di alcune intercettazioni ambientali interpretate senza vizi logico-ricostruttivi rilevabili in questa sede e delle quali il ricorso tent di offrire una diversa lettura che rimane relegata al merito del giudizio.
Ne consegue che, in primo luogo, nessun rilievo è stato dato in sentenza alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME NOME ed agli accertamenti di polizia giudiziaria, sicché le argomentazioni sul punto contenute in ricorso risultano ultronee.
In secondo luogo, dai dialoghi intercettati la Corte di appello ha ritenuto che emergesse, a più riprese e conformemente a quanto era stato evidenziato nella sentenza di primo grado ai fgg. 1027 e segg. – con il che, stante la doppia conformità del giudizio di condanna, eventuali errori di travisamento della prova avrebbero dovuto avere carattere macroscopico – come l’imputato avesse avuto un ruolo organico all’interno del sodalizio capeggiato dal fratello detenuto NOME NOME, interfacciandosi con quest’ultimo, nei numerosi dialoghi avvenuti all’interno del carcere, per vicende di interesse associativo e non per mere questioni familiari, ponendosi quale esecutore delle direttive del fratello nella prosecuzione di attività criminose non personali.
La Corte, infatti, ha messo in evidenza – come, più estesamente, la sentenza di primo grado – che l’imputato:
era destinatario di bigliettini segreti che il detenuto veicolava attraverso la madre COGNOME, pure imputata, non ricorrente e definitivamente condannata per il medesimo reato contestato al figlio;
si occupava di ottenere somme di danaro attraverso la riscossione ed il cambio di assegni provenienti da attività estorsiva, secondo quanto ricostruito anche a proposito della posizione di Casti Annunziata, non in maniera occasionale e non con riguardo ad un singolo rapporto, parlandosi di assegni da 2500 euro, di riscossione da “quello del bar” (fg. 1053 della sentenza di primo grado), di assegni “che tiene quello di Pollena”;
provvedeva a delle “imbasciate” nei confronti di soggetti vicini al sodalizio (fg. 1033 della sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello);
si incontrava con soggetti di caratura criminale camorristica, in un momento di fibrillazione tra clan, per ribadire, a nome del sodalizio, la loro adesione (degli COGNOME) ad un gruppo anziché ad un altro (“una sola bandiera e basta”);
era addentro alle dinamiche criminali e conscio del ruolo rivestito da molti camorristi di quel territorio, informandone il fratello detenuto, come in occasione della riferita partecipazione ad un funerale.
Nell’interpretare tali emergenze in chiave accusatoria, la Corte di appello, in terzo luogo, si è anche fatta carico di valutare l’opposta ricostruzione difensiva, non aderendovi attraverso una lettura complessiva e coordinata delle risultanze processuali che il ricorso, come l’appello, hanno tentato di segmentare.
Ne consegue che il giudizio di responsabilità è privo di censure.
Quanto alle cic51,,anzg inerenti al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, si rileva che il beneficio era già stato concesso con la prima sentenza di appello poi oggetto di annullamento con rinvio, laddove si era giunti ad una determinazione della pena identica a quella della sentenza oggi impugnata.
Nel primo ricorso per cassazione avverso la prima sentenza di appello, non vi era stata alcuna deduzione sul punto, come risulta dal resoconto della sentenza della Corte di cassazione e dal controllo del contenuto del ricorso in allora proposto, sicché la questione non poteva essere riproposta in questa sede.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
Deve, infine, essere rigettata la richiesta di liquidazione delle spese in favore della parte civile, non presente all’odierna udienza e che ha depositato una memoria priva di contenuti rispetto alle censure coltivate in ricorso (sul punto, argomenta da Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, COGNOME, in motivazione).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese avanzate dalla parte civile A.I.i.l.a.c.c.o.
Così deciso, il 05/12/2024.