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Associazione di tipo mafioso e narcotraffico: la Cassazione

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del PM contro l’annullamento di una custodia cautelare per associazione di tipo mafioso. Non basta l’uso del metodo mafioso per il solo narcotraffico a configurare l’art. 416-bis, se manca un programma più ampio di controllo del territorio. Decisiva anche la mancanza di interesse concreto del PM all’impugnazione.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Narcotraffico e Metodo Mafioso: Quando Scatta il 416-bis?

La distinzione tra un’organizzazione criminale dedita al narcotraffico e una vera e propria associazione di tipo mafioso è una delle questioni più complesse del diritto penale. Non basta l’uso della violenza o dell’intimidazione per qualificare un gruppo come mafioso ai sensi dell’art. 416-bis del codice penale. Con la sentenza n. 46350 del 2024, la Corte di Cassazione torna sul tema, chiarendo i confini tra le due fattispecie e sottolineando un importante principio processuale: l’interesse concreto a impugnare.

I Fatti del Caso

Il caso nasce da un’ordinanza del Tribunale di Catania che, in sede di rinvio, annullava la misura della custodia cautelare per un indagato in relazione al delitto di associazione di tipo mafioso. La stessa misura veniva però confermata per il reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90).

Il Procuratore della Repubblica ricorreva in Cassazione, sostenendo che i due reati potessero concorrere. A suo avviso, vi erano gravi indizi che il gruppo criminale, dedito al narcotraffico, operasse utilizzando il “metodo mafioso”, facendo leva sulla forza intimidatrice del clan di appartenenza per gestire le proprie attività illecite.

L’Appello del PM e la configurabilità dell’associazione di tipo mafioso

Il ricorso del Pubblico Ministero si fondava su due argomenti principali:

1. Violazione di legge: Il PM sosteneva che la giurisprudenza non distingue le due associazioni in base al tipo di reato commesso (il narcotraffico), ma in base al profilo programmatico dell’utilizzo del metodo mafioso. Se un’associazione per il narcotraffico usa tale metodo, allora dovrebbe rispondere di entrambi i reati in concorso.
2. Vizio di motivazione: Il Tribunale aveva dato peso a una precedente assoluzione dell’indagato per il reato di mafia. Il PM contestava tale valutazione, evidenziando che quella sentenza si riferiva a un periodo storico precedente (2013-2015) e all’appartenenza a un altro clan, mentre i fatti attuali (2021-2022) riguardavano un’evoluzione criminale autonoma del gruppo dell’indagato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile. La decisione si basa su una duplice argomentazione, una di merito e una, ancora più decisiva, di carattere processuale.

Le Motivazioni della Sentenza

Nel motivare la propria decisione, la Corte ha sviluppato due punti fondamentali.

In primo luogo, ha ribadito l’orientamento consolidato della giurisprudenza sulla distinzione tra le due figure associative. Per configurare il concorso tra l’associazione finalizzata al narcotraffico e l’associazione di tipo mafioso, non è sufficiente che il gruppo criminale utilizzi il metodo mafioso esclusivamente per la gestione del traffico di droga. È necessario un “afflato più vasto”, ovvero un programma criminale che miri a obiettivi più ampi, quali:

* L’imposizione di un dominio sul territorio.
* L’acquisizione del controllo di attività economiche, concessioni e appalti.
* L’impedimento del libero esercizio del voto o il procacciamento di voti.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la violenza e le minacce fossero unicamente funzionali alla gestione della “piazza di spaccio” e non a un progetto più ampio di egemonia territoriale o economica. Mancava, quindi, quel profilo programmatico che caratterizza l’associazione mafiosa.

In secondo luogo, e in via logicamente preliminare, la Corte ha rilevato la mancanza di un interesse concreto all’impugnazione da parte del Pubblico Ministero. L’interesse ad impugnare richiede che l’eventuale accoglimento del ricorso produca un effetto pratico favorevole per chi lo propone. In questo caso, anche se il ricorso fosse stato accolto e la misura cautelare per il 416-bis fosse stata ripristinata, la posizione dell’indagato non sarebbe cambiata, poiché egli era già detenuto in base all’accusa di associazione finalizzata al narcotraffico. Poiché l’esito dell’appello non avrebbe inciso sulla sua libertà personale, il PM mancava dell’interesse necessario per far valere le sue ragioni.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale: la gravità di un’organizzazione criminale dedita al narcotraffico non la trasforma automaticamente in un’associazione di tipo mafioso. La differenza risiede nello scopo ultimo dell’organizzazione: se è limitato al profitto derivante da uno specifico settore illecito, si rimane nell’ambito dell’art. 74; se invece mira a un controllo pervasivo del territorio e della società, allora si entra nella più grave fattispecie dell’art. 416-bis. Inoltre, la pronuncia offre un’importante lezione processuale, ricordando che ogni impugnazione deve essere sorretta da un interesse concreto e attuale, pena la sua inammissibilità.

Quando un’associazione dedita al narcotraffico può essere considerata anche un’associazione di tipo mafioso?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando l’uso del metodo mafioso non è finalizzato solo alla gestione del traffico di stupefacenti, ma si inserisce in un programma più ampio che mira al controllo del territorio, all’acquisizione di attività economiche, appalti, o all’interferenza con la vita pubblica e politica.

Perché il ricorso del Pubblico Ministero è stato dichiarato inammissibile?
Principalmente per mancanza di “interesse ad impugnare”. L’eventuale accoglimento del ricorso non avrebbe modificato la situazione dell’indagato, che sarebbe comunque rimasto in custodia cautelare per il reato di associazione finalizzata al narcotraffico. L’impugnazione era quindi priva di effetti pratici.

Una precedente assoluzione per associazione mafiosa impedisce una nuova accusa per lo stesso reato in un periodo successivo?
No. La Corte, pur non entrando nel merito su questo punto specifico, ha definito come “meramente congetturale” l’argomento del PM sulla possibile evoluzione criminale del gruppo. Tuttavia, in linea di principio, una precedente assoluzione relativa a un determinato periodo e a specifiche dinamiche associative non impedisce una nuova accusa per fatti commessi in un periodo successivo e in un contesto potenzialmente diverso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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