Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17676 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17676 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Terracina il 9/7/1966
avverso la sentenza del 26/9/2024 della Corte di appello di Roma
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di annullare con rinvio la sentenza impugnata con riguardo al reato di cui al capo 1) della rubrica e di dichiarare il ricorso inammissibile nel resto; uditi l’Avv. NOME COGNOME, difensore dell’Associazione “NOME COGNOME“, e l’Avv. NOME COGNOME, difensore del Comune di Latina, che si sono riportati alle rispettive conclusioni scritte e note spese; uditi l’Avv. NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME difensori del ricorrente, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26 settembre 2024 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia emessa il 5 luglio 2023 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale della stessa città, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, inclusa la recidiva, riqualificato il fatto cui al capo 2) ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/90, ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME in anni undici di reclusione e ha confermato nel resto.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’imputato, che hanno dedotto i motivi di seguito indicati. 2.1. Violazione dell’art. 416-bis cod. pen. e dell’art. 192 cod. proc. pen., per avere la Corte di appello confermato la condanna di NOME COGNOME per il reato di cui al capo 1) della rubrica, nonostante il difetto dei requisiti previ dalla legge per l’integrazione della fattispecie, e, in ogni caso, per aver omesso e/o illogicamente motivato sul ruolo apicale del ricorrente. Nella sentenza impugnata, con una palese petizione di principio, connotata da valutazioni antropologiche più che giuridiche, sarebbero stati configurati gli elementi costitutivi dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 416-bis cod. pen. sulla bas un’astratta e potenziale sovrapponibilità tra le vicende in esame e quelle del procedimento Caronte, che, secondo la Corte di appello, ha riguardato alcuni componenti della famiglia COGNOME, tra cui il ricorrente, i quali, sebbene non ritenuti mafiosi, si erano contraddistinti per una pluralità di reati gravi, c avrebbero condizionato nell’immaginario collettivo del territorio pontino la percezione dei COGNOME. In sostanza, la Corte territoriale, così come il Giudice di primo grado, avrebbe ritenuto che l’utilizzo del metodo mafioso, desunto dal richiamo del vincolo di parentela con i soggetti imputati nel procedimento COGNOME, avrebbe consentito di accertare la sussistenza di tutti gli elementi tipici del sodalizio mafioso. La sentenza non avrebbe chiarito, però, come e quando sarebbe stato stipulato il pactum sceleris, che avrebbe dato luogo all’associazione mafiosa, e avrebbe presunto il ruolo apicale del ricorrente sulla base soltanto del suo coinvolgimento nel procedimento COGNOME, risalente ad oltre 10 anni fa, e del suo rapporto di parentela con i membri della famiglia COGNOME, coinvolti nella realizzazione delle singole e modeste condotte estorsive, contestate come reati fine nel parallelo procedimento. La sentenza impugnata avrebbe ricavato, poi, la prova dell’omertà e dell’intimidazione dalla fama criminale legata alla famiglia COGNOME per i fatti pregressi, commessi nel procedimento Caronte da soggetti solo in minima parte coincidenti con quelli Corte di Cassazione – copia non ufficiale
oggi imputati, dimenticando che all’associazione derivante dall’unione delle famiglie COGNOME – COGNOME non è stata riconosciuta natura mafiosa. Anche sotto il profilo della corretta valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori d giustizia la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe censurabile.
2.2. Violazione di legge e vizi della motivazione, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto sussistente l’associazione dedita al narcotraffico e per aver omesso di motivare con riguardo alla riqualificazione del fatto ai sensi degli artt. 81 cpv., 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90. Difetterebbero i tre requisiti necessari per la configurabilità di un sodalizio e non vi sarebbe prova della predisposizione di mezzi, finanziari o di altra natura, da cui poter desumere concretamente l’esistenza di un’attività associativa. Inoltre, il ricorrente non avrebbe tenuto alcuna condotta in grado di inquadrarlo come promotore, potendosi, a tutto voler concedere, ritenere dimostrata in capo al medesimo la consapevolezza di singole cessioni di sostanza stupefacente, operate da altri. Di contro, la sentenza impugnata avrebbe attribuito al ricorrente un ruolo apicale sulla base del suo rapporto di parentela o affinità con gli autori delle singole condotte ex art. 73 d.P.R. n. 309/90, in contrasto con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità.
2.3. Motivazione carente o illogica con riferimento alle aggravanti riconosciute nelle due sentenze. La Corte territoriale avrebbe trascurato le censure difensive in punto di estraneità di tale COGNOME al sodalizio e di assenza di elementi, anche di riscontro alle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, circa le disponibilità delle armi da parte dell’associazione, piuttosto ch di singoli soggetti.
2.4. Motivazione carente o manifestamente illogica ed erronea applicazione del procedimento di valutazione della prova. La conferma della condanna relativa al capo 44) si baserebbe sulla convergenza delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME e sul sequestro della sostanza ai danni di NOME COGNOME. La Corte di appello, malgrado specifiche censure difensive, non avrebbe spiegato perché le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, unitamente al sequestro, dovrebbero condurre all’affermazione di responsabilità del ricorrente né perché le dichiarazioni anzidette sarebbero convergenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto nei termini e limiti di seguito indicati.
Le censure formulate nel primo motivo, relative alla configurabilità di un’associazione per delinquere riconducibile al paradigma delineato dall’art. 416bis cod. pen., sono fondate.
2.1. La Corte di appello ha affermato che l’esame delle singole estorsioni, perpetrate dai membri della famiglia COGNOME ed evidenziate nei dettagli dal Giudice di primo grado, consentiva di riconoscere l’esistenza di una struttura organizzata con comunione di mezzi e ripartizioni di ruoli, finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti. Si trattava di un’associazione imperniata per lo più su componenti della stessa famiglia, rientrando nell’ambito delle c.d. mafie atipiche, ossia costituite da piccole organizzazioni, che svolgono attività in un limitato territorio e in un determinato settore, avvalendosi d metodo mafioso, senza, peraltro, che sia necessaria la prova che la forza intimidatoria del vincolo associativo sia penetrata in modo massiccio nel tessuto economico e sociale del territorio di riferimento.
La Corte territoriale ha precisato che gli autori dei delitti di estorsion evocavano l’appartenenza al clan COGNOME e, in ogni caso, anche quando non avevano pronunciato frasi specifiche, ben sapevano di poter agire in tal modo proprio per la fama criminale strettamente connessa alla loro appartenenza a un sodalizio mafioso, noto nel territorio anche per le pregresse vicende di sangue. Le vittime, sentite come testimoni, gestori degli esercizi pubblici, avevano fatto riferimento in modo più o meno esplicito alla cogenza delle richieste portate avanti dai COGNOME, a volte definiti come appartenenti ad una nota famiglia rom. Secondo il Collegio del merito, poi, se è vero che per il gruppo associativo oggetto del procedimento COGNOME è stata riconosciuta la natura non mafiosa dell’organizzazione allora esistente, tale assunto non necessariamente aveva assunto un rilievo decisivo nell’immaginario collettivo del territorio pontino. La collettività non si era soffermata a distinguere tra associazione mafiosa o non mafiosa e certamente non era al corrente delle specifiche articolazioni familiari dei COGNOME e delle loro vicende. Le persone abitanti nel territorio avevano ricordato che appartenenti al gruppo familiare citato avevano riportato condanne in epoche passate per gravi fatti anche di sangue: motivo per cui il richiamo al gruppo familiare aveva assolto immediatamente al suo scopo, ossia ottenere ingiusti profitti mediante lo sfruttamento di una condizione di assoggettamento delle vittime.
A fronte di siffatta motivazione il ricorrente ha dedotto sostanzialmente che l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 416-bis cod. pen. era stata configurata sulla ba di mere valutazioni di tipo antropologico e non di elementi oggettivi, univocamente interpretabili. Il presunto condizionamento, subito dalla collettività dell’agro pontino, infatti, era stato fatto discendere dal mero collegamento della
famiglia COGNOME con i protagonisti delle gravi vicende di sangue, accertate nel procedimento COGNOME, sull’assunto che, nell’immaginario dell’anzidetta collettività, l’implicita evocazione di quei fatti era tale da suscitare significat preoccupazione per il timore del loro ripetersi ad opera dei membri di quella famiglia. Nulla, invece, il Collegio territoriale aveva detto in ordine al riscont fattuale di tutti gli altri elementi tipici del sodalizio mafioso, ossia la sussiste di un vincolo associativo, la diffusa infiltrazione della consorteria nel tessuto economico sociale dell’area territoriale di riferimento, l’organizzazione di risorse personali e strumentali, il programma criminale.
2.2. Le deduzioni difensive colgono nel segno, non avendo la Corte di appello fatto corretta applicazione dei criteri interpretativi fissati da giurisprudenza di legittimità in relazione agli elementi costitutivi del delitto di all’art. 416-bis cod. pen., anche nella fenomenologia delle c.d. mafie piccole o atipiche.
Al riguardo, premesso che, alla stregua del dato normativo, il discrimine tra l’associazione di tipo mafioso e quella per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. è ravvisabile non solo e non tanto nel profilo programmatico, quanto, soprattutto, nella capacità da parte degli associati di avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, va rilevato che è ormai pacifico che, nello schema normativo previsto dall’art. 416-bis cod. pen., rientrano non solo grandi associazioni di mafia con un alto numero di appartenenti, dotate di mezzi finanziari imponenti e in grado di assicurare l’assoggettamento e l’omertà attraverso il terrore e la continua messa in pericolo della vita delle persone, ma anche piccole “mafie”, con un basso numero di appartenenti (bastano tre persone), non necessariamente armate (l’essere armati e usare materiale esplodente, infatti, non è un elemento costitutivo dell’associazione ex art. 416bis cod. pen., ma realizza solo un’ulteriore modalità di azione che aggrava la responsabilità degli appartenenti), che assoggettano un limitato territorio o un determinato settore di attività, avvalendosi, però, del metodo dell’intimidazione da cui derivano assoggettamento ed omertà. Anche una sola condotta, considerata in rapporto alle sue specifiche modalità e al tessuto sociale in cui si esplica, può esprimere di per sé la forza intimidatrice del vincolo associativo (Sez. 6, n. 1793 del 3/06/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 198577 – 01).
Inoltre, perché sussista la condizione dell’omertà, non è affatto necessaria una generalizzata e sostanziale adesione alla subcultura mafiosa, né una situazione di così generale terrore da impedire qualsiasi atto di ribellione e reazione morale alla condizione di timore, ma basta che il rifiuto a collaborare con gli organi dello Stato sia sufficientemente diffuso, anche se non generale;
che tale atteggiamento sia dovuto alla paura, non tanto di danni all’integrità della propria persona, ma anche solo all’attuazione di minacce che comunque possono realizzare danni rilevanti; che sussista la diffusa convinzione che la collaborazione con l’autorità giudiziaria – denunciando il singolo che compie l’attività intimidatoria – non impedirà che si abbiano ritorsioni dannose per la ramificazione dell’associazione, la sua efficienza, la sussistenza di altri soggetti non identificabili e forniti di un potere sufficiente per danneggiare chi ha osato contrapporsi (Sez. 2, n. 11118 del 20/12/2022, dep. 2023, P.G. c/RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284339 – 02; Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Cicero, Rv. 258637 – 01; Sez. 6, n. 1612 dell’11/01/2000, COGNOME, Rv. 216634 – 01).
Ne consegue che il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. è configurabile anche con riguardo ad organizzazioni che, senza controllare tutti coloro che vivono o lavorano in un certo territorio, rivolgono le proprie mire a danno dei componenti di una certa collettività, a condizione che si avvalgano di metodi tipicamente mafiosi e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà (v. Sez. 5, n. 44156 del 13/06/2018, S., Rv. 274120 – 01). In particolare, mentre per le mafie “storiche” l’esistenza del sodalizio è già giudizialmente acclarata, di modo che è sufficiente accertare la sussistenza della condotta partecipativa dei singoli imputati alla consorteria, nel caso delle “nuove mafie” o “mafie atipiche” il theme probandum involge, in primo luogo, il carattere mafioso dell’associazione e, dunque, principalmente, l’avvalimento del metodo mafioso e il programma criminale mafioso ex art. 416-bis, terzo e sesto comma, cod. pen.
Come già precisato da questa Corte, ai fini della qualificazione ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen. di una nuova ed autonoma formazione criminale, è necessario accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da esser capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacità di intimidazione, ancorché non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia, nell’ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di effettiva operatività; c) abbia manifestato una capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale ed abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel “territorio” in cui l’associazione è attiva (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, Bolla, Rv. 279555 – 17).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che, come dedotto dal ricorrente, le evidenze probatorie, valorizzate dalla Corte territoriale, ossia l commissione da parte di alcuni membri della famiglia COGNOME, operanti uti singuli o in concorso, di condotte estorsive in danno di esercenti attività
commerciali dell’agro pontino, ovvero di soggetti loro debitori, non depongono in maniera univoca per l’esistenza, tra coloro che se ne sono resi autori, di un accordo associativo espressivo di un vincolo permanente.
Vengono in rilievo, piuttosto, per come descritte, condotte estemporanee, poste in essere con modalità non predeterminate, ma occasionali, e, come tali, espressive unicamente di un accordo criminoso limitato alla commissione del reato di volta in volta avuto di mira. Manca, infatti, nella sentenza impugnata una esplicita motivazione sulla struttura organizzativa, anche se minimale, che prescinda dalla commissione dei singoli reati. Né si è affrontato il tema della necessaria consapevolezza dei ritenuti partecipi di arrecare apporti concreti, animati dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell’accordo e del programma delittuoso in modo stabile e permanente.
Come già rimarcato nella sentenza di questa Corte pronunciata nei confronti di altri componenti della famiglia COGNOME (Sez. 5, n. 8033 del 14/1/2025, n.m.), l’opacità della prova dell’esistenza di un vincolo associativo permanente tra gli autori dei delitti di estorsione si riflette in maniera decisiva sulla dimostrazio dell’esteriorizzazione del metodo mafioso.
Il Collegio di appello, infatti, ha fatto discendere la capacità di intimidazione esercitata sulla comunità dell’agro pontino, non dal consolidato vincolo associativo esistente tra i membri della famiglia COGNOME, ma, piuttosto, dal loro collegamento con alcuni dei soggetti coinvolti nei gravi fatti di sangue accertati nel procedimento Caronte, nel quale, peraltro, era stata esclusa la mafiosità dell’associazione. In altri termini, il menzionato Collegio ha tratto la prova dell’esteriorizzazione del metodo mafioso, che, come detto, attiene a un elemento strutturale della fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen., da u elemento esterno ad esso ed evanescente nei suoi contorni fattuali, ossia il collegamento della famiglia COGNOME con alcuni dei membri di un’associazione, ormai sgominata, neppure accertata come mafiosa.
Né, infine, nella sentenza impugnata si è approfondito il tema della diffusa consapevolezza della comunità dell’agro pontino di sottostare alla forza di intimidazione della famiglia COGNOME. Le condotte estorsive, valorizzate da entrambi i Giudici del merito, in quanto poste in essere nei confronti di un numero limitato di esercenti di attività commerciali della provincia di Latina, talvolta solo costretti, in virtù della fama criminale dei COGNOME, a pratic sconti sulle prestazioni loro erogate, o di soggetti contigui alle loro attivi criminali (furti e spaccio di stupefacenti) ovvero di soggetti loro debitori non depongono univocamente per l’esistenza di una significativa, ancorché non pervasiva, capacità intrusiva della consorteria nel tessuto economico e sociale
dell’area di operatività della stessa, nei termini previsti dalla disposizione di c all’art. 416-bis cod. pen.
Ne consegue che l’inosservanza dei criteri ermeneutici sopra riportati e le rilevate deficienze argomentative impongono l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, che esaminerà le deduzioni difensive del ricorrente relative alla configurabilità dell’associazione di cui al capo 1) dell’imputazione, rivalutando il materiale probatorio a disposizione al lume dei principi indicati e colmando i vuoti argomentativi segnalati.
2.3. Il pronunciato annullamento assorbe le questioni relative alla prova della partecipazione dell’imputato all’associazione e del suo ruolo apicale.
Il secondo motivo, con cui il ricorrente ha contestato la sussistenza dell’associazione di cui al capo 2) dell’imputazione e la sua partecipazione ad essa, non è consentito, oltre che privo di specificità.
Deve premettersi che l’associazione regolata dall’art. 74 d.P.R. n. 309/90 è una figura speciale che si distingue rispetto a quella generale, prevista all’art. 416 cod. pen., per la tipicità dei reati-scopo, esclusivamente riconducibili all’art 73 d.P.R. n. 309/90.
Perché sia dimostrata la sussistenza di tale associazione è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: 1) l’esistenza di un gruppo i cui membri si siano consapevolmente aggregati per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; 2) l’organizzazione, anche rudimentale, di attività personali e beni economici per il perseguimento del fine illecito comune; 3) la consapevolezza dei membri del gruppo di fare parte del sodalizio e di apportare un contributo apprezzabile, non episodico, idoneo a garantire la stabilità dell’unione illecita.
Sul piano soggettivo si è evidenziata la sufficienza dell’esistenza tra i singoli partecipi di una durevole comunanza di scopo, costituita dall’interesse a immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo, non essendo, invece, di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la diversità degli scopi personali e degli utili, che i singoli partecipi si propongono di ottenere dall svolgimento della complessiva attività (Sez. 3, n. 6871 dell’8/7/2016; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015). Si può affermare, quindi, che il perseguimento dell’interesse del sodalizio può concorrere con quello personale.
Nel caso in esame, il Giudice di appello ha valorizzato gli elementi di prova considerati dal Giudice di primo grado, costituiti, come da quest’ultimo sottolineato, «dalle risultanze del monitoraggio tecnico, telefonico e ambientale, dalle sommarie informazioni acquisite, dai contributi dichiarativi offerti da
numerosi collaboratori di giustizia e, in alcuni casi, dal sequestro delle sostanze stupefacenti e/o dall’arresto in flagranza dei soggetti individuati quali autori dell violazioni accertate nonché dalle risultanze dei servizi di osservazione e controllo, svolti dal personale di polizia giudiziaria».
Sulla base di tali elementi entrambi i Giudici del merito hanno posto in luce gli elementi asseveranti l’esistenza dell’associazione dedita al narcotraffico, delineata nel capo 2) dell’imputazione.
La Corte territoriale ha affermato che i reati fine, non contestati all’appellante e provati sulla base di quanto evidenziato in maniera condivisibile dal Giudice di primo grado (la sussistenza di tali reati non è stata contestata dalla stessa difesa), si articolavano in un lasso di tempo relativamente breve (luglio-ottobre 2019 proprio perché in quel periodo venivano svolte le attività di indagine), ma, comunque, si trattava di episodi particolarmente qualificanti, poiché evidenziavano una struttura stabile di rapporti con durata di diversi mesi, con un ripetersi di modalità operative, con una suddivisione di compiti precisa in relazione alle varie piazze di spaccio sulle quali operare, tali da ricondurre le condotte alla forma associativa oggetto della contestazione. Ai fini della prova di un’azione organizzata in forma associativa, l’anzidetta Corte ha valorizzato anche l’attività di recupero dei crediti, originati dalle cessioni di droga, che veni garantita mediante spedizioni punitive armate, come nel caso della vicenda COGNOME Queste e altre spedizioni punitive servivano anche a rafforzare il potere della compagine associativa.
In tale ambito NOME COGNOME, detto NOME, si stagliava quale capo, che forniva direttive dal carcere, e gli altri erano organizzatori e venditori al dettagl in piazze di spaccio, ubicate in diverse parti del territorio di Latina e del Provincia. In particolare, quanto al ruolo del ricorrente, la Corte di appello ha richiamato a titolo esemplificativo il colloquio del 1° luglio 2019, in cui medesimo ricorrente aveva invitato NOME COGNOME a stare più attento nel trattare gli affari illeciti in materia di stupefacenti con persone di un certo ti colloquio da cui traspariva che l’imputato si preoccupava del traffico degli stupefacenti, svolto dall’associazione, della quale era a capo.
Sulla scorta dei suddetti rilievi deve conseguentemente escludersi che la Corte romana sia incorsa in violazione di legge e non abbia adeguatamente esaminato gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa in contestazione.
Difatti – nel porre in luce la ripetizione di condotte simili, che vedevano come protagonisti, in veste di spacciatori, l’uno o l’altro dei soggetti, la posizion di preminenza rivestita da uno di essi, i ruoli prestabili, le spedizioni punitive la Corte territoriale ha valorizzato elementi legittimamente intesi come rappresentativi dell’operatività di un gruppo di soggetti, che agivano per il
perseguimento, non occasionale ed episodico ma stabile, di un programma delittuoso, avente ad oggetto il narcotraffico.
La prova di tali elementi risulta, infatti, idonea a delineare l’accordo tra pi di tre soggetti, l’esistenza di profili organizzativi e di modalità operati consolidate, la destinazione di queste alla realizzazione di un programma avente ad oggetto la commissione di un numero indeterminato di reati in materia di stupefacenti, la compartecipazione di ciascuno per l’attuazione di quel programma: tutto ciò equivale alla puntuale rappresentazione di un’associazione per delinquere di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90.
Del resto, lo stesso Giudice di primo grado – a riprova dell’esistenza del sodalizio in questione, capeggiato dal ricorrente – aveva evidenziato che, «malgrado all’atto della scarcerazione (settembre 2015) una posizione di particolare rilievo nel narcotraffico fosse stata conquistata dall’associazione a delinquere facente capo a COGNOME COGNOME, detto COGNOME Cha, e ai fratelli COGNOME NOME e NOME, ciò nondimeno è emerso dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME NOME e NOME COGNOME come NOME NOME fosse riuscito ad imporre la propria volontà, sottraendo al gruppo dei Travali e a Pugliese NOME uno dei più abili spacciatori, il menzionato COGNOME NOME, il quale deteneva il controllo di un’importante piazza di spaccio nella zona dei pub di Latina». Condotta, questa, rivelatrice dell’esistenza di una organizzazione stabile e dotata anche di capacità criminale.
Va rilevato che la conforme conclusione, cui sono pervenuti entrambi i Giudici del merito, non è scalfita dalle obiezioni difensive relative al limitato arc temporale dei reati fine accertati, così che essi sarebbero espressione non di un accordo stabile ma di una compartecipazione degli agenti a singoli episodi di detenzione o spaccio di sostanze stupefacenti. Si deve, infatti, qui ribadire il principio di diritto secondo cui, in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitut della partecipazione al sodalizio e, in particolare, dell’affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo limitato (Sez. 6, n. 42937 del 23/9/2021, COGNOME, Rv. 282122 – 01; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 278440 – 02).
Parimenti, non sono decisivi i rilievi difensivi relativi alle contraddizio esistenti nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Al riguardo è dirimente osservare che il ricorrente non ha indicato l’incidenza delle dedotte contraddizioni sul complessivo compendio probatorio, valorizzato
dal Giudice del merito, in modo tale da far ritenere che le residue risultanze fossero insufficienti a giustificare il convincimento a cui è pervenuta la sentenza impugnata.
Ad ogni modo, la Corte di appello non solo non ha ravvisato le contraddizioni citate dalla difesa ma ha anche precisato che le residue prove erano sufficienti a comprovare la responsabilità del ricorrente per il reato di cui al capo 2) della rubrica accusatoria.
La sentenza impugnata, dunque, è immune da vizi rilevabili in questa sede mentre le deduzioni del ricorrente, per un verso, non si confrontano con la motivazione svolta dai Giudici della cognizione e, dunque, omettono di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata avverso la pronuncia oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01; Sez. 6, n. 20377 dell’11/3/2009, COGNOME e altri, Rv. 243838 – 01); per altro verso, sono volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede (ex plurimis: Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074 – 01; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01).
4. Il terzo motivo del ricorso è privo di specificità.
Premesso che le deduzioni difensive relative all’aggravante dell’essere l’associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. armata sono assorbite, in considerazione del disposto annullamento con rinvio, quanto al sodalizio dedito al narcotraffico il Collegio territoriale ha affermato che dalle intercettazion telefoniche si desumeva che esso aveva la disponibilità di armi e di ciò il ricorrente, che era il capo, aveva consapevolezza.
Giova ricordare sul punto che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in tema di reati concernenti gli stupefacenti, la circostanza aggravante dell’associazione armata, prevista dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, diversamente da quella analoga, ipotizzata dall’art. 416-bis, quinto comma, cod. pen. con riguardo all’associazione per delinquere di stampo mafioso, non richiede che la disponibilità di armi sia correlata agli scopi perseguiti dall’associazione criminosa, purché si tratti di armi che non siano di uso personale ed esclusivo dei partecipi che le detengono (Sez. 6, n. 15528 del 12/1/2021, COGNOME, Rv. 281212 – 01; Sez. 5, n. 11101 del 4/2/2015, COGNOME, Rv. 262714 – 01; Sez. 1, n. 21040 del 12/5/2010, P. G. in proc. COGNOME, Rv. 247557 – 01).
A fronte della comprovata disponibilità delle armi da parte dei partecipi, il ricorrente non ha allegato nulla di concreto per smentire quanto sostenuto dalla Corte di appello.
Quanto all’aggravante del numero delle persone, la Corte di appello ha affermato che essa risultava sussistente alla luce del numero di soggetti coinvolti
nella struttura associativa, coincidente con gli imputati di cui al diverso procedimento.
Considerato il numero, pari a 13, degli imputati indicati nella contestazione, compreso quelli nei cui confronti si è proceduto separatamente, la difesa del ricorrente aveva l’onere di dimostrare che, per effetto dell’assoluzione di COGNOME, il numero dei compartecipi all’associazione era sceso sotto la soglia di dieci: onere che non è stato adempiuto.
Anche l’ultimo motivo, relativo all’affermazione della responsabilità del ricorrente per il reato fine di cui al capo 44) dell’imputazione, è privo d specificità, oltre a non rientrare tra quelli consentiti.
Nella sentenza impugnata si dà atto di come le dichiarazioni particolarmente qualificate rese da NOME COGNOME che aveva vissuto in prima persona i fatti riferiti relativi all’attività di NOME COGNOME in seno all’associazione capeggiat NOME COGNOME, fossero riscontrate dalle convergenti dichiarazioni di NOME COGNOME e dall’arresto di COGNOME, avvenuto nel 2016, rispetto al quale entrambi i collaboratori avevano riferito trattarsi di droga di proprietà di NOME COGNOME.
Con tali argomentazioni il ricorrente non si è in concreto confrontato, essendosi limitato a svilire gli elementi probatori valorizzati dal Collegi territoriale e a sollecitare una rilettura delle prove acquisite nel giudizio merito, in contrasto con il consolidato orientamento di legittimità secondo cui è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o, comunque, di attendibilit delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271702 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 – 01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, Rv. 275100 – 01).
Alla luce di quanto precede la sentenza impugnata va annullata limitatamente all’affermazione della responsabilità del ricorrente per il delitto d cui al capo 1), con rinvio per nuovo giudizio su tale capo ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Il ricorso è inammissibile nel resto.
6.1. L’esito del ricorso comporta che la Corte del rinvio sarà tenuta ad effettuare valutazioni anche in ordine alle statuizioni civili, il cui riconoscimen in favore dell’Associazione COGNOME è correlato alla sussistenza o meno della responsabilità del ricorrente per il delitto associativo, atteso che l’anzidett Associazione è costituita come parte civile solo con riferimento a tale reato. Le
valutazioni della Corte di appello incideranno, invece, sull’entità delle statuizioni civili da riconoscere al Comune di Latina, che non ha limitato la sua costituzione
di parte civile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo 1) con rinvio per nuovo giudizio su tale capo ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso il 16 aprile 2025.