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Associazione di stampo mafioso: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata accusata di essere organizzatrice di un’associazione di stampo mafioso. Il ricorso è stato giudicato generico per non aver contestato in modo specifico le prove a carico (intercettazioni, dichiarazioni di collaboratori) e per mancanza di interesse a contestare il ruolo di organizzatrice, dato che la semplice partecipazione avrebbe comunque giustificato la misura cautelare.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ruolo Organizzativo in Associazione di Stampo Mafioso: Quando il Ricorso è Inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13580/2025, ha affrontato un caso delicato riguardante un’accusa di associazione di stampo mafioso, fornendo importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi contro le misure cautelari. La decisione conferma la linea rigorosa della giurisprudenza nel valutare la specificità dei motivi di ricorso, soprattutto in contesti di criminalità organizzata.

I Fatti del Caso: L’ascesa di un Nuovo Clan

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame che confermava la custodia cautelare in carcere per una donna. L’accusa era gravissima: essere l’organizzatrice di una ‘ndrina, oltre a concorso in estorsione aggravata e danneggiamento a mezzo di incendio. Secondo l’impianto accusatorio, la ricorrente svolgeva un ruolo cruciale all’interno del gruppo criminale, agendo come collegamento tra il marito detenuto e gli altri associati. Inoltre, avrebbe gestito le attività estorsive ai danni di imprenditori locali e la riscossione dei proventi dello spaccio.

Il Tribunale aveva ricostruito come, a seguito dell’indebolimento di un clan storicamente egemone sul territorio, la famiglia della ricorrente avesse colto l’opportunità per “affrancarsi” e assumere un ruolo di primo piano nel panorama criminale locale, consolidando il proprio potere attraverso la forza di intimidazione e un clima di diffusa omertà.

I Motivi del Ricorso e la difesa sull’associazione di stampo mafioso

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi principalmente su tre argomenti:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Si contestava che il Tribunale non avesse spiegato adeguatamente come e quando la famiglia della ricorrente si fosse resa autonoma dal clan preesistente. A supporto di questa tesi, la difesa citava una singola intercettazione in cui un membro della famiglia rivendicava l’appartenenza al vecchio clan per intimidire un debitore.
2. Insussistenza dei requisiti dell’associazione mafiosa: La difesa sosteneva che le prove, in particolare quelle relative a un tentativo di estorsione, non fossero sufficienti a configurare il reato associativo di stampo mafioso.
3. Contestazione del ruolo di “organizzatrice”: Si lamentava che l’ordinanza non contenesse elementi concreti per giustificare l’attribuzione di un ruolo apicale alla ricorrente.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi generici e manifestamente infondati. I giudici hanno sottolineato come la difesa avesse ignorato completamente il solido apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata. Il Tribunale, infatti, aveva dettagliatamente spiegato le cause dell’indebolimento del vecchio clan (arresti e pentimenti) e aveva basato la propria decisione su una pluralità di fonti probatorie convergenti: dichiarazioni di collaboratori di giustizia, numerose intercettazioni e testimonianze delle vittime.

In particolare, la Corte ha evidenziato la debolezza dell’argomento difensivo basato su una singola telefonata, contrapponendogli un’altra intercettazione, citata dal Tribunale, in cui si affermava esplicitamente che a comandare sul territorio erano ormai “il cognato, il nipote e la sorella”, identificando così il nuovo vertice del clan nella ricorrente e nei suoi stretti familiari.

Un punto cruciale della decisione riguarda la contestazione del ruolo di “organizzatrice”. La Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile anche per mancanza di interesse. Come spiegato dai giudici, in fase cautelare, l’esclusione della qualifica più grave di organizzatrice non avrebbe comportato alcun beneficio per la ricorrente. La semplice partecipazione all’associazione di stampo mafioso è di per sé sufficiente a integrare i presupposti per l’applicazione della massima misura cautelare. Pertanto, un eventuale accoglimento del ricorso su questo punto non avrebbe modificato la sua posizione.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce due principi fondamentali nel diritto processuale penale:
1. La necessità di un ricorso specifico: Un ricorso in Cassazione non può limitarsi a contestazioni generiche o a una lettura parziale e selettiva degli atti. Deve confrontarsi puntualmente con la motivazione del provvedimento impugnato, pena l’inammissibilità.
2. Il principio dell’interesse ad agire: L’impugnazione deve mirare a un risultato pratico favorevole per il ricorrente. Contestare un’aggravante o una qualifica giuridica più grave è inutile in fase cautelare se anche la configurazione meno grave del reato giustifica pienamente la misura applicata.

La decisione, quindi, non solo conferma la validità dell’impianto accusatorio nel caso di specie, ma offre anche una lezione di tecnica processuale, evidenziando come la strategia difensiva debba essere sempre concreta e mirata a ottenere un risultato tangibile.

Quando un ricorso in Cassazione contro una misura cautelare è considerato generico?
Secondo la sentenza, un ricorso è generico quando non si confronta specificamente con l’intera trama argomentativa del provvedimento impugnato, ma si limita a ignorarla o a citare singoli elementi di prova in modo isolato, senza contestare il quadro probatorio complessivo delineato dal giudice.

Perché la Corte ha ritenuto irrilevante la contestazione del ruolo di “organizzatrice” dell’associazione di stampo mafioso?
La Corte ha dichiarato il motivo inammissibile per mancanza di interesse. Ha spiegato che, ai fini della misura cautelare, la semplice partecipazione a un’associazione mafiosa è già di per sé un fatto che integra la presunzione di pericolosità e giustifica la detenzione. Di conseguenza, l’eventuale esclusione del ruolo più grave di organizzatrice non avrebbe prodotto alcun effetto favorevole per la ricorrente.

Come ha stabilito il Tribunale l’esistenza di una nuova associazione di stampo mafioso autonoma?
Il Tribunale ha basato la sua conclusione sulla convergenza di diverse fonti di prova: le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, il contenuto di numerose conversazioni intercettate e le dichiarazioni rese dalle vittime delle estorsioni. Questi elementi, nel loro insieme, hanno dimostrato l’indebolimento del clan precedente e l’ascesa del nuovo sodalizio, che si stava consolidando sul territorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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