Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1978 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1978 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA NOME nato il DATA_NASCITA NOME nato il DATA_NASCITA NOME nato il DATA_NASCITA NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/11/2021 della Corte d’appello di Torino
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse dei ricorrenti NOME NOME e NOME NOME, che ha concluso chiedendo accogliersi i ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente NOME, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente NOME, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse dei ricorrenti NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, che ha concluso chiedendo accogliersi i ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO nell’interesse del ricorrente NOME, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente NOME, che ha chiesto accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Torino, con la sentenza impugnata in questa sede, ha parzialmente riformato la sentenza di condanna pronunciata nei confronti degli odierni ricorrenti dal G.u.p. del Tribunale di Torino in data 25 settembre 2020; esclusa la qualifica di promotori ed organizzatori del sodalizio di cui al capo 1), per gli imputati NOME, NOME, NOME, NOME; concesse le circostanze attenuanti generiche agli imputati NOME, NOME NOME, NOME, NOME e NOME, per quest’ultimo in termini di prevalenza rispetto all’aggravante della recidiva, recidiva invece esclusa per l’imputato NOME così come per l’imputato NOME, ha rideterminato per tutti il trattamento sanzionatorio.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato NOME deducendo, con il primo motivo, vizio di motivazione per manifesta illogicità nella
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parte in cui la Corte territoriale ha confermato il giudizio sulla sussistenza dell’ipotizzato sodalizio di stampo mafioso in presenza dell’accertata responsabilità del ricorrente per reati (capi 6 e 7) “a consumazione complessa e pluriorganizzata”; tale contraddittorietà logica era palese, dovendosi ritenere che il ricorrente avesse agito “in concorrenza” con l’associazione nella commissione dei reati di sfruttamento della prostituzione e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, in quanto carente nella parte in cui aveva determinato gli aumenti a titolo di continuazione in misura diversa dai minimi edittali.
Ha proposto ricorso, con unico atto e comuni motivi, la difesa degli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME deducendo, con il primo motivo, la violazione di legge, in relazione all’art. 416 bis cod. pen., e vizio di motivazione, quanto alla ritenuta sussistenza del carattere mafioso dell’associazione contestata al capo 1); con il secondo motivo, connesso al precedente, si censura il difetto di correlazione tra quanto contestato e il fatto ritenuto in sentenza.
Mancava la prova in atti, né era stata fornita motivazione, della capacità dell’associazione di proiettare all’esterno l’ipotizzata capacità intimidatoria; non poteva dirsi idonea a tal fine la motivazione che aveva richiamato gli esiti di un precedente procedimento (in cui era stata ravvisata tale caratteristica con sentenza irrevocabile) avente ad oggetto quella che le decisioni ritenevano la medesima associazione, poiché era comunque necessario che fosse stata fornita la prova, invece mancante, della permanente capacità del sodalizio di esteriorizzare tale capacità di intimidazione.
Anche i singoli elementi di prova dichiarativi indicati dalla Corte territoriale, in quanto concernenti (sia per il contenuto intrinseco, sia per l’epoca di acquisizione), fatti anteriori rispetto al periodo oggetto di contestazione (a far data dal 2017) non potevano fornire validi dati di prova in ordine alle caratteristiche dell’associazione; di nessun rilievo, al medesimo fine, gli episodi storici ricordati e il documento ritenuto sintomatico della caratteristiche del sodalizio (“RAGIONE_SOCIALE“), in quanto afferenti a vicende avvenute in altro contesto territoriale.
3.1. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, in relazione al disposto dell’art. 416 bis, comma 2 cod. pen., e vizio di motivazione in punto di riconoscimento in capo ai ricorrenti del ruolo di promotori, organizzatori e dirigenti del sodalizio; a fronte dell’affermato possesso di una determinata carica (Don) attribuita a taluni sodali, era del tutto mancante la prova dell’effettivo svolgimento di tale ruolo, risultando irrilevanti a questo fine i riti di iniziazione richiamati d decisione; al contrario, la mancanza di contestazioni riguardanti la commissione
di reati fine, e la dimostrata assenza dei ricorrenti a tutte le riunioni del sodalizio ostavano al riconoscimento della qualifica loro attribuita.
3.2. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio della motivazione, in relazione all’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata; anche in relazione alla condanna per reati associativi di stampo mafioso, è presupposto necessario la verifica della pericolosità attuale da parte del giudice (su cui grava il relativo onere motivazionale), non potendosi far riferimento ad alcun tipo di presunzione; in ogni caso, la difesa aveva allegato le circostanze dell’avvenuto smantellamento del sodalizio o, comunque, del suo ridimensionamento per effetto dell’arresto di numerosi elementi di vertice; inoltre, la permanenza del sodalizio poteva essere fissata al più alla data della pronuncia di primo grado, richiedendosi conseguentemente la dimostrazione del perdurare dell’operatività del sodalizio; infine, era stata ingiustamente svalutata la dissociazione effettuata da entrambi i ricorrenti.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato NOME deducendo, con il primo motivo, violazione della legge penale in relazione all’art. 416 bis cod. pen., per ciò che riguarda l’affermata partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo 1).
Nessuno degli elementi che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza, assumono carattere sintomatico della partecipazione ad un sodalizio (affiliazione; messa a disposizione incondizionata senza limiti temporali; ruolo svolto; adesione all’accordo illecito posto a base dell’associazione), era stato dimostrato con riguardo alla posizione del ricorrente, senza che gli fosse attribuito un ruolo definitivo, mai citato dai collaboratori le cui dichiarazioni erano state poste a base della decisione, mai presente alle riunioni del sodalizio.
L’unico dato indicato nella sentenza impugnata (conversazioni intercettate in cui il ricorrente discorreva con NOME soggetti di “dinamiche interne” all’associazione) era del tutto inidoneo a fornire la prova della concreta ed effettiva partecipazione.
4.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, nella parte della decisione relativa all’affermazione del carattere mafioso dell’associazione contestata, poiché desunta da eventi accaduti in epoca anteriore rispetto all’epoca di operatività del sodalizio, per come contestato nel capo d’imputazione, e per fatti riferibili ad altre associazioni (come per il rinvenimento e sequestro del documento ritenuto costitutivo del sodalizio, o l’omicidio avvenuto in altro territorio e riferibile ad al contesto organizzato), oltre che da materiale dichiarativo reso in data anteriore
rispetto alla data di costituzione e vita del sodalizio, ovvero riferito da soggetti che si trovavano in stato detentivo già da tempo rispetto all’anno 2017.
4.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge, in relazione all’art. 416 bis cod. pen., sempre in relazione al medesimo profilo.
In particolare, il ricorrente censura l’omessa valutazione e dimostrazione, da parte della sentenza impugnata, del carattere necessario e indispensabile della capacità dell’associazione di manifestare all’esterno la forza d’intimidazione, considerando la provenienza del sodalizio da NOME contesti geografici.
4.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 416 bis, comma 2, cod. pen., per l’affermata (ma indimostrata) qualifica di promotore, organizzatore e dirigente contestata e ritenuta in capo al ricorrente; egli aveva assunto in Nigeria un ruolo apicale (NOME) mentre da quando era giunto in Italia non aveva ricoperto alcun ruolo equivalente all’interno dell’organizzazione criminale descritta nell’imputazione.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato NOME COGNOME deducendo, con unico articolato motivo, violazione della legge penale in relazione agli artt. 416 bis cod. pen.; 192, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME e NOME, nonché vizio della motivazione, per manifesta illogicità e contraddittorietà; la sentenza impugnata aveva confermato il giudizio sul carattere mafioso del sodalizio, con errata applicazione della legge penale e con motivazione illogica e contraddittoria, oltre che mediante il riferimento al materiale dichiarativo, senza la verifica dei necessari riscontri esterni individualizzanti.
Le dichiarazioni del collaboratore NOME non avevano trovato alcun riscontro per plurimi aspetti (il traffico di droga; l’esistenza di una cassa comune; il traffico di armi, gli episodi di violenza); il documento indicato come “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, che dovrebbe riscontrare il dichiarato del collaboratore, non possiede caratteri che ne attestino l’autenticità; sospette risultano le modalità di diffusione del testo attraverso Internet (in contrasto con l’asserito carattere segreto del documento) e la genuinità del suo contenuto, comprensivo di una serie di indicazioni, esplicative di metodi e finalità del sodalizio, che mettono in luce un maldestro tentativo di indirizzare le investigazioni nel senso di supportare esclusivamente le dichiarazioni del collaboratore.
Le dichiarazioni del collaboratore NOME, svalutate dal giudice di primo grado, erano inspiegabilmente considerate attendibili dalla sentenza impugnata con argomentazioni astratte e apodittiche (come per il timore iniziale di essere coinvolto per le dichiarazioni autoaccusatorie rese, timore che non poteva subire modifiche nel tempo); non erano state considerate le censure volte a
ridimensionare l’affermata attendibilità, con specifico riguardo alla conoscenza del correo NOME COGNOME (negata in un primo interrogatorio, poi ammessa ma con errori e imprecisioni che dimostrano come le dichiarazioni fossero frutto solo dell’avvenuta conoscenza degli atti del procedimento).
Anche il carattere dell’assoggettamento omertoso derivante dalla capacità di intimidazione del sodalizio era indimostrato, se non contraddetto dalle modalità di diffusione di notizie sull’attività dell’associazione attraverso sistemi di diffusion incontrollabili, quali la rete Internet, e di predisposizione delle riunioni tra adepti; erano irrilevanti le vicende dell’aggressione in danno della donna, cui era stato consigliato di non denunciare l’aggressione subita, così come le vicende successive alla morte del soggetto neo affiliato avvenuta a Roma.
Gli aspetti organizzativi interni non erano elementi in grado di qualificare in termini di mafiosità il sodalizio; il dato del ricorso alla violenza verso soggett esterni al sodalizio era rimasto affidato solo a mere dichiarazioni dei soggetti intercettati; conseguentemente, era del tutto indimostrato il dato dell’esteriorizzazione della capacità di intimidazione (risultando al più episodi violenti nei confronti dei sodali e di coloro che avrebbero dovuto essere ammessi all’associazione); nessun concreto ausilio prestava il sodalizio in occasione di arresti dei suoi componenti; non era stata individuata, né provata l’esistenza di una cassa comune; era carente e scarsamente significativa la prova del controllo dell’attività dei mendicanti; era incerto e vago il rapporto tra la “casa madre” e l’organizzazione operante in Italia, peraltro in totale assenza di prova del carattere mafioso dell’organizzazione operante in Nigeria; infine, era del tutto indimostrato il programma criminale, non essendo stata raggiunta la prova dell’esecuzione di alcuno degli ipotizzati reati oggetto di quel programma.
6. Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato NOME deducendo, con il primo articolato motivo, violazione della legge penale in relazione agli artt. 416 bis cod. pen.; 192, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME e NOME, nonché vizio della motivazione, per manifesta illogicità e contraddittorietà, nei medesimi termini testuali del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato NOME.
6.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 416 bis cod. pen., con riguardo alla ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione. Dagli atti non risulta alcun elemento per affermare la partecipazione attiva e dinamica del ricorrente (che non ha mai perso parte a riunioni; negli episodi ricordati dalla sentenza impugnata non si apprezzano condotte di partecipazione, ma al contrario manifestazioni di interessi esclusivamente personali, partecipazioni a eventi non dimostrativi di alcuna
adesione, incapacità di collaborare e prestare aiuto economico, come per le spese legali a favore del coimputato COGNOME).
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato NOME deducendo, con unico articolato motivo, violazione della legge penale in relazione agli artt. 416 bis cod. pen.; 192, comma 3, cod. proc. pen.; si tratat di ricorso sovrapponibile a quello proposto nell’interesse dell’imputato NOMENOME
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato lacob NOME deducendo, con il primo articolato motivo, violazione della legge penale in relazione agli artt. 416 bis cod. pen.; 192, comma 3, cod. proc. pen. nei medesimi termini dei ricorsi che precedono.
8.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 416 bis, comma 2, cod. pen., e vizio della motivazione; la sentenza non aveva fornito indicazioni per verificare che il ricorrente fosse dotato di autonomi poteri decisionali e gestionali, indispensabili per attribuire il contesto ruolo d organizzatore.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato NOME deducendo, con il primo articolato motivo, violazione della legge penale in relazione agli artt. 416 bis cod. pen.; 192, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME e NOME, nonché vizio della motivazione, per manifesta illogicità e contraddittorietà, nei medesimi termini testuali del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato NOME.
9.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 81, comma 2, cod. pen., per il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato di associazione per delinquere e i reati oggetto di applicazione concordata della pena disposta dal GUP del Tribunale di Trento del 13 gennaio 2020; la motivazione sul punto era errata, poiché la contestualità temporale tra gli episodi di spaccio e il periodo di operatività dell’associazione, oltre che il legame logico tra le condotte, deponevano con evidenza per l’unicità del disegno criminoso.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato NOME COGNOME deducendo, con unico articolato motivo, violazione della legge penale in relazione agli artt. 416 bis cod. pen.; 192, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME e NOME, nonché vizio della motivazione, per manifesta illogicità e contraddittorietà; il tenore del ricorso
replica tutti gli argomenti già illustrati nell’esame del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato COGNOME.
Il comune difensore degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, con cui deduce violazione di legge in relazione all’art. 73, comma 5, d.p.r. 309/90; ad avviso della difesa il ruolo subordinato e gregario dei ricorrenti rispetto alla posizione di rango superiore del coimputato NOME, le caratteristiche dei singoli episodi di cessione, il dato quantitativo sia delle forniture che delle cessioni, riscontrato in occasione di un arresto subito da alcuni dei soggetti coinvolti, attestavano pacificamente la sussistenza della fattispecie del fatto lieve, non rilevando il dato della serialità delle condotte.
11.1. Autonomo ricorso è stato proposto dall’AVV_NOTAIO, co-difensore dell’imputato NOME, deducendo con argomenti del tutto sovrapponibili la medesima violazione di legge.
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato NOME deducendo, con il primo motivo, violazione della legge penale in relazione agli artt. 416 e 416 bis cod. pen., per ciò che riguarda la ritenuta qualificazione giuridica dell’associazione contestata quale associazione di stampo mafioso.
Ad avviso del ricorrente la sentenza non aveva fornito motivazione valida in ordine all’effettiva esteriorizzazione dell’ipotizzata capacità d’intimidazione; al prestigio criminale di cui dovrebbe essere dotata l’associazione in esame (considerati gli accadimenti che dimostravano uno scarso intuito nell’avvertire interventi delle forze dell’ordine per controllare dialoghi e incontri; l’illogicità sistema di retribuzione dei vertici dell’associazione senza alcuna verifica delle capacità direttive e criminali; la scarsa attendibilità del documento programmatico del sodalizio – la “RAGIONE_SOCIALE” – pubblicizzato su Internet, dai contenuti caratterizzati da affermazioni maldestre e puerili); allo stesso modo l’esecuzione del programma criminale riguardava attività di scarso rilievo (considerati i modesti traffici di stupefacenti accertati; la carenza di riscontro in ordine allo sfruttamento della prostituzione così come per il traffico di armi) ovvero frequenti condotte violente esercitate però sol all’interno del sodalizio e senza nessun effetto esterno.
12.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio della motivazione, quanto all’attribuzione al ricorrente della qualifica di promotore e organizzatore dell’associazione, in difetto di elementi dimostrativi di poteri di deliberazione e decisione autonomamente esercitati e non potendo farsi leva sulle sole circostanze del riconoscimento nominativo di ruoli, a volte autoattribuiti,
senza esplicazione concreta ed effettiva degli ipotizzati poteri di direzione e organizzazione.
12.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge, in relazione all’art. 73, comma 5, d.p.r. 309/90 e vizio della motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il reato contestato al capo 2). Il ricorrente contesta la portata probatoria delle intercettazioni considerate, che attestano al più una serie di acquisti di modici quantitativi, senza alcuna espressa indicazione dell’attività di cessione a favore di terzi; egualmente contestato il carattere sistematico della attività, a fronte di esigui riscontri provenienti dalle intercettazioni rispetto a durata delle operazioni di captazione; infine, si contesta l’operata qualificazione giuridica, affidata all’interpretazione di espressioni (quale quella della richiesta di stupefacente del “solito livello”) che non è esclusiva e può esser operata anche in senso di garanzia per il consumo personale di sostanza di buona qualità.
12.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 56 e 629, cod. pen., e vizio della motivazione (contraddittoria e manifestamente illogica) quanto al capo della decisione che aveva affermato la responsabilità del ricorrente per il delitto di cui al capo 3).
Ad avviso del ricorrente i dialoghi considerati dalla sentenza non descrivevano alcun condotta effettivamente capace di costringere le presunte persone offese a versare somme di denaro; né poteva rilevare a sostegno del carattere minaccioso, l’affermata operatività del ricorrente quale componente dell’associazione in difetto di prova della consapevolezza delle persone offese di tale qualità; carente la prova del collegamento tra le presunte minacce e le dazioni di denaro, peraltro non specificate; era stata ingiustamente svalutata la tesi difensiva (che vedeva anche il ricorrente dedito alla mendicità e disposto a cedere temporaneamente il proprio posto, in cambio di un modesto riconoscimento economico).
Era indimostrato, infine, che dalle minacce individuate fosse scaturito con adeguato margine di certezza l’effetto costrittivo, ciò che avrebbe imposto la diversa qualificazione giuridica in termini di delitto tentato.
13. Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato NOME deducendo, con il primo motivo, violazione della legge penale e di norme processuali in relazione agli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen., nonché vizio della motivazione circa l’omessa diversa qualificazione giuridica dell’associazione contestata quale associazione per delinquere ai sensi dell’art. 416 cod. pen.
In primo luogo, il ricorrente censura il giudizio di attendibilità del collaboratore di giustizia NOME, con argomenti corrispondenti a quelli sviluppati nei ricorsi esaminati nei paragrafi che precedono; inoltre, ad avviso del ricorrente la sentenza
non aveva fornito motivazione valida in ordine all’effettiva esteriorizzazione dell’ipotizzata capacità d’intimidazione; né potevano rilevare in questo senso le affiliazioni “forzate” (trattandosi di vicende che al più dimostravano il rafforzamento interno dell’associazione); inconferente il richiamo alla capacità di controllo del territorio, desunta da un episodio di modestissima portata; ancor meno poteva farsi leva sull’affermato “legame con la casa madre” al fine di fornire dimostrazione del carattere mafioso, dovendo invece individuarsi specifici episodi delittuosi espressivi di tale forza intimidatrice; infine non possedevano alcuna capacità dimostrativa della forza di intimidazione il richiamo ad altre vicende delittuose (la gestione del traffico di droga o la dimostrata esistenza di una cassa comune).
13.1. Con il secondo motivo si deduce violazione della legge penale e di norme processuali, in relazione agli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen.; 416 bis, comma 2, cod. pen. e vizio della motivazione, quanto all’attribuzione al ricorrente della qualifica di promotore e organizzatore dell’associazione, in ragione della sola partecipazione a riti di affiliazione e in assenza di prove della partecipazione a ben più decisive e rilevanti riunioni operative specificamente indicate, cui il ricorrente non aveva preso parte.
13.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge penale e di norme processuali, in relazione agli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen.; 73, comma 1 e 5, d.p.r. 309/90 e vizio della motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il reato contestato al capo 4).
La sentenza non aveva considerato le censure difensive con cui si poneva in dubbio la portata probatoria delle due uniche intercettazioni rilevanti nella prospettiva dell’accusa; rispetto al tenore vago e privo di riferimento fattuali util per definire natura, quantitativi e qualità delle ipotizzate sostanze stupefacenti oggetto di transazione, la sentenza impugnata si era rifugiata in considerazioni “generiche ed illogiche”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Come risulta dall’esposizione che precede, tutti i ricorrenti condannati per la partecipazione all’associazione di cui al capo 1 (taluni prospettando un unico motivo di ricorso, come gli imputati NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME) hanno censurato la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha condiviso e ribadito il giudizio espresso dall sentenza di primo grado circa la qualificazione del sodalizio oggetto di contestazione in termini di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Esigenze di economia espositiva e di coerenza argomentativa (considerate le comuni e ricorrenti ragioni poste a fondamento delle censure, che si rintracciano nella lettura di tutti i ricorsi, affidati al medesimo difensore per gli imputa NOME COGNOME, NOME, NOME, NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME) inducono ad affrontare in via preliminare le questioni sollevate sul tema.
1.1. Va, preliminarmente, ricordato che l’esito conforme quanto al giudizio di responsabilità (e per taluni profili del trattamento sanzionatorio di cui si dirà nell’esame dei singoli ricorsi) delle decisioni pronunciate nei due gradi di giudizio consente di operare la lettura congiunta delle sentenze di primo e secondo grado, trattandosi di motivazioni che si fondono in un unico corpo di argomenti a sostegno delle conclusioni raggiunte per il principio della c.d. doppia conforme (su cui v., da ultimo, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), a tenore del quale ove le decisioni di merito abbiano entrambe affermato la responsabilità dell’imputato «le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità» (in questi termini, nella motivazione, Sez. 2, n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia, Rv. 256096).
1.2. La giurisprudenza della Corte ha avuto ripetute occasioni per affermare la compatibilità della fattispecie prevista dall’art. 416 bis cod. pen. con fenomeni criminali organizzati, di matrice straniera (come del resto desumibile dal tenore letterale della norma incriminatrice: art. 416 bis, comma 8, cod. pen.), che siano connotati dalla forza di intimidazione promanante dal particolare vincolo associativo; gli effetti di tale capacità negativa di condizionamento, proprio per l’origine non autoctona del fenomeno criminale, vanno riscontrati prendendo in considerazione in primo luogo la comunità che condivide la medesima origine etnica e che risulti insediata nel territorio nazionale, mentre l’esplicazione di quella forza intimidatrice in termini generalizzati, anche nei confronti dell’intera popolazione del territorio considerato, resta fattore eventuale e non necessario.
Taluni di questi precedenti di legittimità sono relativi ad associazioni nigeriane operanti nel medesimo territorio in cui si è manifestata l’associazione in esame (Piemonte e zone limitrofe: Sez. 6, n. 37081 del 19/11/2020, Aslem, Rv. 280552 – 01, pronunciata nei confronti di originari coimputati, separatamente giudicati, appartenenti alla medesima organizzazione denominata RAGIONE_SOCIALE; Sez. 1, n. 11078 del 16/9/2022, dep. 2023, NOME e altro, n.m., riguardante NOME
coimputati del medesimo procedimento; Sez. 2, n. 14225 del 13/01/2021, NOME, Rv. 281126 – 01, relativa alla articolazione locale “RAGIONE_SOCIALE” dell’associazione nigeriana “RAGIONE_SOCIALE“; Sez. 1, n. 16353 del 01/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263310 – 01), oltre che in altre regioni italiane (Sez. 6, n. 30144 del 29/3/2023, NOME NOME, n.m., relativa alla “Famiglia RAGIONE_SOCIALE” del forum EmiliaRAGIONE_SOCIALE, della stessa organizzazione RAGIONE_SOCIALE; Sez. 3 n. 28441 del 19/2/2021, NOME, n. m., relativa ad altra associazione operante nella regione siciliana, diretta derivazione del medesimo sodalizio RAGIONE_SOCIALE; Sez. 1, n.3761 del 3/10/2019, dep. 2020, COGNOME, n.m. e Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Lee, Rv. 269747 – 01, riguardanti il sodalizio “RAGIONE_SOCIALE” che ha operato nei territori della Sicilia e della Campania)
Altri arresti hanno espresso il medesimo principio in relazione ad organizzazioni criminali di origini rumene caratterizzate dalla «finalità di assoggettare al proprio potere criminale un numero indeterminato di persone appartenenti ad una determinata comunità, avvalendosi di metodi tipicamente mafiosi e della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo per realizzare la condizione di soggezione ed omertà delle vittime» (Sez. 6, n. 43898 del 08/06/2018, R., Rv. 274231 – 02; Sez. 2, n. 36111 del 09/06/2017, P., Rv. 271192 – 01).
In quei precedenti, è stato ribadito: a) che il dato caratterizzante delle associazioni considerate, ai fini del loro inquadramento nella categoria delle associazioni di cui all’art. 416 bis cod. pen., è rappresentato dal metodo adottato che si manifesta attraverso “l’esteriorizzazione” della forza intimidatrice di cui è dotata l’associazione, rivolta sia nei confronti dei sodali sia verso i terzi, potenzial vittime dei reati fine, forza che a sua volta si traduce nel duplice effetto dell’assoggettamento e dell’omertà (Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, cit.); b) che la dimensione di tali effetti non deve essere parametrata sull’intera popolazione di un determinato territorio, essendo sufficiente che essi si manifestino rispetto a gruppi di persone anche più ristretti, quale può essere quello della comune origine di appartenenza, purché l’assoggettamento sia funzionale al controllo e alla sottomissione di quei gruppi (Sez. 2, n. 14225 del 13/01/2021, cit.; Sez. 6, n. 37081 del 19/11/2020, cit.; Sez. 6, n. 43898 del 08/06/2018, cit.); c) che la finalità perseguita dall’associazione può consistere nella commissione di reati per realizzare vantaggi ingiusti, eventualmente anche di natura non economica, come quando un gruppo criminale intenda affermarsi come egemone in una specifica comunità etnica (Sez. 6, n. 37081 del 19/11/2020, cit.; Sez. 1, n. 16353 del 01/10/2014, cit.).
1.3. La prospettiva seguita dai ricorrenti, nel segnalare il difetto dei requisit tipici della fattispecie prevista dall’art. 416 bis cod. pen., per un verso si concentra
su aspetti fattuali che non sono caratterizzanti la figura di reato (ricorso NOME), dall’altro finisce per confondere il dato sociologico, che costituì la spinta propulsiva per l’adozione da parte del legislatore del 1982 della fattispecie tipica dell’associazione di stampo mafioso, con l’individuazione degli elementi strutturali della fattispecie. Va a questo riguardo ribadito che il distilla dell’esperienza giudiziaria di analisi dei fenomeni criminali organizzati, ricompresi nella categoria delle mafie storiche, non costituisce il tracciato obbligato per verificare, in contesti storico-fattuali differenti, l’esistenza di associazioni delinquere caratterizzate dal carattere mafioso; il che si traduce nella necessità di sgombrare il campo della relativa valutazione probatoria dalla ricerca di aspetti fenomenici (una speciale struttura interna; l’esistenza di peculiari organismi direttivi; il grado di segretezza della conoscenza del vincolo) che non rappresentano indispensabili fattori dimostrativi del requisito proprio della fattispecie normativa, ossia la capacità di intimidazione che deriva dal vincolo associativo e che si manifesta attraverso il binomio “assoggettamento ed omertà”. Ciò che rileva, e deve costituire oggetto di prova, è la verifica della capacità dell’associazione di raggiungere, facendo leva sul vincolo esistente tra gli associati (e quali che siano le regole interne, le disposizioni “statutarie”, i meccanismi operativi), un livello di intimidazione che sia in grado di manifestarsi all’esterno del gruppo criminale in modo tale da conseguire gli effetti descritti dalla norma.
Poste queste premesse, non assume alcun carattere di decisività, nell’escludere la qualificazione dell’associazione in esame, la dedotta carenza probatoria circa l’effettivo aiuto assicurato dal sodalizio ai suoi componenti, in occasione di provvedimenti restrittivi emessi nei loro confronti; ovvero la lamentata assenza di una cassa comune, non individuata nel corso delle indagini e del giudizio; così come la scarsa portata probatoria del controllo dell’attività dei mendicanti o l’incertezza circa l’effettivo rapporto tra la “casa madre” e l’organizzazione operante in Italia; infine, del tutto indifferente, rispet all’esistenza dell’associazione, il difetto di prova dell’esecuzione di alcuno degli ipotizzati reati oggetto di quel programma (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 02; Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015, dep. 2016, Venere, Rv. 266710 – 01; Sez. 2, n. 24194 del 16/03/2010, COGNOME, Rv. 247660 – 01).
1.4. Le censure che investono l’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (NOME e NOME), oltre ad essere smentite dall’accurata motivazione della sentenza impugnata (pagg. 79 e ss.), sono sostanzialmente reiterative del tenore testuale delle corrispondenti doglianze formulate con l’atto di appello, che la Corte territoriale ha analizzato puntualmente superandole con argomentazioni che non risultano né contraddittorie, né manifestamente illogiche; si tratta, comunque, di censure che attaccano solo una delle fonti di prova considerate,
atteso che il giudizio di responsabilità non si fonda esclusivamente sul dichiarato dei collaboratori, ma poggia su un complesso di elementi (taluni decisivi e di rilevante portata perché promananti dai soggetti direttamente coinvolti nelle attività del gruppo), a partire dalla sentenza definitiva emessa nel parallelo procedimento a carico di coimputato per lo stesso reato (Sez. 6, n. 37081 del 19/11/2020, Aslem, cit., richiamata espressamente dalla Corte territoriale: pag. 66 e 112), dal riscontro documentale del testo contenente lo “statuto” dell’associazione (la c.d. RAGIONE_SOCIALE), sino alle operazioni sotto copertura eseguite grazie agli accessi sulla rete Internet, avvenuti attraverso le credenziali ottenute seguendo le indicazioni del collaboratore, ed al contenuto delle intercettazioni; tutti gli elementi di prova sono stati valutati nella loro concreta portata e nella reciproca corrispondenza nel fornire dati essenziali per la ricostruzione dell’attività e delle caratteristiche del sodalizio.
Per quanto concerne (ricorso NOME) il contestato e limitato valore della sentenza irrevocabile che ha riconosciuto il carattere della mafiosità al sodalizio oggetto del processo richiamato dalla Corte territoriale (in ragione della diversità dell’associazione e della collocazione temporale degli episodi accertati in quella sentenza fuori e prima pima del periodo di operatività dell’associazione qui contestata), va osservato che le censure ignorano le ragioni esplicitate dalla sentenza impugnata per affermare l’identità del sodalizio, attraverso la comparazione non solo di alcuni componenti che sono stati giudicati in entrambi i processi, ma anche e soprattutto evidenziando le diverse fasi operative, anche di fibrillazione, che hanno codnotto all’evoluzione dell’associazione fermi restando i caratteri distintivi di quel sodalizio (pag. 66).
Per altro verso, le censure dei ricorrenti che attaccano ora l’autenticità del documento (la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), intercettato e sequestrato grazie alle indicazioni del collaboratore, ora l’utilizzo della rete Internet per diffondere i messaggi riservati tra i sodali, finiscono per prospettare o letture alternative dei dati probatori, o differenti ricostruzioni di singole vicende; analogamente, la considerazione del materiale raccolto è spesso riduttiva e tende a ridimensionarne la concreta portata probatoria, a fronte di un’analisi della Corte d’appello puntuale e non affetta da vizi logici. Infine, quanto ai profili della valenza sia delle intercettazioni sia d attività sotto copertura realizzate grazie alle indicazioni del collaboratore, la Corte con argomenti logici coerenti con il materiale raccolto (pagg. 85-87) ha escluso che possa trattarsi di simulate attività ideate e realizzate dal collaboratore NOME, in concorso con NOME soggetti non individuati.
1.5. Da ultimo, va rilevato che le critiche mosse alla sentenza impugnata, con riguardo alla motivazione ritenuta contraddittoria nell’esplicazione delle fonti di prova a sostegno dell’esistenza dell’assoggettamento omertoso (attesa l’anomalia
delle modalità di diffusione di notizie sull’attività dell’associazione attraverso sistemi di comunicazione facilmente soggetti ad intrusioni esterne, quali la rete Internet, così come dei sistemi per predisporre le riunioni tra gli associati), oltre che fondata su eventi che non possedevano capacità dimostrativa del ricorso costante all’uso della violenza (trattandosi di episodi isolati e del tutto sganciati da un contesto organizzato, il che rendeva indinnostrato il dato dell’esteriorizzazione della capacità di intimidazione: ricorso COGNOME; ricorso COGNOME), si rivelano non consentite, oltre che manifestamente infondate.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME è inammissibile perché formulato per motivi non consentiti.
2.1. Il primo motivo, pur deducendo un vizio della motivazione, introduce una questione di diritto (relativa all’individuazione dell’oggetto del programma criminoso dell’associazione e della compatibilità di quel programma con i reati fine ascritti al ricorrente) non dedotta con l’atto di appello e, quindi, non suscettibile di
esame in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.; in ogni caso, la censura è manifestamente infondata, poiché l’articolazione del sodalizio contemplava anche lo svolgimento di attività inerenti allo sfruttamento della prostituzione e all’immigrazione clandestina, sicché non si apprezza alcuna contraddizione nel riconoscere in capo al ricorrente la responsabilità per singoli reati fine riconducibili a quelle stesse categorie.
2.2. Anche il secondo motivo di ricorso non rientra tra quelli consentiti dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.: il ricorrente lamenta l’omessa motivazione su una questione di diritto che, come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata, non era stata sollevata con il motivo di appello corrispondente in punto di trattamento sanzionatorio, mancando alcuna specifica doglianza quanto alla misura dell’aumento a titolo di continuazione, misura che comunque è stata ritenuta adeguata sulla scorta dei medesimi parametri del giudice di primo grado (e risulta di fatto commisurata all’evidente gravità dei reati contestati).
I ricorsi proposti nell’interesse degli imputati NOME NOME ed NOME NOME sono infondati.
3.1. Rinviando alla parte AVV_NOTAIO l’esame del primo e del secondo motivo del ricorso, che concernono peraltro in termini del tutto generici e aspecifici la questione del carattere mafioso dell’associazione contestata, va osservato che il terzo motivo di ricorso è in parte generico, in parte manifestamente infondato: la Corte d’appello ha motivato in modo articolato e specifico il giudizio sull’attribuzione ai ricorrenti della posizione assunta nell’ambito dell’associazione, indicando una pluralità di elementi fattuali (tra i quali talune intercettazioni da contenuto assolutamente chiaro ed esplicite) dimostrativi non solo della carica attribuita e riconosciuta dai sodali ma, altresì, dell’effettivo esercizio di ruo organizzativi e di direzione (v. pag.121, in particolare, per la posizione del ricorrente COGNOME; pagg. 136-38 per il ricorrente COGNOME); la decisione ha, inoltre, considerato le deduzioni difensive sulla mancata partecipazione dei ricorrenti alle riunioni del sodalizio, smentendole sia in fatto, sia dal punto di vista logico.
3.2. Il quarto motivo di ricorso è infondato; la Corte d’appello ha sostenuto la propria decisione, richiamando precedenti di legittimità (riferibili ad un considerevole periodo di produzione giurisprudenziale, dal 2007 ad oggi) che, nel riconoscere la possibilità di attribuire alla condanna per il delitto di cui all’art. 4 bis cod. pen., valore di presunzione semplice circa la verifica dell’attuale pericolosità del condannato (tra le più recenti, Sez. 1, n. 24950 del 22/02/2023, Abbruzzo, Rv. 284829 – 02; Sez. 6, n. 4115 del 27/06/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278325 – 03; Sez. 6, n. 2025 del 21/11/2017, dep. 2018, Ambesi, Rv. 272023 – 01), affermano altresì che restano inalterati i poteri del magistrato di
sorveglianza di rivalutare il profilo della pericolosità del condannato durante e dopo l’espiazione della pena («In tema di associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza prevista, in caso di condanna, dall’art. 417 cod. pen., non richiede l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, dovendosi ritenere operante una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo criminale di mutua solidarietà, che può essere superata quando siano acquisiti elementi dai quali si evinca l’assenza di pericolosità in concreto (in motivazione la Corte ha aggiunto che tale accertamento dovrà, comunque, essere svolto dal magistrato di sorveglianza, alla luce degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. e del comportamento del condannato durante e dopo l’espiazione della pena, al momento dell’esecuzione della misura)»: così, da ultimo, Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Avallone, Rv. 281999 – 01; nonché in precedenza Sez. 2, n. 28582 del 11/03/2015, Romeo, Rv. 264563 – 01), il che rende corretta l’argomentazione della Corte territoriale (pagg. 122-23) che ha comunque valutato l’insieme dei dati desumibili dalle modalità di adesione e partecipazione e gli elementi dedotti dalla difesa, ritenuti non veritieri (non risultando lo smantellamento del sodalizio) e non dimostrati in modo compiuto (in quanto, a fronte di una formale dissociazione, non sono stati individuati elementi per affermare la definitiva recisione dei legami con il sodalizio).
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché affetto da evidente genericità nella formulazione delle censure, articolate senza considerare l’intero impianto motivazionale della sentenza impugnata.
4.1. Il primo motivo di ricorso è generico, oltre che manifestamente infondato; il ricorrente, infatti, non considera (e non si confronta con) i dati desunti dall intercettazioni (riportati e valutati alle pagg. 175 ss.) che riguardano episodi storici di rilievo, perché dimostrativi della caratura criminale del ricorrente nell’ambito dell’associazione, in quanto punto di riferimento per affrontare (e risolvere) situazioni critiche e capace di dare ordini “militari” a soggetti evidentemente alle sue dirette dipendenze, al fine di contrastare aggressioni e atti violenti da parte di organizzazioni rivali (ordinando spedizioni punitive e irrogando sanzioni). Allo stesso modo, la censura ignora del tutto la portata delle dichiarazioni del coimputato COGNOME (pag. 179) che ha indicato ricorrente una figura di spicco di direzione del gruppo RAGIONE_SOCIALE operante a Torino.
4.2. Il secondo motivo concerne il tema del carattere mafioso dell’associazione contestata, già esaminato nella parte AVV_NOTAIO.
4.3. Il terzo motivo, che si riaggancia al tema comune dei caratteri dell’associazione quale sodalizio avente carattere mafioso, è assolutamente
generico nella misura in cui denuncia la carenza di prova della capacità di intimidazione, profilo già esaminato nella parte introduttiva.
4.4. Il quarto motivo è anch’esso generico: la Corte d’appello ha indicato specificamente gli elementi di prova che attestano la posizione direttiva del ricorrente, desumendola da episodi e dichiarazioni, colte attraverso le intercettazioni, che dimostrano la capacità decisionale del ricorrente nell’ordinare interventi e spedizioni destinate a regolare i conflitti con altre organizzazioni criminali.
Il ricorso di NOME è inammissibile perché reiterativo e generico.
5.1. Superate, per le ragioni già esposte, le censure articolate con il primo motivo, relativo alla questione del carattere mafioso del sodalizio, il secondo motivo risulta testualmente reiterativo delle doglianze contenute nell’atto di appello rispetto alle quali la Corte territoriale ha indicato, oltre le conversazioni gi riportate nella sentenza di primo grado, NOME dialoghi che dimostrano il sicuro inserimento del ricorrente nel sodalizio e il contributo assicurato all’associazione, con specifico riguardo al settore del traffico degli stupefacenti (v. pagg. 187 ss., nonché la sentenza di primo grado, pagg. 156-57).
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, perché reiterativo oltre che manifestamente infondato.
6.1. Rilevata la manifesta infondatezza del primo motivo concernente la questione del carattere mafioso del sodalizio, il secondo motivo di ricorso è testualmente reiterativo delle censure contenute nell’atto di appello, oltre che manifestamente infondato: il ricorrente, infatti, non si confronta con il tenore della decisione della Corte d’appello che ha indicato specifici episodi (v. pag. 149) indicativi del ruolo assunto dal ricorrente nel sodalizio e della posizione ricoperta al suo interno.
Il ricorso di NOME è inammissibile, perché manifestamente infondato e carente di specificità.
7.1. Una volta superato il contenuto del primo motivo, concernente la reiterata questione della natura mafiosa del sodalizio di appartenenza, il secondo motivo in punto di trattamento sanzionatorio difetta del necessario carattere di specificità (Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280384 – 01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01).
Il ricorrente, infatti, non allega né produce la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. che dovrebbe costituire la base logica per valutare l’invocata sussistenza dell’unicità del disegno criminoso; tale omissione non consente la comparazione
tra i capi di imputazione e impedisce, dunque, di operare la richiesta valutazione; il ricorrente riferisce, peraltro, di un’imputazione associativa nel cui ambito si sarebbero realizzati i singoli reati di cessione di sostanze stupefacenti, imputazione poi esclusa nell’accordo finalizzato alla pronuncia ex art. 444 cod. proc. pen.; il che induce a dubitare su quale fosse la collocazione delle condotte di reato relative agli episodi di spaccio oggetto della sentenza di applicazione della pena.
Il rigetto del motivo di appello, peraltro, non sembra aver pregiudicato la proposizione dell’istanza in sede esecutiva; la Corte d’appello non ha escluso la sussistenza del vincolo, ma ha dato atto della carenza delle condizioni per valutare l’istanza, sicché trova applicazione il principio di diritto secondo il quale in tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva, il mancato esame nel merito da parte del giudice della cognizione della sussistenza del reato continuato non comporta la formazione del giudicato negativo sul punto e non preclude, perciò, l’esame della questione ai sensi dell’art. 671, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 43777 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265251 – 01; Sez. 2, n. 27899 del 15/05/2003, COGNOME, Rv. 225205 – 01; Sez. 6, n. 1711 del 14/01/1999, COGNOME, Rv. 212706 – 01).
I ricorsi degli imputati NOME, NOME ed NOME sono tutti inammissibili.
Essi, infatti, sono testualmente reiterativi del corrispondente motivo d’appello (con cui ci si doleva del mancato riconoscimento dell’ipotesi prevista dall’art. 73, comma 5, d.p.r. 309/90), a fronte di un’articolata e diffusa motivazione della Corte d’appello che ha messo in rilievo non solo i dati derivanti dalle accertate operazioni di acquisto e rifornimento di importi più che considerevoli di sostanze stupefacenti riferibili agli imputati (Sez. 4, n. 476 del 25/11/2021, dep. 2022, Quaranta, Rv. 282704 – 01), ma soprattutto l’esistenza di cessioni non a singoli consumatori, ma ad NOME soggetti dediti a loro volta alle cessioni a terzi (Sez. 6, n. 45061 del 03/11/2022, COGNOME, Rv. 284149 – 02); il che, unitamente alla rilevata esistenza di una struttura organizzata, efficace e articolata (Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, COGNOME, Rv. 272529 – 01), contrasta evidentemente con la possibilità di una differente qualificazione giuridica quale quella prospettata dai ricorrenti.
9. Il ricorso di NOME è inammissibile.
9.1. Quanto al primo motivo, si fa rinvio alle valutazioni espresse in precedenza (supra, §§ 1.2.4.5.); il secondo motivo, concernente la contestata attribuzione al ricorrente della qualifica di promotore e organizzatore dell’associazione, è manifestamente infondato: la Corte d’appello (pagg. 142-143)
ha chiarito in termini evidenti non solo l’esistenza del pacifico dato del riconoscimento unanime di ruoli con caratteri di rilievo nel contesto associativo, ma ha anche richiamato episodi specifici in cui quei ruoli si traducevano in assunzione di concrete decisioni e iniziative che possono riconoscersi esclusivamente a soggetti che abbiano autonoma decisionale (in particolare, la natura del ruolo di NOME e il potere di attribuzione delle cariche di maggior rilievo ai sodali, dietro insindacabile giudizio della figura ricoperta dal ricorrente; conferma ottenuta da specifici esiti delle intercettazioni, riassunti a pag. 143, nella seconda parte).
9.2. Il terzo motivo è sostanzialmente diretto a prospettare una alternativa lettura dei dati probatori, con particolare riguardo al contenuto delle intercettazioni; se è pur vero che si tratta solo di “droga parlata” e non è dato attribuire alle operazioni di cessione un rilievo specifico (considerati il riferimento a cifre contenute e l’assenza di dati ponderali significativi), quegli elementi non possono esser astratti e isolati da un contesto che la decisione ha descritto in più passaggi come articolato e dimostrativo di traffici in materia di sostanze stupefacenti di “medio livello” (e non di spaccio al minuto), contesto di cui il ricorrente sembra non tenere conto.
9.3. Anche il quarto motivo intende proporre una lettura alternativa delle intercettazioni, non consentita in sede di legittimità (trattandosi di attivit riservata al giudizio di merito, che può essere sindacata in sede di legittimità solo nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione: Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; ovvero in ipotesi di travisamento della prova: Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME Maro, Rv. 272558); gli argomenti utilizzati dalla sentenza impugnata attestano il contenuto minatorio (a volte palese, a volte larvato), che risulta costante nell’intimare sia il versamento di somme di denaro, sia il controllo del territorio da parte del ricorrente.
Inoltre, la lettura congiunta delle decisioni di primo e secondo grado permette di apprezzare come tale attività non fosse episodica o esclusiva del ricorrente, ma rientrasse a pieno titolo nelle attività svolte dai partecipi all’associazione per lucrare altre fonti di guadagno, da riversare nelle casse dell’associazione (v. la sentenza di primo grado, pag. 111)
Di qui, la conferma della scarsa verosimiglianza della tesi difensiva; mentre quanto al profilo della qualificazione giuridica, l’atteggiamento mostrato nel tempo dal ricorrente dimostra che l’effetto costrittivo era ottenuto sistematicamente, anche grazie all’invio di intermediari per raccogliere il denaro dovuto dalle persone offese.
10. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME è inammissibile.
10.1. Il primo motivo concernente le questioni della qualificazione dell’associazione nella fattispecie prevista dall’art. 416 bis cod. pen. è manifestamente infondato, per le ragioni già indicate in precedenza (supra, §§ 1.2.-1.5.).
10.2. Il secondo motivo, relativo all’attribuzione al ricorrente della qualifica di promotore e organizzatore dell’associazione, è manifestamente infondato.
La motivazione della sentenza impugnata (pagg. 127-129) ha dato conto come per il ricorrente NOME – del riconoscimento di ruoli con caratteri di rilievo nel contesto associativo da parte di tutti i sodali, oltre che di episodi specifici i cui quei ruoli si sono tradotti in assunzione di concrete decisioni e iniziative che possono riconoscersi esclusivamente a soggetti che abbiano autonoma decisionale (ammissione alle affiliazioni; decisioni su spedizioni punitive; criteri di ammissione e importi da versare per le affiliazioni).
10.3. Il terzo motivo è del tutto generico, oltre che manifestamente infondato; la sentenza di primo grado (pagg. 92-103) ha riportato numerosissime conversazioni, tutte di portata probatoria considerevole, anche per l’espresso riferimento a operazioni di acquisto e cessione successiva di quantitativi considerevoli di droga, con esplicito riferimento alla purezza della sostanza pretesa, e talvolta ottenuta, dal ricorrente nei dialoghi con i suoi fornitori.
11. Alle statuizioni che precedono consegue la condanna dei ricorrenti NOME ed NOME al pagamento delle spese processuali; i ricorrenti NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME vanno condannati al pagamento delle spese processuali nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione del causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila ciascuno a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi di NOME NOME ed NOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e condanna i ricorrenti
al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dell Cassa delle ammende. Così deciso il 6/10/2023