Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18826 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18826 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Canicattì il 22/10/1975 avverso l’ordinanza del 20/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Milano udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore, avv. COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Milano, provvedendo ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. sull’appello proposto dal Pubblico ministero avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città in data 26 settembre 2023, in parziale riforma della stessa, ha ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei riguardi di NOME COGNOME per il reato di partecipazione a una associazione per delinquere costituita da appartenenti alle tre organizzazioni di stampo mafioso denominate cosa nostra, ‘dragheta e camorra, avete struttura confederativa orizzontale, nell’ambito della quale i vertici di ciascuna delle tre componenti mafiose operano allo stesso livello, contribuendo alla realizzazione del sistema mafioso lombardo.
1.1. Il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere con riferimento ai reati indicati ai n. 6., 20., 21., 22., 33., 34., 36., 37., 38., 39., 43., 44. e 47. (previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis 1. cod. pen.) dell’incolpazione provvisoria e del capo 12 (invece aggravato dal metodo mafioso), mentre aveva escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo 1., ritenendo il complesso degli elementi indiziari insufficiente a supportare la tesi dell’esistenza di un’associazione per delinquere di carattere unitario di stampo mafioso, siccome priva dello specifico connotato dell’utilizzo della forza intimidatrice, mai estrinsecatosi nØ nel settore economico, nØ nella vita politica e istituzionale; nØ tantomeno – ad avviso del Giudice per le indagini preliminari – era emersa la commissione di atti d’intimidazione ovvero di reati coerenti con l’impostazione accusatoria, secondo cui il sodalizio avrebbe inglobato al
suo interno i tre gruppi criminali storicamente piø importanti, con conseguente egemonia nel territorio occupato.
Per il Giudice per le indagini preliminari la sussistenza di detto elemento era necessaria in quanto, secondo la stessa prospettazione d’accusa, il sistema mafioso lombardo, lungi dal rappresentare una mera articolazione territoriale di mafie storiche, costituiva un’autonoma e originale compagine criminale, sicchØ non poteva darsi per presunta una condizione di generalizzata omertà in un contesto territoriale diverso da quello di matrice delle associazioni mafiose e a fronte di un organismo dichiaratamente nuovo e autonomo dalle associazioni preesistenti.
Sotto altro profilo, il GIP rilevava la mancanza di concreti elementi probatori a supporto dell’esistenza di una struttura organizzativa e dell’affectio societatis.
Quanto alla prima, in estrema sintesi, osservava che: i) era indimostrata l’esistenza della cassa comune, salvo il sostentamento di alcuni detenuti che poteva essere motivato dalle cointeressenze economiche emerse nel corso delle indagini; ii) la gestione, eventualmente in concerto, di attività economiche non era di per sØ significativa dell’esistenza di una associazione mafiosa, reputando inconcludenti le vicende del capo 16. (estorsione ai danni di Sanfilippo ) e della gestione dei parcheggi o delle altre vicende, lato sensu imprenditoriali, che avevano coinvolto in prima persona NOME COGNOME, non essendo emerso in termini inequivoci che tali attività fossero acquisite o gestite avvalendosi di alcun metodo mafioso; iii) i rapporti con soggetti istituzionali e politici non risultavano il precipitato della sussistenza di un vincolo associativo, quanto piuttosto, con riguardo alla figura di COGNOME, la mera fisiologica conseguenza dell’essere questi un imprenditore operante sul territorio; iv) neppure si ritenevano significativi i summit cui gli indagati avevano partecipato, atteso che a essi non avevano preso parte solo soggetti affiliati e che, rispetto a molti degli odierni indagati, non era emersa la prova dell’affiliazione ad alcun sodalizio, nØ a quello di tipo confederativo ipotizzato dall’organo requirente, nØ a quello piø ristretto di originaria appartenenza; v) la pur accertata disponibilità di mezzi (immobili, società, automobili, telefoni cellulare criptati) e la loro condivisione non costituiva indice univoco della sussistenza del pactum sceleris, atteso che gli indagati erano ampiamente inseriti nell’economia locale, sicchØ le rispettive cointeressenze in ambiti leciti o illeciti potevano giustificare l’utilizzo di un apparato organizzativo a prescindere dall’esistenza del sodalizio indicato. In ogni rilevava che non vi era stata alcuna esternazione di metodo mafioso che potesse suggerire, invece, un utilizzo di tali mezzi in funzione delle attività tipiche dell’associazione.
Quanto all’elemento dell’affectio societatis, osservava che deponevano in senso alla sua sussistenza le seguenti circostanze: i) non erano stati rilevati rituali d’ingresso per gli associati; ii) i contatti tra gli esponenti delle articolazioni mafiose erano funzionali alla trattazione di singoli affari, concernenti ad esempio il traffico di stupefacenti, e sovente si registravano tentativi di concludere affari con taluni indagati all’insaputa di altri; iii) le dispute pur insorte in relazione a vicende economiche non indicavano l’esistenza di alcun gruppo nel cui superiore interesse i predetti indagati agissero e, anzi, emergevano rivalità del tutto incompatibili con una visione unitaria dell’associazione
Rilevava, infine, come fosse un’anomalia che gli altri clan, cosche e ‘ndrine parimenti presenti nella provincia di Milano si fossero limitati a osservare passivamente la nascita ed espansione di un organismo così vasto e potenzialmente in grado di fagocitare tutti i settori economici e di interesse per le associazioni potenzialmente antagoniste; così come appariva difficile che le associazioni madre, di cui le compagini consorziate rappresentavano un’espressione, avessero accettato di veder nascere un organismo complesso di tipo federativo nella provincia di Milano a differenza di quanto accadeva nel resto d’Italia, senza mai interessarsi di quanto concretamente accadeva nel milanese.
Rimarcava che atti intimidatori si erano registrati principalmente all’interno della medesima
consorteria, ma mai verso terzi e che i reati fine dell’ipotizzata associazione erano commessi tendenzialmente da componenti dello stesso gruppo e non era dimostrato che fossero oggetto di condivisione dall’intero sistema mafioso, nØ che i capitali e le società acquisite fossero di comune appannaggio: risultava, per contro, piø verosimile che gli indagati si fossero talvolta raccordati per svolgere un determinato affare, lecito o illecito.
Riteneva, in conclusione, che quanto emergeva dagli atti fosse del tutto diverso dall’organismo ipotizzato dal Pubblico Ministero, al punto che non fosse neppure utile ricostruire singolarmente le tre compagini richiamate, venendo in tale modo “snaturato” l’intero impianto accusatorio.
1.2. A diversa conclusione Ł giunto il Tribunale del riesame, che ha reputato corretta l’affermazione del Pubblico ministero secondo cui l’operatività del sodalizio – sebbene i singoli indagati avessero come riferimento un gruppo di omogena appartenenza (così intesa la descrizione del sodalizio in incolpazione ove fa riferimento ai “gruppi”, i trapanesi, i palermitani, i gelesi, i romani, i calabresi e così via) e godessero, come singoli e come gruppi, di margini di autonomia – si Ł caratterizzata per la sua trasversalità in moltissimi settori rivelatisi d’interesse per l’associazione, come emergenti dalla disamina degli aspetti strutturali dell’associazione stessa e delle sue attività.
La natura unitaria del sodalizio Ł stata esaminata nelle p. da 63 e seguenti, di cui si sono descritte le basi logistiche, le prassi operative, la disponibilità delle armi, la condivisione delle risorse finanziaria, le attività dallo stesso svolte e i summit (ora di carattere programmatico, ora di carattere operativo) a conforto dell’esistenza del vincolo associativo.
Segnatamente, si Ł descritta una compagine dotata di autonoma struttura organizzativa, che prevede frequenti summit per l’adozione delle principali decisioni operative e che si Ł avvalsa della forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento da esso promanante sia per commettere, nel territorio delle città di Milano, Varese e zone limitrofe, varie attività delittuose (delitti contro il patrimonio, violazioni della disciplina degli stupefacenti e delle armi), sia per esercitare il controllo del territorio.
In particolare, il sistema mafioso lombardo ha sfruttato tale forza: i) per risolvere controversie scaturenti da affari leciti e illeciti; ii) per mantenere contatti con esponenti del mondo politico ed economico; iii) per condizionare il libero esercizio del voto; iv) per infiltrare il tessuto sociale ed economico al fine di alterare e condizionare il libero mercato, anche attraverso il controllo di attività economiche nel settore della logistica ed in quello edilizio, sanitario, delle piattaforme e-commerce, ristorazione, noleggio veicoli, gestione di parcheggi aeroportuali, petrolchimico e importazione di materiali ferrosi.
Indice di autonomia organizzativa e operativa si Ł ritenuta la presenza di una cassa comune, nella quale confluivano somme di denaro ricavate dall’attività sociale e destinate al sostentamento dei sodali detenuti, ed era dedita a massimizzare i proventi illeciti attero sofisticate manovre finanziarie tramite un complesso sistema di società intestate a prestanome nelle quali erano reinvestiti i profitti illeciti per svolgere attività economiche lecite.
I legami e i rapporti vantati dai singoli associati con i gruppi criminali di riferimento originario non hanno rappresentato un ostacolo all’autonomia del nuovo gruppo: gli associati si sono, invero, coesi in piø articolazioni in ragione non dell’originaria appartenenza o vicinanza a una delle tre mafie storiche, ma per le loro specializzazioni operative, mantenendo sempre un elevato grado di indipendenza e libertà decisionale e operativa. Il ‘capitale sociale’ rappresentato dagli ascendenti criminali di ogni partecipe Ł stato messo a disposizione di tutto il nuovo sodalizio che l’ha speso per realizzare gli scopi comuni.
L’ordinanza si Ł fatta carico di ricostruire la centralità di alcuni indagati nell’ambito di tale associazione, al fine di ribadire la natura di quest’ultimo di associazione unitaria e distinta dalle singole compagini storiche, finalizzata alla realizzazione di un programma comune e al
soddisfacimento di interessi almeno in parte condivisi, come evidenziato, in particolare, dalla costituzione e dalla gestione, sin dal 2018, di società attraverso le quali svolgere affari in commistione tra i vari partecipi, operazioni compiute con modalità sempre analoghe, applicando regole e logiche condivise, e dirette alla continua ricerca di nuove opportunità di profitto, nei settori piø disparati (principalmente l’edilizia, accedendo agli incentivi statali), profitto da conseguire anche con metodi illeciti, e a cui potessero accedere tutti i vari partecipi. Tra le operazioni significative in merito all’esistenza dell’indicato sodalizio stabile l’ordinanza valorizza la costituzione, nel 2021, della RAGIONE_SOCIALE da parte di soggetti appartenenti alle diverse associazioni di riferimento, la collaborazione di alcuni indagati in operazioni finanziarie illecite gestite da gruppi operativi diversi, alcune vicende estorsive, la gestione condivisa di un’arma da sparo.
La struttura Ł stata descritta non già come organizzata in senso verticistico, bensì orizzontale nell’ambito della quale ciascun gruppo mantiene un certo margine di autonomia nell’operatività, impegnandosi, tuttavia, di volta in volta a trovare la migliore sintesi tra interessi, anche contrapposti, per assicurare continuità nelle relazioni ed il massimo profitto in ragione della condivisione della ragione fondativa del gruppo, che assume, pertanto, i contorni tipici dell’affectio societatis.
Estremanente significativa, a quest’ultimo proposito, Ł stata ritenuta la controversia ‘RAGIONE_SOCIALE‘ in cui, a prescindere dall’origine dei rapporti debito credito, tutti i soggetti coinvolti, hanno accettato la possibilità di una composizione unitaria anche a discapito delle rispettive pretese pur di «trovare la quadra» e continuare a «guadagnare tutti», evitando di farsi la guerra e, per tale via riuscire, garantirsi la buona riuscita degli affari illeciti in corso di interesse comune.
Il sistema mafioso lombardo, pur mutuando la natura mafiosa dell’organizzazione della forza d’intimidazione da quella dei suoi singoli componenti, come tali conosciuti nei vari territori di operatività e riferimento, Ł dunque un gruppo autonomo e di tale peculiare caratteristica sono pienamente consapevoli i suoi componenti, i quali, pur essendo di estrazione criminale diversa, in una delle conversazioni intercettate espressamente convengono sulla loro appartenenza ad «una famiglia unica».
Nelle p. da 145 e s. si Ł, poi, adeguatamente motivata la natura mafiosa dell’associazione, con indicazione degli elementi ritenuti a conforto della capacità di esternazione della forza intimidatrice. Il Tribunale, diversamente dal Giudice per le indagini preliminari, l’ha ritenuto dimostrata dall’uso di minacce e violenze in molte delle operazioni compiute dall’associazione e ha osservato il sodalizio non avesse bisogno di gesti eclatanti, essendo composto da soggetti già noti come esponenti di criminalità organizzata e facenti ancora capo ai rispettivi sodalizi di origine, i quali sfruttavano, per intimidire, anche la fama delle consorterie storiche di rispettiva provenienza.
1.3. Quanto alla posizione del ricorrente nell’ambito del descritto sodalizio, NOME COGNOME il Tribunale l’ha ritenuto partecipe del gruppo di camorra facente capo ai Senese, avendo messo a disposizione del sodalizio le proprie energie criminali.
In tale veste avrebbe, invero, i) partecipato alla commissione di piø delitti, in materia di traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni (ai danni di NOME COGNOME), riciclaggio e intestazioni fittizie; ii) si sarebbe occupato del recupero crediti (si veda quello in favore di NOME COGNOME), iii) avrebbe svolto il ruolo di prestanome per NOME COGNOME in diverse società; iv) avrebbe partecipato a numerosi summit finalizzati a risolvere problemi riguardanti il traffico di stupefacenti, alla creazione di falsi crediti d’imposta attraverso false fatturazioni, alla gestione delle società noleggio auto, alla gestione dell’ecobonus e quella dell’importazione dal continente africano d’ingenti quantitativi di ferro, acciaio e gasolio.
Egli Ł descritto come stretto collaboratore di NOME COGNOME che coadiuva nell’amministrazione della cassa comune dell’associazione.
Le risultanze investigative e, in particolare, l’attività tecnica ha consentito di ritenere la
sussistenza di gravi indizi della detenzione illegale di una pistola modello Glock (capo 6.) e del fatto che COGNOME ha preso parte all’estorsione ai danni di NOME COGNOME, originata dalla sparizione di un kg di cocaina di cui questi era stato ritenuto responsabile, in quanto intermediario della partita di droga.
Fondata su una pluralità di captazioni, puntualmente riportate nell’ordinanza impugnata, Ł la gravità indiziaria con riferimento al furto in abitazione e della tentata rapina ai danni di NOME COGNOME di cui ai capi 20. e 21. dell’imputazione provvisoria.
1.4. Ritenuti sussistenti i gravi indizi, riguardo alle esigenze cautelari, il Tribunale ha ritenuto concrete e attuali sia l’esigenza cautelare di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., sia quella d’inquinamento probatorio. La custodia cautelare in carcere Ł stata disposta, invece, in applicazione della presunzione assoluta stabilita per il reato sub 1. i cui indizi sono stati ritenuti sussistenti.
Ricorre per cassazione l’indagato, tramite il difensore di fiducia avv. COGNOME e deduce cinque motivi di ricorso, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo denuncia l’erronea applicazione dell’articolo 416- bis in punto di ritenuta sussistenza dell’associazione per delinquere di stampo mafioso di cui al capo 1.
Il ricorso riassume sinteticamente le argomentazioni del Giudice per le indagini preliminari che aveva escluso la sussistenza dei gravi indizi e le opposte ragioni del Tribunale del riesame, evidenziando il difetto dell’indicazione nell’ordinanza impugnata degli elementi dai quali inferire che il sodalizio fosse dotato di forza intimidatrice oggettivamente riscontrabile.
Si lamenta l’impossibilità di ritenere sussistente il preteso collegamento funzionale dei sodali operanti sul territorio lombardo con le rispettive “case madri”.
Il ricorso denuncia che, al fine di motivare la natura mafiosa del sodalizio, il Tribunale avrebbe erroneamente valorizzato i rapporti interni tra i sodali, dimenticando che la forza d’intimidazione deve esplicarsi all’esterno e dev’essere attuata per le finalità espressamente indicate nella disposizione normativa. Evidenzia, sotto questo profilo, che il reato in materia di armi non avrebbe alcuna intrinseca connessione con i settori di esplicazione della forza d’intimidazione indicati nel terzo comma dell’articolo 416-bis cod. pen.; del pari, le ipotesi di estorsione non rivestirebbero carattere di sistematicità, sicchØ giusta la tesi del ricorrente, si tratterebbe di singole fattispecie di reato, attribuite a soggetti diversi, nessuno dei quali collegato all’articolazione territoriale di pretesa provenienza dell’odierno ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ritenuto collegamento funzionale degli indagati con le associazioni mafiose tradizionali.
I gravi indizi di colpevolezza ritenuti a carico dell’indagato deriverebbero, secondo il Tribunale, dai rapporti intrattenuti con NOME COGNOME tanto che questi viene indicato come esponente per l’area lombarda della famiglia mafiosa camorristica romana dei Senese.
La motivazione Ł, tuttavia, illogica perchØ COGNOME non Ł mai stato condannato per il reato di partecipazione ad alcuna associazione mafiosa, sicchØ verrebbe meno il presunto collegamento funzionale con l’associazione originaria che dovrebbe sostenere la tesi dell’esplicazione del metodo mafioso all’esterno.
2.3. Con il terzo e il quarto motivo si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di ritenuta partecipazione dell’indagato al sodalizio di cui al capo 1.
Gli elementi posti nelle pagine 184 e seguenti dell’ordinanza impugnata non sarebbero idonei a scalfire le argomentazioni prospettate dal Gip nell’ordinanza di rigetto della richiesta di misura cautelare. Il ragionamento del Tribunale del riesame sarebbe espressione di un’errata interpretazione della giurisprudenza di legittimità a Sezioni unite Modaffari sulla condotta
partecipativa che presuppone che il contributo del singolo sodale sia rivolto alla realizzazione consapevole dei fini della consorteria mafiosa e non genericamente al compimento di qualsiasi condotta illecita. Le condotte ascrivibili all’indagato avrebbero dovuto attestare, dunque, il ruolo specifico, funzionale agli scopi dell’associazione, laddove invece nell’ordinanza impugnata non si rinvengono elementi – come aveva invece posto in evidenza l’ordinanza genetica – sulla base dei quali ritenere che l’indagato fosse animato dall’intenzione di contribuire alla prospettazione di un sistema criminale piø ampio rispetto a quello direttamente riconducibile alla famiglia di appartenenza del singolo affiliato.
Il ricorso avversa, inoltre, il rilievo attribuito all’esistenza di una cassa comune, elemento che caratterizza non solo il reato associativo di stampo mafioso, ma anche l’associazione semplice, oltre al fatto che-come ritenuto nell’ordinanza genetica, neppure vi era certezza che vi fosse tale elemento, essendo si Ł accertato che alcuni indagati avevano già interessi economici comuni.
Il ricorso attinge, poi, il ritenuto elemento indiziario della partecipazione del ricorrente ai summit mafiosi, la cui dettagliata analisi consente di ritenere, ad esempio, che alcuni incontri avevano natura assolutamente lecita (vedi quello del 3 giugno 2020, finalizzato alla presentazione di un progetto commerciale di autonoleggio, e quello del 9 ottobre 2020 in cui si era parlato della gestione dell’ecobonus e dell’attività d’importazione di materiali dall’estero), mentre altri( si veda l’incontro del 22 maggio 2021) era finalizzato a risolvere questioni attinenti il traffico di stupefacenti riguardando, quindi, esclusivamente e specificamente il capo di imputazione 22.
3.4. Con il quinto motivo si denuncia la violazione di legge processuale in punto di omessa declaratoria d’inammissibilità per genericità dell’impugnazione del Pubblico ministero al capo 6.
Osserva la difesa che l’ordinanza genetica aveva rigettato la richiesta di misura cautelare con riferimento a detto capo d’imputazione e, difatti, nella motivazione espressamente affermava che non vi era spazio per l’applicazione di qualsiasi misura cautelare. Per mero errore materiale, stante la chiarezza della motivazione, nel dispositivo dell’ordinanza il Gip aveva indicato anche il numero 6. tra i capi d’incolpazione provvisoria per i quali Ł stata disposta la misura.
La parte Pubblica, quindi, aderendo alla medesima conclusione, ritenendo che nessuna misura fosse stata applicata con riferimento a detto capo d’imputazione, impugnava la statuizione relativa.
Ciò premesso, il ricorrente denuncia l’illogicità dell’ordinanza impugnata nella parte in cui attribuisce prevalenza al dispositivo rispetto alla motivazione.
In ogni caso, come già eccepito dinanzi al Tribunale del riesame, l’appello riguardo tale imputazione provvisoria Ł generico, essendosi il Pubblico Ministero limitato a richiamare e riprendere le osservazioni indicate nella richiesta di misura cautelare e nelle relative integrazioni.
3.5. All’odierna udienza, nel corso della discussione, la difesa del ricorrente ha introdotto il tema della violazione dei principi Corte Edu, con particolare riferimento, al cd. caso Contrada. Lamenta inoltre la genericità dell’intero appello del Pubblico ministero e la sua inammissibilità per carenza d’interesse, in quanto – avendo il Giudice per le indagini preliminari medio tempore dichiarato la cessazione della misura cautelare per essere spirato il relativo termine – la decisione di eventuale rigetto del presente ricorso non avrebbe alcuna concreta incidenza sulla posizione processuale dell’indagato.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato limitatamente al quinto motivo, mentre ogni altra censura si appalesa o
inammissibile o infondata, sicchØ il ricorso dev’essere complessivamente rigettato nel resto.
I motivi dal primo al quarto – riguardanti sotto piø profili la gravità indiziaria dell’esistenza del sodalizio, della sua natura mafiosa, infine della partecipazione del ricorrente – sono infondati, poichØ si sostanziano in censure che attengono ai criteri di valutazione degli elementi indiziari, di cui si chiede una non consentita rivisitazione.
2.1. Com’Ł noto, in Sezioni Unite n. 11 del 23/02/2000, Audino, Rv. 215828 si Ł statuito che «in tema di misure cautelari personali, allorchØ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, a questa Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie».
L’arresto costituisce, ormai, patrimonio comune della giurisprudenza di legittimità che l’ha ribadito, fra le molte, con Sez. 2 n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 e Sez. 1, n. 30416 del 25/09/2020, in motivazione. Occorre avere anche riguardo alla specificità della valutazione compiuta nella fase cautelare, dovendosi sempre tenere conto della «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, Rv. 264213, tra le molte conformi).
Inoltre questa Corte, in particolare nelle sentenze Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965, ha chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre diversa conclusione del processo, sicchØ sono inammissibili tutte le doglianze che avversano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
Corollario di tale pacifico approccio Ł il principio, ribadito anche dal massimo consenso di questa Corte – che viene in rilievo nel procedimento in esame, in cui le prove sono costituite in larga parte da captazioni di conversazioni – secondo cui, in tema d’intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01). A ciò va aggiunto che il contenuto di intercettazioni, telefoniche o ambientali, dalle quali emergono elementi di accusa nei confronti dell’indagato, anche quando sono captate fra terzi, può costituire fonte diretta di prova della sua colpevolezza senza necessità di riscontri, ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (tra tante, Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414).
Sempre in via preliminare, va tenuto presente che, secondo recenti arresti della giurisprudenza di legittimità, «Ai fini della qualificazione ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen. di una nuova ed autonoma formazione criminale Ł necessario accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da essere capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacità di intimidazione, ancorchØ non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia, nell’ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di effettiva operatività; c) abbia manifestato una capacità di intimidazione effettivamente percepita come tale e abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel “territorio” in cui l’associazione Ł attiva» (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Rv. 279555-17).
2.2. Quanto poi all’ulteriore tema che viene in rilievo nello scrutinio del presente ricorso, ovverosia quello dello standard motivazionale richiesto in caso di ribaltamento, da parte del tribunale del riesame in funzione di giudice dell’appello de libertate, della precedente decisione del primo giudice reiettiva della domanda cautelare, la giurisprudenza di questa Corte non Ł uniforme. In alcune pronunce, anche recenti, si Ł affermato che «In caso di ribaltamento, da parte del tribunale del riesame in funzione di giudice dell’appello de libertate, della precedente decisione del primo giudice reiettiva della domanda cautelare, non Ł richiesta una motivazione rafforzata, in ragione del diverso standard cognitivo che governa il procedimento incidentale, ma Ł necessario un confronto critico con il contenuto della pronunzia riformata, non potendosi ignorare le ragioni giustificative del rigetto, che devono essere, per contro, vagliate e superate con argomentazioni autonomamente accettabili, tratte dall’intero compendio processuale» (Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, COGNOME Rv. 284982 – 04; Sez. 5, n. 28580 del 22/09/2020, M., Rv. 279593 – 01). Vi Ł poi un altro indirizzo, che il Collegio ritiene preferibile, secondo cui «In tema di appello cautelare, la riforma in senso sfavorevole all’indagato della decisione impugnata impone al tribunale, in assenza di mutamenti del materiale probatorio acquisito, un rafforzato onere motivazionale, valevole a superare le lacune dimostrative evidenziate dal primo giudice, essendo necessario confrontarsi con le ragioni del provvedimento riformato e giustificare, con assoluta decisività, la diversa scelta operata» (Sez. 1, n. 47361 del 09/11/2022, COGNOME, Rv. 283784. In motivazione, la Corte ha precisato che, pur non essendo necessaria la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, dell’insostenibilità della decisione riformata, ogni divergente valutazione adottata dal tribunale deve essere comunque dotata di maggiore persuasività e credibilità razionale).
In ogni caso, sia pure con diversità di accenti, entrambi gli orientamenti richiedono, per il caso in cui il tribunale della libertà accolga la domanda cautelare, riformando in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen. la decisione di rigetto del Giudice per le indagini preliminari, un percorso motivazionale articolato, che tenga conto degli argomenti a sostegno della decisione liberatoria impugnata, se interferenti con i presupposti della divergente valutazione adottata in appello, configurandosi altrimenti un vizio di motivazione.
Scrutinata alla luce dei principi sin qui sintetizzati, l’ordinanza resiste alle censure contenute nei primi quattro motivi.
3.1. Muovendo da tale ultima considerazione, in punto di motivazione dotata di maggiore persuasività, l’indicato obbligo di riconsiderazione Ł stato adeguatamente soddisfatto dal Tribunale e l’ordinanza in punto di gravità indiziaria, risulta assolutamente congrua, esaustiva e immune da profili di manifesta illogicità oltre che puntualmente ancorata alle emergenze acquisite di cui ha dato conto in termini del tutto adeguati.
3.2. La cognizione del Tribunale ha compreso tutte le risultanze fattuali, non limitandosi a una lettura atomistica degli indizi, ma valorizzandoli attraverso una lettura unitaria, evidenziando, in
primo luogo, le plurime criticità presenti nell’apparato giustificativo con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva escluso la sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo, ponendo in risalto gli errori di metodo, oltre che di natura logica e giuridica.
Al riguardo ha rilevato che, ponendosi ripetutamente in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, quel Giudice aveva: i) operato una valutazione frazionata degli indizi, parcellizzando e isolando gli elementi offerti dall’accusa; ii) negletto le precedenti condanne irrevocabili di molti indagati per violazione dell’art. 416-bis cod. pen., ritenendo decisiva l’epoca risalente di consumazione dei reati associativi pur in assenza di elementi dimostrativi dell’intervenuto recesso, quanto mai indispensabile, secondo le massime di esperienza, per un effettivo allontanamento dal contesto criminale mafioso; iii) considerato ostative ai fini della configurabilità dell’affectio societatis le contrapposizioni e i contrasti intervenuti tra gli indagati del reato associativo, pur trattandosi, secondo l’esperienza giudiziaria, di eventi fisiologici nella vita di ogni gruppo delinquenziale, specie se di natura mafiosa; iv) svalutato la circostanza, pur data per accertata, del pagamento delle spese a favoredei sodali detenuti; v) ritenuto irrilevanti i numerosi summit tra i medesimi esponenti di vertice, nonostante il contenuto delle conversazioni intercettate nel corso delle riunioni dia conto, in modo chiaro, delle dinamiche e delle singole appartenenze ad un complesso organismo associativo dedito anche ad attività illecite; vi) sottovalutato i pur dimostrati legamidegli indagati con le mafie storiche; vii) enfatizzato l’assenza di rituali di iniziazione, trascurando che per entrare in questa originale e ulteriore realtà criminale i contatti fra gli esponenti erano funzionali alla trattazione di singoli affari.
3.3. Ha poi, con motivazione scevra da fratture razionali, chiarito le ragioni sulla scorta delle quali ha ritenuto che il materiale investigativo raccolto consentiva di affermare la sussistenza di gravi indizi del delitto contestato al capo 1), inteso come costituzione di una associazione aventi le seguenti caratteristiche: i) essere legata a uno specifico territorio; ii) essere costituita tra soggetti già appartenenti o comunque collegati alle mafie storiche, denominate cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra; iii) essere autonoma rispetto ai clan di provenienza degli associati coi quali, tuttavia, questi ultimi i continuano a mantenere rapporti; iv) essere dotata di struttura orizzontale e di una cassa comune; v) essere finalizzata alla commissione sia dei reati tipici dei sodalizi mafiosi (estorsione, traffico di sostanze stupefacenti), sia alla costituzione di società dedite a attività lecite, in particolare nel settore dell’edilizia, ma la cui illiceità riguardava la provenienza del denaro investito ovvero la gestione e il raggiungimento dello scopo di profitto, posto a servizio del sodalizio stesso.
Nel valutare i gravi indizi, il Tribunale si Ł occupato esaustivamente delle questioni concernenti la sussistenza di un vincolo associativo e all’esercizio e alla esternalizzazione del metodo mafioso, oggetto delle censure, a contenuto meramente confutativo, del ricorrente.
3.4. La stabilità del vincolo tra gli associati e la sua tendenziale permanenza (accordo comunque da non esaurirsi nella consumazione di singoli reati – fine), Ł stato desunto dalla continuità e frequenza degli incontri, dall’apporto comune di capitali e mezzi al fine di un comune fine di profitto, dall’esistenza di una cassa comune, dalla consapevolezza delle condotte criminose, anche gravi, commesse da altri sodali, e dal frequente richiamo degli indagati stessi all’esistenza di un’associazione costituita in quel territorio, e di cui sarebbero partecipi. Così, ad esempio, riguardo alla creazione della RAGIONE_SOCIALE, e le affermazioni di singoli indagati sull’attività di Vestiti quale «epicentro di molti equilibri», sulla costruzione di «un’associazione che non finisce mai», sulla necessità di «trovare una quadra per guadagnare tutti», sulla non operatività di Sicilia, Roma e Napoli perchØ «Qua Ł Milano … le cose giuste qua si fanno», sulla rarefazione dell’appartenenza di ciascuno alle tre mafie storiche di provenienza, laddove NOME COGNOME dice ad NOME «qua siamo tutti e tre, siamo tutti insieme, siamo tutti una cosa».
Da questi elementi, il Tribunale ha dedotto – con motivazione puntuale logicamente coerente –
la sussistenza della necessaria affectio societatis, negando la rilevanza dei contrasti interni, sulla base dei quali il Giudice pŁer le indagini preliminari aveva escluso la sussistenza di un’associazione, ed anzi evidenziando gli sforzi dei vari associati per risolvere ogni contesa, in vista del perseguimento della comune finalità di profitto. Quest’ultimo aspetto – che l’ordinanza impugnata esamina a proposito della controversia tra i COGNOME e NOME COGNOME, sottolineando il coinvolgimento di esponenti dei diversi gruppi criminali al fine di comporre la diatriba nell’interesse di tutti – Ł stato piø volte ritenuto costituire, dalla giurisprudenza di legittimità, un elemento significativo dell’esistenza di un vincolo associativo, affermando che «In tema di associazione per delinquere, l’esistenza di scopi personali diversi e contrapposti tra i singoli associati, operanti nell’ambito di strutture imprenditoriali autonome e concorrenti, non Ł ostativa al riconoscimento del vincolo associativo, ove tali divergenze trovino composizione in un progetto generale, da realizzare mediante le attività delittuose, finalizzato a perseguire un utile da ripartire tra le diverse imprese» (Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, Rv. 281589-01; si veda anche Sez. 3, n. 25994 del 22/07/2020, Rv. 279825-01).
Del tutto correttamente Ł, poi, il rilievo dato all’esistenza di una cassa comune, destinata soprattutto ad assicurare l’assistenza giudiziaria ed economica ai detenuti e alle loro famiglie, sottolineando che ad essa contribuiscono tutti i gruppi, così evidenziando l’esistenza di un vincolo di mutua solidarietà, in base al quale tutti provvedono a fornire tale assistenza a prescindere dalla compagine di provenienza del singolo (ad esempio concorrendo i Pace, i Crea ei Fidanzati a far fronte al sostentamento di NOME COGNOME e dei suoi familiari).
La motivazione dell’ordinanza impugnata, pertanto, su questo punto Ł logica e completa, tenuto conto del livello di gravità indiziaria che deve essere ritenuto sufficiente per l’emissione di una misura cautelare.
3.5. L’impiego del metodo mafioso e la sua necessaria esternalizzazione Ł oggetto di ampia valutazione dall’ordinanza impugnata e sono valorizzate le modalità esecutive dei numerosi episodi estortivi, il piø delle volte consumati senza ricorrere a minacce espresse, ma semplicemente evocando la loro appartenenza non ad un singolo gruppo (o mafioso o camorristico o di ‘ndrangheta), ma, trasversalmente e indifferentemente, a tutti quelli coinvolti nella nuova organizzativa, la cui forza di intimidazione Ł evidentemente conosciuta dalla comunità sociale di riferimento, anche dalle persone che non si sono mai direttamente confrontate con quel mondo criminale.
E’ dimostrato in numerose vicende analiticamente ricostruite dall’ordinanza il costante impiego di minacce, violenze, soprusi, prepotenze per rinnovare la fama criminale già connessa al nome delle varie consorterie di riferimento dei singoli sodali, ma liberamente utilizzabile da tutti gli appartenenti in forza del patto associativo trasversale concluso dagli esponenti di diversa estrazione mafiosa.
Sistematica proiezione esterna del metodo mafioso Ł riscontrabile anche nei settori del narcotraffico, dell’infiltrazione del sistema economico, del riciclaggio e dei reati fiscali.
Secondo il Tribunale, la peculiarità del sodalizio riposa nella diversa estrazione dei suoi componenti, autorizzati dalle rispettive organizzazioni mafiose di appartenenza, cui rimangono funzionalmente collegati, a dare vita e rendere operativa un nuovo ‘sistema’, distinto dalla confederazione perchØ caratterizzato da una struttura organizzativa autonoma delle sue articolazioni o sottogruppi i cui componenti non sono accumunati dalla comune provenienza dalla medesima associazione mafiosa.
In ragione di tale peculiare connotazione, il gruppo Ł stato in grado di esternare una sua capacità intimidatrice, effettiva e autonoma, sia pure derivante dal collegamento con le singole associazioni di appartenenza dei suoi sodali e dalla fama criminale acquista da queste ultime e dai
singoli componenti nel territorio di interesse. Secondo il Tribunale, Ł rilevante il fatto che la spendita della fama criminale delle mafie storiche di appartenenza avvenga, talvolta, da parte di sodali affiliati, in realtà, a una diversa associazione storica, evidentemente con il consenso degli altri associati in quanto dimostrazione della particolarità ed autonomia dell’associazione qui contestata.
Piø in dettaglio, l’ordinanza ha ritenuto dimostrata l’avvenuta acquisizione della forza intimidatrice, sul territorio lombardo, da vicende come quella che coinvolge COGNOME (in una delle conversazioni Vestiti, si compiace del fatto di raggiungere «senza spari» lo scopo che l’associazione si Ł prefissata), quella che coinvolge la segretaria generale del Comune di Abbiategrasso (che, pur non assoggettandosi ad essa, comprende facilmente la natura mafiosa della richiesta avanzatale da COGNOME, e la qualità mafiosa del soggetto o dei soggetti di cui questi avrebbe fatto il nome), quella relativa alla gestione del bar e dei parcheggi dell’ospedale di Desio da parte della RAGIONE_SOCIALE (le cui modalità avevano allarmato i dipendenti, tra i quali correva la voce che tali attività fossero in mano a ‘mafiosi’) e, piø in generale, dall’atteggiamento omertoso di molte vittime di estorsioni, che avevano omesso di denunciare i fatti commessi in loro danno, o li avevano esposti in termini riduttivi rispetto a quanto emerge dalle intercettazioni.
L’incapacità, per gli abitanti del territorio, di individuare con precisione l’associazione criminale che sta esercitando tale forza intimidatrice non Ł stata ritenuta rilevante; anzi essa Ł stata interpretata come un’indiretta conferma della diversità e autonomia dell’associazione contestata, rispetto ai gruppi storici di riferimento dei vari associati.
L’ordinanza afferma specificamente, con motivazione logica e consequenziale alle vicende esaminate, che la forza intimidatrice promana dall’associazione stessa ed Ł a essa «immanente», in virtø delle azioni che essa compie e dell’assoggettamento che ha realizzato nel territorio, e non deriva dai singoli associati o dalle mafie storiche a cui questi ultimi fanno riferimento.
Secondo l’ordinanza impugnata, quindi, l’associazione ha una propria ‘mafiosità’, derivante anche dalla partecipazione ad essa di soggetti dalla già accertata caratura mafiosa, ma soprattutto la manifesta all’esterno in modo autonomo, pur avvalendosi anche dell’assoggettamento già realizzato nel territorio lombardo, in passato, dalle singole mafie storiche, in quanto opera in modo distinto rispetto a queste ultime e mantiene, rispetto ad esse, una autonomia sua propria.
Il Tribunale si Ł altresì espresso sulla qualificazione di detta associazione come una mafia ‘nuova’, o ‘atipica’, o ‘a soggettività differente’, o addirittura come un ‘ tertium genus ‘, dichiarando anzi esplicitamente di sottrarsi all’ «afflato definitoriopresente nell’ordinanza genetica e nell’appello del pubblico ministero», sottolineando che il fenomeno mafioso Ł in continua evoluzione e che la peculiarità della struttura associativa così come descritta non ne esclude la mafiosità, in quanto la ritiene accertata, in via indiziaria, con le medesime caratteristiche richieste dalla giurisprudenza di legittimità.
Anche questa parte della motivazione Ł logica, approfondita e non contraddittoria, e pertanto sufficiente, anche sotto il profilo dell’immanenza ed esternalizzazione del metodo mafioso, per ritenere presenti indizi gravi circa la sussistenza del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., quanto meno allo stato, e con riferimento agli elementi sufficienti per il giudizio cautelare.
3.6. Quanto ai gravi indizi di partecipazione del ricorrente al reato associativo, e segnatamente quale appartenente al gruppo di camorra facente capo ai Senese, il provvedimento impugnato (p. 166 e s.) ha valorizzato i) la partecipazione alla commissione di piø delitti, in materia di traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni (ai danni di NOME COGNOME), riciclaggio e intestazioni fittizie; ii) lo svolgimento dell’attività di recupero crediti (si veda quello in favore di NOME COGNOME), iii) il ruolo di prestanome svolto per NOME COGNOME in diverse società; iv) la partecipazione a numerosi summit finalizzati a risolvere problemi riguardanti il traffico di stupefacenti, alla creazione di falsi crediti d’imposta attraverso false fatturazioni, alla gestione delle società noleggio auto, alla gestione
dell’ecobonus e quella dell’importazione dal continente africano d’ingenti quantitativi di ferro, acciaio e gasolio.
L’ordinanza, dunque, ha offerto una motivazione rafforzata circa la responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
3.7. Il motivo sulle esigenze cautelari Ł talmente generico da non confrontarsi con il principale e astrattamente decisivo argomento utilizzato dal provvedimento impugnato a sostegno dell’applicazione della misura sotto questo peculiare profilo, ovvero l’operatività della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. nel caso di gravi indizi di colpevolezza per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa.
Prima di trascorrere all’esame del quinto motivo, Ł qui appena il caso di evidenziare come le questioni introdotte dalla difesa ricorrente in punto di asserita violazione dei principi espressi dalla Corte Edu nella sentenza n. 4, Sez. I, Contrada c. Italia del 23 maggio 2023 e d’inammissibilità dell’impugnazione del Pubblico ministero per carenza d’interesse costituiscono censure del tutto slegate dai motivi di ricorso principali, sicchØ non possono essere esaminate. I motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere a oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame, ai sensi dell’art. 581, comma primo, let. a), cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 2873 del 30/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284036 – 01; Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, COGNOME, Rv. 272821 – 01; Sez. 6, n. 27325 del 20/05/2008, COGNOME, Rv. 240367 – 01).
Quanto al tema della carenza d’interesse, osserva inoltre il Collegio che la censura Ł priva di autosufficienza, non avendo la difesa prodotto il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari avrebbe dichiarato la cessazione della misura cautelare.
Come anticipato, Ł fondato il quinto motivo di ricorso, riguardante il capo 6. dell’incolpazione provvisoria.
Nell’ordinanza genetica (si vedano le p. da 946 a 947), il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto sussistente la gravità indiziaria esclusivamente della condotta di detenzione, ma non di quella di trasporto dell’arma oggetto d’imputazione provvisoria sub 6. e ha espressamente negato la misura cautelare per difetto di esigenze cautelari, all’uopo valorizzando che si trattava di condotta risalente, l’assenza di prova che COGNOME fosse attualmente in possesso dell’arma, il disvalore del fatto tutto sommato contenuto, inferito dalla natura di arma comune, infine l’avvenuta esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis 1. cod. pen.
E, tuttavia, nella parte dello specchietto riassuntivo presente alle p. da 2032 a 2034 dell’ordinanza, riguardanti la specifica posizione di Sorce, il Giudice per le indagini preliminari aveva ricompreso il capo 6., per il quale aveva espressamente escluso l’aggravante mafiosa, tra i reati per i quali vi Ł gravità indiziaria e aveva motivato sulle esigenze cautelari del pericolo di reiterazione e d’inquinamento probatorio. Tale ultima statuizione Ł stata ripresa nel dispositivo.
A fronte della relativa doglianza dell’indagato, che lamentava altresì la genericità dell’appello del Pubblico ministero, limitato all’aggravante mafiosa, il Tribunale del riesame ha ritenuto di poterla superare attribuendo prevalenza al dispositivo piuttosto che alla motivazione, per tale via ritenendo che il Giudice per le indagini preliminari avesse già applicato la misura per la condotta di detenzione illegale di arma comune da sparo e che l’impugnazione del Pubblico ministero, siccome limitata al riconoscimento dell’aggravante esclusa dal primo Giudice, fosse dotata di adeguata specificità, contenendo specifiche e articolate controdeduzione rispetto all’ordinanza genetica, anche in punto di sussistenza di esigenze cautelari.
La tesi non Ł condivisa dal Collegio.
Deve, infatti, riaffermarsi in questa sede che la questione riguardante il criterio da utilizzare nell’ipotesi in cui si verifichi una difformità tra dispositivo e motivazione di un provvedimento, deve essere risolta avendo riguardo alla natura (in questo caso camerale) del provvedimento impugnato, valendo nel caso di specie il principio secondo cui «L’ordinanza emessa all’esito del procedimento di riesame, in quanto provvedimento camerale, si caratterizza per l’inscindibilità tra dispositivo e motivazione, con la conseguenza che, in caso di divergenza tra le due parti, ai fini dell’individuazione del suo significato Ł doverosa una lettura integrata dell’intero atto. » (Sez. 6, n. 5087 del 23/01/2014, COGNOME Rv. 258050 – 01. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto l’ammissibilità dell’impugnazione del P.M. avverso un’ordinanza che, sebbene recasse nel dispositivo, una decisione di conferma in motivazione precisava che il fatto doveva essere diversamente qualificato).
Nel caso che ci occupa, allora, alla stregua della chiara ed esplicita motivazione del Giudice per le indagini preliminari contenuta a p. 946 -947 dell’ordinanza genetica, la lettura integrata dell’intero atto impone di ritenere che quel Giudice avesse escluso le esigenze cautelari relativamente alla condotta di detenzione illegale di arma, incorrendo poi in un mero errore materiale sia nello schema riassuntivo dei reati riguardanti la posizione di Sorce, sia nel dispositivo.
Se così Ł, allora a buona ragione il ricorrente lamenta l’illogicità, ove non la totale assenza della motivazione del Tribunale che, difatti, ha ritenuto sussistente l’avvenuta applicazione della misura cautelare sulla scorta di una motivazione, quella del Giudice per le indagini preliminari, che l’aveva recisamente negata in parte motiva.
Per le ragioni sin qui espresse, l’ordinanza impugnata dev’essere annullata limitatamente al reato di cui al capo 6), con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Milano, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Rigetta nel resto il ricorso.
La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen. in relazione al reato di cui al capo 1).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 6) con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Milano, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen. in relazione al reato di cui al capo 1).
Così deciso il 23/01/2025.
Il Presidente NOME COGNOME