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Associazione di stampo mafioso: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi di due imputati, confermando la loro condanna per partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, una ‘locale’ di ‘ndrangheta operante in Trentino. La sentenza chiarisce che, per le associazioni mafiose delocalizzate, la forza intimidatrice può essere desunta dal legame con la ‘casa madre’ e dalla percezione esterna di tale appartenenza, non essendo necessari continui atti di violenza. La Corte ha ritenuto provata l’esistenza del sodalizio, il suo collegamento con le cosche calabresi, la sua capacità intimidatoria nel settore economico locale (estrazione del porfido) e la piena consapevolezza degli imputati, uno con ruolo di promotore e l’altro di partecipe.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione di Stampo Mafioso: La Cassazione sui Gruppi Delocalizzati

Con la recente sentenza n. 39218/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema di cruciale importanza: la configurabilità di una associazione di stampo mafioso operante al di fuori dei suoi territori storici. La pronuncia conferma la condanna per alcuni soggetti legati a una ‘locale’ di ‘ndrangheta radicata in Trentino, offrendo chiarimenti fondamentali sui criteri per accertare la mafiosità di questi gruppi criminali ‘delocalizzati’.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda i ricorsi presentati da due individui condannati in appello per aver fatto parte di una cellula criminale, emanazione di potenti cosche calabresi, attiva nella provincia di Trento. A uno degli imputati era stato attribuito il ruolo di promotore e organizzatore, mentre all’altro quello di semplice partecipe. La difesa sosteneva l’insussistenza del sodalizio mafioso, argomentando che le attività svolte fossero mere condotte illecite individuali, prive dei requisiti tipici del metodo mafioso, come una diffusa capacità di intimidazione sul territorio.

Secondo i ricorrenti, i giudici di merito si erano limitati a valorizzare la provenienza calabrese degli imputati e i loro contatti con ambienti criminali, senza provare l’esistenza di una reale forza intimidatrice esteriorizzata nel contesto trentino, in particolare nel settore dell’estrazione e lavorazione del porfido, dove il gruppo operava.

L’analisi della Corte: L’associazione di stampo mafioso delocalizzata

La Suprema Corte ha rigettato integralmente i ricorsi, ritenendo la motivazione della Corte di Appello immune da censure. Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione dei requisiti dell’art. 416-bis c.p. quando applicato a gruppi criminali che operano lontano dalla loro ‘casa madre’.

La Corte ha stabilito che, in contesti ‘delocalizzati’, la forza intimidatrice non deve necessariamente manifestarsi con eclatanti atti di violenza. Essa può essere desunta da elementi diversi, quali:

* Il legame con la casa madre: La notorietà e la fama criminale delle cosche di origine si proiettano sulla cellula delocalizzata, conferendole una capacità intimidatoria ‘di riflesso’.
* La percezione esterna: La provenienza degli associati e la manifestazione esplicita della loro appartenenza a contesti malavitosi sono sufficienti a generare un clima di assoggettamento e omertà nel tessuto sociale ed economico in cui si infiltrano.
* La replica del modulo organizzativo: Il gruppo delocalizzato riproduce la struttura, i rituali e le dinamiche tipiche dell’organizzazione madre, mantenendo con essa uno stretto legame.

Nel caso di specie, le numerose intercettazioni avevano dimostrato non solo i continui contatti con le cosche calabresi, ma anche la piena consapevolezza degli imputati di far parte di una struttura organizzata, con ruoli definiti e una strategia comune per infiltrarsi nell’economia locale.

La questione della ‘ramificazione romana’ e il ruolo degli imputati

Un motivo di ricorso riguardava l’esistenza di una presunta ‘compagine romana’ dell’associazione. La Cassazione ha chiarito che non si trattava di un’associazione autonoma, ma di un’estensione delle attività imprenditoriali illecite gestite da uno dei promotori, che ne confermava ulteriormente il ruolo verticistico e il pieno inserimento nel sodalizio trentino.

L’aggravante delle armi

È stata confermata anche l’aggravante della disponibilità di armi. La Corte ha ritenuto irrilevante che alcune armi fossero legalmente detenute, poiché le conversazioni intercettate dimostravano che venivano impiegate per affermare la capacità delinquenziale e intimidatoria del gruppo, e che vi era un interesse concreto a procurarsene altre.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha motivato il rigetto dei ricorsi ribadendo un principio giurisprudenziale consolidato: per le mafie delocalizzate, la prova della mafiosità non richiede necessariamente l’esteriorizzazione di una violenza plateale. La forza intimidatrice è intrinseca al ‘marchio’ mafioso e alla sua percezione nell’ambiente esterno. I giudici di merito hanno correttamente desunto l’esistenza del sodalizio e la sua natura mafiosa dalla condivisione di intenti, dall’impegno congiunto nel settore imprenditoriale del porfido, e dalla dichiarata appartenenza alla ‘ndrangheta dei vertici della ‘locale’. L’analisi delle intercettazioni, definita logica e coerente, ha fornito un quadro probatorio solido, dimostrando la piena intraneità degli imputati alle dinamiche associative, sia a livello locale che nei rapporti con le cosche calabresi.

Conclusioni

La sentenza n. 39218/2024 rafforza gli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata, confermando che il reato di associazione di stampo mafioso può essere pienamente configurato anche quando le mafie esportano il loro modello criminale in territori non tradizionali. La decisione sottolinea come la pericolosità di questi gruppi risieda non solo nella violenza fisica, ma anche e soprattutto nella loro capacità di inquinare l’economia e di generare un clima di paura e sottomissione attraverso il solo legame con le potenti organizzazioni di origine.

Come si dimostra la mafiosità di un’associazione criminale che opera lontano dal suo territorio di origine?
Non sono necessari continui e plateali atti di violenza. La forza intimidatrice può essere desunta dal legame con la ‘casa madre’, dalla percezione esterna di tale appartenenza e dalla replica del modello organizzativo criminale, elementi sufficienti a generare assoggettamento e omertà.

Per essere considerati partecipi di un’associazione mafiosa, è necessario commettere reati specifici?
No, la partecipazione si realizza con l’inserimento stabile nella struttura (affectio societatis). La conoscenza delle dinamiche interne, dei ruoli e la partecipazione alla vita del sodalizio, come dimostrato dalle intercettazioni nel caso di specie, sono elementi sufficienti a provare il ruolo di partecipe.

La disponibilità di armi legalmente detenute può costituire un’aggravante per l’associazione mafiosa?
Sì, se emerge che tali armi, pur lecitamente detenute, sono a disposizione del gruppo e vengono utilizzate o menzionate per affermare la capacità delinquenziale e intimidatoria del sodalizio, integrando così l’aggravante dell’associazione armata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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