Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8239 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8239 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Melito di Porto Salvo il 01/01/1952;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano del 27/03/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito l’avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
;y1
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con ordinanza in data 26 settembre 2023, pronunciando nell’ambito di una richiesta di emissione di misure cautelari riguardante un elevato numero di indagati anche per il reato ex art. 416-bis cod. pen. (sodalizio, rispetto a quale detto Giudice non riteneva sussistente la gravità indiziaria) disponeva misure coercitive nei confronti di undici persone ed il sequestro di euro 225.205.697,62 in ordine ai delitti di detenzione illegale di armi, estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, reati in materia di stupefacenti e reati in materia fiscale. L’originaria richiesta, avanzata dalla D.D.A. di Milano il giorno 3 aprile 2023, riguardava ben 154 indagati ed 86 capi di imputazione.
1.1. Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, il Giudice per le indagini preliminari non riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza rispetto al delitt di cui al capo 1) di detta ordinanza – vale a dire il reato ex art. 416-bis cod. pen. per avere fatto, con altre persone allo stato non ancora individuate, di una imponente e capillarmente strutturata associazione mafiosa, operante prevalentemente nel territorio lombardo, in particolare, tra la città di Milano e la sua provincia, la città di Varese e la sua provincia, costituita da appartenenti alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra, avente struttura confederativa orizzontale, nell’ambito della quale, i vertici di ciascuna delle tre componenti mafiose operano sullo stesso livello, contribuendo alla realizzazione di un sistema mafioso lombardo – ed escludeva la contestata aggravante, nonché l’attualità delle esigenze cautelari quanto al capo 5) – vale a dire il reato ex artt. 110, 99, 10, 12, 14 I. 497/74, 416-bis.1. cod. pen., per avere, in concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, detenuto e portato in luogo pubblico una pistola calibro 38 e relativo munizionamento, con l’aggravante dell’agevolazione del sistema mafioso lombardo e con la recidiva semplice per NOME COGNOME (fatti commessi in Dainago e provincia di Milano da giugno 2020 ad aprile 2021).
1.2. Contro la sopra indicata ordinanza il Pubblico ministero proponeva appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. con riferimento ai capi 1) e 5) chiedendo l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME ritenendo che – nei suoi confronti – sussistessero gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari quale partecipe del sodalizio mafioso (in particolare quale componente della cosca di ‘ndrangheta COGNOME, facente parte della locale di Desio collegata alla locale di Melito Porto Salvo, nonché promotore ed organizzatore della citata confederazione) sopra indicato ed in quanto concorrente nella violazione della legge armi sub 5).
1.3. Il Tribunale di Milano, con la ordinanza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello della pubblica accusa (che aveva provveduto al deposito di memoria ed integrazioni documentali) e, in riforma della ordinanza impugnata, ha applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai delitti di cui ai capi 1) e 5) della imputazione provvisoria.
1.4. In particolare, il Tribunale ha desunto la sussistenza di gravi elementi indizianti per entrambi i reati, nei confronti di NOME COGNOME dall’imponente mole di intercettazioni e di documentazione prodotta dalla pubblica accusa; quanto poi alle esigenze di natura cautelare il Tribunale – stante l’età dell’indagato (superiore a 70 anni) – ha osservato che nel caso di specie esse rivestono carattere eccezionale.
Avverso la citata ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416-bis cod. pen. e la contraddittorietà ed illogicità della motivazione per avere il Tribunale ritenuto esistente la confederazione di cosche oggetto della imputazione provvisoria di cui al capo 1), operante nel territorio lombardo, partendo dalla premessa dell’appartenenza dei singoli indagati, quali partecipi della cosca madre, che successivamente hanno creato un’aggregazione tra loro in Lombardia e hanno agito in sinergia tra di loro dando vita alla citata confederazione, considerata un’associazione di stampo mafioso.
Secondo l’indagato il Tribunale ha errato nel ritenere sussistente una siffatta associazione poiché nella fattispecie manca, per come emerso dagli elementi indizianti, la forza di intimidazione, la condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, nonché per acquistare in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri; in sostanza, l’ordinanza impugnata ha omesso di considerare che i vari indagati sono legati tra loro unicamente da ragioni di carattere economico ed imprenditoriale.
Inoltre, prosegue il ricorrente, il Tribunale lo ha ritenuto legato alla cosca COGNOME unicamente sulla base del fatto che egli proviene dalla medesima cittadina (Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria) nella quale è stata accertata l’esistenza di tale sodalizio di ‘ndrangheta. Egli poi contesta di avere mai rivestito il ruolo di promotore ed organizzatore della confederazione oggetto della imputazione provvisoria ed osserva che, nel materiale indiziario, non vi è traccia della sua formale investitura e nemmeno di alcun rito di affiliazione nei suoi confronti.
2.2. Con il secondo motivo l’indagato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416-bis.1. cod. pen. ed il relativo vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza rispetto alla citata aggravante in ordine alla imputazione provvisoria sub 5), per l’ assenza di qualsiasi elemento a conferma della sua volontà di agevolare l’associazione di stampo mafioso.
2.3. Con il terzo motivo NOME COGNOME censura, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 274, comma 1, lett. c), 275, commi 1 e 3 e 292, comma 2, lett. c), del codice di rito, con riferimento alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari nei suoi confronti, in realtà basata sulla operatività del sodalizio e sulle attività svolte da altri indagati rispetto a quali egli è totalmente estraneo.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 8 del codice di rito ed il relativo vizio di motivazione stante la incompetenza territoriale del Tribunale di
Milano in favore di quello di Reggio Calabria, poiché è Mento di Porto Salvo il luogo da cui egli avrebbe impartito le direttive al figlio NOME COGNOME
2.5. Con il quinto motivo l’indagato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 157 e 161 del codice di rito e conseguente nullità della notifica dell’ordinanza impugnata per non essergli stata notificata nel domicilio eletto presso la sua abitazione.
Infine, all’esito della udienza in camera di consiglio, le parti hanno concluso nei termini sopra trascritti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso (i cui motivi sono in parte inammissibili ed in parte infondati) è nel complesso da respingere.
Preliminarmente deve ricordarsi che la verifica che viene compiuta in questa sede non riguarda la ricostruzione dei fatti, né può comportare la sostituzione dell’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, dovendosi dirigere verso il controllo che il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01), nel provvedimento genetico, purché le deduzioni difensive non siano potenzialmente tali da disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo in tal caso la motivazione ‘per relationem’ fornire una risposta implicita alle censure formulate.
2.1. Inoltre, al fine dell’adozione della misura cautelare, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati; in altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
2.2. Non va poi dimenticato che ai fini della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, è illegittima una valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti, dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli elementi indiziari, il loro esame globale ed unitario, che ne chiarisca l’effettiva portata dimostrativa del fatto e la congruenza rispetto al tema di indagine (Sez. 1, n.30415 del 25/09/2020, Rv. 279789 – 01).
In ogni caso, l’eccezione di incompetenza territoriale è infondata; al riguardo va ricordato che la competenza per territorio nei procedimenti relativi ad un sodalizio criminale mafioso prescinde dalle risultanze anagrafiche del singolo indagato e va individuata nel luogo ove si trova il centro organizzativo e decisionale del sodalizio medesimo (vedi, in fattispecie assimilabile alla presente,
(
Sez. 5, n. 1996 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280328 – 01). Orbene, l’accusa mossa a COGNOME Santo è di avere fatto parte della sopra indicata associazione di stampo mafioso operante in Lombardia, di talché la competenza non può che appartenere al Tribunale di Milano dato che i fatti – oggetto della imputazione provvisoria – si sarebbero verificati nelle province di Milano e di Varese.
Il quinto motivo è infondato; invero, l’indagato – in occasione del verbale di identificazione redatto dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Milano in data 25 ottobre 2023 – aveva sia eletto domicilio presso la propria abitazione, sia presso il difensore di fiducia (apponendo una croce sul punto 1 di pag. 2), con la conseguente ritualità della notifica dell’ordinanza impugnata presso il difensore. In ogni GLYPH caso GLYPH la GLYPH mancata notifica all’indagato dell’avviso di GLYPH deposito dell’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti integra una nullità di ordine generale “a regime intermedio”, non assoluta, che resta sanata per il raggiungimento dello scopo a norma dell’art. 183 cod. proc. pen., quando i motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati dal difensore e riguardino il provvedimento effettivamente impugnato, come avvenuto nella fattispecie (vedi in ipotesi assimilabile, Sez. 6, n. 5647 del 23/01/2013, Rv. 254410 – 01).
Parimenti infondato risulta anche il primo motivo, riguardante la sussistenza e la configurabilità dell’associazione di stampo mafioso di cui all’art. 416-bis cod. pen. oggetto della imputazione provvisoria sub 1).
5.1. Cercando di sintetizzare quanto diffusamente argomentato sul punto nell’ordinanza oggetto di censure, va sottolineato che il Tribunale ha confermato l’assunto del Pubblico ministero secondo il quale i singoli indagati hanno agito e si sono rapportati tra loro in ragione di un proprio retaggio mafioso (cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra), dotandosi di mezzi, impiegando risorse economiche e personali, nella consapevolezza di una dimensione sovraindividuale in cui l’operatività del singolo andava ad inserirsi, operatività che si è dispiegata nei settori più disparati, sia di natura illecita sia di natura, solo apparentemente, lecita. Si è ritenuto dimostrato che i singoli indagati avevano come riferimento -IL ..h.l:”fita da(1 10), NOME n Ce0 -un grup13- 6rdrOmogenh,appartenenza e godevano, come singoli e come gruppi, di margini di autonomia; l’operatività del sodalizio si è caratterizzata, secondo il
Tribunale, per la sua trasversalità in moltissimi settori rivelatisi di interesse per l’associazione.
Invero, molteplici attività illecite si sono realizzate con il contributo di soggetti di diversa appartenenza criminale, tra cui in particolare alcune attività estorsive perpetrate per favorire il gruppo nella sua interezza, la commissione di reati in materia di armi a vantaggio del sodalizio e in particolare di NOME COGNOME, come quello contestato al capo 5 (oggetto di imputazione provvisoria proprio a carico di NOME COGNOME) e la realizzazione di plurime attività di carattere economico e finanziario.
5.2. Inoltre, il Tribunale – al contrario del Giudice per le indagini preliminari – ha dato rilievo ai numerosi incontri e riunioni (oggetto di intercettazioni effettuate presso gli uffici delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE so cooperativa siti in Dairago e Cinisello Balsamo, ritenute basi operative del sodalizio) nel corso dei quali erano state stabilite le modalità di azione, definiti gli accordi e confermati i legami tra gli indagati. Peraltro, il provvedimento impugnato, ha osservato che le attività di monitoraggio audio e video in corso hanno consentito di apprezzare in tempo reale il contenuto di numerose riunioni operative, e la assoluta chiarezza delle conversazioni senza lasciare dubbi rispetto al carattere programmatico delle stesse.
Deve aggiungersi che il Tribunale meneghino ha sottolineato che, anche nei momenti di più aspro conflitto dovuto alle pendenze tra i sodali, vi era stato lo sforzo di trovare una sintesi che assicurasse a tutti gli aspettati profitti nel rispett degli obiettivi e degli impegni assunti (tra cui quello del sostentamento economico di NOME COGNOME nel corso della sua detenzione) come, ad esempio, la costituzione della RAGIONE_SOCIALE proprio con riferimento ai contrasti esistenti ed al fine di evitare scontri (‘guerre’) che avrebbero danneggiato tutti, la loro composizione si è svolta mediante accordi che hanno visto protagoniste persone aventi differenti origini criminali (anche non partecipi agli iniziali accordi) ritenute comunque, in possesso della necessaria autorevolezza.
5.3. A parere del Tribunale, quindi, può ritenersi dimostrata l’esistenza, a partire almeno dal 2018, di accordi tra più soggetti legati tra loro da progetti di carattere trasversale a conferma di un accordo di natura associativa (al tal fine nell’ordinanza impugnata viene richiamato il colloquio del 4 novembre 2020 tra
NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel corso del quale il primo si lamenta del fatto che NOME COGNOME aveva inserito negli ‘affari’ il calabrese NOME COGNOME). L’ordinanza impugnata, quindi, ha ritenuto che il sodalizio sub 1) – pur associando soggetti provenienti dalle differenti mafie cd. ‘storiche’ fonda la propria capacità di intimidazione nel territorio lombardo, anzitutto, dai collegamenti funzionali mantenuti e curati con le ‘case madri’ dai singoli associati, come pure nell’individuazione degli obiettivi da perseguire, dai rapporti interni tra gli associati mutuati dalle consorterie mafiose tradizionali e dall’impiego effettivo, sulla collettività, dell’intimidazione, direttamente funzionale a realizzare gli scopi tipici di cui all’art. 416-bis cod. pen.
In sostanza, tenuto conto sia dei collegamenti funzionali con i territori d’origine delle mafie storiche, sia delle concrete modalità operative nel territorio della Lombardia, il Tribunale ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. poiché il sodalizio in questione non solo persegue i tipici obiettivi delle associazioni mafiose, ma è anche in possesso di una propria forza intimidatrice resa concretamente visibile all’esterno, come confermato dalla circostanza che soltanto un destinatario di condotte violente aveva presentato denuncia e che, in più occasioni, le vittime di torti avevano preferito rivolgersi al mafioso di riferimento, anziché alle autorità competenti.
5.4. Ritiene il Collegio che le censure sollevate dal ricorrente in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per la mancanza, in particolare, della forza intimidatrice sono infondate; deve, al riguardo, sottolinearsi che, alla luce delle coordinate sul sindacato in tema di ordinanze cautelari, la ricostruzione in fatto non presenta profili di illogicità.
5.5. Infatti, come sopra riportato, il Tribunale di Milano, senza incorrere in apparenti contraddizioni, è pervenuto alla conclusione che i soggetti indagati, pur mantenendo contatti con le associazioni di provenienza, hanno dato vita non a una confederazione, ma ad una vera e propria associazione autonoma. In particolare, si è dato coerentemente risalto all’invio di informazioni presso i luoghi di insediamento delle mafie storiche (indicate dagli stessi indagati come “ambasciate”) ed alla imposizione dai territori d’origine di divieti e norme comportamentali al fine di evitare dissidi nel territorio lombardo (si pensi alla intercettazione ambientale effettuata nell’ufficio di Dairago il giorno 4 gennaio
2021, riguardante la giusta suddivisione dei profitti). L’ordinanza ha dato pure risalto, sempre in modo logico, alla circostanza che alcuni dei membri del sodalizio sono stati già riconosciuti responsabili del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. commesso sempre nel nord Italia; pertanto le autorizzazioni provenienti dai territori di origine e la appartenenza alla associazione di soggetti già condannati per appartenenza a gruppi mafiosi sono stati considerati i primi indici rivelatori della mafiosità dell’associazione sub 1), come peraltro confermato nel corso degli incontri e dei colloqui oggetto di intercettazioni nei quali si fa esplicito riferimento ai concetti di ‘onore’ e di ‘famiglia’ che, tenuto conto del contesto, rivestono un chiaro significato riferibile proprio alla criminalità organizzata (si veda, tra le altre l’intercettazione del 24 marzo 2021 nella quale il COGNOME rivendica di essere napoletano ‘dentro’ ed il suo stretto legame con lo “zio” NOME COGNOME e NOME COGNOME). Inoltre, il Tribunale ha valorizzato il fatto che in molteplic occasioni i sodali hanno richiamato espressamente l’unità delle rispettive “famiglie” e l’importanza di tale elemento (ad esempio rispetto ai Pace ed ai Crea).
5.6. L’ordinanza impugnata ha dato altresì conto, senza apparenti contraddizioni, delle varie occasioni nelle quali la forza intinnidatrice del sodalizio si è mostrata all’esterno come, ad esempio, nelle attività di recupero crediti, nelle risoluzioni di controversie a seguito della richiesta di privati (come nel caso di NOME COGNOME), e nella disponibilità di armi che i sodali erano pronti ad utilizzare (si vedano, in tal senso, le dichiarazioni della persona offesa del reato di cui al capo 13 della imputazione provvisoria, le frasi di NOME COGNOME rispetto alle minacce profferite nei confronti della persona offesa del reato di cui capo 18 e quanto dichiarato NOME COGNOME in ordine alla estorsione di cui capo 16 con riferimento alla possibilità di ricorrere all’uso delle armi).
L’intimidazione è stata esercitata – proprio al fine di confermare il potere mafioso – anche nella estorsione ai danni del Picone da parte di NOME COGNOME (capo 9 della imputazione provvisoria), allorquando veniva rappresentato alla persona offesa che il suo locale poteva essere fatto chiudere in qualsiasi momento; analogamente, il Tribunale ha evidenziato le intimidazioni esercitate nell’ambito della gestione delle imprese riconducibili agli indagati e, in genere, le infiltrazioni nelle attività economiche (in tal senso risultano
significative, tra le altre, le intercettazione del 12 febbraio 2020 tra COGNOME e COGNOME, le dichiarazioni di NOME COGNOME rispetto alla gestione dei parcheggi della RAGIONE_SOCIALE e quelle di NOME COGNOME in ordine a quanto riferitogli da NOME COGNOME circa l’appartenenza del suo gruppo alla criminalità organizzata).
5.7. Ne consegue che l’ordinanza impugnata – valorizzando anche i molti delitti già ritenuti assistiti da adeguati riscontri indiziari da parte del Giudice pe le indagini preliminari – ha coerentemente evidenziato che il potere di intimidazione esercitato in una pluralità di vicende non si ricollega, atomisticamente, al calibro originario e all’associazione originaria dei protagonisti, ma è proprio la proiezione operativa, negli affari comuni che vengono puntualmente indicati, della nuova associazione.
È vero che non tutte le attività (specie, quelle legati alla artificiosa creazione di crediti i.v.a.) sono caratterizzate dalla estrinsecazione del potere di intimidazione, ma ciò vale anche per le associazioni mafiose tradizionali; ciò che rileva, però, è che alcuni delitti posti in essere dal sodalizio mostrano che gli indagati, indipendentemente dall’associazione di provenienza, hanno compiuto delitti riconducibili alla nuova associazione valendosi del potere di intimidazione (si pensi alla estorsione sub 16 che “senza spari” e di ciò si compiacciono i protagonisti – aveva portato all’estromissione di Sanfilippo dalla SF che verrà poi utilizzata nell’attività di noleggio auto, alla percezione legata all’operatività d RAGIONE_SOCIALE, all’estorsione di cui al capo 8 e ai capi 13, 14, 18).
Il Tribunale, con motivazione adeguata ed esente da apparenti vizi logici, ha quindi dato conto della estrinsecazione di una forza di intimidazione che non scaturisce dalle singole originarie componenti mafiose, ma bensì dall’operatività congiunta di soggetti provenienti da diverse componenti originarie, i quali poi dispongono di una imponente cassa comune e operano congiuntamente e incisivamente nel tessuto economico lombardo.
A quanto sopra deve aggiungersi che la configurabilità della nuova associazione non presuppone l’estinzione delle unità originarie; il fatto che in alcuni precedenti giurisprudenziali ciò sia in concreto accaduto non dimostra che sia strutturalmente necessario. Inoltre, gli indagati hanno mantenuto rapporti con
le organizzazioni di originaria appartenenza, ma al fine del necessario coordinamento con altre realtà delinquenziali.
5.8. Deve poi escludersi il ‘bis in idem’ rispetto alle originarie associazioni poiché il fatto oggetto della presente imputazione provvisoria è differente rispetto a quello oggetto delle imputazioni relative agli altri sodalizi anche rispetto al profili temporali; d’altra parte la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato l’astratta configurabilità della partecipazione a due distinte associazioni, qualora ne ricorrano i presupposti.
Pertanto, non trova riscontro nelle risultanze delle indagini la tesi difensiva diretta a correlare la notevolissima capacità intimidatrice dell’associazione sub 1) unicamente alle ascendenze mafiose dei singoli indagati, poiché i medesimi operano unitariamente e si raccordano in Lombardia, quanto meno nei settori economici individuati dalle indagini, con lo scopo di non fare emergere dissidi nell’organizzazione medesima esercitando, a tal fine, i classici poteri di mediazione dei conflitti, tipici della più insidiosa penetrazione dei sodalizi mafiosi nel tessuto sociale.
5.9. Quanto poi al ruolo di promotore ed organizzatore rivestito dall’odierno ricorrente, si evidenzia che i gravi indizi di colpevolezza sono stati desunti – in modo non contraddittorio – dalle direttive da lui impartite al figlio NOME, direttamente o tramite ‘ambasciate’, per mezzo di soggetti che si recavano, proprio a tal fine, in Calabria. Non va dimenticato che NOME COGNOME, come risulta dalle intercettazioni, era stato ‘battezzato’ nel 2021 e che, da allora, il figlio fungeva da suo referente per il Nord Italia con riferimento alla cosca ‘ndranghetistica COGNOME. Indicative al riguardo risultano, ad esempio, le direttive impartite dall’indagato al figlio circa la corresponsione del denaro per il sostentamento, durante la detenzione, del sodale NOME COGNOME.
Il secondo motivo è infondato; invero il Tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza rispetto alla contestata aggravante per il concorso nella detenzione di un’arma (una pistola calibro ’38, indicata dagli indagati nelle intercettazioni come ‘maglietta’) da lui custodita per conto di NOME COGNOME (esponente del gruppo Senese in Lombardia) al quale poi l’aveva restituita.
Al riguardo va ricordato che l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è configurabile nel caso di condotte eziologicamente collegate all’azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla più pronta e agevole commissione del reato e non in quello di mera connotazione mafiosa dell’azione o mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti dell’organizzazione mafiosa (Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, Rv. 285761 – 01).
Orbene, l’ordinanza impugnata – con motivazione adeguata e non contraddittoria – ha desunto gli elementi indiziari dalla circostanza che l’arma è stata detenuta e conservata nell’interesse di uno degli associati del medesimo sodalizio cui appartiene l’indagato.
7. Infine, deve respingersi anche l’ultimo motivo riguardante le esigenze cautelari a carico dell’odierno ricorrente; al riguardo va evidenziato che il Tribunale – senza incorrere in vizi logici – ha ritenuto sussistenti dette esigenze di grado eccezionale (tenuto conto che l’indagato ha oltre 70 anni di età) in considerazione della perdurante operatività della cosca COGNOME COGNOME, dei gravi precedenti penali risultanti a suo carico, della posizione di vertice da lui rivestita nell’ambito della locale di Melito Porto Salvo, della disponibilità di armi del gruppo e della opinione espressa nel corso di un colloquio con il figlio (oggetto di intercettazione) circa il diritto dell’indagato di sottrarsi alle misure cautelari Orbene, rispetto a tale compiuto ragionamento svolto dal Tribunale, l’indagato (che nulla deduce rispetto alla propria età anagrafica) si limita a sostenere, in modo generico, la insussistenza di esigenze di natura cautelare ed il decorso del tempo dai fatti, senza tenere conto che il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.; la cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. es. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2025.