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Associazione dedita al narcotraffico: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18974/2025, ha confermato la misura cautelare in carcere per un soggetto accusato di partecipazione a un’associazione dedita al narcotraffico. Il ricorrente, un esperto coltivatore di cannabis, era stato ‘prestato’ da un clan a un altro per gestire una vasta piantagione. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, sottolineando che la stabilità del ruolo, l’organizzazione strutturata e la consapevolezza di operare per il sodalizio criminale sono elementi sufficienti per configurare il reato associativo, distinguendolo dal mero concorso di persone in singoli reati. È stata inoltre confermata l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione dedita al narcotraffico: quando il ruolo è stabile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18974 del 2025, offre un importante chiarimento sulla distinzione tra il concorso di persone nel reato di spaccio e la partecipazione a una vera e propria associazione dedita al narcotraffico. Il caso riguarda un individuo accusato di essere un membro organico di un’organizzazione criminale, con un ruolo specifico e una partecipazione consapevole e continuativa. Analizziamo la decisione per comprendere quali elementi trasformano una condotta illecita in un reato associativo.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da un’indagine su due clan della ‘ndrangheta alleati nel business della droga. Le investigazioni hanno svelato l’esistenza di una vasta piantagione di cannabis gestita in modo imprenditoriale. L’imputato, un bracciante agricolo con una notevole esperienza nella coltivazione di cannabis, era stato ‘prestato’ dal suo clan di appartenenza a quello alleato per ottimizzare la produzione della piantagione.

Le prove raccolte, tra cui intercettazioni, video-riprese e servizi di osservazione, hanno documentato il suo ruolo attivo: non era un semplice lavoratore occasionale, ma un soggetto pienamente inserito nelle dinamiche del gruppo. Partecipava a riunioni strategiche, si occupava personalmente della qualità dello stupefacente (mirando a un’alta percentuale di THC) e gestiva aspetti logistici legati alla lavorazione e al confezionamento.

Contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua fosse una presenza occasionale e che mancassero le prove di una partecipazione stabile all’associazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto l’impianto accusatorio e la valutazione del Tribunale. I giudici hanno ritenuto che gli elementi raccolti fossero più che sufficienti a dimostrare l’inserimento stabile e consapevole dell’imputato all’interno del sodalizio criminale, superando la soglia del mero concorso di persone in singoli reati.

Le motivazioni sull’associazione dedita al narcotraffico

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra reato associativo e reato continuato. Mentre quest’ultimo si caratterizza per un accordo occasionale finalizzato a commettere uno o più reati specifici, l’associazione dedita al narcotraffico (art. 74 D.P.R. 309/90) presuppone:

1. Stabilità del Vincolo: Il legame tra gli associati è permanente e non si esaurisce con la commissione di un singolo reato.
2. Struttura Organizzativa: Esiste un’organizzazione, anche rudimentale, con ruoli definiti e una programmazione delle attività criminali.
3. Indeterminatezza del Programma: L’associazione mira a commettere una serie indefinita di delitti legati al narcotraffico.

Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato come l’imputato fosse pienamente consapevole di operare per due clan, come dimostrato dalle sue stesse parole intercettate (‘qua dobbiamo essere tutti fratelli’). Il suo ruolo di ‘tecnico’ prestato da un’organizzazione all’altra non era un fatto isolato, ma la prova di un’operatività strutturata e di una solida collaborazione tra le due compagini criminali. La ripetuta commissione di reati-fine (coltivazione, lavorazione, cessione) non era frutto di accordi estemporanei, ma l’espressione concreta dell’attività dell’associazione.

L’Aggravante Mafiosa e le Esigenze Cautelari

La Cassazione ha inoltre confermato la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa (art. 416-bis.1 c.p.). L’attività dell’imputato non era finalizzata solo al proprio guadagno, ma era consapevolmente diretta a favorire l’organizzazione criminale, rafforzandone la capacità operativa e i profitti. Questa consapevolezza è stata desunta dalle modalità dell’azione e dal contesto in cui operava.

Infine, riguardo alle esigenze cautelari, la Corte ha ritenuto attuale e concreto il pericolo di reiterazione dei reati. Il pieno inserimento in un’associazione così strutturata, i rapporti stabili con i vertici dei clan e la sua professionalità nel settore sono stati considerati indicatori di una pericolosità sociale tale da giustificare la misura della custodia in carcere, nonostante l’assenza di precedenti penali.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per configurare la partecipazione a un’associazione dedita al narcotraffico, non è necessario un lungo periodo di militanza. Ciò che conta è la prova di un inserimento stabile e funzionale nella struttura, anche per un breve arco temporale, purché emerga un sistema collaudato e un ruolo definito. La commissione ripetuta di reati-fine, in questo contesto, diventa la manifestazione concreta dell’operatività del patto associativo e un indizio grave, preciso e concordante della partecipazione al sodalizio.

Qual è la differenza tra concorso di persone e partecipazione ad un’associazione dedita al narcotraffico?
Nel concorso di persone, l’accordo tra i soggetti è occasionale e limitato alla commissione di uno o più reati specifici. Nell’associazione, invece, esiste un vincolo stabile e permanente e un programma criminoso indeterminato per commettere una serie di delitti, con una struttura organizzata.

Quando si applica l’aggravante dell’agevolazione mafiosa in un reato di narcotraffico?
Si applica quando viene dimostrata la specifica intenzione (dolo) del soggetto di aiutare l’organizzazione criminale di riferimento. Non è necessario che questo sia l’unico scopo, ma l’agente deve essere consapevole che la sua azione favorirà anche gli interessi della cosca.

Un breve periodo di attività criminale può bastare per provare la partecipazione a un’associazione stabile?
Sì. Secondo la Corte, la durata dell’attività non è decisiva. Se dagli elementi raccolti emerge un sistema criminale collaudato e un ruolo ben definito del soggetto all’interno di esso, anche un breve periodo di protrazione delle condotte è sufficiente a dimostrare la partecipazione al reato associativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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