Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18974 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18974 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Messina NOME nato a Cinquefrondi il 26/05/1990
avverso l’ordinanza del 03/12/2024 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso; letta la memoria dell’Avvocata NOME COGNOME nell’interesse di NOME
Messina, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento di cui in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro ha confermato l’ordinanza cautelare emessa in data 14 ottobre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale con la quale era stata applicata a
NOME COGNOME la custodia in carcere per il reato di partecipazione ad un’associazione dedita al narcotraffico, capeggiata da NOME COGNOME classe 71, con il ruolo di bracciante agricolo esperto nella coltivazione di cannabis, “prestato” per questo dal clan di ‘ndrangheta di Rosarno (capo 2), e per i reatifine dell’associazione (capi 41, 57, 58, 60 e 61), aggravati dall’art. 416-bis.1 cod. pen.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo e il terzo motivo deduce violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione dedita al narcotraffico (capo 2).
L’ordinanza impugnata, aderendo alla richiesta cautelare, non ha indicato i requisiti tipici, nei termini richiesti dalla giurisprudenza di legittimità, del delit cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, peraltro, in assenza di sentenze definitive di condanna dimostrative dell’esistenza sia della cosca COGNOME, sia della cosca COGNOME, e non ipotizzando, invece, condotte concorsuali.
Infatti, COGNOME, del quale non è indicato il ruolo nell’ambito associativo, non era consapevole del contesto criminale visto che era stato assunto come bracciante da COGNOME per pochi mesi e il richiamo ad altre coltivazioni, frutto di mera millanteria (capo 57), in assenza di dati temporali sarebbe un reato ormai prescritto. Inoltre, non sono state indicate intercettazioni, o altre font dimostrative del coinvolgimento di COGNOME nelle dinamiche associative o dichiarazioni dei collaboratori a lui riferite, limitandosi tutto alla coltivazione di al capo 41 – a cui si riferiscono le intercettazioni -, che assorbe anche i capi 58, 60 e 61 per i quali mancano tutti gli elementi (la prova della consegna dello stupefacente, il coinvolgimento del ricorrente) e inidonei a dimostrare la partecipazione alla compagine criminale.
La conversazione riportata a pag. 11 dell’ordinanza è stata travisata – si pensi ai profili dell’appartenenza dello stupefacente all’associazione, del rapporto di parentela di Messina con NOME COGNOME, al luogo della coltivazione diverso da NOME.da COGNOME -, inoltre, dopo il sequestro della coltivazione non vi sono contatti del ricorrente con altri associati a riprova dell’occasionalità della sua presenza.
Proprio la rudimentalità dell’organizzazione ed il ristretto arco temporale di operatività del gruppo criminale avrebbero consentito la riqualificazione del fatto in termini di concorso di persone nei singoli reati-fine o nell’ipotesi associativa d cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, soprattutto alla luce della
sentenza della Corte costituzionale numero 138 del 2024 che, attesa l’esorbitanza della pena, impone di modularla a seconda dell’entità dei fatti.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizi di motivazione in relazione ai reati-fine, oggetto di accordi estemporanei e non pianificati, tra soggetti differenti, non identificati eccetto che in due casi. Con riferimento ai capi 58 e 61, in assenza di previe intese, risulta che la presunta consegna a NOME COGNOME si era conclusa con perquisizione negativa.
2.3. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizi di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., contestata per tutti capi, per assenza di elementi concreti della consapevolezza del ricorrente di agevolare la cosca COGNOME, mancando prova della sua sussistenza e del rapporto di parentela di Messina con NOME COGNOME o di modalità mafiose. Né può rilevare la frase valorizzata dall’ordinanza impugnata («La baracca di mio cugino tiro io») che esprime la volontà di perseguire uno scopo personale.
2.4. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alle esigenze cautelari sia in relazione al pericolo di inquinamento probatorio, attesa la natura non alterabile delle prove acquisite; sia in relazione al pericolo di fuga per l’incensuratezza e la personalità del Messina; sia in relazione alla concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione dei reati oltre che per la duplice presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. soprattutto in ragione della risalenza nel tempo delle condotte al giugno 2022.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, ai sensi dell’ar 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati successivamente prorogati, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza delle doglianze formulate.
Va premesso che in tema di misure cautelari personali non è consentito proporre censure riguardanti la ricostruzione dei fatti o che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, come invece richiesto dal ricorrente, soprattutto attraverso l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se non quando manifestamente illogico ed irragionevole (Sez. U, n. 11
del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; tra le tante conformi Sez. 3, n.44938 del 5/10/2021, Rv. 282337).
Nel caso in esame, peraltro, il compendio intercettivo riportato dal provvedimento è di per sé ampiamente autosufficiente a sostenere e documentare la gravità indiziaria delle condotte di reato in contestazione in quanto ulteriormente supportata dai servizi di osservazione, dalle videoriprese, da arresti e da sequestri.
Il primo motivo di ricorso, che richiama profili contenuti anche nel terzo tanto da potersi esaminare congiuntamente, è indeterminato rispetto alle ragioni della ritenuta consapevole partecipazione del ricorrente alla struttura, all’organigramma e alle attività della cosca di ndrangheta.
3.1. Il provvedimento impugnato, con un’autonoma valutazione nella quale non sono riconoscibili violazioni di legge con riferimento all’interpretazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, ha ritenuto NOME COGNOME un bracciante agricolo, esperto nella coltivazione di cannabis “prestato” dal clan di ndrangheta di Rosarno, capeggiato da NOME COGNOME, al clan di ndrangheta dei Cracolici dedito alla gestione di cinque piantagioni i cui proventi venivano suddivisi tra le due compagini criminali.
Il Tribunale di Catanzaro, infatti, ha spiegato in maniera efficace e logica come l’imponente materiale investigativo, puntualmente esaminato, avesse dimostrato che l’associazione di tipo mafioso ndrangheta, nelle due sotto-articolazioni dei COGNOME – storicamente operante a Filogaso e Maierato sotto la direzione di NOME COGNOME – e dei COGNOME – operante a Rosarno – gestisse il traffico di diversi tipi di stupefacenti tra Lamezia Terme, Maida e Cortale, con particolare riferimento alla marjuana, autoprodotta dalla stessa consorteria di Cracolici e poi confezionata e spacciata, con basi logistiche e di custodia, attraverso soggetti appartenenti ad entrambi i clan (Cracolici e COGNOME) che comunicavano non con telefoni ordinari ma con “citofonini”.
In particolare, dalle intercettazioni, ambientali e telefoniche, il cui contenuto risulta inequivoco anche grazie ai monitoraggi delle telecamere e dei servizi di osservazione; al sequestro del 17 giugno 2022 della piantagione e della serra con 3000 piante, in Corazzo di Maida, e del capannone adiacente in cui erano stati rivenuti diversi chili di marjuana (32 chili in fase di essiccazione e 5 chili suddivis in 5 buste), con strumenti per il confezionamento; all’arresto di numerosi soggetti, tra cui i Cracolici e Messina trovati nell’atto di lavorare lo stupefacente, era stato disvelato il ruolo del ricorrente quale operaio di fiducia di NOME COGNOME “prestato” alla gestione della coltivazione di marijuana dei Cracolici in ragione della sua particolare competenza nel settore.
Infatti, era risultato che da marzo 2022 Messina svolgesse un ruolo consapevolmente attivo nella piantagione di cannabis di Corazzo di Maida, dei Cracolici, che curava personalmente («la cosa fondamentale dell’erba è che deve sballare….. faccio salire il THC al 21%» prog. 518 del 16/04/2022) anche partecipando a periodiche riunioni tra il clan dei Cracolici e quello di Rosarno, nel casolare adiacente alla piantagione, in cui si discuteva della sua migliore gestione, del suo ottimo andamento (pag. 10), oltre che delle preoccupazioni di Messina di essere scoperti sia per la vicinanza di un centro commerciale (pagg. 7 e 8 dell’ordinanza), sia per il timore del comportamento del Luogotenente dei Carabinieri COGNOME (“l’infame”) se non fosse stato pagato dall’associazione.
L’ordinanza ha dato conto anche del pieno coinvolgimento del ricorrente nella fase di successivo smistamento dello stupefacente, in cui aveva discusso con NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’acquisto di materiali necessari a pesatura e confezionamento sottovuoto (progr. 638), poi forniti (telecamera 87/2022), oltre che dalla presenza fissa di Messina nel casale adiacente alla piantagione, nel periodo della fioritura, dal 26 maggio 2022 sino all’arresto.
3.2. In ordine alla gravità indiziaria per la consapevole condotta partecipativa del ricorrente sono state valorizzate le conversazioni del 13 e del 17 maggio 2022 (pag. 10) in cui Messina aveva spiegato a NOME COGNOME la situazione del suo referente, NOME COGNOME – all’epoca sottoposto agli arresti domiciliari sostenendo «qua dobbiamo essere tutti fratelli» e «se vuoi stare con noi…devi stare no che ti mischi con cinquanta cristiani» e l’interlocutore gli aveva spiegato che pur sapendo che i telefoni con cui comunicavano erano “buoni” preferiva che fosse COGNOME a spiegare a COGNOME di non volergli pagare la comunione della figlia (pag. 11).
Inoltre, il 4 giugno 2022, nel corso dell’ennesima riunione tra i rosarnesi (Messina e COGNOME) e gli appartenenti al clan dei Cracolici, COGNOME aveva profilato la possibilità che NOME COGNOME visitasse la piantagione, ma Messina aveva rivendicato il proprio ruolo per conto del cugino («la baracca di mio cugino tiro io» pag. 11), indicando con questo termine, già usato in altre conversazioni, NOME COGNOME, il capo del clan di Rosarno.
Si tratta di una conversazione che non è stata affatto travisata dal provvedimento impugnato, nel senso dell’essere stato riportato un contenuto difforme da quello reale, ma il ricorrente si è limitato a prospettarne un’interpretazione diversa non consentita in questa sede (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558), ribadendo l’assenza di un rapporto di parentela tra Messina e NOME COGNOME, riferendosi ad altro cugino e ad altra piantagione, senza confrontarsi con l’argomento del Tribunale che ha chiarito che
il termine cugino non avesse valore formale e non fosse riferibile ad altri, perché usato da Messina più volte per individuare il capo clan.
L’ordinanza, inoltre, ha valorizzato correttamente la conversazione n. 15 in cui il ricorrente aveva raccontato di avere realizzato precedenti coltivazioni di cui una, per il clan di Rosarno, con 18.000 piante di cannabis da cui erano stati ricavati 580 chili di marjuana (pag. 13), nonché il suo pieno coinvolgimento nel ripetuto scambio di diverse partite di stupefacenti, come evincibile dai reati-fine (capi 41, 57,58, 60 e 61).
3.4. L’ordinanza impugnata, facendo proprio il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine ai connotati di un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, che non è parcellizzabile nel solo capo 41, ha ritenuto gli stessi sussistenti. In particolare, ha dato conto dell’articola organizzazione, della presenza di soggetti con ruoli prestabiliti che investono nel reciproco e tacito affidamento per l’attuazione del programma criminoso, della movimentazione di rilevanti quantitativi di stupefacenti, della capacità di produrre e approvvigionare in modo continuativo gli acquirenti, dell’esistenza di prestabiliti luoghi di stoccaggio, del complesso e stabile sistema di coltivazione, lavorazione e smistamento dello stupefacente, della rete di contatti di collaborazione costante persino con appartenenti alle istituzioni infedeli, della capacità di proiettare l propria attività oltre i singoli episodi e così offendere l’interesse protetto per effet della sua esistenza e del numero di associati (tra le tante Sez. 6, n. 11526 del 16/02/2022, Rv. 283049), senza che rilevino né l’asserita prescrizione o millanteria per le precedenti colture o l’ipotizzata qualificazione dell’associazione ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, di cui mancano gli elementi costituitivi quali: la programmazione esclusivamente della commissione di fatti di lieve entità, la predisposizione di modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Rv. 278098). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A ciò si aggiunge che il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la ripetuta e non occasionale commissione, in concorso con altri partecipi, di reati-fine dell’associazione, può integrare indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla partecipazione posto che, attraverso essi, si manifesta in concreto l’operatività della compagine criminale (Sez. 2, n. 35141 del 13/06/2019, Rv. 276741) e, stante la natura permanente del reato associativo, non rileva il breve periodo di protrazione delle condotte allorché dagli elementi acquisiti emerga un sistema collaudato (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122).
3.5. In ordine al discrimine con il concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, la decisione impugnata si pone in linea con l’orientamento di questa Corte secondo il quale, in questo caso, l’accordo criminoso è occasionale e limitato, perché diretto soltanto alla commissione di uno o più reati determinati, mentre nel reato associativo vi sono la stabilità del vincolo e l’indeterminatezza del programma criminoso che connotano il susseguirsi delle condotte illecite tra soggetti stabilmente collegati, così da rendere i reati-fine un epifenomeno della compagine criminale che non la esaurisce, mantenendosi questa salda anche dopo la loro consumazione (da ultimo, tra le tante, Sez. 2, n. 22906 dell’8/03/2023, Rv. 284724).
3.6. Con riferimento, infine, alla comprovata esistenza del clan QiacoOci, al quale quello di Rosarno apportava una solida collaborazione per spartirsi i guadagni delle attività di narcotraffico (si veda pag. 10), è sufficiente richiamare i diversi procedimenti e le sentenze di condanna emesse nei confronti dei capi storici – AZ dei GLYPH i, uccisi nel corso di una faida con il clan avverso dei Bonavota, e della successiva posizione assunta dai figli, odierni indagati, che avevano recuperato il vuoto di potere nella zona approfittando delle situazioni contingenti dovute ai procedimenti giudiziari e agli arresti (pagg. 16-18); per come illustrate e collocate nel tempo dai collaboratori di giustizia COGNOME COGNOME senza che rilevi che non abbiano menzionato Messina visto che questi era stato solo “prestato” ai COGNOME, dalla sua cosca di appartenenza rosarnese.
Il secondo motivo, che in parte si sovrappone al terzo, relativo alla gravità indiziaria dei reati-fine, è formulato anch’esso in termini indeterminati.
A fronte di una specifica motivazione contenuta nell’ordinanza impugnata riguardante ciascuno dei numerosi delitti contestati, con richiamo, per ogni provvisoria incolpazione alle immagini di riferimento riprese dall’impianto di videosorveglianza e al contenuto delle conversazioni intercettate e nel loro sviluppo (pag. 6 capo 41; pagg. 13 e 14 capi 58 e 61), il ricorso, senza minimamente confrontarsi con il solido apparato argomentativo del Tribunale, si limita a generiche doglianze circa la sovrapponibilità del delitto di coltivazione (capo 41) con quelli di cessione (58, 60 e 61) che hanno diverso contenuto; menziona il capo 60 che non è stato oggetto di contestazioni dinnanzi al Tribunale (pag. 14); denuncia l’assenza di riscontri in ordine agli accordi e all’avvenuta consegna del carico di stupefacente da NOME COGNOME e NOME COGNOME a NOME comprovati, invece, da una specifica ripresa delle telecamere del 9 giugno 2022 alle ore 15,32 e dal contenuto inequivoco dei dialoghi intercettati espressivi della preparazione e del confezionamento di 5 diversi involucri di marjuana (pagg. 13 e 14), non rilevando la perquisizione negativa stante la non illogicità
dell’argomento utilizzato dal provvedimento impugnato che ha valorizzato la distanza temporale tra il carico e il controllo degli operanti (pag. 13).
Il quarto motivo, relativo all’insussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è generico.
Il provvedimento impugnato ha riconosciuta la menzionata circostanza aggravante, nella sua declinazione “dell’agevolazione mafiosa” della cosca di Rosarno, alleata di quella dei Cracolici, alla luce dei sopra illustrati elementi investigativi, a partire dall’inequivoco utilizzo, da parte di Messina, di espressioni quali «qua dobbiamo essere tutti fratelli» e del pronome personale “noi” («se vuoi stare con noi…devi stare no che ti mischi con cinquanta cristiani» pag.10).
L’ordinanza impugnata, facendo propri i principi della giurisprudenza di questa Corte, ha ritenuto sussistente la specifica direzione finalistica del dolo del ricorrente di aiutare l’organizzazione criminale di riferimento, desumendola dalle modalità dell’azione, senza che rilevi che l’agente persegua l’ulteriore finalità di un vantaggio proprio, purchè nella consapevolezza di favorire così anche l’interesse della cosca beneficiata (Sez. 6, n. 11101 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 262713).
L’aggravante è configurabile soprattutto con riferimento agli appartenenti al sodalizio cui sono contestati reati-fine (tra le tante, Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, COGNOME, Rv. 218377; Sez. 6, n. 46007 del 06/07/2018, COGNOME, Rv. 274280) come appunto NOME COGNOME non assumendo alcuna decisività il rapporto di effettiva parentela con NOME COGNOME.
Il quinto motivo di ricorso, sulle esigenze cautelari, è in parte aspecifico e in parte manifestamente infondato.
6.1. Premesso che la misura cautelare non è stata applicata per il pericolo di inquinamento probatorio o di fuga, il Tribunale, con una puntuale motivazione riguardante l’operatività, nel caso di specie, delle presunzioni dettate dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha fatto corretta menzione dell’esistenza di un attuale pericolo che il prevenuto, pur incensurato, possa reiterare reati della stessa natura di quelli contestati in questa sede, valorizzando il suo pieno inserimento al servizio di un’associazione dedita al narcotraffico, con rapporti stabili con i vertici dei due clan, in collaborazione, e apportando un contributo importante grazie alla sua riconosciuta e risalente professionalità nell’ambito della coltivazione di piantagioni di cannabis capaci di produrre quantitativi elevati di droga per conto del sodalizio.
6.2. A fronte di detti argomenti, con i quali non risulta che il ricorso si si confrontato, emergono generiche censure circa la mancanza di attualità e concretezza delle esigenze cautelari che valorizzano, in modo indeterminato, l’incensuratezza di Messina, di per sé non ostativa alla reiterazione dei reati, o la
risalenza dell’ultimo dei fatti a giugno 2022, data non particolarmente lontana nel tempo.
7. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e i ricorrente va condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle
spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso 1’8 aprile 2025