Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7748 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7748 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Taurianova il 16/1/1972
avverso l’ordinanza del 1/8/2024 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 1 agosto 2024 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del 1 luglio 2024 Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicato, allo stesso COGNOME la misura cautelare della custodia cautelare in carcere in relazione wT Tazioiji ai reati di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, aggravato ai sensi dell’art. 416-bisl cod. pen. (capo A della rubrica provvisoria); 81 cpv., 110 cod. pen., 73, commi 1 e 4, e 80, comma 2, d.P.R. 309/90, aggravato ai sensi dell’art. 416-bis1 cod. pen. (capo B della rubrica provvisoria); 81 cpv., 110 cod. pen., 73, commi 1 e 4, e 80, comma 2, d.P.R. 309/90, aggravato ai sensi dell’art. 416-bisl cod. pen. (capo C della rubrica provvisoria), 81, cpv., 110 cod. pen. e 73, commi 1 e 4, d.P.R. 309/90 (capo D della rubrica provvisoria).
Avverso tale ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a due motivi.
2.1. In primo luogo, ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. e), l’errata valutazione delle risultanze istruttorie e la conseguente affermazione della sussistenza di gravi indizi del reato associativo di cui al capo a), desunti dagli esiti delle videoriprese e delle intercettazioni telefoniche e ambientali, benché non dimostrativi della esistenza di un vincolo associativo, non essendovi, in realtà, elementi specifici dai quali poter desumere che il ricorrente avesse un ruolo di organizzatore e finanziatore all’interno dell’associazione.
Ha contestato l’esistenza dei caratteri distintivi della associazione a delinquere (costituiti dal vincolo associativo permanente, da un substrato organizzativo, da un comune programma criminoso, dal cosciente e volontario contributo di ciascun associato al raggiungimento dello scopo comune), in quanto nel caso specifico mancavano gli elementi indicativi del carattere permanente della compartecipazione criminosa.
2.2. In secondo luogo, ha censurato la motivazione anche nella parte relativa alle esigenze cautelari, affermandone la mancanza e la evidente illogicità, a causa della mancata considerazione della cessazione della attività illecita nel mese di ottobre 2021, con la conseguente impossibilità di reiterarla, stante anche l’assenza di indici di contenuto significativo rispetto alla permanenza dell’associazione.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando la genericità del primo motivo di ricorso, a causa della mancata considerazione di quanto esposto nella motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla gravità indiziaria, e la manifesta infondatezza del secondo, anche alla luce della doppia presunzione stabilita in proposito dall’art. 274 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo, mediante il quale è stata censurata l’affermazione della sussistenza di gravi indizi della configurabilità della associazione criminosa di cui al capo a), e anche della partecipazione alla stessa da parte del ricorrente, è inammissibile a causa della sua genericità, intrinseca ed estrinseca, e anche per essere volto, peraltro in modo generico e assertivo, non a denunciare un errore logico o una carenza della motivazione, bensì a censurare l’apprezzamento e la valutazione degli elementi indiziari sul piano del merito, ossia della loro portata dimostrativa, che non è consentito, per consolidata giurisprudenza, nel giudizio di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
La censura, infatti, consiste nella mera affermazione della mancanza di elementi dimostrativi della esistenza del sodalizio di cui al capo a), ossia di un vincolo associativo permanente, di un substrato organizzativo, di un comune programma criminoso, del cosciente e volontario contributo di ciascun associato al raggiungimento dello scopo comune, ed è priva di qualsiasi considerazione della condotta contestata, delle risultanze delle indagini e di quanto, ampiamente e analiticamente, esposto in proposito nella motivazione dell’ordinanza impugnata, di cui, di conseguenza, tale motivo di ricorso non costituisce idoneo strumento di critica.
Inoltre, come osservato, la censura attiene alla valutazione degli elementi indiziari, dei quali il Tribunale ha spiegato analiticamente e in modo non certo manifestamente illogico la portata dimostrativa, sottolineando, in ordine all’esistenza della associazione, quanto emerso dalle conversazioni intercettate a proposito della manifesta intenzione degli associati di realizzare un numero indeterminato di piantagioni illegali; avvalendosi di finanziamenti e di strumenti di sorveglianza anche avanzati per vigilare su di esse; utilizzando più soggetti con una precisa distribuzione di compiti (in quanto dedicati alla coltivazione e produzione dello stupefacente e alla successiva commercializzazione); attraverso una precisa e gerarchica suddivisione di compiti; con regole rigorose di comportamento (quali non utilizzare i telefoni cellulari e usare particolare prudenza all’interno della piantagione e, in caso di arresto, avvalersi di un solo e già
determinato difensore); con soggetti in posizione apicale (tra cui NOME COGNOME e NOME COGNOME oltre che lo stesso ricorrente COGNOME).
Quanto alla partecipazione del ricorrente, sono stati sottolineati, oltre al suo ruolo di promotore e cofinanziatore del sodalizio, la collaborazione prestata, in particolare assieme a NOME COGNOME ai lavori di coltivazione illegale di cannabis (curando, tra l’altro, la vigilanza delle piantagioni, anche mediante stazionamento e perlustrazione diurna e notturna nelle aree interessate dalle coltivazioni), nella piena consapevolezza della indeterminatezza del programma criminoso e della sua organizzazione capillare (tanto da affermare in unth’ conversazione intercettata che avrebbe partecipato anch’egli alla vendita della (“, sostanza stupefacente ricavata dalle piantagioni illegali, della cui collocazione nel mercato illegale si era detto sicuro, così confidando nella divisione dei proventi tra tutti gli associati); nonché l’attività di reclutamento svolta dal ricorrente di sogget da impiegare nel taglio, carico e trasferimento della cannabis.
Si tratta di motivazione ampiamente idonea a giustificare la conferma della valutazione di gravità indiziaria a carico del ricorrente, che quest’ultimo non ha considerato nel ricorso, tantomeno in modo autenticamente critico, essendosi limitato ad affermare l’insufficienza della motivazione e, in modo assertivo, l’assenza di univoci elementi dimostrativi dell’esistenza della associazione e della sua partecipazione alla stessa, che, invece, come osservato, sono stati ampiamente e logicamente illustrati, con la conseguente inammissibilità della doglianza formulata con il primo motivo di ricorso.
Il secondo motivo, relativo alle esigenze cautelari, oltre che anch’esso generico, essendo privo di confronto, tantomeno critico, con quanto esposto al riguardo nell’ordinanza impugnata, è manifestamente infondato, risultando idonea e immune da vizi logici la motivazione dell’ordinanza impugnata anche nella parte relativa alla conferma della sussistenza delle esigenze cautelari.
Al riguardo, infatti, il Tribunale ha sottolineato, oltre alla gravità delle condot il ruolo centrale assunto dal ricorrente nelle attività illecite, essendo stato il tram tra i promotori COGNOME e gli altri soggetti posti in posizione gerarchicamente inferiore, nonché la sua capacità di adoperarsi per la sopravvivenza della associazione e il perseguimento del suo scopo, attraverso la realizzazione di nuove piantagioni; e anche la proclività a delinquere del ricorrente, desunta anche da due precedenti condanne per fatti analoghi e dalla pendenza per una contestazione di coltivazione realizzata nell’impresa agricola del ricorrente medesimo nell’ottobre 2021; nonché i suoi rapporti con gli organizzatori e finanziatori COGNOME e COGNOME
E’ stata, pertanto, esclusa la sussistenza di elementi idonei a consentire di ritenere superata la “doppia” presunzione stabilita dall’art. 275, terzo comma, cod. proc. pen. per, tra gli altri, il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 (di sussist
delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola custodia cautelari in carcere), escludendo, in considerazione della gravità delle condotte, del ruolo svolto dal ricorrente e della sua personalità e proclività a delinquere, che il tempo trascorso dalla cessazione della permanenza della condotta (indicato nell’ottobre 2021), abbia determinato una attenuazione delle esigenze cautelari tale da consentire di ritenere superata detta doppia presunzione.
Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea a dar conto delle ragioni della ritenuta persistenza delle esigenze cautelari e della adeguatezza della sola custodia in carcere, che il ricorrente non ha considerato, tantomeno in modo critico, bensì sul piano delle valutazioni di merito, dunque, anche a tale riguardo, in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza di entrambi i motivi ai quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 21/1/2025