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Associazione criminosa: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di associazione criminosa finalizzata al traffico di stupefacenti. L’appello è stato ritenuto generico e volto a un riesame del merito, non consentito in sede di legittimità. La Corte ha confermato la solidità degli indizi e la correttezza della motivazione sulla sussistenza del vincolo associativo e delle esigenze cautelari.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Criminosa: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7748/2025, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Il caso in esame riguarda un ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per una grave accusa di associazione criminosa finalizzata al traffico di stupefacenti. La decisione della Suprema Corte offre spunti cruciali sui limiti del ricorso e sulla valutazione degli indizi in materia di reati associativi.

I Fatti alla Base della Vicenda Giudiziaria

Un soggetto veniva raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari, in quanto gravemente indiziato di far parte di un’associazione criminosa dedita alla coltivazione e al commercio di sostanze stupefacenti. Secondo l’accusa, l’indagato non solo partecipava all’associazione, ma ricopriva un ruolo apicale di promotore e co-finanziatore. Il Tribunale del riesame confermava integralmente il provvedimento restrittivo, ritenendo sussistenti sia i gravi indizi di colpevolezza sia le esigenze cautelari.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagato proponeva ricorso per cassazione affidandosi a due motivi principali:

1. Errata valutazione delle prove: Si contestava la sussistenza di gravi indizi riguardo alla configurabilità stessa dell’associazione e al ruolo dell’indagato. Secondo il ricorrente, dalle intercettazioni e dalle videoriprese non emergevano gli elementi costitutivi del sodalizio criminale, come il vincolo associativo permanente e un substrato organizzativo stabile.
2. Insussistenza delle esigenze cautelari: Si lamentava l’illogicità della motivazione sulla necessità della misura detentiva, sostenendo che l’attività illecita era cessata da tempo (ottobre 2021) e che non vi erano elementi concreti per ritenere attuale il pericolo di reiterazione del reato o la permanenza dell’associazione.

La Decisione della Cassazione sull’associazione criminosa

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambi i motivi. I giudici hanno sottolineato come le censure mosse dalla difesa fossero generiche e, soprattutto, mirassero a ottenere una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio. Questo tipo di richiesta è preclusa in sede di legittimità, dove la Corte può sindacare solo la violazione di legge o il vizio logico manifesto della motivazione, non l’apprezzamento dei fatti compiuto dai giudici di merito.

Le Motivazioni

Nel dettaglio, la Corte ha spiegato che il primo motivo era inammissibile perché non si confrontava criticamente con l’analitica motivazione del Tribunale. Quest’ultimo aveva evidenziato in modo logico e coerente come dalle indagini emergesse l’esistenza di una struttura organizzata, con una precisa gerarchia, suddivisione di compiti, regole di condotta rigorose (come il divieto di usare cellulari) e un programma criminoso indeterminato volto alla realizzazione di multiple piantagioni. Il ruolo di promotore del ricorrente era stato desunto dalla sua attività di co-finanziamento, vigilanza e reclutamento di manodopera.

Anche il secondo motivo è stato ritenuto manifestamente infondato. Il Tribunale aveva correttamente applicato la cosiddetta “doppia presunzione” prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., che per reati di eccezionale gravità come l’associazione criminosa ex art. 74 D.P.R. 309/90, presume sia la sussistenza delle esigenze cautelari sia l’adeguatezza della sola custodia in carcere. La difesa non aveva fornito elementi concreti per superare tale presunzione. La gravità dei fatti, il ruolo centrale del ricorrente, la sua proclività a delinquere (desunta da precedenti specifici) e i suoi legami con gli altri vertici del sodalizio sono stati considerati elementi sufficienti a ritenere ancora attuale il pericolo, nonostante il tempo trascorso.

Le Conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento secondo cui il ricorso in Cassazione contro le misure cautelari non può trasformarsi in un appello mascherato. Per ottenere l’annullamento di un’ordinanza, non è sufficiente proporre una lettura alternativa delle prove, ma è necessario dimostrare un vizio giuridico o un’illogicità palese e macroscopica nel ragionamento del giudice di merito. La decisione conferma inoltre la rigorosa applicazione delle presunzioni legali in materia di esigenze cautelari per i reati di criminalità organizzata, ponendo a carico della difesa un onere probatorio particolarmente stringente per ottenere misure meno afflittive del carcere.

Quando un ricorso in Cassazione contro una misura cautelare viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando è generico, non si confronta specificamente con le argomentazioni del provvedimento impugnato, oppure quando mira a ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti, attività preclusa alla Corte di Cassazione nel suo ruolo di giudice di legittimità.

Quali sono gli elementi che dimostrano l’esistenza di un’associazione criminosa?
Secondo la sentenza, gli elementi indicativi sono un vincolo associativo stabile e permanente, un substrato organizzativo con una precisa suddivisione gerarchica e di compiti, un programma criminoso comune e indeterminato, e l’adozione di regole di comportamento rigorose per i membri.

In cosa consiste la ‘doppia presunzione’ per i reati di grave allarme sociale?
Per reati come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90), la legge presume (salvo prova contraria) sia l’esistenza di esigenze cautelari (pericolo di fuga, inquinamento probatorio o reiterazione), sia che l’unica misura adeguata a fronteggiarle sia la custodia in carcere. Spetta all’indagato fornire elementi concreti per vincere tale presunzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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