Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2757 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2757 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Giugliano in Campania (NA) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza dell’11/07/2023 del Tribunale di Napoli;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME affida al suo difensore l’impugnazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli dello scorso 11 luglio, che ne ha confermato la custodia cautelare in carcere per i delitti di partecipazione al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE della “camorra”, operante nel territorio di Giugliano in Campania, e di estorsione aggravata dall’impiego del metodo mafioso e dalla finalità agevolativa del gruppo camorristico di appartenenza.
Il ricorso è sorretto da tre motivi.
2.1. Il primo consiste nell’omissione della motivazione su profili decisivi riguardo al delitto di estorsione, avendo l’ordinanza omesso di confrontarsi con le specifiche deduzioni difensive che avevano svalutato le conversazioni intercettate ed evidenziato le contraddizioni dell’ordinanza applicativa della misura, l’assenza di riscontri di tipo tecnico agli incontri con il ricorrente riferiti da altri l’inconsistenza del narrato della persona offesa, l’inspiegabile dimenticanza, da parte della stessa, nel corso delle sue sommarie informazioni testimoniali, di una circostanza decisiva come la consegna di 2.500 euro ad un presunto emissario del ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo, premesso che l’annullamento dell’ordinanza in ordine al predetto “reato-fine” dovrebbe comportarne la caducazione anche per il delitto associativo, essendo il relativo addebito fondato pressoché esclusivamente su quell’episodio delittuoso, la difesa rileva che:
la motivazione è contraddittoria là dove afferma che, all’atto della scarcerazione, COGNOME avesse ripreso il suo ruolo nel RAGIONE_SOCIALE, ma poi lo qualifica come semplice partecipe, quando invece, con la precedente condanna irrevocabile espiata, egli era stato ritenuto un dirigente di quel gruppo camorristico;
quel ruolo comunque non viene specificato, limitandosi l’ordinanza a collocare l’indagato «nel settore delle estorsioni» e ad ascrivergli un solo episodio di tal genere, senza indicare condotte durature da lui svolte nell’interesse della consorteria, invece necessarie per desumerne il contributo stabile all’operatività della stessa;
-il Tribunale lo indica come mandante dell’estorsione, tuttavia contraddicendosi, poiché afferma che altro soggetto, e non il COGNOME, avesse già intrapreso l’azione estorsiva;
il coinvolgimento del ricorrente in tale vicenda delittuosa sarebbe comunque avvenuto allorché la stessa era già in corso, per un segmento temporale limitato, senza impiego di mezzi a disposizione del RAGIONE_SOCIALE e con un irrisorio risultato economico per lo stesso, così da non potersi comunque attribuire alla sua condotta il significato di un contributo rilevante per il sodalizio;
gli si addebita di far parte del gruppo della cd. “zona Selcione”, ma non v’è traccia di rapporti tra lui ed i referenti di esso, tali COGNOME e COGNOME;
non sono indicati comportamenti sintomatici della perdurante partecipazione del ricorrente al RAGIONE_SOCIALE durante la sua lunga detenzione, protrattasi dal 2010 al 2019, come pure a sèguito della sua successiva carcerazione, iniziata a novembre 2020 e destinata a protrarsi per anni: talché puramente congetturale è l’assunto del Tribunale secondo cui quegli non si sarebbe mai dissociato dal sodalizio;
l’ordinanza applicativa della misura, richiamata da quella impugnata, incorre in un travisamento per omissione nella valutazione delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, avendo mancato di rilevare che le relative dichiarazioni attingevano altro indagato e che, invece, nessuno dei quindici collaboranti sentiti dagli inquirenti ha indicato COGNOME come appartenente al RAGIONE_SOCIALE nel periodo oggetto dell’incolpazione;
il Tribunale ha valorizzato una conversazione dell’aprile 2019 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella quale il primo riferisce di aver impiegato due giorni per aggiornare COGNOME, dopo la sua scarcerazione, su tutte le attività illecite i corso da parte del gruppo, facendo ricorso anche a “carta e penna”; ma – obietta la difesa – il tenore testuale del dialogo non consente di ritenere che COGNOME abbia detto il vero, né che, comunque, il suo colloquio con COGNOME abbia riguardato gli aspetti economici del RAGIONE_SOCIALE, come pure di comprendere di quali attività illecite i due abbiano semmai parlato: ragione per cui l’episodio potrebbe dimostrare, al più, una contiguità del ricorrente al RAGIONE_SOCIALE, ma non la sua partecipazione ad esso;
da ultimo, il Tribunale sarebbe incorso in un ulteriore travisamento per omissione, ignorando l’assenza di qualsiasi frequentazione o contatto tra COGNOME ed altri associati, anche di rilievo, come NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.3. Il terzo motivo censura la motivazione in punto di esigenze cautelari.
L’ordinanza trascura il lungo tempo intercorso tra i fatti ed il provvedimento cautelare, pari a quattro anni, nonché l’intervenuta detenzione del ricorrente a novembre 2020, con un fine pena previsto nel 2031. Non è pertinente, inoltre, il rilievo assegnato dal Tribunale al fatto che l’estorsione di cui si tratta sarebbe stata da costui commessa allorché si trovava in libertà vigilata, poiché la misura cautelare deve guardare al futuro e non al passato; né può apoditticamente sostenersi, come invece fanno quei giudici, che la detenzione per altro titolo non faccia venir meno le esigenze di cautela, dovendo a tal fine distinguersi in ragione della natura cautelare o definitiva dello stesso e della sua durata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Il primo si presenta manifestamente infondato, là dove denuncia l’assenza di motivazione: la quale, invece, è presente e sufficiente, illustrando risultanze investigative indiscutibilmente concludenti, a cominciare dalla conversazioni della vittima, che danno atto dell’intervento personale dell’indagato presso di essa («NOME, te ne devi andare, mi dovete fa stare quieto»), della primazia di costui all’interno del gruppo criminale («tu e questi scemi che tieni intorno»), della causale tipicamente mafiosa della richiesta da lui avanzata («una cosa per i carcerati, per gli avvocati») e dell’avvenuto versamento di una somma affatto
irrisoria e, peraltro, nelle intenzioni non definitiva («questi sono 2.500… incomincia a fare così e poi parliamo con quell’amico»).
La doglianza, inoltre, è generica nella parte in cui lamenta la mancata risposta alle argomentazioni difensive: quali sarebbero, tra queste, quelle rimaste inevase il ricorso non lo dice, non permettendo perciò a questa Corte di apprezzare l’eventuale illogicità manifesta della motivazione od il travisamento di dati probatori.
3. Il secondo motivo assembla censure di puro merito, poiché tese alla rivalutazione di alcuni dati probatori (le dichiarazioni dei collaborant l’interpretazione della conversazione tra COGNOME e COGNOME, il mancato accertamento di frequentazioni tra l’indagato ed alcuni elementi del RAGIONE_SOCIALE o di suoi comportamenti sintomatici di una perdurante militanza mafiosa durante la lunga carcerazione precedente), con ipotetiche incongruenze logiche (la “retrocessione” da capo a partecipe, l’incompatibilità del ritenuto ruolo di mandante dell’estorsione con l’avvio della stessa da parte di altro soggetto, l’assenza di un contributo durevole ed economicamente proficuo alle attività criminali della cosca), tuttavia agevolmente superabili attraverso il percorso argomentativo del Tribunale, con i cui profili qualificanti il ricorso elude il confronto.
In verità, il dato eloquente evidenziato dall’ordinanza, non controverso in fatto, e perciò decisivo ai fini della tenuta logica della motivazione, è costitui dalla circostanza per cui uno degli elementi di vertice del RAGIONE_SOCIALE, come NOME COGNOME, in primo luogo, abbia avvertito la necessità, sùbito dopo che COGNOME era uscito da un lungo periodo di detenzione, di ragguagliarlo in dettaglio sulle attività criminali del gruppo; e quindi, in particolare, gli abbia consentito di inserirsi un’iniziativa estorsiva consistente, come quella già avviata in danno del facoltoso costruttore COGNOME, e di gestirla in prima persona.
Un siffatto contegno del COGNOME, in effetti, non può spiegarsi che con il riconoscimento al COGNOME, da parte dell’intero gruppo criminale, di un ruolo di rilievo all’interno dello stesso, da lui conservato pur durante la lunga detenzione sofferta e nonostante la stessa: il che svilisce di significato la qualifica formale di partecipe e non di “capo” – attribuitagli dagli inquirenti e spiegabile con una apprezzabile valutazione prudenziale; come pure l’assenza di specifici comportamenti confermativi della sua perdurante militanza camorristica durante il decennio in carcere; ovvero, ancora, la brevità del periodo di rinnovata operatività dell’indagato per conto del RAGIONE_SOCIALE, in quanto determinata non da una sua scelta volontaria, bensì soltanto dal sopraggiungere di un nuovo titolo detentivo c i /7 per altri fatti.
Egualmente rappresentativo di obiezioni di puro merito è il terzo motivo, in tema di esigenze cautelari.
L’unico elemento potenzialmente valutabile a favore del COGNOME, ed in effetti dedotto dalla sua difesa, risiederebbe nel significativo lasso temporale tra i fatti e l’applicazione della misura cautelare. Ma, com’è agevole replicare, esso viene travolto, sul piano logico, dal lungo vissuto criminale di costui e dal suo pronto reinserimento nei ranghi, e con un ruolo comunque significativo, non appena uscito dal carcere e nonostante la sottoposizione alla misura di sicurezza della libertà vigilata: dati che, congiuntamente valutati, offrono solido sostegno logico alla prognosi di recidiva formulata dal Tribunale.
Correttamente, infine, l’ordinanza impugnata rileva che la concomitante esistenza di un concorrente titolo detentivo non può valere di per sé ad escludere tale esigenza cautelare, considerando le plurime variabili che possono incidere sull’esistenza e la durata dello stesso, non completamente né tempestivamente controllabili dal giudice del procedimento in cui la misura cautelare dev’essere applicata.
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta inconsistenza delle doglianze, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2023.