Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26380 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26380 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 15/03/1996
avverso l’ordinanza del 24/02/2025 del Tribunale di Napoli;
visti gli atti e l’ordinanza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza di cui in epigrafe il Tribunale di Napoli ha confermato, in sede di riesame, la misura cautelare della custodia in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Napoli il 30/12/2024 nei confronti di NOME COGNOME quale capo e promotore di un’associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti (capo 9).
Avverso detta ordinanza NOME COGNOME ha proposto due ricorsi, tramite i suoi difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito indicati.
Ricorso dell’avvocato NOME COGNOME.
2.1. Vizio di motivazione, in relazione agli artt. 273 e 192 cod. proc. pen. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto il provvedimento impugnato, limitandosi alla copiatura letterale dell’ordinanza genetica ed omettendo l’esame della memoria difensiva, non ha indicato il concreto contributo dirigenziale apportato da NOME COGNOME al sodalizio, atteso che la piazza di spaccio era gestita da COGNOME.
In ordine alle intercettazioni, il ricorso rileva elementi tali da escludere il ruolo apicale del ricorrente: a) la valorizzazione da parte del provvedimento solo di quelle risalenti all’epoca precedente alla contestazione dell’associazione, a fronte di un solo contatto tra l’indagato e COGNOME (5 luglio 2021) a cui, peraltro, COGNOME non aveva risposto; b) la natura meramente amicale delle conversazioni, estranee alla direzione di una struttura criminale; c) la mancata menzione dell’indagato tra i presunti partecipi persino nei periodi di crisi e di tensione; d) l’assenza di ripartizione degli utili dell’associazione.
2.2. Vizio di motivazione in quanto il provvedimento impugnato non ha indicato gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, dell’associazione dedita al narcotraffico considerata l’assenza di una cassa comune e di un numero adeguato di componenti, oltre che il breve periodo di operatività.
Ricorso dell’Avvocato NOME COGNOME
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in quanto il Tribunale ha omesso di motivare sulla condizione detentiva di COGNOME all’epoca dei fatti, tale da escludere l’assunzione di un ruolo apicale e decisionale. Infatti, oltre a non risultare suoi contatti diretti con gli associati, eccetto COGNOME, il ricorrente non sapeva dell’accordo raggiunto con COGNOME per la gestione della piazza di spaccio né era stato interpellato sui contrasti interni ai gruppi criminali che avevano portato all’omicidio di COGNOME. Peraltro, COGNOME e COGNOME avevano indicato come capi altri soggetti, senza mai menzionare il ricorrente.
Inoltre, con riguardo alle intercettazioni richiamate nella sentenza impugnata il ricorso rileva che esse sono fuori dal periodo in contestazione, COGNOME non vi è mai citato; quelle del 29 giugno e del primo luglio 2020 dimostrano la gestione della piazza di spaccio da parte di COGNOME, quelle del 25 giugno 2020 non rendono chiaro né il coinvolgimento del ricorrente nel sodalizio, nè il suo ruolo decisionale, né che COGNOME lo conoscesse.
In ordine alla configurazione dell’associazione, il numero minimo di tre consociati non è certo, vista l’esclusione di COGNOME quale partecipe e la volontà di
Caso di non volere più partecipare all’attività criminale e, comunque, a fronte di mera “droga parlata” non risultano riscontri.
Anche l’account indicato dall’ordinanza impugnata e lo screenshot trasmesso il 27 giugno 2020 non risultano riferibili al ricorrente.
Infine, non vi è prova che l’associazione dedita al narcotraffico si occupasse anche della cocaina, emergendo solo la gestione di droghe leggere (definite “gas”) tali da determinare la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
Va ribadito il pacifico principio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti l’ adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976).
Nei limiti della cognizione cautelare non risulta illogica l’argomentazione del Tribunale, aderente alle puntuali e riscontrate risultanze investigative, che ha collocato le condotte contestate a NOME COGNOME nel più ampio ambito di un organigramma associativo volto alla gestione della piazza di spaccio di Casoria che aveva portato all’omicidio di NOME COGNOME per errore di persona, e al ferimento di NOME COGNOME descrivendo, nella parte generale, il contrasto tra NOME COGNOME e NOME COGNOME.
3.1. Il provvedimento impugnato, con argomentazioni complete e coerenti, ha accertato il ruolo apicale del ricorrente, all’epoca detenuto, in un contesto organizzato e stabilmente finalizzato allo smercio di stupefacenti, sulla base essenzialmente delle conversazioni intercettate e, soprattutto, di quella del 17 ottobre 2020 (riportata alle pagg. 15 e 16 del provvedimento impugnato) grazie alla quale era emerso come NOME COGNOME, alleatosi con NOME COGNOME fosse il luogotenente di COGNOME il quale, dal carcere, gestiva agevolmente i propri traffici
criminali. Ciò avveniva tramite il profilo Instagram con cui il ricorrente dava ordini a COGNOME («gli altri 100 non lavorarli…dacceli indietro..» pag. 17), anche con messaggi o video telefonate utili ad organizzare la piazza di spaccio anche esprimendo la necessità di ampliarla («Ciamma ingrandì» pag. 17); a gestire gli acquirenti (pag. 16); a commentare la scarsa qualità della sostanza stupefacente temendo che potesse determinare una reazione nei clienti (pag. 16); a convocare gli associati, incluso NOME COGNOME (pagg. 17 e 18), davanti a COGNOME al quale il 9 luglio 2020, giorno successivo all’omicidio di COGNOME, il ricorrente aveva intimato di cancellare tutto dopo numerose video chiamate.
Il provvedimento impugnato, peraltro, ha fondato la gravità indiziaria non solo sul contenuto delle conversazioni, il cui linguaggio esplicito non lascia dubbi interpretativi, ma anche sulla lettura complessiva e non parcellizzata della messaggistica e delle telefonate WhatsApp sull’utenza di NOME COGNOME e delle dichiarazioni dei presenti all’agguato del’8 luglio 2020 – come NOME COGNOME (pagg. 1-3), NOME COGNOME e NOME COGNOME – amico della vittima (pag. 4), nonché il coindagato Del Vecchio.
Considerato che i ricorsi non contestano gli esiti investigativi richiamati puntualmente nel provvedimento impugnato, le censure proposte ipotizzano che COGNOME fosse del tutto estraneo alla compagine criminale e non avesse un ruolo di vertice che, al contrario, è stato desunto, per le ragioni indicate, dal contenuto delle intercettazioni, espressive della diretta gestione della piazza di spaccio, tramite COGNOME, nonostante si trovasse in carcere e utilizzasse i social e varie forme di comunicazione.
3.2. In ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 è opportuno ricordare il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte, fatto proprio dall’ordinanza impugnata, in ordine ai connotati di un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti che risultano tutti motivatamente ritenuti sussistenti nella specie, quali: l’articolata organizzazione, la presenza di soggetti che rivestono ruoli prestabiliti e che investono nel reciproco e tacito affidamento per l’attuazione del programma criminoso, la movimentazione di rilevanti quantitativi di stupefacenti, la capacità di approvvigionarsi e di approvvigionare in modo continuativo, il complesso e stabile sistema di consegna dello stupefacente a seconda delle esigenze, la capacità di proiettare la propria attività oltre i singoli episodi e così offendere l’interesse protetto per effetto della sua esistenza ed il numero di associati (tra le tante Sez. 6, n. 11526 del 16/02/2022, Rv. 283049).
A ciò si aggiunge che, stante la natura permanente del reato associativo, non rilevano gli elementi indicati dal ricorso quali la limitata durata dei rapporti tra correi (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, Rv.279505) o il breve periodo di
protrazione delle condotte allorché dagli elementi acquisiti emerga un sistema collaudato (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122) o l’assenza di una cassa
quando risulti un comune interesse ad immettere nel mercato sostanza stupefacente nella consapevolezza della dimensione collettiva dell’attività (Sez. 6,
n. 2394 del 12/10/2021, dep. 2022, Rv. 282677), dovendosi prescindere anche dalle generiche contestazioni circa il tipo di stupefacente trattato – questione non
posta al Tribunale del riesame – fondate, peraltro, sulla sola lettura delle intercettazioni.
4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente v condannata al pagamento delle spese del procedimento, mandando alla
disp. att. cod. proc.
Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 12 giugno 2025
La Consigliera estensora