Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2396 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2396 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a BARI il 30/06/1988 COGNOME NOME nato a BARI il 12/11/1989 COGNOME nato a BARI il 15/02/1974 COGNOME NOME nato a BARI il 24/12/1988 COGNOME NOME nato a BARI il 24/08/1980 COGNOME nato a BARI il 18/06/1992 COGNOME nato a BARI il 25/08/1992 COGNOME NOME nato a BARI il 10/10/1989 COGNOME NOME nato a BARI il 11/12/1986 COGNOME nato a BARI il 20/07/1984
avverso la sentenza del 03/02/2023 della CORTE APPELLO di BARI
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.ssa NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME o, in subordine, rigettarsi gli stessi.
uditi i Difensori:
è presente l’Avv. NOME COGNOME del Foro di BARI in difesa di COGNOME NOMECOGNOME che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede raccoglimento.
è presente l’Avv. NOME COGNOME del Foro di ROMA in difesa di COGNOME NOMECOGNOME il quale insiste nei motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento; è presente l’Avv. NOME COGNOME del Foro di ROMA in difesa di NOME COGNOME NOME e COGNOME, che insiste nei motivi di ricorso · presentati chiedendone l’accoglimento;
è presente l’Avv.ssa NOME COGNOME del Foro di BARI in difesa di NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME, anche in sostituzione ex art.102 c.p.p., per delega orale, dell’Avv. NOME COGNOME del Foro di BARI, Difensore di COGNOME che si associa alle conclusioni rassegnate dall’Avv. COGNOME e per NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso presentati chiedendone ex
RITENUTO IN FATTO
1.Uno stesso procedimento penale istruito in fase investigativa dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Bari (il n. 17516/14 R.G. mod. 21) è stato in parte definito all’udienza preliminare con rito abbreviato, in altra parte dal Tribunale di Bari all’esito del dibattimento ed in altra parte dallo stesso Tribunale con giudizio abbreviato.
1.1.In particolare, per quanto in questa sede rileva, il G.u.p. con la sentenza dell’8 ottobre 2021 ha riconosciuto i seguenti imputati responsabili dei reati di seguito indicati (sentenza n. 959/21):
Barone Marco del reato di partecipazione, in posizione non di vertice, ad associazione ex art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo n. 1), dal 4 settembre 2014 all’attualità, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla sola recidiva riconosciuta sussistente, operata la diminuzione per il rito, lo ha condannato alle pene, principale ed accessoria, stimate di giustizia;
NOME NOME del reato di partecipazione, in posizione non di vertice, ad associazione ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo n. 1), dal 4 settembre 2014 all’attualità, e di più violazioni dell’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, per avere ceduto cocaina (capi nn. 14 e 15), rispettivamente il 30 giugno 2015 e da agosto 2014 a febbraio 2015, e, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla sola recidiva riconosciuta sussistente, con l’aumento per la continuazione, applicata la diminuzione per il rito, lo ha condannato alle pene, principale ed accessoria, di giustizia;
Caizzi Edoardo del reato di partecipazione, in posizione non di vertice, ad associazione volta al narcotraffico (capo n. 1), dal 4 settembre 2014 all’attualità, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla sola recidiva riconosciuta sussistente, operata la diminuzione per il rito, lo ha condannato alle pene, principale ed accessoria, ritenute di giustizia;
quanto a NOME NOME del reato di partecipazione in posizione apicale ad associazione protesa al narcotraffico (capo n. 1), dal 4 settembre 2014 all’attualità, e, riconosciute le attenuanti generiche stimate prevalenti sulla recidiva e su tutte le aggravanti, applicata altresì la diminuente speciale della collaborazione di cui al comma 7 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, operata la diminuzione per il rito, lo ha condannato alle pene, principale ed accessoria, di giustizia;
COGNOME NOME del reato di partecipazione in posizione non apicale ad associazione protesa al narcotraffico (capo n. 1), dal 4 settembre 2014 all’attualità, e, concesse le attenuanti generiche stimate equivalenti alle
aggravanti contestate e riconosciute sussistenti, applicata la diminuzione per il rito, lo ha condannato alle pene, principale ed accessoria, di giustizia;
e COGNOME NOME NOME del reato di partecipazione in posizione non di vertice ad associazione protesa al narcotraffico (capo n. 1), dal 4 settembre 2014 all’attualità, e, concesse le attenuanti generiche stimate equivalenti alle aggravanti contestate e riconosciute sussistenti, applicata la diminuzione per il rito, lo ha condannato alle pene, principale ed accessoria, di giustizia.
1.2. Con sentenza del 26 ottobre 2021 il Tribunale di Bari, all’esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto i seguenti imputati responsabili dei reati di seguito indicati (sentenza n. 3256/21):
COGNOME NOME dei reati di partecipazione in posizione non apicale ad associazione protesa al narcotraffico (capo n. 1 dell’editto), dal 4 settembre 2014 all’attualità, di detenzione illecita di cocaina (capo n. 9), il 10 marzo 2015, e di più episodi di cessione di cocaina (capi nn. 10, 11 e 12), rispettivamente il 9 maggio, il 10 giugno ed il 14 giugno 2015, in conseguenza condannandolo, con le attenuanti generiche equivalenti alle riconosciute aggravanti, l’aumento per la recidiva e la diminuzione per il rito, alle sanzioni, principali ed accessorie, stimate di giustizia;
COGNOME Sebastiano dei reati di partecipazione in posizione apicale ad associazione protesa al narcotraffico (capo n. 1 dell’editto), dal 4 settembre 2014 all’attualità, e di concorso in detenzione illegale di armi comuni da sparo (capo n. 2), il 16 ottobre 2014, in detenzione di armi clandestine (capo n. 3), il 16 ottobre 2014, oltre che nella ricettazione delle stesse (capo n. 4), in data anteriore e prossima al 16 ottobre 2014, e in detenzione illecita di ingente quantità di cocaina (capo n. 5), il 16 ottobre 2014, in conseguenza condannandolo, con le generiche equivalenti alle riconosciute aggravanti, l’aumento per la recidiva e la diminuzione per il rito, alle pene, principali ed accessorie, ritenute di giustizia.
1.3. Con ulteriore sentenza emessa nella stessa data del 26 ottobre 2021, il medesimo Tribunale, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto i seguenti imputati responsabili dei reati di seguito indicati (sentenza n. 3257/21):
NOME e NOME NOME entrambi, del reato di cui al capo n. 16) dell’editto, ossia di concorso in più episodi di detenzione a fine di cessione di cocaina, fatti commessi tra il 5 e il 28 dicembre 2014, in conseguenza condannando ciascuno, con le circostanze attenuanti generiche, operato l’aumento per la continuazione, alle pene, principali ed accessorie, di giustizia.
2.La Corte di appello di Bari, adita da plurime impugnazioni, su concorde richiesta delle Parti, ha riunito, «fermo restando il diverso regime probatorio» (così alla p. 8 della sentenza), tutte le indicate posizioni, che ha definito con
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u,
sentenza, di parziale riforma delle statuizioni di primo grado, in data 3 febbraio 2023 (sentenza n. 551/23). In particolare, ha statuito quanto segue.
2.1. Quanto a NOMECOGNOME preso atto della rinunzia parziale ai motivi di appello, con le attenuanti generiche stimate equivalenti a tutte le aggravanti riconosciute, ritenuta sussistente la continuazione con altre due violazioni dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, già irrevocabilmente giudicate (con la sentenza della Corte di appello di Bari del 14 settembre 2018, passata in giudicato il 30 ottobre 2018 – violazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 – e con la sentenza della stessa A.G. del 5 dicembre 2017, irrevocabile il 5 ottobre 2018 – violazione dell’art. 73, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990-), applicando il relativo aumento, Mentre ha disatteso la richiesta difensiva di riconoscimento del vincolo della continuazione con gli ulteriori fatti accertati con le richiamate sentenze irrevocabili, ha rideterminato la pena finale;
quanto a NOME COGNOME preso atto della rinunzia parziale ai motivi di appello, con le attenuanti generiche stimate equivalenti a tutte le aggravanti riconosciute, escluso l’aumento per la continuazione con il reato di cui al capo n. 15), in relazione al quale ha dichiarato il non doversi procedere per sussistenza di un precedente giudicato, ha rideterminato, riducendola, la pena inflitta;
quanto a COGNOME NOME, in costanza di attenuanti generiche ritenute equivalenti a tutte le aggravanti contestate e riconosciute sussistenti, ha rideterminato in melius la pena finale;
quanto a COGNOME Leonardo COGNOME preso atto della parziale rinuncia ai motivi di appello, con le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, ha rideterminato, riducendola, la pena.
In relazione, poi, a NOME COGNOME e a COGNOME NOME, la Corte territoriale ha integralmente confermato la sentenza di primo grado.
2.2. In riferimento a COGNOME NOMECOGNOME la Corte territoriale ha confermato integralmente la sentenza di primo grado.
Quanto a COGNOME SebastianoCOGNOME ha dichiarato non doversi procedere in relazione al capo n. 5) dell’editto per sussistenza di un precedente giudicato, in conseguenza rideterminando, riducendola, la sanzione finale.
2.3. Infine, quanto a NOME e a NOME, la Corte di appello ha integralmente confermato la sentenza di primo grado.
Tanto premesso, ricorrono per la cassazione della sentenza COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME Edoardo, COGNOME DomenicoCOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME Daniele, tramite separati ricorsi curati dai rispettivi Difensori di fiducia.
Ricorso COGNOME Marco (Avv. NOME COGNOME del Foro di Bari): è affidato a due motivi con i quali lamenta promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione, che sarebbe mancante, contraddittoria e manifestamente illogica.
4.1. Con il primo motivo, in particolare, censura il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione anche con gli ulteriori fatti, giudicati dalla Corte di appello di Bari con sentenze del 5 dicembre 2017, passata in giudicato il 5 ottobre 2018, e del 14 settembre 2018, irrevocabile il 30 ottobre 2018, quanto ai reati in materia di armi e ricettazione.
L’esclusione dell’invocato nesso, limitatamente ai fatti diversi dalle violazioni della disciplina sul controllo degli stupefacenti, con la motivazione che si rinviene alle pp. 21-22 della sentenza impugnata, sarebbe illegittima ed erronea.
Infatti, ad avviso del ricorrente, la sentenza non attribuisce la corretta rilevanza alla circostanza di avere ritenuto armata l’associazione volta al narcotraffico, trascura la coincidenza temporale e geografica dei reati in questione (commessi l’uno il 24 settembre 2016 e l’altro il 10 aprile 2017 in Bari) rispetto a quello di partecipazione associativa ed afferma, ma – si stima illogicamente e contraddittoriamente, di poter riconoscere il medesimo disegno criminoso quanto ai reati in materia di stupefacenti, nonostante la diversa natura degli stessi, mentre nega, senza fornire spiegazioni o, comunque, senza fornirne di adeguati il nesso tra fatti in materia di armi, benchè essi siano coevi e commessi nello stesso territorio.
4.2. Con il secondo motivo la Difesa si duole del mancato riconoscimento della prevalenza, anzichè della mera equivalenza, delle attenuanti sulle aggravanti.
Infatti, la stringata motivazione che si rinviene al riguardo, alla p. 23 della decisione impugnata, si risolverebbe in una mera clausola di stile, tanto da doversi ritenere che la Corte di merito, in realtà, abbia omesso di prendere in considerazione il motivo di appello sul punto, cui peraltro era allegato documento datato 2 aprile 2022 contenente la confessione dell’imputato, da valorizzarsi nella invocata prospettiva.
Ricorso NOME COGNOME (Avv. NOME COGNOME del Foro di Bari): è affidato ad un unico motivo con il quale lamenta promiscuamente violazione di legge, sotto il profilo della mancanza dell’apparato giustificativo, e difetto di motivazione, quanto alla omessa riqualificazione dell’accusa di cui al capo n. 1) dell’editto nella violazione del comma 6 dell’art. 74 del d.P.R n. 309 del 1990.
La motivazione con cui la Corte di appello (alla p. 25) disattende la invocata riqualificazione nella meno grave fattispecie di lieve entità non risponderebbe alle censure mosse nell’atto di appello e non terrebbe conto che il fenomeno
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associativo è risultato sostanzialmente ridimensionato e che è emerso che l’imputato gestisse un’attività autonoma che si rivolgeva soltanto al dettaglio.
Si evidenzia come alla p. 246 della sentenza di primo grado si riferisce che il collaboratore NOME ha dichiarato di non sapere nulla di come e di chi si servissero NOME e NOME per spacciare droga, nè di quanto si ricavasse.
A riscontro della tesi difensiva, si richiama la circostanza che oggetto dell’imputazione di cui al capo n. 14) è una esigua quantità di stupefacente.
Ricorso COGNOME NOME (Avv. NOME COGNOME del Foro di Bari): è affidato a tre motivi con i quali si denunzia violazione di legge (tutti e tre i motivi), anche per mancanza dell’apparato giustificativo, e difetto di motivazione (i primi due).
6.1. Con il primo motivo censura assenza di motivazione e manifesta illogicità della stessa quanto alla ritenuta intraneità associativa dell’imputato.
A carico di COGNOME vi sarebbe solo la chiamata di correo del collaboratore NOME, secondo il quale chi intendesse spacciare in un determinato territorio era obbligato ad acquistare la droga dall’associazione, così fornendo ad essa un contributo (p. 27 della sentenza impugnata), accusa, però, non riscontrata da ulteriori elementi. Si citano, infatti, genericamente i contributi di alt collaboratori, nemmeno indicati. Si fa presente inoltre che, mentre NOME ha riferito della affiliazione di Caizzi a COGNOME, invece COGNOME ha affermato che COGNOME era affiliato a Cardinale e comperava droga da COGNOME e che con tale aporia, benchè segnata nell’appello, la sentenza non si è misurata.
Mancano, in ogni caso, intercettazioni che avvalorino l’assunto.
In ogni caso, spacciare non equivale a far parte di un’associazione ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, richiamandosi il precedente di Sez. 3, n. 25816 del 27/05/2022, COGNOME, Rv. 283278 («In materia di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, la commissione di ripetuti reati di “spaccio” ex art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può da sola costituire prova dell’integrazione del reato associativo, rappresentando al più indice sintomatico dell’esistenza dell’associazione, che però va accertata con riferimento all’accordo tra i sodali, alla struttura organizzativa ed all’ “affectio societatis”»).
Quanto al viaggio in automobile a Pescara del 17 aprile 2015, la Corte di appello, a ben vedere, trasformerebbe illegittimamente la assoluta mancanza di prove, non contenendo i dialoghi captati alcunché di penalmente rilevante, in una prova a carico, allorchè afferma (alla p. 28) che gli occupanti del mezzo, tutti appartenenti all’associazione, non avevano alcun motivo in quel determinato contesto di parlare di cose che erano a loro ben note; peraltro, la Corte di merito non si è avveduta che vi erano a bodo dell’auto anche due donne, mai neppure indagate benchè ritenute appartenenti alla consorteria criminosa.
6.2. Con il secondo motivo COGNOME NOME si duole di ulteriore violazione di legge e di mancanza e, comunque, di manifesta illogicità della motivazione quanto al riconoscimento della sussistenza dell’associazione armata ai sensi dell’art. 74, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990.
Al riguardo, si rammenta avere già denunziato con l’atto di appello l’assoluta mancanza di motivazione nella sentenza di primo grado circa la consapevolezza della disponibilità di armi da parte dell’associazione in capo all’imputato (che non era stato mai visto entrare nell’immobile in cui esse erano custodite): tale lacuna non sarebbe stata colmata nella decisione impugnata, che (alla p. 28) si affida a passaggio motivazionale meramente apparente, in quanto non spiega in alcun modo la consapevolezza in capo a COGNOME della disponibilità delle armi.
6.3. Tramite l’ultimo motivo lamenta il mancato giudizio di prevalenza delle bt 4) attenuanti sulle aggravanti, non avendo i giudici (att -ri~ rilevo al decorso del tempo dai fatti, alle disagiate condizioni di vita dell’imputato e alla sua condotta processuale.
Ricorso NOME COGNOME (Avv. NOME COGNOME del Foro di Bari): si affida a due motivi con cui lamenta promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione.
7.1. Con il primo motivo denuncia il discostamente di due anni – in aumento sul minimo edittale, aumento basato illogicamente ed ingiustamente su condotte antecedenti al reato e trascurando l’eccezionale importanza del contributo offerto dal collaboratore, importanza che avrebbe ben potuto e dovuto indurre i giudici a partire dal minimo edittale di venti anni di reclusione.
7.2. Oggetto dell’ulteriore motivo è la riduzione per il riconoscimento delle attenuanti generiche non già nella misura massima di un terzo ma in misura inferiore, e ciò senza alcuna motivazione, come risulta dalla p. 33 della sentenza impugnata, ancora una volta trascurando l’importanza del contributo ricostruttivo risultante dalle dichiarazioni del collaboratore NOMECOGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati presentati due ricorsi: uno a cura dell’Avv. NOME COGNOME del Foro di Bari, ed un altro a cura dell’Avv. NOME COGNOME del Foro di Roma.
8.1. Prendendo le mosse dal primo (Avv. NOME COGNOME, esso è affidato a due motivi con cui denunzia promiscuamente violazione dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione.
8.1.1. Con il primo censura la ritenuta intraneità dell’imputato all’associazione criminale, essendo emerso che COGNOME non si è mai affiliato, come dichiarato dal collaboratore COGNOME e mancando condotte sicuramente
indicative dalla partecipazione ad essa. La Corte di merito avrebbe superato le censure mosse sul punto nell’appello, anche con riguardo ai temi dei viaggi a Pescara e della ragione degli stessi mentre NOME si trovava ai domiciliari, della individuazione del fornitore di droga di Palermiti, delle quantità trattate e della frequenza dei rifornimenti, con motivazione (che si rinviene alle pp. 34-35) che risulta assente e, comunque, assolutamente insoddisfacente, mancando nel caso di specie la stabilità del vincolo e la affectio societatis ed emergendo, per contro, che Palermiti, è, al più, solo uno spacciatore al minuto, non un affiliato.
8.1.2. Con il secondo motivo lamenta la mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 74, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, non essendovi alcuna prova GLYPH della GLYPH riferibilità GLYPH delle GLYPH armi GLYPH rinvenute GLYPH dalla GLYPH polizia GLYPH giudiziaria nell’appartamento di INDIRIZZO all’imputato NOME COGNOME, quantomeno sotto il profilo della concreta prevedibilità della disponibilità delle armi da part dell’associazione, essendo la motivazione che si rinviene al riguardo alla p. 35 qp LL sentenza impugnata frutto – si ritiene – di un vistoso travisamento dei fatti da parte dei giudici di merito, avendo i decidenti ribaltato quanto effettivamente accaduto, poiché nell’occasione citata la disponibilità delle armi era in capo ai soggetti antagonisti rispetto agli odierni imputati, nell’occasione vittime.
8.2. Il ricorso presentato dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è affidato a sei motivi.
8.2.1. Con il primo lamenta violazione degli artt. 429, comma 1, lett. c), 521, 522, 526, comma 1, 178, comma 1, lett. c, cod. proc. pen. e 6 Convenzione Edu, essendo stato contestato dal P.M. all’imputato il ruolo di partecipe dell’associazione, con il compito di «illecita custodia e detenzione dello stupefacente, occupandosi delle singole cessioni al minuto», dal 4 settembre 2014, ma poi in sentenza (alle pp. 2 e 33-35) affermandosi la responsabilità dello stesso per avere spacciato al minuto in un determinato territorio dopo avere preventivamente ricevuto la necessaria autorizzazione dall’associazione che controlla quella zona, così avvalendosi di una massima di esperienza che sarebbe inesistente e, comunque, giungendo alla condanna per una condotta del tutto difforme da quella contestata, cioè quella del partecipe organico che riceve dall’associazione direttive su custodia, detenzione e spaccio della droga.
In sostanza, si lamenta difetto di correlazione tra accusa e sentenza.
8.2.2. Con il secondo motivo si duole della ritenuta inosservanza degli artt. 192, comma 1, 526, comma 1, 546, lett. e), comma 1, cod. proc. pen., 6 della Convezione Edu e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e dei criteri interpretativi relativi alla contestata fattispecie associativa e, nel contempo, di mancanza di motivazione quanto alla mancata valorizzazione in sentenza, specialmente alle pp. 33-35, degli elementi favorevoli alla Difesa, oscillando la motivazione tra
passaggi in cui l’imputato è considerato partecipe ed intraneus al gruppo ed altri, invece, in cui è considerato soggetto “esterno” ma autorizzato allo spaccio dall’organizzazione territoriale con obbligo di rifornirsi dalla stessa’. E ciò i assenza di prove e, anzi, malgrado che NOME COGNOME abbia escluso che NOME COGNOME sia mai stato affiliato, e ciò su preciso ordine di NOME COGNOME, ed abbia dichiarato soltanto che spacciava al minuto (come si legge alla p. 196 della sentenza di primo grado), malgrado anche i collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME ne escludano la partecipazione associativa, e, comunque, sulla base di mere deduzioni indimostrate, quali, a mero titolo di esempio, quella circa la ragione dei viaggi effettuati a Pescara ed il livello di partecipazione agli stessi, ed inoltre appoggiandosi su una massima di esperienza che tale non è e valutando le emergenze istruttorie in senso opposto a ciò che da esse, in realtà, si desume.
Non vi sarebbe alcuna prova che l’imputato sia stato un acquirente stabile sul quale l’associazione poteva fare affidamento.
8.2.3. Tramite il terzo motivo, svolto in subordine, si lamenta l’inosservanza dei criteri ermeneutici in relazione alla fattispecie contestata (artt. 192, comma 1, 546, lett. e, comma 1, cod. proc. pen. e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990), per non avere qualificato la condotta in violazione del comma 6 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990.
8.2.4. Con il quarto motivo, sviluppato in ulteriore subordine, si critica ulteriore inosservanza dei criteri ermeneutici (artt. 192, comma 1, 546, lett. e, comma 1, cod. proc. pen. e 74 e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990), anche sulla base delle considerazioni svolte nella sentenza di Sez. 6, n. 45061 del 03/11/2022, Restivo Rv. 284149-01-02-03, per avere cioè «ritenuto sussistente a carico del ricorrente la prova della partecipazione associativa, legata al tenue filo di un presunto ruolo di acquirente stabile della sostanza stupefacente, negata dalla contestazione stessa di reati fine che attestino, nello spazio e nel tempo, i reiterati acquisti e l’organica partecipazione ai fini associativi, rispetto a elementi emergenti relativi all’attività di spaccio posta in essere autonomamente dall’imputato che comprovano, semmai, la sussistenza di un episodico concorso, collocabile nell’anno 2015, unico anno in cui l’imputato non ebbe il proprio lavoro» (così alla p. 4 del ricorso).
In sostanza, sia assume che, al più, potrebbe esistere la prova di una sola violazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, posta in essere nel 2015 da parte di persona che all’epoca dei fatti era giovane ed incensurata.
8.2.5. Con il quarto motivo lamenta violazione degli artt. 192, comma 1, 546, lett. e, comma 1, cod. proc. pen. e 74, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, e manifesta contraddittorietà della motivazione, per avere ritenuto
sussistente l’aggravante dell’associazione armata anche per l’odierno ricorrente, che, in realtà, non è autore ma vittima di un attentato con armi da fuoco.
8.2.6. Infine, si critica l’esito del giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogene, nel senso della equivalenza, anziché, come richiesto nell’appello, in quello della prevalenza delle generiche sulle aggravanti (ipotizzata violazione degli artt. 62-bis, 69, 133 cod. pen. e 192, comma 1, 546, lett. e, comma 1, cod. proc. pen.), essendosi in presenza di persona assolutamente incensurata, giovane all’epoca dei fatti e che, come documentato dalla buste-paga, ha lavorato lecitamente dal 2016 e dal 2019, peraltro non conoscendosi qualità e quantità della droga eventualmente spacciata, comunque al minuto, come affermato dal collaboratore COGNOME e avente un ruolo marginale nella vicenda.
Ricorso COGNOME Leonardo Pasquale (Avv. NOME COGNOME del Foro di Bari): è affidato ad un unico motivo con il quale si lamenta promiscuamente violazione di legge (artt. 125, 192 e 546, lett. e, cod. proc. pen., e 62-bis e 133 cod. pen.) e difetto di motivazione in relazione alla mancata applicazione nella misura massima delle, pur riconosciute, attenuanti generiche.
Il ragionamento che si legge al riguardo a p. 37 della sentenza impugnata presenterebbe aspetti di contraddittorietà intrinseca e incoerenza, valorizzando incensuratezza e giovane età dell’imputato all’epoca dei fatti e revisione critica dell’operato ma poi riducendo la pena in misura inferiore ad un terzo.
Ricorso COGNOME NOME (Avv. NOME COGNOME del Foro di Bari): si affida ad un unico, complessivo, motivo con il quale denuncia promiscuamente violazione di legge (artt. 125, 192, 438 e ss. e 546 cod. proc. pen. e 74, commi 1 e 6, e 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990) e vizio di motivazione.
La motivazione che si rinviene alle pp. 50-51 della sentenza impugnata circa l’esclusione della invocata riconducibilità dell’associazione all’ipotesi di lieve entità sarebbe apodittica e meramente apparente, oltre che in contrasto con le emergenze istruttorie, in particolare, con quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME ben addentro alle vicende, per essere stato al vertice dell’associazione.
In realtà, ad avviso della Difesa, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sarebbero solo «l’ultimo anello della catena dello spaccio tre disperati che cedono tutt’al più un paio di dosi per volta! un’attività di smercio estremamente modesta» (così alle pp. 3-4 del ricorso).
La estrema severità della pena prevista dovrebbe indurre l’interprete, come segnalato da antica, autorevole, dottrina, che si richiama, ad interpretare con estrema prudenza ipotesi quali quella in esame.
Si segnala, infine, l’assoluta incensuratezza dell’imputato, nonostante la sua non giovane età.
Ricorso COGNOME Sebastiano (Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi del Foro di Bari): è affidato a sei motivi con i quali si lamenta promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione.
11.1.Con il primo motivo censura violazione dell’art. 74, commi 1, 2, 3 e 4, e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, 192, comma 2, e 546, lett. e), cod. proc. pen. e vizio di motivazione, che sarebbe illogica e carente sia quanto all’affermata appartenenza dell’imputato al clan sia quanto al ruolo apicale attribuitogli.
Citati più precedenti di legittimità in tema di struttura del reato ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, si sottolinea l’errore di metodo che sarebbe stato commesso dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto di non dover considerare le dichiarazioni di NOME siccome tendenti a ridimensionare il ruolo del cognato, NOME COGNOME. Si richiamano, in sintesi, le dichiarazioni di NOME (del 6 aprile 2020 e del 9 febbraio 2021) e le si pongono a confronto con quelle di NOME COGNOME (del 7 ottobre 2016) e di NOME COGNOME, benchè quelle rese da COGNOME e da COGNOME siano incoerenti e prive di riscontri. Si sottolinea criticamente avere i giudici non già stimato inattendibile NOMECOGNOME quanto invece avere sminuito il valore delle relative dichiarazioni.
In ogni caso, il ruolo di NOME COGNOME, benchè indicato come di vertice, sarebbe in sentenza concretamente descritto come quello di mero partecipe: e ciò sia per la diversità e la varietà dei rapporti intrattenuti con partecipi sia per la estrema brevità del periodo di appartenenza dello stesso all’associazione, a far data dal 4 settembre 2014, essendo stato arrestato due mesi dopo, il 3 novembre 2014. Né il possesso delle chiavi dell’immobile di INDIRIZZO potrebbe condurre a diverse conclusioni, in quanto è risultato che anche altri componenti avevano accesso utilizzando duplicati delle chiavi.
Si rammenta l’affermazione della giurisprudenza della S.C. secondo cui «Integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga» (Sez. 4, n. 19272 del 12/06/2020, Bellissima, Rv. 279249), sottolineando che, appunto, occorre provare coscienza e volontà dell’imputato di farvi parte.
11.2.Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 74, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, 192, comma 2, e 546, lett. e), cod. proc. pen. e vizio di motivazione quanto alla mancata riqualificazione del ruolo dell’imputato in quello di mero partecipe. Si ribadisce quanto già sostenuto nel primo motivo e cioè che il ruolo di NOME COGNOME, benchè indicato come di vertice, sarebbe in realtà concretamente descritto come un semplice associato.
11.3. Tramite il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 81 e 110 cod. pen., 2 e 7 della legge n. 895 del 1967, 23, comma 3, della legge n. 110 del 1975, 648 cod. pen., 74, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, e 192, comma 2, e 546, lett. e), cod. proc. pen. e vizio di motivazione, che sarebbe carente ed illogica nella parte in cui ritiene provata la responsabilità penale del ricorrente in ordine ai reati in materia di armi, alla ricettazione delle stesse ed alla sussistenza dell’aggravante dell’associazione armata.
Si rammenta che la Corte di merito ha fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni rese dai collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Non si comprende perché non si sia creduto a quanto affermato da NOME il 6 aprile 2020 circa la estraneità di NOME COGNOME alle armi; e si rammenta che NOME è stato ritenuto credibile nella motivazione della sentenza del G.i.p. del Tribunale di Bari dell’8 ottobre 2021, già prodotta in atti.
Nemmeno le dichiarazioni di COGNOME in data 27 settembre 2017, in verità, darebbero atto della riconducibilità delle armi all’odierno ricorrente.
Si rammenta il consolidato insegnamento della S.C. secondo cui «In tema di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, l’aggravante dell’associazione armata prevista dall’art. 74, quarto comma, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere imputata al singolo partecipante solo se sussiste un coefficiente di colpevolezza in relazione a tale aspetto, consistente quantomeno nella prevedibilità concreta della disponibilità delle armi da parte dell’associazione. (Fattispecie in cui l’aggravante è stata ritenuta sussistente sulla base delle intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva la consapevolezza dei partecipi che l’arma detenuta da uno di essi era nella disponibilità dell’associazione)» (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281212) e si sottolinea che nel caso di specie l’accesso che avrebbe avuto l’imputato al locale di INDIRIZZO circostanza di fatto che la Difesa comunque contesta – non sarebbe idoneo a dimostrare che lo stesso avesse la disponibilità della armi ivi custodite.
11.4.Con il quarto motivo critica la violazione degli artt. 99, comma 4, 62bis cod. pen. e 546, lett. e), cod. proc. pen., oltre a difetto di motivazione, nella parte in cui ha omesso di escludere la contestata recidiva reiterata.
Richiamati i principi che governano la materia, si censura la mancata esclusione della recidiva, avendo i decidenti omesso di valutare la risalenza nel
tempo dei precedenti penali; e, ad avviso del ricorrente, «l’esclusione della contestata recidiva comporterebbe la concessione delle attenuanti generiche nella massima espansione» (così alla p. 21 del ricorso).
11.5. Con il quinto motivo lamenta violazione degli artt. 81 cod. pen. e 671 e 546, lett. e), cod. proc. pen. e vizio di motivazione nella parte in cui esclude l’invocato riconoscimento del nesso della continuazione con i fatti, accertati come commessi tra il 4 settembre ed il 15 ottobre 2014, di cui alla sentenza della Corte di appello di Bari del 15 giugno 2020, irrevocabile il 26 gennaio 2022.
Si segnala al riguardo un errore di travisamento, avendo la Corte di appello ritenuto che il relativo motivo di impugnazione fosse svolto subordinamente rispetto a quello immediatamente precedente nella strutturazione dell’atto di appello, motivo che è stato accolto, incentrato sulla sussistenza di un divieto di bis in idem quanto al capo n. 5), mentre si tratta, in realtà, ad avviso del ricorrente, di motivo del tutto indipendente dal precedente.
Peraltro, la Corte di appello, nella motivazione dell’accoglimento del motivo precedente (alle pp. 48-49) valorizza la coincidenza temporale dei fatti, elemento rilevante rispetto alla questione del riconoscimento del vincolo della continuazione auspicato dalla Difesa.
11.6. Infine, oggetto dell’ultimo motivo è la violazione degli artt. 81, 132, 133 e 203 cod. pen., 85 del d.P.R. n. 309 del 1990 e 546, lett. e), cod. proc. pen., non avendo la Corte di merito spiegato come abbia determinato la pena inflitta all’imputato, con particolare riferimento all’aumento per la continuazione.
Mancherebbe, poi, la motivazione circa l’accertamento ex art. 203 cod. pen. della attuale pericolosità sociale dell’imputato, che, sola, può legittimare l’applicazione della misura di sicurezza, sicchè deve ritenersi, richiamati plurimi precedenti di legittimità in materia, che sia stata nel caso di specie illegittimamente, poiché senza motivazione, applicata la libertà vigilata a NOME COGNOME. Mancanza di motivazione che, ad avviso del ricporrente, vizierebbe anche le sanzioni accessorie del ritiro della patente di guida e del ‘divieto di espatrio contestualmente disposte.
Ricorso NOME (Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi del Foro di Bari): è affidato a cinque motivi con i quali si denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
12.1. Con il primo motivo lamenta la violazione degli artt. 546, lett. e), e 603 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dell’esame del collaboratore di giustizia NOME COGNOME
Richiamati i principi di diritto fissati dalla giurisprudenza di legittimità, c particolare riferimento alla sentenza delle Sezioni Unite n. 14800 del
21/12/2017, dep. 2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430-1, si ritiene non avere la Corte territoriale spiegato perché il nuovo esame del collaboratore sarebbe superfluo nella prospettiva di accertare l’effettivo ruolo avuto dalla donna e, in tesi, di circoscrivere la condotta a mera connivenza, anziché vero e proprio concorso, morale o materiale. Si riferiscono nel ricorso le risposte fornite dal collaboratore NOME all’udienza del 9 febbraio 2021 (pp. 14 e ss.), allorché, a domanda della Difesa, ha espressamente escluso di avere avuto mai rapporti per lo spaccio della droga con la moglie di NOME COGNOME cioè NOME COGNOME
12.2.Con il secondo motivo censura la violazione degli artt. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 e 192, commi 2 e 3, e 546, lett. e), cod. proc. pen. e difetto di motivazione, quanto alla riconosciuta responsabilità della donna, in concorso con il marito, nel reato di cui al capo n. 16) ossia detenzione a fine di cessione di cocaina.
Rammentato che le fonti di prova relative al capo n. 16) sono costituite da intercettazioni e dalle parole del collaboratore, osserva che, quanto a queste ultime, si è già detto nel motivo che precede che il collaboratore di giustizia all’udienza del 9 febbraio 2021 ha escluso di avere avuto rapporti per la droga con la donna, mentre, quanto alle intercettazioni, si sottolinea la necessità di una rigorosa lettura delle conversazioni captate, il cui contenuto la Difesa ritiene non sufficientemente chiaro, ove, come nel caso di specie, mancando sequestri e servizi di appostamento, si sia in presenza di una mera “droga parlata”.
La sentenza impugnata, allorchè afferma essere provato con certezza che risulta provato il concorso della donna nell’occultamento, nel trasporto e nella consegna della droga, non si confronterebbe con le argomentazioni difensive svolte in appello, ove si era sostenuto che le condotte della donna potessero costituire connivenza solo passiva non punibile ma non complicità, richiamandosi giurisprudenza della S.C. che traccia la distinzione tra le due figure.
12.3.Tramite il terzo motivo l’imputata si duole della violazione degli artt. 110 cod. pen., 73, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 e 192, commi 2 e 3, e 546, lett. e), cod. proc. pen. e, nel contempo, vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza nega la riconducibilità dei fatti all’ipotesi di lieve entità.
Richiamate plurime sentenze di legittimità, sia a Sezioni semplici che a Sezioni unite, sulla configurabilità dell’ipotesi in questione e sui relativi indici, assume avere la Corte territoriale valorizzato solo la ripetitività delle cessioni e gli apprezzabili quantitativi ceduti, omettendo, tuttavia, di prendere in considerazione gli ulteriori indici individuati dalla giurisprudenza di legittimità, tr cui il dato ponderale, avendo il collaboratore dichiarato che il marito di NOME COGNOME vendeva al minuto quantitativi di stupefacente minimi e di bassa qualità (si richiamano le pp. 14 e ss. della trascrizione del verbale del 9 febbraio 2021).
In ogni caso, la sentenza, mancando sequestri, non spiegherebbe adeguatamente per quale motivo ritenga trattarsi di droga pesante.
12.4. Oggetto del quarto motivo è la denunziata violazione degli artt. 114 cod. pen., 192, commi 2 e 3, e 546, lett. e), cod. proc. pen., oltre a carenza ed illogicità della motivazione, in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante della partecipazione di minima importanza nel reato. La Corte di merito avrebbe trascurato sia l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità a riguardo della portata dell’art. 114 cod. pen. (richiamandosi Sez. 4, n. 35950 del 25/11/2020, Indelicato, Rv. 280081, Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015, COGNOME, Rv. 266461 e Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, COGNOME, Rv. 264455) sia l’effettiva portata delle dichiarazioni di NOME COGNOME il quale ha evidenziato come la donna abbia avuto un ruolo del tutto diverso da quello del coniuge NOME COGNOME: la sentenza non spiegherebbe il concreto apporto dell’imputata.
12.5. Infine, si denunzia violazione degli artt. 81, comma 2, 132, 133 e 163 cod. pen. e difetto di motivazione, per non avere la sentenza spiegato le ragioni del trattamento sanzionatorio, anche e soprattutto in riferimento agli aumenti di pena in continuazione, non rispettando i principi di diritto fissati nella parte motiva di Sez. 1, n. 18140 del 18/03/2014, P.G. in proc. COGNOME, non mass.
Ricorso NOME Daniele (Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi del Foro di Bari): è affidato a quattro motivi denunzianti promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
Il ricorso è in ampia parte sovrapponibile a quello nell’interesse di NOME COGNOME condannata per lo stesso reato in concorso con il coniuge NOME COGNOME e difesa dagli stessi Avvocati (si segnalano le analogie e le differenze).
13.1. Se ne differenzia, quanto al primo motivo, per la censura per violazione degli artt. 546, lett. e), e 603 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dell’esame di NOME COGNOME per non avere inteso approfondire il concreto ruolo dell’imputato e soprattutto la qualificazione del fatto ex art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, avendo il collaboratore di giustizia dichiarato nel corso dell’udienza del 9 febbraio 2021 (si richiamano pp. 14 e ss. del verbale) che COGNOME comprava droga dallo stesso COGNOME o da COGNOME per poi rivenderla al minuto, ritirando «cento grammi, cinquanta grammi non era di alto livello» (così p. 6 del ricorso).
13.2. Con l’ulteriore motivo la Difesa di COGNOME lamenta la violazione degli artt. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 e 192, commi 2 e 3, e 546, lett. e), cod. proc. pen. e difetto di motivazione, quanto alla riconosciuta responsabilità in relazione al reato di cui al capo n. 16).
Sottolinea, in primo luogo, la necessità di rigorosa e severa valutazione del contenuto delle intercettazioni, essendosi in presenza di “droga parlata”, mancando sequestri e appostamenti della p.g., e risultando le conversazioni ambigue, parlandosi soltanto, peraltro un numero limitato di volte, circa sette, di «merendine».
Inoltre, le dichiarazioni di NOME sarebbero generiche, ambigue, non sufficientemente probanti e, comunque, prive di elementi di riscontro.
In ogni caso, «con riferimento alla figura del ricorrente, la sentenza appare manifestamente silente poiché incentrata a giustificare la responsabilità della coimputata con riferimento alle condotte tenute da quest’ultima attribuendo, poi, in maniera generica, la responsabilità ad entrambi gli imputati» (così alla p. 8 del ricorso).
13.3. Con il terzo motivo NOME COGNOME censura la violazione degli artt. 110 cod. pen., 73, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 e 192, commi 2 e 3, e 546, lett. e), cod. proc. pen. e vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza nega la riconducibilità dei fatti all’ipotesi di lieve entità.
Si tratta testualmente delle stesse argomentazioni già svolte a sostegno del terzo motivo della moglie coimputata, integrato (v. p. 14 del ricorso) tuttavia dalla considerazione della stimata illogicità dell’avere i decidenti ricavato la natura della sostanza dal valore, indicato in una conversazione (quella del 22 dicembre 2014), di 70,00 oppure di 80,00 euro.
13.4. Infine, oggetto del quarto motivo è la violazione degli artt. 81, comma 2, 132, 133 e 163 cod. pen. e difetto di motivazione: si tratta di motivo sviluppato negli stessi esatti termini di cui all’ultimo motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
Tutti i ricorrenti chiedono l’annullamento della sentenza impugnata.
Nell’interesse di più imputati è stata chiesta la trattazione orale in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Premesso che la prescrizione più breve (contestazione di cui al capo n. 4) maturerà non prima del 2036, come annotato in copertina dall – Ufficio-spoglio” della S.C., ritiene il Collegio che siano parzialmente fondate, nei limiti e per le ragioni di cui appresso, le impugnazioni nell’interesse di COGNOME NOME e di COGNOME NOME e che siano, invece, manifestamente infondati i rimanenti ricorsi nell’interesse di COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, COGNOME
NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME.
2.0ccorre sgombrare il campo da una questione posta da tutti i ricorsi che lamentano la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.: come condivisibilmente puntualizzato – anche – da Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191-02, «Poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata» (nello stesso senso, più recentemente, Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni s.p.a., Rv. 278196-02: «In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non può essere dedotta né quale violazione di legge ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod. proc. pen., né ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, pertanto può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossi come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente i ndicati nei motivi di gravame»).
Ciò posto, si passi ad esaminare i ricorsi, partendo da quello proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
3.1. Quanto al primo motivo (con cui si censura il mancato riconoscimento della continuazione con altri reati in materia di armi), la motivazione che si rinviene al riguardo alle pp. 21-22 della sentenza impugnata non risulta manifestamente illogica, soprattutto con riferimento al tema della già esclusa continuazione da parte del Giudice della cognizione (v. p. 22 della decisione impugnata) e, dunque, alla disciplina di cui all’art. 671, comma 1, cod. proc. pen.
3.2. in relazione al secondo motivo (con il quale si lamenta il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti, anziché della mera equivalenza tra circostanze eterogenee), la motivazione che si legge alla p. 23 della sentenza impugnata e alla p. 260 di quella del Tribunale, per quanto stringata, risulta essere sufficiente, non incongrua e non illogica, essendo incentrata sulla gravità dei fatti e sulla esistenza di precedenti (riconoscimento della recidiva). Peraltro, l’appello a suo tempo presentato risultava generico, basato essenzialmente sul documento contenente la confessione.
Quanto al ricorso nell’interesse di NOME COGNOME incentrato, come si è visto, su di un motivo unico (con il quale si lamenta la mancata riqualificazione del capo n. 1 in violazione del comma 6 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990), in realtà, alla p. 25 della decisione impugnata si rinviene risposta congrua e logica, ove si valorizza la quantità di droga complessivamente trattata, secondo quanto dichiarato da più collaboratori e la frequenza settimanale degli approvvigionamenti di circa 100-150 grammi di droga pesante ciascuno. Il ricorso, inoltre, risulta meramente reiterativo.
5. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è parzialmente fondato.
5.1. Il primo motivo (sulla sussistenza di prova della intraneità associativa dell’imputato) non è fondato. Esso si basa su argomenti che sono la mera reiterazione di quelli già svolti con l’atto di appello, cui ha fornito idonea e non illogica risposta la sentenza impugnata (alla p. 27), da leggersi unitamente a quella del Tribunale, ove (alla p. 247) si riferiscono le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME che riscontrano quelle di NOME COGNOME; inoltre, alle pp. 28 e ss. della sentenza impugnata e alla p. 247 di quella di primo grado si dà atto dell’avvenuto riconoscimento di COGNOME da parte di alcuni assuntori.
Il meccanismo di acquisto “obbligatorio” della droga è ben spiegato da COGNOME (p. 27 della decisione di appello), con affermazione che risulta in linea con il seguente principio di diritto: «Integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità all’acquisto delle sostanze stupefacenti di cui il sodalizio illecito f traffico, ove sussista la consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l’operatività dell’associazione, rivelando in tal modo la presenza del cd. affectio societatis tra l’acquirente ed i fornitori. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che la partecipazione all’associazione non sia esclusa dal fatto che l’indagato, pur di continuare a spacciare, fosse stato costretto a rifornirsi costantemente di droga dal sodalizio criminale)» (Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, COGNOME e altri, Rv. 267991).
Non risponde al vero, poi, che la Corte di merito abbia trasformato il “nulla” in una prova a carico, in quanto alla p. 27 della sentenza impugnata (da leggere insieme alle pp. 210 e ss. di quella di primo grado) si dà atto della emersione nel colloquio in automobile di dettagli in tema di spaccio di droga che soltanto gli intranei potevano conoscere ed inoltre si valorizza il fatto stesso di intraprendere il viaggio per andare a trovare nella non vicina Pescara Milella, che, benché sottoposto agli arresti domiciliari, continuava a gestire il traffico.
5.2. A differente conclusione deve giungersi in relazione al secondo motivo di impugnazione, con il quale si contesta la ritenuta sussistenza dell’aggravante della disponibilità delle armi da parte dell’associazione.
La Corte di appello così – testualmente ed integralmente – motiva (alla p. 28): «L.] le armi rinvenute erano, per ammissione del Mi/ella, a disposizione dell’organizzazione e dei sodali. D’altra parte, l’organizzazione aveva avuto necessità di utilizzare quelle armi nel corso della guerra intrapresa nel 2017, con la consapevolezza di tutti gli appartenenti»; il Tribunale (alla p. 234), riepilogando la questione dell’esistenza e della operatività dell’organizzazione criminale, rammenta il fatto storico dell’avvenuto sequestro nel “covo” di INDIRIZZO di armi e munizioni, anche da guerra, e di ingenti quantitativi di cocaina e di materiale per il confezionamento.
La laconica motivazione che si è riferita non soddisfa i requisiti richiesti dalla costante giurisprudenza di legittimità, che, affinchè possa addebitarsi all’imputato l’aggravante dell’associazione armata prevista dall’art. 74, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, esige, ai sensi dell’art. 59, comma 2, cod. pen., quantomeno un coefficiente di prevedibilità concreta da parte del singolo imputato della disponibilità delle armi da parte dell’associazione. Infatti:
Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281212 («In tema di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, l’aggravante dell’associazione armata prevista dall’art. 74, quarto comma, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere imputata al singolo partecipante solo se sussiste un coefficiente di colpevolezza in relazione a tale aspetto, consistente quantomeno nella prevedibilità concreta della disponibilità delle armi da parte dell’associazione. (Fattispecie in cui l’aggravante è stata ritenuta sussistente sulla base delle intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva la consapevolezza dei partecipi che l’arma detenuta da uno di essi era nella disponibilità dell’associazione)»);
Sez. 6, n. 49458 del 21/1072015, COGNOME e altri, Rv. 266041 («In tema di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, l’aggravante prevista dal comma quarto dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (associazione armata) può essere riconosciuta in ‘capo ai partecipi del sodalizio solo se può postularsi una loro colpevolezza anche in relazione a tale aspetto, che richiede, in base a quanto previsto dal comma secondo dell’art. 59 cod. pen., quantomeno un coefficiente di prevedibilità concreta da parte loro della disponibilità delle armi da parte dell’associazione»);
Sez. 2, n. 44667 del 08/07/2013, Aversano e altri, Rv. 257611 («In tema di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, l’aggravante prevista dal comma quarto dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 può essere riconosciuta in capo ai partecipi del sodalizio solo se può postularsi una loro
colpevolezza anche in relazione a tale aspetto che richiede, in base a quanto previsto dal comma secondo dell’art. 59 cod. pen., quantomeno un coefficiente di prevedibilità concreta da parte loro della disponibilità delle armi da parte dell’associazione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di merito che aveva applicato l’aggravante in parola nei confronti di un partecipe sulla scorta di un’attività continuativa di spaccio da lui svolta alle dirette dipendenze di un soggetto, con lui imparentato, che conservava le armi in uso all’organizzazione)»).
Discende l’accoglimento, in parte qua, del ricorso.
5.3. Quanto al terzo motivo (che verte sul mancato riconoscimento della prevalenza, anziché della mera equivalenza, delle attenuanti generiche), alla p. 28 si legge che non sono emerse ragioni per il riconoscimento della invocata prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, richiesta che l’appello aveva basato sulla lontananza nel tempo dei fatti e della condotta processuale e delle asserite disagiate condizioni di vita dell’imputato.
Si tratta di motivazione stringata ma comunque sufficiente, alla stregua del consolidato canone ermeneutico di cui sono espressione, tra le altre, Sez. 7, ord. n. 11210 del 20/10/2017, dep. 2018, Z, Rv. 272460 («In tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, per il carattere globale del giudizio, il giudice di merito non è tenuto a specificare le ragioni che hanno indotto a dichiarare la equivalenza piuttosto che la prevalenza, a meno che non vi sia stata una specifica richiesta della parte, con indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa») e, più recentemente, Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279181-02 («In tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel confermare il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice di primo grado, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati in modo logico e coerente rispetto a quelli concorrenti di segno opposto»).
Peraltro, la risalenza nel tempo dei reati era già stata valorizzata dal Tribunale (p. 260) per riconoscere a tutti gli imputati le attenuanti generiche.
Anche il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
6.1. In relazione al primo motivo (con il quale si contesta la pena base valutata eccessiva, non pari al minimo di venti anni di reclusione), si prende atto che la Corte di appello (alla p. 32) ha corretto un errore del Tribunale, che (pp. 260-261) ha valutato le generiche prevalenti sulla recidiva reiterata. Quanto alla
pena-base di ventidue (anziché venti, pari al minimo) anni di reclusione, la sentenza impugnata spiega (alle pp. 32-33) il discostamento con la gravità dei fatti e con l’avere NOME organizzato un “summit” con gli associati proprio il giorno stesso in cui è stato liberato dal carcere, oltre ad avere avuto altri incontri con i complici mentre era sottoposto agli arresti domiciliari.
6.2. Quanto al secondo motivo (con il quale si denunzia la mancata riduzione nel massimo di un terzo della diminuzione per l’applicazione dette attenuanti generiche), alla p. 33 della sentenza impugnata si spiega di avere già riconosciuto l’attenuate speciale nella massima ampiezza e di applicare le generiche, concedibili per il corretto comportamento processuale, in misura inferiore al massimo consentito.
Si tratta di motivazione non manifestamente illogica ed in linea con il principio di diritto più volte affermato dalla S.C. secondo il quale non vi è vizio di motivazione allorchè il giudice, giustificando il proprio ragionamento, avendo riconosciuto un’attenuante, non riduca la pena nella misura massima possibile (ex plurimis, Sez. 2, n. 37061 del 22/10/2020, Nunziato, Rv. 280359; Sez. 4, n. 48391 del 05/11/2015, COGNOME e altri, Rv. 265332; Sez. 3, n. n. 13210 del 11/03/2010, COGNOME, Rv. 246820).
Nell’interesse di NOME COGNOME, come si è visto (sub n. 8 del “ritenuto in fatto”), sono stati presentati due atti di impugnazione, uno a cura uno dell’Avv. NOME COGNOME del Foro di Bari e l’altro dell’Avv. NOME COGNOME del Foro di Roma.
Si rammenta che con il primo dei due ricorsi si denunzia promiscuamente violazione dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 ed omissione di motivazione in tema: 1) della affermata intraneità associativa; 2) e della mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 74, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990.
Il secondo atto di impugnazione è strutturato in sei motivi, aventi ad oggetto: 1) il difetto di correlazione tra accusa e sentenza; 2) la prova della partecipazione associativa; 3) la mancata derubricazione in violazione del comma 6 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990; 4) la mancata riqualificazione della contestazione in violazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990; 5) l’aggravante dell’associazione armata; 6) e la mancata prevalenza, anziché mera equivalenza, delle attenuanti generiche sulle aggravanti.
7.1. Procedendo in ordine logico e raggruppando le questioni omogenee, osserva il Collegio quanto segue.
La questione circa la possibile violazione della corrispondenza tra accusa e sentenza (motivo n. 1 dell’Avv. COGNOME con il quale ci si domanda se l’imputato sia stato considerato un vero e proprio partecipe intraneus oppure un
soggetto “esterno” autorizzato dall’associazione a spacciare in una determinata zona e correlativamente obbligato e rifornirsi dall’associazione) è, in realtà, risolta dalla sentenza impugnata, che alle pp. 33-35 ritiene l’imputato sostanzialmente inserito nel clan, spiegandone, in maniera non manifestamente illogica né incongrua, le ragioni.
7.2. Quanto alla prova della partecipazione associativa ed alla dimensione della stessa (motivo n. 1 dell’Avv. Casto e motivi nn. 2, 3 e 4 dell’Avv. COGNOME), la Corte di appello, come si è accennato, svolge ragionamento non incongruo nè illogico alle pp. 33-35, ove, tra l’altro, spiega che l’imputato era sicuramente ben inserito nel Ttt eva essere ffUra tikoI coene dire, “buit GLYPH ” tra ale essendo -p- aronte GLYPH derizrp9i ponendosi in – GLYPH – GLYPH -linea con il principio di diritto espresso – tra le altre – da Sez. 1, 30233 del 15/01/2016, COGNOME e altri, cit., secondo cui «Integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità all’acquisto delle sostanze stupefacenti di cui il sodalizio illecito fa traffico, ove sussista la consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l’operatività dell’associazione, rivelando in tal modo la presenza del cd. affectio societatis tra l’acquirente ed i fornitori. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che la partecipazione all’associazione non sia esclusa dal fatto che l’indagato, pur di continuare a spacciare, fosse stato costretto a rifornirsi costantemente di droga dal sodalizio criminale)»).
7.3. Quanto alla aggravante della disponibilità delle armi (motivo n. 2 dell’Avv. COGNOME e motivo n. 5 dell’Avv. COGNOME), in effetti, nonostante non vi sia prova dell’accesso di NOME COGNOME nel covo ove erano custodite le armi, alle pp. 34-35 la Corte di appello fa riferimento alla dichiarazione di NOME e ad essere stato NOME COGNOME coinvolto e ferito nei fatti di sangue che hanno provocato la morte del suo futuro “padrino”, Gelao.
La motivazione al riguardo risulta sia assertiva che inadeguata: sotto tale ultimo profilo, coglie nel segno la Difesa, allorchè sottolinea che il concetto di “coinvolgimento” in fatti cruenti non spiega se si sia in presenza di aggredito o di aggressore.
Devono valere anche in questo caso le considerazioni già svolte sub n. 5.2. del “considerato in diritto” in riferimento al ricorso, del pari da accogliere, d NOME COGNOME in tema di aggravante della associazione armata prevista dall’art. 74, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, esigendosi, se non già la prova della conoscenza, quantomeno, ai sensi dell’art. 59, comma 2, cod. pen., l’esistenza di un coefficiente di prevedibilità concreta da parte del singolo imputato della disponibilità delle armi da parte dell’associazione.
7.4. Quanto, infine, al bilanciamento tra circostanze eterogenee (motivo n. 6 dell’Avv. COGNOME), si rinviene al riguardo sufficiente e non illogica motivazione alla p. 36 della sentenza impugnata.
Venendo al ricorso nell’interesse di NOME COGNOME l’unico motivo di doglianza (la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella misura massima) risulta manifestamente infondato, non confrontandosi adeguatamente con la motivazione che si rinviene al riguardo alla p. 37 della sentenza, in cui si spiega che la riduzione viene operata non nel massimo in ragione della gravità dei fatti e del perdurare della condotta (coerentemente GLYPH rispetto GLYPH ai GLYPH già GLYPH richiamati GLYPH precedenti GLYPH di GLYPH Sez. 2, n. 37061 del 22/10/2020, Nunziato, Sez. 4, n. 48391 del 05/11/2015, COGNOME e altri, e Sez. 3, n. n. 13210 del 11/03/2010, COGNOME).
L’unico motivo di impugnazione di NOME COGNOME (mancata riconduzione dei fatti alle previsioni di cui ai commi 6 dell’art. 74 e 5 dell’art. 7 del d.P.R. n. 309 del 1990) risulta aspecifico, richiamando, ma assai vagamente, emergenze istruttorie asseritamente di segno contrario a quanto ritenuto dai Giudici, ed inoltre costruito in fatto, essendo incentrato su una pretesa “ingiustizia” della severa condanna.
In ogni caso, la sentenza impugnata, alla p. 51, spiega a sufficienza ed in maniera non illogica che tutti i collaboratori, incluso COGNOME hanno parlato di associazione finalizzata a gestire considerevoli quantità di cocaina e hanno detto che i soggetti che gestivano lo spaccio, incluso COGNOME acquistavano ogni settimana il non irrilevante quantitativo di 100-150 grammi di cocaina.
Si passi ad esaminare il ricorso di NOME COGNOME che è stato ritenuto dai giudici di merito vertice dell’associazione.
10.1. Quanto al primo motivo (sull’an della partecipazione associativa al clan e sul ruolo di vertice dell’imputato), alle pp. 41 e ss. della motivazione la Corte di appello spiega adeguatamente e non incongruamente l’appartenenza dell’imputato all’associazione.
10.2. Anche in relazione al secondo dei motivi (sempre sul ruolo apicale del COGNOME) si rinviene sufficiente e logica spiegazione alla p. 47 della sentenza impugnata.
10.3. Terzo motivo (sulla sussistenza dei reati in materia di armi, di ricettazione e sull’aggravante di essere l’associazione armata, cfr. n. 11.3 del “ritenuto in fatto”): il ricorso omette il doveroso confronto con le sentenze di merito. Infatti, alle pp. 4 e 46-47 della decisione impugnata ed alle pp. 92-93 di
quella di primo grado si sottolinea la circostanza che il latitante COGNOME era stato costretto a lasciare il suo ruolo di vertice a NOME COGNOME, le cui impronte digitali (testualmente: «numerosissime impronte») sono state rinvenute dalla polizia giudiziaria sulle custodie delle . armi rinvenute a INDIRIZZO, dove era anche la droga, custodie – si pone in luce nelle sentenze – costituite da mere buste di plastica trasparenti, tipo “Cuki” per alimenti, che lasciavano vedere perfettamente l’interno.
10.4. In relazione al quarto motivo (sulla mancata esclusione della recidiva qualificata contestata), si rinviene sufficiente giustificazione alla p. 49 della sentenza impugnata, con cui la Difesa omette-adeguato confronto.
10.5. Quanto al successivo motivo (sul non accoglimento della richiesta di riconoscimento del nesso della continuazione con altri fatti di droga già irrevocabilmente giudicati), il confronto tra il contenuto delle pp. 21-25 dell’atto di appello e di p. 49 della sentenza impugnata consente di escludere il denunziato travisamento, perché la richiesta, in effetti, era espressamente subordinata al mancato accoglimento di quella precedente avente ad oggetto il riconoscimento dell’esistenza di un precedente giudicato.
10.6. In relazione al sesto e ultimo motivo (in tema di: mancata motivazione del trattamento sanzionatorio; illegittimità della applicazione della libertà vigilata; illegittimità del ritiro della patente di guida e del diviet espatrio), la sentenza (alla p. 50) è assistita da sufficiente e logica motivazione.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a cinque motivi che costituiscono, in realtà, mera riproposizione dei motivi di appello in presenza di doppia conforme.
11.1. In particolare, quanto al primo (con oggetto mancata rinnovazione dell’istruttoria tramite richiamo del collaboratore NOME), alla p. 59 dell sentenza vi è idonea e non illogica motivazione: in buona sostanza, le parole del collaboratore sono state utilizzate nella sentenza impugnata come “riscontro” (sia pure in senso improprio: cfr. infatti Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286150-04) del contenuto, stimato dai giudici di merito comprensibile e chiaro, delle intercettazioni telefoniche.
11.2. In relazione al secondo motivo (sull’an della responsabilità della donna, che sarebbe mera connivente e non già complice del marito), il ricorso trascura di confrontarsi con la accurata motivazione che si rinviene alle pp. 5461 della sentenza impugnata, ove si valorizza l’impiego sistematico nelle conversazioni telefoniche tra i coniugi del termine “merendine”, con abbinamento a somme di denaro, merendine – inverosimilmente – da nascondersi nei pantaloni e anche dietro la fotografia (v. pp. 54 e 59 della sentenza di appello),
una conversazione tra terzi in cui si dice che la COGNOME era solita nascondere la droga nella parti intime, per evitare controlli, il rinvenimento di somme di denaro in contanti, la circostanza che la donna si recasse a riscuotere dagli acquirenti le somme di denaro riconducibili allo spaccio, e le dichiarazioni di NOMECOGNOME valutate nella sentenza.
11.3. in riferimento al terzo motivo (sulla mancata riqualificazione in fatto di lieve entità), in realtà alla p. 60 della sentenza impugnata si valorizza la reiterazione delle condotte con continuità, la non occasionalità delle stesse, la natura pesante della sostanza e il rapporto con un soggetto di spicco della criminalità organizzata, cioè NOME COGNOME, giudicato capo dell’associazione.
11.4. Quanto al quarto motivo (sul mancato riconoscimento a favore della donna della attenuante della partecipazione di minima entità ex art. 114 cod. pen.), si prende atto che alla p. 61 la sentenza di appello ha escluso, con richiamo di pertinente giurisprudenza di legittimità, la partecipazione del tutto marginale della donna, tema che viene riproposto senza elementi di critica innovativa.
11.5. Quinto motivo (sulla mancanza di motivazione del trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento agli aumenti di pena in continuazione): la sentenza impugnata (alla p. 61; conformemente alle pp. 178-179 di quella del Tribunale) spiega essere partiti i giudici dal minimo edittale per il reato più grave, con un complessivo aumento di sei mesi per la continuazione con plurimi episodi. Il ragionamento è in linea con il – condivisibile – principio di diritt secondo il quale «In tema di reato continuato, il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen.» (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005).
Il ricorso di NOME NOME si affida a motivi coincidenti con quelli svolti nell’interesse della moglie coimputata: ed anche in questo caso si è in presenza di una riproposizione dei motivi di appello in presenza di doppia conforme.
Si opera, pertanto, integrale rinvio alle considerazioni già svolte dal Collegio in riferimento al ricorso proposto da NOME COGNOME (primo motivo: mancata rinnovazione dell’istruttoria tramite richiamo del collaboratore NOME; secondo motivo: sull’an della responsabilità dell’imputato; terzo: sulla mancata riqualificazione in fatto di lieve entità; quarto motivo, corrispondente al quinto
nell’interesse della donna: in tema di mancanza di motivazione del trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento agli aumenti di pena in continuazione).
Deve, in conclusione, per tutte le ragioni esposte, annullarsi la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, limitatamente all’aggravante dell’associazione armata, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Bari; i ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME vanno, nel resto rigettati, con declaratoria di irrevocabilità della affermazione dell’an della penale responsabilità dei due imputati.
Vanno, invece, dichiarati inammissibili i ricorsi nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali e, non ravvisandosi ex art. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000), anche della somma, nella misura indicata in dispositivo, che appare corretta ed equa, in favore della cassa delle ammende.
P.Q. M .
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente all’aggravante dell’associazione armata e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Bari. Rigetta nel resto i ricorsi di COGNOME e COGNOME. Dichiara l’irrevocabilità della declaratori di responsabilità di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME DomenicoCOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 02/10/2024.