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Associazione armata: l’aggravante e la ‘ndrangheta

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per due esponenti di spicco della ‘ndrangheta, applicando l’aggravante di associazione armata. La Corte ha stabilito che, data la natura unitaria dell’organizzazione, la disponibilità di armi da parte di qualsiasi clan si estende a tutta l’associazione. Pertanto, un membro di una ‘locale’ formalmente disarmata risponde comunque di tale aggravante, in quanto la sua partecipazione a riti comuni e attività illecite dimostra la consapevolezza, o l’ignoranza colpevole, del carattere armato dell’intero sodalizio.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione Armata: la Responsabilità si Estende a Tutti i Clan

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 2121/2025, affronta un tema cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: l’applicazione dell’aggravante dell’associazione armata. La questione centrale è se un affiliato a una ‘locale’ di ‘ndrangheta, che non dispone direttamente di armi, possa essere comunque ritenuto responsabile per il carattere armato dell’intera organizzazione. La risposta della Corte è affermativa e si basa su una visione unitaria del fenomeno mafioso.

I Fatti Processuali: un Percorso Complesso

Il caso riguarda due imputati, figure di vertice di due distinte articolazioni territoriali della ‘ndrangheta, inizialmente condannati per associazione mafiosa. La Corte d’Appello, in un primo momento, aveva escluso per loro l’aggravante dell’associazione armata, ritenendo non provato che le loro specifiche ‘locali’ avessero la disponibilità di armi.

Questa decisione è stata però annullata dalla Corte di Cassazione con una precedente sentenza (n. 9148/2023), che ha rinviato il caso ai giudici di merito. La Cassazione aveva criticato l’approccio frammentario della Corte d’Appello, sottolineando come la ‘ndrangheta debba essere considerata un’organizzazione omogenea e unitaria. Giudicando nuovamente il caso, la Corte d’Appello ha quindi riconosciuto l’aggravante, rideterminando la pena. Contro questa nuova decisione gli imputati hanno proposto ricorso, portando la questione di nuovo davanti alla Suprema Corte.

L’Aggravante dell’Associazione Armata e il Carattere Unitario della ‘Ndrangheta

Il cuore della difesa degli imputati si basava sull’idea che, essendo membri di ‘locali’ specifiche (una di Petilia Policastro, l’altra dei Papaniciari), la valutazione sulla sussistenza dell’aggravante dovesse limitarsi a queste articolazioni. Poiché non era emersa la disponibilità di armi in capo a tali gruppi, l’aggravante, a loro dire, non poteva essere applicata.

La Cassazione ha respinto categoricamente questa tesi. La Corte ha ribadito il principio secondo cui la ‘ndrangheta, pur essendo strutturata in diverse ‘locali’ con autonomia territoriale, è un’organizzazione criminale unitaria. Questa unitarietà è dimostrata dalla condivisione di rituali di affiliazione, dalla gestione comune di attività illecite e dalla programmazione di strategie criminali a livello più ampio.

Di conseguenza, il carattere armato non è una caratteristica della singola ‘locale’, ma dell’intero sodalizio. Se l’organizzazione nel suo complesso ha la disponibilità di armi, come ampiamente dimostrato nel processo, allora l’associazione armata è una caratteristica che qualifica l’intera struttura, e ogni suo partecipe ne risponde.

La Consapevolezza degli Affiliati e il Ruolo dei Riti

Un altro punto cruciale è la colpevolezza del singolo affiliato. Secondo l’art. 59 del codice penale, le aggravanti si applicano solo se conosciute o ignorate per colpa. Come si può provare che un membro di un clan ‘disarmato’ fosse a conoscenza del fatto che altri clan, magari distanti, possedessero armi?

La Corte ha risolto questo problema valorizzando il ruolo apicale degli imputati e la loro partecipazione attiva alla vita dell’organizzazione. In particolare, è stato provato che entrambi avevano officiato riti di affiliazione per membri di altri clan (la cosca isolitana dei Nicoscia), noti per la loro dotazione di armi. Uno degli imputati aveva anche gestito attività estorsive in comune con membri di tale cosca.

Questi elementi, secondo i giudici, sono sufficienti a dimostrare che gli imputati avevano una piena conoscenza delle dinamiche interne e della struttura complessiva dell’organizzazione. La loro disponibilità a officiare riti, fondamentali per la riorganizzazione e il rafforzamento del sodalizio, attesta un’adesione consapevole a un’entità criminale di cui non potevano ignorare il carattere intrinsecamente violento e armato. Pertanto, la loro ignoranza, se mai vi fosse stata, sarebbe stata colpevole.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, ritenendoli infondati. I giudici hanno sottolineato che la sentenza d’appello impugnata ha dato corretta attuazione ai principi espressi dalla precedente pronuncia della Cassazione. La decisione si fonda sul carattere unitario e omogeneo dell’organizzazione ‘ndranghetista, che trascende le singole articolazioni territoriali. La partecipazione degli imputati, con ruoli di rilievo, a riti di affiliazione e ad attività illecite comuni con altre cosche dimostra in modo inequivocabile la loro piena consapevolezza del contesto criminale complessivo. Tale consapevolezza include necessariamente la conoscenza, o quantomeno l’ignoranza per colpa, della disponibilità di armi da parte dell’associazione nel suo insieme. Pertanto, l’applicazione dell’aggravante dell’associazione armata risulta giuridicamente corretta e coerentemente motivata.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza: nel contrasto alle mafie strutturate come la ‘ndrangheta, la responsabilità per le aggravanti che qualificano l’intera organizzazione, come quella dell’associazione armata, si estende a tutti gli affiliati, specialmente a quelli con ruoli di vertice. Non è possibile ‘schermarsi’ dietro l’appartenenza a una singola ‘locale’ apparentemente meno pericolosa. La partecipazione consapevole a un sodalizio unitario implica l’accettazione di tutte le sue caratteristiche, inclusa la più grave: la disponibilità e l’uso delle armi.

Un affiliato a un clan mafioso può essere accusato di associazione armata se il suo gruppo specifico non possiede armi?
Sì. Secondo la Corte, se l’organizzazione criminale nel suo complesso (come la ‘ndrangheta) ha la disponibilità di armi, l’aggravante si applica a tutti i membri, in virtù del carattere unitario del sodalizio. L’appartenenza a una singola articolazione territoriale non esclude la responsabilità per le caratteristiche dell’intera associazione.

Quali prove sono state usate per dimostrare la conoscenza dell’imputato riguardo al carattere armato dell’organizzazione?
La Corte ha considerato decisivo il ruolo di vertice degli imputati e la loro partecipazione attiva a riti di affiliazione di membri di altri clan, noti per essere armati. Questa interazione, insieme alla gestione di attività illecite comuni, è stata ritenuta prova della piena conoscenza delle dinamiche interne e della natura armata dell’intera organizzazione.

Perché la Corte di Cassazione ha inizialmente annullato la decisione della Corte d’Appello che escludeva l’aggravante?
La Cassazione ha annullato la prima decisione perché la Corte d’Appello aveva adottato una visione frammentaria, valutando la disponibilità di armi solo con riferimento alle singole ‘locali’ degli imputati. La Cassazione ha invece imposto di considerare la ‘ndrangheta come un organismo criminoso unitario e omogeneo, dove le caratteristiche di una parte si estendono al tutto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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