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Associazione a delinquere stupefacenti: la prova

La Cassazione conferma una misura cautelare per un soggetto accusato di far parte di una associazione a delinquere stupefacenti. L’appello è stato dichiarato inammissibile perché mirava a una rilettura dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La Corte ha ritenuto sufficienti gli indizi raccolti (videosorveglianza, ruoli definiti) per provare una stabile adesione al sodalizio e non un semplice concorso in singoli reati.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere stupefacenti: la prova per la misura cautelare

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 43143 del 2024, offre un’importante analisi sui criteri per dimostrare la partecipazione a una associazione a delinquere stupefacenti, specialmente nella delicata fase delle misure cautelari. La Corte ha chiarito la differenza tra un semplice concorso in reati di spaccio e una stabile adesione a un sodalizio criminale, sottolineando il valore dei “facta concludentia”.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, come previsto dall’art. 74 del d.P.R. 309/1990. La misura era stata disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari e successivamente confermata, seppur con una modifica (l’esclusione di un’aggravante), dal Tribunale del Riesame.
La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente due punti:
1. Violazione di legge: Secondo il ricorrente, la prova della sua partecipazione all’associazione si basava su due singoli episodi di spaccio, per i quali peraltro il Pubblico Ministero non aveva nemmeno richiesto una misura cautelare. Mancavano, a suo dire, gli elementi costitutivi dell’associazione, come la stabilità del vincolo e l’affectio societatis (la volontà di far parte del gruppo).
2. Motivazione insufficiente: La difesa contestava anche la motivazione sulla sussistenza del pericolo di recidiva, ritenendola inadeguata, dato che i fatti risalivano al 2022 e l’indagato era incensurato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la validità della misura cautelare. La Corte ha ritenuto che le censure mosse dalla difesa non fossero vere e proprie violazioni di legge, ma tentativi di ottenere una nuova valutazione del materiale probatorio, attività preclusa in sede di legittimità. Il Tribunale del Riesame, secondo la Cassazione, aveva fornito una motivazione logica, coerente e adeguata per giustificare la gravità indiziaria a carico dell’indagato.

Le Motivazioni: la prova dell’associazione a delinquere stupefacenti

Il cuore della sentenza risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha respinto le argomentazioni della difesa. La Corte ha spiegato che, per configurare una associazione a delinquere stupefacenti, non è necessario che ogni singolo atto sia di per sé un reato associativo, ma è l’insieme dei comportamenti a delineare la stabile partecipazione.
Nel caso specifico, gli elementi a carico dell’indagato non si limitavano a due episodi isolati. Le indagini, basate su intercettazioni, videosorveglianza e servizi di appostamento, avevano documentato un ruolo attivo e continuativo del soggetto all’interno del gruppo. Egli non era un semplice spacciatore occasionale, ma agiva come:
* Pusher stabile sulla piazza di spaccio, operando secondo turni rigidi e predefiniti.
* Custode delle forniture di stupefacenti.
* Collettore dei proventi giornalieri, che venivano poi consegnati direttamente al capo dell’organizzazione.

La Corte ha sottolineato come questi compiti, documentati in “presa diretta” dalla videosorveglianza, dimostrassero una piena adesione al sodalizio. Anche l’aver eseguito le direttive del capo, specialmente dopo l’arresto di altri membri, è stato considerato un indicatore fattuale inequivocabile della sua appartenenza stabile al gruppo. Per questo motivo, anche i singoli reati-fine, pur non oggetto di richiesta cautelare, sono stati correttamente valutati come indicatori della partecipazione all’associazione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia ribadisce alcuni principi fondamentali in materia di reati associativi e misure cautelari:
1. La prova per “facta concludentia”: L’adesione a un’associazione criminale può essere provata attraverso comportamenti concreti e reiterati (i “fatti concludenti”) che, nel loro insieme, dimostrano un inserimento stabile e consapevole nella struttura organizzativa.
2. Irrilevanza della richiesta cautelare sui reati-fine: Il giudice può utilizzare come indizi di partecipazione all’associazione anche fatti che costituiscono reati per i quali non è stata specificamente richiesta una misura cautelare.
3. Limiti del ricorso in Cassazione: Il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Le valutazioni sulla consistenza delle prove, se logicamente motivate dal giudice del riesame, non sono sindacabili.
4. Presunzione di pericolosità: Per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990, vige una presunzione legale di pericolosità sociale che giustifica la custodia in carcere, superabile solo con la prova di elementi concreti che dimostrino il contrario, prova che nel caso di specie non è stata fornita.

Quali elementi provano la partecipazione a un’associazione a delinquere stupefacenti ai fini di una misura cautelare?
Secondo la sentenza, la prova può derivare da “facta concludentia” (fatti concludenti), ovvero da un insieme di comportamenti che dimostrano un’adesione stabile e consapevole al gruppo. Nel caso esaminato, elementi decisivi sono stati l’assunzione di ruoli specifici e continuativi (pusher con turni fissi, custode della droga, collettore dei guadagni) e l’esecuzione di direttive del capo, documentati da videosorveglianza.

È possibile utilizzare come indizi fatti per i quali non è stata chiesta una misura cautelare?
Sì. La Corte ha chiarito che il giudice può valutare fatti che costituiscono singoli reati (come episodi di spaccio) come indicatori della partecipazione all’associazione criminale, anche se per tali reati non è stata avanzata una specifica richiesta di misura cautelare. Questi fatti contribuiscono a delineare la portata indiziaria della condotta complessiva.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa non contestavano una reale violazione di legge, ma miravano a una diversa interpretazione degli elementi di prova già valutati dal Tribunale del Riesame. Questo tipo di valutazione sul merito dei fatti è preclusa alla Corte di Cassazione, che può giudicare solo la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della decisione impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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