Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37472 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37472 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CALAFIORE NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/06/2024 della Corte d’appello di Napoli Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che conclude per l’inammissibilità di tutti i ricorsi; udito l’avvocato NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME, che chiede l’accoglimento del ricorso; uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME, che chiedono l’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento della sentenza impugnata;
udito l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per i quali si riporta ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe e in parziale riforma della decisione del GUP del Tribunale di Napoli del 20 giugno 2016, resa a seguito di rito abbreviato, dato atto che plurime ipotesi contestate erano state riqualificate nel corso del giudizio di primo grado nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, ha dichiarato:
non doversi procedere, perché estinti per prescrizione, quanto ai reati ascritti a COGNOME ai capi 13), 17), 19), 22), 23), 25), 26), 28), 37), 59), 60), 69), 70), 76), 77), 89), 102), 103), 109) e 110) dell’imputazione, tutti relativi a fattispecie di concorso, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, nella detenzione illecita a fini di cessione di sostanza stupefacente (artt. 110 e 81 cod.pen. e art. 73 d.P.R. n. 309/1990), e ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in anni sei e mesi otto di reclusione;
non doversi procedere, perché estinti per prescrizione, i reati ascritti a COGNOME NOME ai capi 15), 18), 32), 33), 34), 39), 40), 41), 46), 47), 52), 53), 63), 64), 66), 72), 73), 76), 78), 79), 83), 84), 91), 92), 95), 96), 99), 100), 105) e 106) dell’imputazione, tutti relativi a fattispecie di concorso, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, nella detenzione illecita a fini di cessione di sostanza stupefacente (artt. 110 e 81 cod.pen. e art. 73 d.P.R. n. 309/1990), e ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in anni quattro e mesi sei di reclusione;
non doversi procedere, perché estinti per prescrizione, quanto ai reati ascritti a COGNOME NOME ai capi 6) e 7) dell’imputazione, tutti relativi a fattispecie di concorso, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, nella detenzione illecita a fini di cessione di sostanza stupefacente (artt. 110 e 81 cod.pen. e art. 73 d.P.R. n. 309/1990 e ha rideterminato la pena in anni nove e mesi quattro di reclusione;
non doversi procedere in relazione ai reati ascritti a COGNOME NOME ai capi 11), 14), 19), 20), 22), 24), 28), 29), 30), 33), 34), 35), 38), 39), 42), 45), 46), 49), 50), 53), 54), 57), 59), 61), 62), 65), 66), 67), 69), 71), 72), 74), 76), 78), 80), 82), 83), 86), 87), 90), 91), 93), 95), 97), 99), 101), 103), 105), 100), 109) dell’imputazione perché estinti per intervenuta prescrizione, sempre riferiti a distinti episodi di detenzione a scopo di cessione di cocaina, e ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in anni sei e mesi otto di reclusione;
non doversi procedere in relazione ai reati ascritti a COGNOME NOME ai capi 27), 29), 44),45),61), 82) e 108) dell’imputazione perché estinti per intervenuta prescrizione, e ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in anni quattro, mesi cinque, giorni dieci di reclusioni;
non doversi procedere in relazione ai reati ascritti a COGNOME NOME ai capi : 12),13),15), 17), 18), 21), 23), 25), 26), 27), 31), 32), 33), 36), 37), 38), 40), 41), 43), 44), 47), 48),51), 52), 55), 56), 60), 62), 63), 64), 68), 70), 71), 73), 75), 77), 79), 81), 84), 85), 88), 89), 90), 92), 94), 96), 97), 98), 100), 102), 104), 106), 108) e 110) della contestazione perché estinti per intervenuta prescrizione, e ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in anni sei e mesi otto di reclusione;
non doversi procedere in relazione al reato ascritto a COGNOME NOME perché estinto per morte dell’imputato.
1.2 La Corte territoriale ha confermato nel resto la sentenza impugnata quanto alla condanna di COGNOME NOME (ritenuta responsabile del reato contestato al capo 1) – di associazione ai sensi dell’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, quale partecipe, e del reato di cui all’art. 73 stesso testo), COGNOME NOME, che (capo 5) era stata dichiarata responsabile di cessione di stupefacenti in concorso con altri, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ritenuti responsabili del reato contestato al capo 1), quali partecipi, e del reato di cui all’art. 73 stesso testo) e COGNOME NOME (dichiarato responsabile di varie cessioni di stupefacente in concorso con altri ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso), condannando gli imputati al pagamento delle spese di giudizio.
Secondo la ricostruzione accolta da entrambi i giudici del merito, la vicenda in esame ha tratto origine da una articolata attività di indagine che aveva consentito di individuare l’esistenza di una organizzazione criminale, completa di organigramma, composta da tre gruppi familiari imparentati tra di loro (i COGNOME, i COGNOME e i COGNOME), che operava prevalentemente a Napoli e nei comuni di San Pietro a Patierno, Casoria e Casavatore.
L’associazione si era caratterizzata per il fatto che gli aderenti, attraverso una articolata e ben strutturata organizzazione, avevano detenuto a fine di cessione, significative quantità di stupefacente del tipo cocaina. Quanto ai ruoli assunti dai componenti, era emerso che la NOMEship era esercitata da NOME COGNOME, anche se il GUP ne aveva escluso la veste di capo o promotore, il quale era collaborato in via diretta da NOME COGNOME e dai suoceri dello stesso (NOME COGNOME e NOME COGNOME). NOME COGNOME si approvvigionava da NOME COGNOME (appartenente al clan degli scissionisti). Il prodotto veniva smerciato all’ingrosso nella provincia di Brescia (ove risiedeva NOME COGNOME), nell’area della Sicilia occidentale (tramite
costanti forniture a tale COGNOME) e nell’area della Sicilia orientale (come accertato da sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello di Catania), adoperando, con mansioni di corriere, NOME COGNOME e in una occasione NOME COGNOME. NOME COGNOME si occupava anche dello spaccio nel luogo in cui risiedeva. La quantità di stupefacente acquistata veniva smistata attraverso una fitta rete costituita in apice da NOME COGNOME e NOME COGNOME, in costante contatto con NOME COGNOME, i quali, ogniqualvolta venivano contattati telefonicamente dai vari acquirenti, li indirizzavano ai singoli spacciatori (identificati in COGNOME, COGNOME e NOME COGNOME) che, a loro volta, stazionavano nella zona assegnata e vendevano la droga al dettaglio.
Le attività d’indagine, dipanate in un arco temporale compreso fra il marzo del 2008 e la metà del 2009, sono state articolate in operazioni di intercettazione telefonica, nell’ambito delle quali, di volta in volta, venivano sottoposte ad intercettazione le utenze della maggior parte degli imputati, nonché in attività di pedinamento e controllo svolte contestualmente all’ascolto dalla P.G.
Avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione, mediante proprio difensore, i seguenti imputati.
3.1. NOME COGNOME , a mezzo del proprio difensore, nonché, con separato ricorso a firma del medesimo difensore, NOME COGNOME e NOME COGNOME , dichiarati responsabili del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, in qualità di partecipi, (capo 1), hanno formulato i seguenti analoghi due motivi:
carenza e illogicità della motivazione in relazione al fatto che, in luogo dell’ipotesi associativa contemplata nell’imputazione, non sia stata configurata l’ipotesi di concorso di persone nei reati di detenzione a fine di spaccio ulteriormente contestati, ai sensi dell’art. 110 cod.pen. In particolare, il motivo denuncia l’insufficienza della motivazione con riferimento alla ‘comunanza di scopo’, posto che, ad avviso dei ricorrenti, non era emersa alcuna prova certa che i contatti tra il RAGIONE_SOCIALE familiare costituito da NOME e NOME COGNOME, marito e moglie, e il RAGIONE_SOCIALE familiare di NOME COGNOME dimostrassero che il primo costituisse una compagine a sé stante, con la conseguenza che i contatti tra i due gruppi avrebbero dovuto essere considerati espressione solo di attribuzioni di competenze. Analoga carenza motivazionale viene denunciata relativamente all’elemento soggettivo del reato associativo;
b) con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione relativamente al dinego dell’inquadramento della condotta nella fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/1990. Si sostiene che in realtà, data l’autonomia della fattispecie, nella specie sarebbe emerso che i sodali avevano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività non aveva
assunto i caratteri del concreto pericolo di diffusione della sostanza con la reiterazione dello smercio con particolare intensità e frequenza, ovvero l’estensione della clientela in un territorio. La Corte d’appello avrebbe dovuto accertare che i singoli fatti reato non fossero di lieve entità, secondo i parametri descritti dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990. Nel caso di specie non era emersa un’attività di smercio nell’ambito del territorio nazionale, ma in territorio limitato e senza che il nucleo familiare COGNOME ponesse in atto particolari cautele per sfuggire al controllo della polizia.
3.2. Con altro ricorso, proposto a mezzo del difensore, impugnano la sentenza della Corte d’appello, con unico ricorso, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali formulano i motivi sintetizzati come segue, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod.proc.pen.:
Con il primo motivo, i tre ricorrenti deducono la illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, unico delitto residuato dopo la declaratoria di non doversi procedere a seguito della prescrizione dei reati fine, per COGNOME e COGNOME. In particolare, i ricorrenti, riferendosi alle pagine 44 e 45 della sentenza impugnata, lamentano che la stessa si sia limitata a condividere la motivazione del GUP, aggiungendo solo che gli imputati erano tutti rei confessi e senza spiegare perché la condotta non fosse da configurare quale fattispecie di concorso di persone nei delitti di cessione di stupefacenti. Allo stesso modo, con motivazione sostanzialmente assente, era stata esclusa anche la ragione d’impugnazione tesa a ottenere la sussunzione della condotta nella più lieve ipotesi prevista dall’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/1990. La difesa ribadisce che le singole cessioni di sostanza stupefacente, già qualificate dal GUP come spaccio di lieve entità, e la natura delle azioni criminose (in un contesto caratterizzato da stretti vincoli di parentela fra i componenti, estrema rudimentalità organizzativa, modeste dimensioni della zona rifornita, identità di consueti cessionari, piccolo quantitativo e scadente qualità della droga ceduta) depongono per l’ipotesi attenuata prevista dall’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/1990.
Con un secondo motivo, riferito al solo imputato NOME COGNOME , lo stesso deduce la violazione dell’art. 129 cod.proc.pen., giacché la Corte d’appello non aveva motivato in ordine alla prescrizione dei reati contestati ai capi 5), 9) e 10) dell’imputazione.
3.3. Con ulteriore ricorso, impugna la sentenza NOME COGNOME, facendo valere i seguenti motivi:
a) Con il primo motivo, deduce la mancanza di motivazione in ordine alla partecipazione al delitto associativo e alla sussistenza del fatto come contestato e e anche come qualificato, essendo stata esclusa la fattispecie di cui al comma 6 dell’art. 74 d.P.R. n. 309/1990. Si indica, in particolare, un passo della pag. 44 della sentenza, che si sarebbe limitata a richiamare interamente la decisione di primo grado, senza fornire risposta al motivo d’appello con il quale era stata denunciata l’assenza della relazione stabile e continuativa tra il RAGIONE_SOCIALE capeggiato da COGNOME NOME (venditore) e il RAGIONE_SOCIALE facente capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME (acquirente). Si era contestata, nell’appello, la ricostruzione dei fatti e la loro sussunzione nella fattispecie. Si era evidenziata la contraddittorietà della sentenza del GUP, laddove a pag. 142, dopo aver rilevato che NOME COGNOMEsi rifornisce periodicamente da…e poi …distribuisce a persone diverse su tutto il territorio nazionale tra cui anche il RAGIONE_SOCIALE‘, ritiene poi l’esistenza di una unica associazione come contestata. Ciò in virtù di elementi in realtà fortemente contestati dagli imputati. In particolare, si era attribuita rilevanza, al fine di provare l’esistenza del ‘vincolo durevole’ tra acquirenti e cedenti (e quindi della partecipazione del sottoRAGIONE_SOCIALE all’intera associazione) alla telefonata intercettata il 28 dicembre 2008 in ambientale e riportata a pag. 143 della sentenza di primo grado. Si trattava di una dichiarazione programmatica rivolta al futuro, mentre le condotte contestate risalgono agli anni 2007 e 2008. Si erano anche evidenziati diversi elementi in fatto, esaminati i quali, si sarebbe dovuta negare la ricorrenza della stabilità in via continuativa o, per lo meno, ritenere la fattispecie di cui al comma 6 dell’art. 74 d.P.R. n. 309/1990. Si trattava, in particolare, della contraddizione in cui era caduto il GUP nel ritenere la presenza di due gruppi familiari (quello che si riferisce a COGNOME NOME che si rifornisce da COGNOME e quello capeggiato da COGNOME NOME e COGNOME NOME, che distribuiva lo stupefacente sul territorio nazionale), con rigorosa ripartizione dei capi d’imputazione tra i due gruppi, indice della separazione delle attività, per poi dedurne una stabile reciproca collaborazione.
b) Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/1990 e la mancanza di motivazione sulle doglianze esposte. Si deduce che la fattispecie normativa richiede solo la finalizzazione dell’accordo alla commissione dei delitti descritti dal comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990. Il ricorrente invoca l’arresto di legittimità costituito da Sez. 6 n. 12197 del 2020, che, contrariamente ad altra opinione emersa in giurisprudenza, avrebbe evidenziato la corretta interpretazione della norma. Al contrario, la sentenza di primo grado aveva introdotto, nelle pagine 220 e 222, nuovi elementi ostativi alla configurabilità della fattispecie, indicando la molteplicità degli episodi di approvvigionamento e spaccio al dettaglio, l’ampio arco temporale, sintomatici
della movimentazione di significative quantità di stupefacenti, il riparto dei ruoli tra i sodali, pure indicativi di una capacità di rifornimento stabile e continua. Sostiene il ricorrente che si era trattato di un numero contenuto di cessioni (108), e quasi tutte in un piccolo comune o in uno allo stesso adiacente, avvenute in due anni, né vengono indicati gli affermati apprezzabili guadagni venuti alla luce.
3.4. Con ulteriore ricorso, impugna la sentenza, a mezzo del proprio difensore, NOME COGNOME, con i seguenti motivi :
a) Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla fattispecie associativa di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990. Lamenta che la ricostruzione dei fatti sia stata realizzata in modo fuorviante e pretestuoso, basandosi esclusivamente su registrazioni effettuate senza considerare il contesto degli accadimenti. Così era avvenuto per la valutazione del contenuto della conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME del 29 giugno 2008. Tale conversazione, infatti, non era stata ritenuta idonea a fondare la responsabilità penale del COGNOME per il reato associativo, giudicato in altro procedimento dalla Corte d’appello di Napoli. Del tutto insufficiente era poi la motivazione riferita all’elemento soggettivo del reato e cioè relativa alla consapevolezza dell’esistenza del sodalizio criminoso di cui al capo 1 e alla volontà di farne parte. Si era ritenuta l’esistenza dell’associazione criminosa sulla base della mera reiterazione di episodi di cessione, peraltro poi dichiarati prescritti quasi interamente. Non era stata individuata una base logistica nella quale confezionare e tagliare la droga. Altro elemento di grave contraddizione sarebbe poi l’aver individuato due sottogruppi all’interno dell’associazione senza individuare un accordo comune tra i medesimi.
b) Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990, relativamente alle contestazioni di cui ai capi 2), e 3) riguardanti le cessioni a NOME COGNOME, che, come detto, era stato assolto, a Brescia. Nelle telefonate non vi era alcun elemento che consentisse di pervenire alla conclusione che si trattasse di cessione di stupefacente, né si precisa la quantità e il corrispettivo. Al capo 3) era poi rimasta irrisolta la ricostruzione della effettiva consegna e disponibilità dello stupefacente in capo all’imputato. Altrettanto privo di sostegno adeguato era stato l’accertamento degli episodi riferiti a NOME COGNOME di cui al capo 4) e al capo 5).
c) Con il terzo motivo di ricorso, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ragione del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione. Si evidenzia l’illogicità della sentenza d’appello che, pur richiamandosi a quella di primo grado, ha definito COGNOME NOME NOME del RAGIONE_SOCIALE, mentre il GUP aveva negato che lo stesso rivestisse il
ruolo di promotore, organizzatore e direttore del sodalizio associativo. Non si erano tenute in considerazione le numerose indicazioni (interruzione dei contatti criminosi, trasferimento dell’intero nucleo familiare nel Sud della Sardegna, positivo espletamento di lavoro di pubblica utilità, stabile occupazione lavorativa).
d) Con il quarto motivo, il ricorrente si duole che i capi 2), 3), 4) e 5) non siano stati riqualificati ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.p.r. n. 309/1990, nonostante ci si trovasse in situazioni di incertezza in ordine alla ricorrenza di elementi fattuali che integrino la fattispecie più grave.
e) Con il quinto motivo, deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, in relazione alla mancata qualificazione del delitto di associazione nella fattispecie di cui al comma 6, in assenza di valide risultanze probatorie che avrebbero dovuto condurre ad una interpretazione in favor rei e si richiama giurisprudenza in tal senso.
Con il sesto motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod.proc.pen., in difetto di prova della responsabilità in ordine ai reati ascritti ai capi 1) art. 74 d.P .R. n. 309/1990, 2), 3), 4) e 5) art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990. I contenuti delle registrazioni sarebbero di significato neutro o criptico, comunque inidonei a supportare l’accertamento di responsabilità.
Con ulteriore ricorso, a mezzo del difensore, impugna la sentenza della Corte d’appello NOME COGNOME , articolando un unico motivo, con il quale deduce vizio di motivazione, con riferimento al punto della decisione che ha disatteso il motivo d’appello relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Sostiene il ricorrente che l’unica ragione addotta era stata quella della gravità della condotta tenuta dal ricorrente, senza adeguatamente confrontarsi, come invece richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, con le ulteriori emergenze processuali, puntualmente fatte valere. In particolare, non si era tenuto conto della incensuratezza dell’imputato e della sua giovane età, nonché dell’elevato arco temporale (venti anni) trascorso dal momento in cui si erano verificati i fatti e della irreprensibile condotta serbata in tale periodo.
3.5. NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, impugna la sentenza , articolando due motivi, sintetizzati come segue:
Con il primo motivo, deduce l’erronea applicazione della disciplina del concorso di persone nel reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990. In particolare, con riferimento al reato contestato sub 5) del capo d’imputazione, la ricorrente lamenta una distorta ricostruzione dell’accadimento, sia sotto il profilo temporale che sotto quello soggettivo, giacché, esaminando storicamente e logicamente il fatto contestato (artt. 110 e 81 cod. pen. e art. 73 d.P.R.: n. 309/1990 per aver
promesso in vendita ad COGNOME NOME un quantitativo imprecisato di cocaina, tra novembre e dicembre 2008) risulterebbe evidente che il fatto è diviso in due porzioni autonome e indipendenti tra di loro. La prima fase sarebbe caratterizzata da accordi e trattative per l’acquisto dello stupefacente da trasportare e rivendere a Palermo, fase alla quale la ricorrente era rimasta del tutto estranea. La seconda fase, relativa alla effettiva vendita dello stupefacente a persone siciliane. In tale fase effettivamente si era verificata la disponibilità dichiarata dall’imputata al COGNOME di trasportare lo stupefacente in Sicilia, senza che però ciò avvenisse realmente. Il ruolo della COGNOME nell’attività criminale avrebbe avuto carattere penale solo se l’accordo tra venditore e acquirente si fosse effettivamente concluso, perché vi sarebbe stata la reale disponibilità della droga da trasportare.
b) Con il secondo motivo, si deduce la erronea qualificazione del reato contestato, giacché la Corte non avrebbe fatto applicazione dei principi in tema di reato tentato in simili fattispecie. Il momento qualificante ai fini della responsabilità penale, cioè la individuazione del momento di consumazione del reato e non del solo tentativo, starebbe nella detenzione autonoma dello stupefacente da parte del singolo soggetto in verifica. L’evento finale (acquisto, per la prima parte del fatto, trasporto, per la seconda parte del fatto (quella rilevante per la ricorrente) a cui gli atti erano diretti non si è mai verificato.
In tal senso si era infatti pronunciata la giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di distinzione tra tentativo e reato consumato in ipotesi di importazione dall’estero di sostanze stupefacenti. Dunque, nel caso di specie, si sarebbe dovuta ritenere l’ipotesi di cui all’art. 56 cod.pen. e non quella del reato consumato.
All’odierna udienza, disposta la trattazione orale, ai sensi dell’art. 611, comma 1 ter cod.proc.pen., come modificato dal d.l. 29 giugno 2024 n. 89, conv. dalla legge 8 agosto 2024 n. 120, le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME criticano, con il primo motivo, la tenuta motivazionale della sentenza della Corte d’appello quanto alla presenza degli elementi costitutivi della fattispecie associativa contestata.
I motivi, che pongono questioni analoghe e per questo vanno trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati.
Va premesso che, vertendosi in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, COGNOME, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
La Corte territoriale, dopo aver delineato il quadro interpretativo emergente dalla elaborazione giurisprudenziale di legittimità, ha motivato in maniera congrua e consequenziale il proprio convincimento.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha avuto modo di consolidare la propria interpretazione in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice in esame, individuandoli, in particolare: nella presenza di un accordo criminoso (c.d. pactum sceleris ), che crei un vincolo di natura permanente fra tre o più persone; del perseguimento di un programma criminoso volto al compimento di una serie indeterminata di delitti in materia di stupefacenti; nell’esistenza di una minima struttura organizzativa di carattere stabile e, quindi, destinata a perdurare anche dopo la consumazione dei singoli delitti scopo. Quanto all’accordo criminoso, è pacifica la non necessità della formalizzazione del medesimo o delle manifestazioni di adesione al sodalizio, essendo sufficiente l’esistenza di fatto della struttura prevista dalla legge, in cui si innesta il contributo consapevole apportato dal singolo nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune (Sez. 4, n. 26602 del 17/04/ 2025 non mass.; Sez. 4, n. 37291 del 31/05/2023, non mass.; Sez. 2, n. 43327 del 08/10/2013, Rv. 256969 – 01; Sez. 6, n. 8046 del 08/05/1995, Rv. 202031 – 01). L’essenza della fattispecie sta dunque nell’accordo di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie e altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune.
Tale attuazione, peraltro, non è richiesta necessariamente. Il delitto di associazione è perfezionato anche per l’aver concordato quanto sopra, pur se a tale accordo non fa seguito la commissione dei singoli reati scopo, seppur tale ultimo aspetto può rendere più facile l’identificazione dell’associazione.
È ritenuta corretta regola di giudizio e d’inferenza logica, finalizzata all’accertamento del sodalizio dedito al traffico di sostanze stupefacenti, la ponderazione di indici rinvenuti nei fatti accertati, quali le comuni modalità esecutive e la ripetitività delle condotte integranti i reati scopo oggetto del programma criminoso. In tale prospettiva, assume valore la ripetuta e non occasionale commissione, in concorso con altri partecipi, di reati-fine dell’associazione, giacché la stessa, pur non necessaria, può offrire la prova della condotta del partecipe, posto che si apprezza in concreto l’operatività della compagine criminale (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279505 02; Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 265346 – 01; cfr., anche Sez. 3, n. 9036 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 282838 – 01, con la precisazione che tali condotte debbono essere espressive di forme di interazione nell’ambito del RAGIONE_SOCIALE organizzato).
La prova della partecipazione può essere data anche con mezzi e modi diversi dalla prova del concorso nei singoli traffici (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 02; Sez. 3, n. 40749 del 05/03/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 264826 – 01); trattandosi, infatti, di reato a forma libera, rileva qualsiasi comportamento che apporti contributo, ancorché minimo ma non insignificante alla vita della struttura, consapevolmente funzionale al programma delittuoso, a nulla rilevando che questo non integri, di per sé, alcun reato – fine. In ordine, poi, all’elemento organizzativo, non è richiesta la presenza di una complessa ed articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture sia pure rudimentali, deducibile dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune: una struttura che, quindi, fornisca un supporto stabile alle singole deliberazioni criminose, per la necessità che il sodalizio si protragga per un apprezzabile periodo di tempo idoneo a consentire ad esso di operare validamente (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275583 – 01; Sez. 5, n. 11899 del 05/11/1997, COGNOME, Rv. 209646 – 01; Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995, COGNOME, Rv. 202038 – 01).
In ordine all’elemento psicologico, va detto che il dolo del delitto di associazione a delinquere è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e, quindi, del programma delinquenziale in modo stabile e permanente. Per la costituzione del sodalizio non è necessaria la esplicita manifestazione di una volontà associativa, la consapevolezza dell’associato può essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione (Sez. 1, n. 45297 del 05/11/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 10076 del 24/09/1998, Burgio, Rv. 213978 – 01).
6.La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi. In particolare, dalla lettura congiunta delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito, si evincono le ragioni per le quali è stata affermata la responsabilità penale dei ricorrenti per il reato previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309/1990.
La sentenza di primo grado, ha osservato la Corte d’appello, ha fatto riferimento, alle pagine 19 e seguenti, alle attività tecniche di intercettazione telefonica, agli appostamenti, alle verifiche e ai controlli documentali, alle osservazioni, ai pedinamenti e alle sommarie informazioni testimoniali rese dall’acquirente di turno, fonti di prova compendiate nella nota informativa della Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza del 14 settembre 2011. I giudici del merito hanno ritenuto intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili i soggetti intercettati. Gli stessi, dunque, quando parlavano di droga, lo facevano per averne diretta e personale disponibilità e ciò in quanto i soggetti in questione si esprimevano nella convinzione di poter parlare tranquillamente; gli stessi utilizzavano nomi o soprannomi noti ad ognuno di loro, sia per indicarsi vicendevolmente o per indicare terzi soggetti non partecipanti alla conversazione o anche per segnalare all’interlocutore località prefissate per gli incontri o tragitti da compiere. I colloqui hanno fatto riferimento, con linguaggio chiaro, alle sostanze stupefacenti (parlando di 100 gr., 130 gr., di femmina grossa, ragazza piccola) lasciando chiaramente intendere che gli interlocutori alludessero allo stupefacente. Nelle occasioni in cui gli intercettati hanno preferito utilizzare un linguaggio volutamente criptico e cifrato, ad avviso dei giudici del merito, è emersa la assoluta illogicità derivante dalla lettura del contenuto del dialogo, unitamente all’utilizzo di termini del tutto estranei all’attività legittimamente esercitata dai soggetti interessati.
7. Ascoltando tali conversazioni, gli operanti avevano avuto modo di sentire a SIT gli acquirenti di turno, talvolta recuperando la sostanza ceduta, e allo stesso tempo trovando conferma del significato anche delle conversazioni diverse ove era stato utilizzato il medesimo linguaggio. È stato messo in evidenza come la maggior parte degli imputati, raggiunti da provvedimento cautelare, avevano ammesso gli addebiti nel corso dell’interrogatorio di garanzia. L’ascolto delle intercettazioni aveva consentito di identificare gli interlocutori tenendo conto anche dei servizi di osservazione tradizionali, ad eccezione della posizione di NOME COGNOME.
La responsabilità penale di NOME COGNOME e NOME COGNOME (alias NOME), di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in ordine al reato di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309/1990, in sintesi, è stata affermata dal GUP in ragione dell’accertata costante, continuativa e assoluta ripetitività dei rapporti illeciti tra i
soggetti coinvolti nei singoli episodi criminosi in tema di stupefacenti emersi dalle fonti di prova raccolte (pag. 142 sentenza di primo grado), essendo stati accertati i ruoli, stabili e definiti, ricoperti da ciascun imputato. NOME COGNOME si riforniva periodicamente di sostanza stupefacente presso il RAGIONE_SOCIALE criminoso facente capo a COGNOME NOME alias ‘NOME‘, prima e, dopo l’arresto di questi, in stretto contatto con NOME COGNOME e NOME COGNOME alias ‘NOME‘.
NOME COGNOME, come era emerso chiaramente dalla intercettazione del 28 dicembre 2008, coadiuvato dagli stretti collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME (suoi suoceri), nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME, distribuiva i quantitativi di stupefacente ottenuti a persone diverse in tutto il territorio nazionale, ivi compreso il RAGIONE_SOCIALE capeggiato da NOME COGNOME e NOME COGNOME. Questi ultimi due sovraintendevano alla piazza di spaccio tenendo contatti telefonici con gli acquirenti e, in caso di necessità, si occupavano in prima persona della consegna dello stupefacente concordata telefonicamente. NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME si occupavano, insieme ad altri corrieri processati separatamente, del trasporto e della consegna all’acquirente di turno degli stupefacenti. Il giudice ha espressamente escluso che ricorresse una frattura tra il RAGIONE_SOCIALE degli approvvigionatori (COGNOME NOME e collaboratori) e quello di coloro i quali riceveva lo stupefacente e lo immetteva nel mercato, per la continuità e stabilità dei reciproci rapporti che costituiva il vincolo durevole, presupposto del reato associativo. Non rileva che i partecipi al RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME non abbiano preso parte alle cessioni di stupefacente contestate al primo RAGIONE_SOCIALE, atteso che queste erano espressione di attività autonoma e differente rispetto a quella, continuativa e reiterata, che realizza la stabile fornitura di stupefacente in favore del RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME. L’organizzazione, dunque, prevedeva il rifornimento delle varie piazze di spaccio da parte NOME COGNOME, mentre NOME COGNOME e NOME COGNOME curavano l’organizzazione della turnazione dei vari spacciatori, secondo orari e periodi ben definiti, senza mai lasciare la zona incustodita. La raccolta del denaro provento dell’attività veniva poi consegnata a chi teneva le fila del RAGIONE_SOCIALE.
8. La Corte d’appello, confermando totalmente l’ iter logico e motivazionale del primo giudice, ha respinto la tesi della insussistenza dell’associazione a delinquere, legata alla affermata inesistenza di un programma predeterminato tra gli imputati, all’assenza dell’ affectio societatis in capo ai medesimi, nonché alla autonomia gestionale dell’attività di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che cedevano la sostanza stupefacente all’ingrosso, e l’attività di NOME COGNOME, NOME COGNOME e sodali, che si occupavano in proprio dello spaccio al dettaglio.
In sostanza, le doglianze sono state disattese sulla base delle seguenti considerazioni aggiuntive rispetto alla decisione del primo giudice:
è sufficiente, al fine di configurare il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, l’esistenza tra i partecipi di una durevole comunanza di scopo, costituito dall’interesse a immettere droga sul mercato del consumo, dunque il legame associativo sussiste anche tra venditori e acquirenti della sostanza, non rilevando la differente finalità individuale e la diversità degli utili che i singoli si propongono di ottenere dallo svolgimento dell’attività ( Sez. 2, n. 51714 del 23/11/2023, Rv 285646-01); inoltre, integra condotta partecipativa la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto del traffico dell’associazione, tale da determinare un durevole, ancorché non esclusivo, rapporto tra fornitore e spacciatore al minuto ( Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015 dep. 2016 Rv. 265764). Il reato associativo, dunque, non richiede, quanto all’attività di procacciamento e spaccio, una struttura articolata e complessa o una esplicita reciproca manifestazione di intenti, essendo sufficiente una struttura esile, cui i partecipanti possano fare reciproco affidamento, anche tacito. Neppure rileva che coloro i quali si occupano dell’approvvigionamento dello stupefacente perseguano lo scopo di assicurarsi stabilmente quantitativi di sostanza, mentre coloro i quali si occupano della vendita al dettaglio perseguono il diverso scopo di smerciare al fine di profitto la medesima sostanza (Sez. 5, n. 11899 del 5/01/1997, Rv 209646), perché il rapporto reciproco va oltre il significato negoziale della singola operazione e costituisce elemento strutturale di facilitazione delle condotte di tutti i partecipi. Inoltre, può ritenersi raggiunta la soglia necessaria a configurare il reato associativo, allorché il rapporto sinallagmatico, presente in ogni atto di cessione, si accompagni all’adesione dell’acquirente al programma criminoso dell’associazione, circostanza desumibile dalle modalità continuative dell’approvvigionamento dal RAGIONE_SOCIALE, dal contenuto delle transazioni, dalla rilevanza obiettiva che l’acquirente riveste per il sodalizio criminale (Sez. 6. n. 51500 dell’11/10/2018), anche se il fornitore esercita l’attività in condizioni di monopolio (Sez. 6, n. 10129 del 31/01/2024);
applicando tali principi alla fattispecie in esame, anche a voler tralasciare i rapporti parentali stretti esistenti tra NOME COGNOME e i suoceri (NOME COGNOME e NOME COGNOME), con NOME COGNOME e NOME COGNOME (figlio di NOME COGNOME e NOME COGNOME), con l’evidente cointeressenza criminosa che ciò comporta, la diversa dimensione operativa esistente tra i due gruppi rappresenta solo un riparto di competenze esistente tra i medesimi e non una cesura strutturale;
c) vi era prova della partecipazione di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, unitamente a COGNOME e COGNOME, al sodalizio capeggiato da NOME COGNOME proprio per la stabilità degli acquisti di sostanza stupefacente, che
avvenivano mediante approvvigionamento continuativo ed esclusivo dalle mani di NOME COGNOME e NOME, con ciò assicurando ai sodali la possibilità di immettere sul mercato, costantemente, stupefacente, anche quando i due fornitori non avessero modo nell’immediato di reperire un acquirente fuori regione. Vi era dunque un programma generale e predeterminato in larga scala;
d) la prova della partecipazione al sodalizio di NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché del loro figlio NOME COGNOME, nonché la sussistenza dell’ affectio societatis, è stata tratta agilmente, oltre che dalla loro confessione, dal fatto che NOME COGNOME era risultato pienamente inserito nel sottoRAGIONE_SOCIALE facente capo a NOME ( NOME COGNOME ) e NOME ( NOME), ed era stato visto cedere dosi di stupefacente ad innumerevoli clienti (capi 27,29,44, 45,61,82 e 108). I genitori erano risultati coinvolti nella gestione degli approvvigionamenti e delle cessioni di maggiore portata, quale quella di cui al capo 8), ascritta alla COGNOME, in particolare, la fonte probatoria viene individuata nelle intercettazioni captate nella casa dei due fra novembre 2008 e gennaio 2009 (n. 1164 del 27 dicembre 2008 pag. 193 della sentenza di primo grado), che rivelavano il pieno e consapevole apporto che fornivano al COGNOME.
Le ragioni poste a sostegno dell’affermazione di responsabilità resistono alle critiche formulate dai diversi ricorrenti. In particolare, quanto alla posizione di NOME COGNOME, non intacca la coerenza logica della motivazione in punto di rilevanza dell’intercettazione relativa alle conversazioni intercorse, nel progressivo n. 161 del 29 giugno 2008, tra lo stesso NOME COGNOME e COGNOME, il dato che quest’ultimo, giudicato separatamente, sia stato assolto dalla medesima imputazione, per carenza di prova in ordine all’affectio societatis . Il motivo reitera l’argomento già speso in appello, a fronte del quale la Corte territoriale ha osservato che il COGNOME, assolto per il reato associativo, era stato ritenuto responsabile per i reati fine di cui ai capi 2) e 3) contestati anche ad NOME COGNOME, e tali episodi, per le ragioni sopra indicate sulla regola di giudizio applicata, risultavano confermativi del complessivo ruolo assunto da quest’ultimo.
A tale spiegazione nulla oppone il ricorrente, per cui il motivo assume connotati evidenti di genericità. Anche le altre critiche non risultano specifiche, difettando del tutto una idonea contrapposizione rispetto al quadro analiticamente tracciato dai giudici del merito.
Altrettanto deve dirsi per il motivo proposto da NOME COGNOME, il quale ribadisce la tesi della insussistenza dell’associazione a delinquere per la cesura tra l’attività del RAGIONE_SOCIALE gestito da NOME COGNOME e quello proprio. Il punto, come si
è detto, trattando la questione dal punto di vista complessivo, è stato disatteso da entrambi i giudici del merito rinviando correttamente ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità e, in fatto, (alla pag. 146 della sentenza di primo grado) facendo riferimento : alle conversazioni intercettate dalle quali era emersa l’attività continuativa, rilevante ai fini della realizzazione del programma dell’associazione, svolta dall’imputato in stretta collaborazione con NOME COGNOME e (alla pag. 156) relativa all’organizzazione dei corrieri che effettueranno le consegne; alla fissazione dei turni degli spacciatori (pag. 162); all’esistenza di un parco macchine utilizzate per il trasporto dello stupefacente; alla esistenza di un sistema di solidarietà interno all’organizzazione criminale ( pag. 168).
12. Quanto sin qui esposto, va riferito anche al motivo proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME, appartenenti al RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME. Si tratta di deduzione del tutto generica e priva di specificità che non risponde ai contenuti anche della sentenza di primo grado che, richiamata dalla Corte d’appello, si salda con la sentenza di secondo grado, in quanto conforme nell’accertamento dei fatti rilevanti per l’affermazione di responsabilità.
13. Altro profilo comune ai ricorsi degli imputati per i quali è stata riconosciuta la responsabilità per il reato di associazione a delinquere con finalità di traffico di stupefacenti è quello che critica l’inquadramento delle condotte accertate nella fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, anziché nella ipotesi del concorso di persone nei singoli episodi accertati relativi alla cessione. Anche questo profilo, già ampiamente disatteso dai giudici del merito, non supera il vaglio di ammissibilità, in quanto le deduzioni dei ricorrenti risultano manifestamente infondate in diritto. La decisione impugnata si pone in linea con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità anche in relazione al discrimine con il concorso di persone nel reato continuato. Il criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e concorso di persone nel reato continuato, deve incentrarsi essenzialmente nel carattere dell’accordo criminoso, che, nelle seconda ipotesi, si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati (eventualmente ispirati da un medesimo disegno criminoso, che, tutti, comprenda e preveda), con la realizzazione dei quali, si esaurisce l’accordo dei correi – con cessazione di ogni motivo di pericolo di allarme sociale – mentre nella prima, l’accordo criminoso risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati, che, come detto, non è richiesta per
la sussistenza del reato (Sez. 2, n. 22906 del 08/03/2023, Bronzellino, Rv. 284724 – 01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, COGNOME, Rv. 258009 – 01).
14. Va osservato che, seppure la stabilità del vincolo associativo e l’indeterminatezza del programma criminoso possano essere provati anche attraverso la valutazione dei reati scopo, è necessario che, nel loro realizzarsi, gli stessi elementi siano riconducibili ad un’organizzazione stabile e autonoma, e risultino espressivi di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi. A differenza del fenomeno associativo, nel concorso di persone nel reato continuato l’accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto diretto soltanto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno (così, Sez. 6, n. 36131 del 13/05/2014, Torchia, Rv. 260292 – 01). Sicché, l’associazione, a differenza del concorso, rappresenta essa stessa una struttura idonea a costituire un supporto stabile all’attività criminale, per la permanenza del vincolo, per la stessa consapevolezza, da parte degli associati, della protrazione del vincolo associativo oltre la consumazione dei singoli reati scopo (c.d. affectio societatis scelerum ). Nel caso di specie, come si è rilevato, i giudici di merito hanno accertato la disponibilità di mezzi per l’esecuzione delle azioni delittuose, la suddivisione dei compiti tra gli associati – tra cui un soggetto deputato a organizzare i turni avvicendati, a raccogliere i proventi quotidiani – la condivisione di un protocollo comunicativo volto a dissimulare il reale contenuto dei dialoghi, nonché l’adozione di un collaudato modus operandi . In tale contesto, le ripetute cessioni di stupefacente, avvenute secondo una tecnica condivisa in uso ai sodali, con l’ausilio di utenze fittiziamente intestate a terzi soggetti, sono state ritenute indicative di una pur rudimentale struttura, all’interno della quale vi erano regole ben precise anche per quanto riguarda la distribuzione dei compiti tra gli associati. Il profilo organizzativo è stato ulteriormente argomentato in ragione della presenza di forme di resoconto giornaliero dei ricavi e di controllo sull’operato dei sodali da parte degli esponenti apicali, della gestione della contabilità riferita agli affari del sodalizio, nonché della esistenza di misure di solidarietà a favore dei sodali.
15. Correttamente, quindi, i giudici di merito hanno tratto da tali indicatori la prova del carattere non occasionale dell’accordo, e della comune consapevolezza di contribuire al perseguimento di un programma delittuoso aperto (solo genericamente contestata in ricorso), poiché teso a realizzare una serie non preventivamente determinata di delitti.
Altro motivo comune ai ricorrenti riguarda il mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (quinto motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME; secondo motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME; secondo motivo di ricorso nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME NOME; secondo motivo nell’interesse di NOME COGNOME).
Secondo un insegnamento di legittimità, ancora ampiamente condiviso, tale autonoma ipotesi delittuosa (Sez. U. 34475 del 23/6/2011, COGNOME, Rv. 250352 – 01) è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278098 – 01; Sez. 6, n. 49921 del 25/01/2018, C., Rv. 274287 – 02, in un caso in cui l’ipotesi lieve è stata esclusa valorizzando la concreta capacità operativa, l’articolata organizzazione e la capacità di approvvigionamento continuo e sistematico di sostanza stupefacente; Sez. 4, n. 53568 del 05/10/2017, COGNOME, Rv. 271708 – 01, in un caso in cui l’esclusione è stata fondata valorizzando l’entità delle forniture concordate; Sez. 6, n. 12537 del 19/01/2016, COGNOME, Rv. 267267 – 01).
La formulazione della norma lascia intendere che in tali casi il patto associativo, sia pur connotato, nella sua attuazione, da rudimentali profili organizzativi, deve fondarsi su una progettualità relativa a fatti che non oltrepassino la soglia della lieve entità: in tal senso depone il riferimento della norma incriminatrice al fatto che l’associazione deve essere “costituita” per commettere i reati di cui dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. L’aver attribuito rilevanza al momento genetico dell’associazione, conduce a ritenere che la “lieve entità” dei fatti deve caratterizzare la struttura associativa sin dalla sua nascita e deve investire sia il momento dell’approvvigionamento, sia le fasi successive. Assumono rilievo, quindi, sia il momento genetico, sia l’effettiva dinamica operativa del sodalizio: l’ipotesi lieve deve perciò confrontarsi anche con le potenzialità dell’organizzazione, in relazione ai quantitativi di sostanze che il RAGIONE_SOCIALE è in grado di procurarsi, eventualmente in maniera continuativa (Sez. 4, n. 34920 del 14/06/2017, B., Rv. 270803 – 01; Sez. 4, n. 38133 del 2/7/2013, COGNOME, Rv. 256289 – 01). Contrariamente a quanto genericamente sostenuto dai ricorrenti, non può quindi ritenersi che l’ipotesi di cui al comma 6 dell’art. 74 debba essere valutata ‘soggettivamente’ (pag. 5 ricorso nell’interesse di COGNOME
NOME): l’autonoma fattispecie incriminatrice è infatti modellata sulle caratteristiche del sodalizio, non della condotta del singolo partecipe, che semmai rileva in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
Nel caso di specie, la Corte territoriale (pag. 24 e ss.), facendo corretta applicazione di tali principi ha scrutinato entrambe i profili, escludendo l’ipotesi delittuosa di cui al menzionato comma 6 innanzitutto perché non tutti i reati commessi in esecuzione del pactum sceleris sono caratterizzati dalla lieve entità: il riferimento è all’elevato numero di consegne di droga accertate tramite le attività di intercettazione, oltretutto effettuate in un arco temporale relativamente ristretto; la stabilità dei rifornimenti di droga e l’eterogeneità delle sostanze trattate, sia droga leggera che pesante; i quantitativi significativi di sostanza stupefacente movimentati dal RAGIONE_SOCIALE, evincibili anche dagli apprezzabili guadagni venuti alla luce; esistenza di un adeguato e strutturato apparato organizzativo con attribuzione di ruoli specifici, indici tali da non far rilevare l’esistenza di alcuni episodi di smercio di dosi minime, posto che sono ipotesi molto numerose concentrate in pochi mesi.
Così facendo, i giudici di merito si sono attenuti ai ricordati principi di diritto, con giudizio in fatto logicamente motivato, e pertanto insuscettibile di essere sottoposto al sindacato di legittimità. Né i ricorrenti si confrontano con l’orientamento giurisprudenziale che esclude la fattispecie di cui al comma 6 nei casi in cui, come quello per cui si procede, è possibile apprezzare l’indeterminata estensione della clientela in un territorio (Sez. 6, n. 50382 del 18/11/2014, COGNOME, non mass.).
Vanno ora esaminati i restanti motivi di ricorso proposti nell’interesse di NOME COGNOME. Si tratta, in primo luogo, del secondo motivo, relativo ai capi 2) e 3) dell’imputazione, mediante il quale il ricorrente afferma difettare la prova della propria responsabilità quanto ai due episodi di cessione di stupefacente in favore di NOME COGNOME, il quale era stato assolto in seno ad altro procedimento. Altrettanto si deduce quanto ai capi 4) e 5), in ragione del vizio di motivazione relativo alla effettiva concreta disponibilità della sostanza stupefacente promessa in vendita. Analogo contenuto si rinviene nel quarto motivo.
I motivi sono aspecifici. La Corte territoriale ha esplicitamente confermato e condiviso il ragionamento probatorio svolto dal GUP in ordine alle contestazioni sub 2), 3), 4), 5), 6 e 7), precisando che quella sub 3) era stata accertata tramite l’arresto del COGNOME in flagranza del trasporto di 2 kg. di cocaina.
La Corte ha rilevato che il COGNOME era stato ritenuto estraneo solo al reato di associazione ma non al delitto di cessione. Il GUP, poi, come esplicitato alle pagine 24 a 36, aveva tratto i riscontri della responsabilità del COGNOME nelle cessioni in discussione dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, i cui contenuti sono stati pedissequamente riportati e con i quali il ricorrente non si confronta, limitandosi a ipotizzare lacune motivazionali in realtà non esistenti.
Il terzo motivo articolato da NOME COGNOME, riferito al trattamento sanzionatorio in ragione della mancata risposta da parte della Corte territoriale alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, è manifestamente infondato. Infatti, la Corte territoriale, ha preso atto dell’impegno lavorativo assunto e del cambiamento di vita rappresentato, motivando la decisione di ritenere adeguata la pena complessiva (pena base 15 anni di reclusione e aumento di mesi sei di reclusione per ciascun reato in continuazione), anche in ragione del ruolo di NOME svolto dal COGNOME, non condividendosi, peraltro, la decisione di primo grado sull’assenza della qualità di capo del RAGIONE_SOCIALE, e comunque tenuto conto del rilevante contributo fornito all’incremento del consumo di stupefacenti nell’area territoriale di riferimento.
Va esaminato il motivo articolato da NOME COGNOME, con il quale si lamenta la mancata motivazione in ordine alla prescrizione dei reati contestati sub 3), 5), 9) e 10). Il motivo è manifestamente infondato, giacché non si configura alcun obbligo motivazionale, in capo alla Corte d’appello rispetto ai reati per i quali non è decorso il termine di prescrizione, anche se tale termine risulta decorso per alcuni dei reati contestati, i quali erano stato riqualificati dal Gup quale ipotesi lievi.
Va esaminato il ricorso proposto da NOME COGNOME.
Il primo e il secondo motivo, connessi e da trattare unitariamente, sono manifestamente infondati. Il reato di cui a capo 5), per il quale è stata accertata la responsabilità penale della ricorrente, ha ad oggetto la promessa in vendita, in concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e in esecuzione di un unico disegno criminoso, e la detenzione al fine di cederlo a terzi di un quantitativo non precisato di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, promesso in vendita ad COGNOME NOME, in Napoli, nel periodo novembre – dicembre 2008.
La Corte d’appello, ribadendo il convincimento del GUP, ha chiarito che la COGNOME è stata coinvolta, in concorso con NOME COGNOME e COGNOME, in una singola operazione di offerta in vendita ad acquirenti palermitani di un ingente carico di cocaina (circa due Kg), precedentemente acquistata da un grossista locale
(NOME COGNOME). È stato ricostruito in fatto che la COGNOME, su mandato di NOME COGNOME, alla fine di novembre del 2008, avrebbe dovuto recarsi a Palermo con traghetto di linea a bordo di un’ autovettura noleggiata per l’occasione. Nonostante l’apprestamento della trasferta, il viaggio non fu realizzato perché l’COGNOME rifiutò di consegnare la merce senza essere integralmente pagato con la somma pattuita di euro 80.000. Già in appello, la ricorrente aveva proposto motivi del tutto coincidenti con quelli di ricorso e la Corte territoriale, correttamente, li aveva disattesi. In primo luogo, dall’accertamento in fatto era emersa la piena partecipazione con assunzione di compiti rilevanti da parte della COGNOME nell’operazione di acquisizione e successiva cessione dello stupefacente.
La Corte territoriale ha richiamato la sentenza del GUP che, alle pagine 43 e ss., ha dato conto del colloquio intercorso, nel novembre 2008, tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, dal quale si era appreso che il sodalizio cercava di acquistare a credito, da tale NOME COGNOME, una fornitura di stupefacente destinata a NOME COGNOME, a Palermo. Una volta avuta la conferma della disponibilità della droga, NOME COGNOME contattò immediatamente NOME COGNOME (pag. 44 sentenza di primo grado) e la donna, come richiesto, noleggiò una autovettura che, come le aveva spiegato NOME COGNOME nel corso del viaggio fatto il giorno precedente per renderla edotta dei luoghi e della persona che avrebbe incontrato, doveva servire al trasporto della droga a Palermo. A pag. 47 della sentenza del GUP, vengono riportati i dettagli delle intercettazioni relative al viaggio compiuto dalla COGNOME e da NOME COGNOME, nonché i contenuti dei dialoghi intrattenuti da NOME COGNOME con NOME COGNOME, ivi compreso quello dal quale si evince che il trasporto a Palermo non avvenne in quanto il fornitore COGNOME ritirò la disponibilità a effettuare a credito la consegna dello stupefacente che la Bardi avrebbe dovuto trasportare a Palermo.
28. Dunque, la motivazione addotta dai giudici del merito ha dato conto della partecipazione, sin dalla fase della programmazione del trasporto, della ricorrente all’operazione di cessione e della sua piena consapevolezza anche dei dettagli. Il mancato completamento del piano, non essendo avvenuto il viaggio programmato per la consegna dello stupefacente, non impedisce la configurabilità del reato consumato. Vale infatti il principio, correttamente richiamato dalla sentenza impugnata, secondo il quale (S ez. 4, n. 6781 del 23/01/2014, Rv. 259283 – 01) si configura il tentativo di acquisto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio quando l'” iter criminis ” si sia interrotto prima della conclusione dell’accordo tra acquirente e venditore in ordine alla quantità, alla qualità e al prezzo della sostanza. Viceversa, risulta integrata la fattispecie dell’offerta in vendita,
ritualmente contestata. In particolare, (Sez. 2, n. 32299 del 22/05/2001 – 01) in tema di commercio di sostanze stupefacenti, nel caso venga raggiunto un accordo per la cessione di un determinato quantitativo di droga, ma manchi del tutto la prova dell’avvenuta consegna di questa, non si configura a carico del venditore il reato di tentata cessione, bensì il reato consumato di “offerta in vendita” della sostanza, espressamente disciplinato dall’art.73 del DPR 9 ottobre 1990, n.309. Nell’affermare tale principio, la Corte ha ricordato che altre fattispecie criminose, come quelle previste dagli artt.474, 516 e 517 del cod.pen., considerano reato la sola condotta di messa in commercio di un prodotto, rappresentando essa un attentato al bene oggetto di tutela, e che l’ipotesi di “offerta in vendita” viene dal citato art.73 parificata alla vendita vera in propria in quanto il legislatore ha inteso essenzialmente reprimere il pericolo di traffico di stupefacenti e prevenire le conseguenze dannose dello spaccio.
Nel caso di specie, le parti avevano raggiunto l’accordo su prezzo e sostanza, effettivamente disponibile da parte del fornitore, ma l’operazione non si realizzò perché fu preteso il pagamento contestuale ed integrale del prezzo alla consegna.
Infine, è aspecifico e, quindi, inammissibile, l’unico motivo di ricorso proposto da NOME COGNOME, relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte d’appello ha motivato sul punto, rilevando che, nonostante l’incensuratezza dell’imputato, lo stesso non era meritevole della concessione delle attenuanti generiche in ragione della gravità della sua condotta, desumibile dalla rilevante entità della partita che si stava apprestando a smerciare. Si tratta di motivazione non affetta da anomalie evidenti, per cui sfugge al sindacato di legittimità, dal momento che in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione. (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269).
In definitiva, nessuno dei ricorsi supera il vaglio di ammissibilità, per cui gli stessi vanno dichiarati inammissibili. I ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen. come indicato in dispositivo, non ricorrendo ipotesi di esonero per assenza di colpa.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così è deciso, il 2 ottobre 2025.
Il Consigliere est. Il Presidente
NOME COGNOME NOME Dovere