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Associazione a delinquere stupefacenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato accusato di essere a capo di un’associazione a delinquere stupefacenti. La Corte conferma la misura cautelare, ritenendo sufficienti le prove raccolte (intercettazioni, dichiarazioni di coimputati) per dimostrare il ruolo organizzativo del ricorrente, a prescindere dal numero di cessioni di droga contestate.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere stupefacenti: quando le prove sono sufficienti per la custodia cautelare?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per valutare la gravità indiziaria in casi di associazione a delinquere stupefacenti, confermando una misura di custodia cautelare in carcere per un individuo ritenuto capo e promotore di un sodalizio criminale. La decisione sottolinea come, per dimostrare l’appartenenza a un’organizzazione, non conti tanto il numero di reati commessi, quanto il ruolo stabile ricoperto al suo interno e la volontà di farne parte.

I fatti del caso: il ricorso contro la misura cautelare

Il caso riguarda un uomo accusato di essere a capo di un’organizzazione dedita allo spaccio di droga in una città del sud Italia. Il Tribunale del riesame aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP. L’indagato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:

1. Carenza dei gravi indizi di colpevolezza: La difesa sosteneva che le prove, principalmente intercettazioni telefoniche, erano state travisate. L’imputato viveva a oltre 150 km dal luogo dello spaccio e gli venivano contestate solo due cessioni in un’indagine durata tre anni, elementi ritenuti insufficienti a dimostrare un ruolo di organizzatore.
2. Contraddittorietà della motivazione: Per specifici episodi di cessione di droga, la difesa lamentava la mancanza di riscontri oggettivi alle dichiarazioni di un coimputato e l’interpretazione equivocale di alcune conversazioni.
3. Inutilizzabilità delle prove: Si contestava l’uso delle dichiarazioni spontanee rese da un correo alla polizia giudiziaria, in quanto avvenute in violazione delle norme processuali.

I criteri per l’associazione a delinquere stupefacenti secondo la Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il primo motivo di ricorso inammissibile per genericità. I giudici hanno chiarito che la partecipazione a un’associazione a delinquere stupefacenti non è legata al numero di operazioni di spaccio effettuate. Ciò che rileva è la cosiddetta affectio societatis, ossia la coscienza e la volontà di far parte stabilmente dell’associazione, e il rivestire una funzione specifica nelle sue dinamiche. Anche un contributo minimo e limitato nel tempo può essere sufficiente.

Nel caso specifico, le indagini avevano dimostrato che l’indagato si rapportava direttamente con un altro organizzatore del sodalizio, concordava i rifornimenti di droga e gestiva la rete di spacciatori, garantendo l’operatività dell’associazione. Questa ricostruzione, supportata anche dalle dichiarazioni di un collaboratore, è stata ritenuta sufficiente per configurare il suo ruolo di vertice.

La valutazione delle prove e delle intercettazioni

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’interpretazione del contenuto delle intercettazioni è una questione di fatto, di competenza del giudice di merito. Il sindacato di legittimità è possibile solo in caso di travisamento della prova (ossia una lettura palesemente errata del dato probatorio) o di manifesta illogicità della motivazione, vizi che la difesa non è riuscita a dimostrare. Il ricorso si limitava a proporre una lettura alternativa delle conversazioni, senza evidenziare errori logici nel ragionamento del Tribunale.

L’utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee

Infine, la Corte ha giudicato inammissibile anche il terzo motivo, relativo all’inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee di un coimputato. La giurisprudenza costante ammette l’utilizzo di tali dichiarazioni nella fase cautelare, a patto che emerga con chiarezza che siano state rese liberamente, senza alcuna coercizione, e che siano state correttamente verbalizzate. Inoltre, la Corte ha sottolineato come, nel caso di specie, quelle stesse dichiarazioni fossero state poi confermate dal coimputato durante successivi interrogatori formali, sanando ogni potenziale vizio.

Il principio della “critica argomentata”

La Corte ha concluso evidenziando che l’impugnazione deve consistere in una “critica argomentata” del provvedimento contestato. Non è sufficiente contestare genericamente le conclusioni del giudice o riproporre le stesse tesi difensive, ma è necessario indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che dimostrano l’illegittimità della decisione. In assenza di tale confronto critico, il ricorso è destinato all’inammissibilità.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. La Cassazione non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione delle prove a quella del Tribunale, ma deve limitarsi a verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica del ragionamento seguito. I motivi del ricorso sono stati giudicati inammissibili perché meramente contestativi e generici, non avendo individuato vizi specifici come il travisamento della prova o l’illogicità manifesta. La Corte ha riaffermato che, per l’esistenza di un’associazione criminale, è determinante il ruolo funzionale dell’associato e la sua volontà di contribuire al progetto criminale comune, piuttosto che il numero di singoli atti illeciti compiuti. La decisione sull’utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee è stata anch’essa basata su principi giurisprudenziali consolidati.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La sentenza ribadisce l’importanza di formulare ricorsi specifici e argomentati, capaci di evidenziare vizi concreti nel provvedimento impugnato, anziché limitarsi a una generica contestazione dei fatti. Viene così confermata la validità dell’ordinanza cautelare e la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

Per configurare un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti è necessario un numero minimo di reati commessi?
No, la sentenza chiarisce che la partecipazione a un sodalizio criminoso non dipende dal numero di reati-fine commessi. È sufficiente che l’imputato rivesta una funzione specifica nelle dinamiche dell’associazione, anche minima, e agisca con la consapevolezza di farne parte (affectio societatis).

Le dichiarazioni spontanee rese da un indagato alla polizia giudiziaria senza la presenza di un avvocato sono sempre inutilizzabili?
No. Secondo la Corte, tali dichiarazioni (ai sensi dell’art. 350, comma 7, c.p.p.) sono utilizzabili nella fase procedimentale (e quindi per le misure cautelari) a condizione che siano state rese liberamente, senza coercizione, e siano state verbalizzate. In questo caso, inoltre, le dichiarazioni erano state successivamente confermate durante interrogatori formali.

In sede di ricorso per cassazione, è sufficiente proporre una diversa interpretazione delle intercettazioni telefoniche per ottenere l’annullamento di una misura cautelare?
No. La valutazione del contenuto delle conversazioni intercettate è una questione di fatto riservata al giudice di merito. La Cassazione può intervenire solo se la difesa dimostra un “travisamento della prova” (cioè un’errata percezione del contenuto) o una manifesta illogicità nel ragionamento del giudice, non se si limita a proporre una lettura alternativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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