Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20760 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20760 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato in Nigeria il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro del 30/08/2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 30/08/2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro rigettava il riesame proposto da avverso il provvedimento del GIP di Catanzaro del 01/08/2023 di applicazione di misura cautelare custodiale per i delitti di cui agli articoli 81 cpv. cod. pen., 74 d.P.R. 309/1990, sodalizio di cui il ricorrente sarebbe stato il capo e promotore.
Avverso l’ordinanza l’imputato ha presentato, tramite il proprio difensore di fiducia, ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato per i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta contraddittorietà e carenza della motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza; sostiene il ricorrente che l’ordinanza si fonda essenzialmente su intercettazioni telefoniche il cui contenuto è stato sostanzialmente travisato dai giudici de cautela.
L’ordinanza assegna al ricorrente il ruolo di organizzatore, assieme a NOME COGNOME, di una rete di pusher che gravitavano attorno al parco INDIRIZZO Deledda di Cosenza.
Il ricorrente contesta il ruolo attribuitogli: egli vive a 160 km dal luogo ove lo stupeface veniva spacciato e non vi sono elementi per affermare che fosse a conoscenza di ciò che accadeva dopo la consegna (allo stesso sono contestate due cessioni nell’arco di una indagine durata tre anni), in assenza di una c.d. «bacinella», ossia una cassa, e di una regia unitaria delle operazioni.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta contraddittorietà e carenza della motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza in riferimento ai capi 2, 4 e 8.
Sostiene il ricorrente che, quanto al primo episodio di cessione, si contesta al ricorrente d avere ceduto a NOME NOME NOME circa un chilo di marijuana. L’ordinanza si fonda su una telefonata dal tenore equivoco e sulle sole dichiarazioni dello NOME, prive di riscontro.
Quanto al secondo episodio, non vi è alcun elemento di riscontro circa l’avvenuta cessione di stupefacente presso la stazione ferroviaria di Castiglion Cosentino, oltre alle dichiarazioni de relato da COGNOME del correo NOME.
Quanto al terzo episodio, gli inquirenti travisano il senso di una conversazione tra il ricorrente, NOME NOME NOME, di tutt’altro tenore, e utilizzano il mero riscontro delle spontan dichiarazioni di NOME. Nessuna sostanza è riconducibile all’NOME.
A cascata, ritiene che le esigenze cautelari debbano considerarsi ridimensionate.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità, lamentando l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dallo NOME per violazio dell’articolo 350 comma 7 cod. proc. pen. (richiamando Sez. 4, n. 2141 del 23/09/2021, dep. 2022, Dolce, n.m.).
In data 02/03/2024, il ricorrente depositava memoria di replica in cui contestava le conclusioni del P.G. e insisteva nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile per genericità.
Il provvedimento genetico, come evidenziato nell’incipit dell’ordinanza impugnata, si basava su una massiccia attività di intercettazioni ambientali, telefoniche e telematiche, servizi controllo, immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza installato presso l’autostazione di Cosenza e presso il parco “Grazia Deledda”, dirette osservazioni, perquisizioni e sequestri di
sostanza stupefacente ed armi, arresti dei detentori e/o corrieri della droga riconducibi all’attività di narcotraffico esercitata dall’organizzazione criminale di cui al Capo 1), dichiarazioni rese dagli assuntori di sostanza stupefacente, dichiarazioni rese dall’indagato COGNOME NOME in data 18.2.2020, 1.6.2021 e 3.6.2021, riconoscimento fotografico effettuato dal medesimo COGNOME e dichiarazioni rese da tale NOME COGNOME.
Sottolinea, poi, il Tribunale del riesame, che le dichiarazioni dello NOME (sulla cu utilizzabilità si tornerà) evidenziavano la sussistenza di una rodata organizzazione criminale che operava nel modo seguente: lo stupefacente veniva consegnato a casa di COGNOME per essere tagliato e confezionato, per poi essere ceduto ai pusher (i cui nomi venivano fatti dal dichiarante, assieme ai codici per decrittare il linguaggio convenzionale utilizzato dai sodali) per la vendita dettaglio a 5 euro al grammo. Se uno dei pusher terminava lo stupefacente, indirizzava il cliente verso un altro pusher.
I vari sodali venivano identificati senza ombra di dubbio dalla polizia giudiziaria, combinando la soggettiva conoscenza dei timbri vocali con elementi oggettivi quali i pedinamenti ed i filmat di videosorveglianza.
A fronte della analoga censura formulata dall’odierno ricorrente, il Tribunale dei riesame, nel rammentare che la prova della appartenenza al sodalizio criminoso deve essere rigorosa, e concernere sia la coscienza e volontà di fare parte dell’associazione (affectio societatis) che la consapevolezza di agire per soddisfare i fini dell’associazione, ossia di trarre vantaggi economico dal commercio di stupefacenti, evidenziava, a confutazione, che la partecipazione al sodalizio non è correlata al numero di cessioni o operazioni di smercio effettuate, essendo sufficiente anche un solo reato-fine, purchè accompagnato dall’a ffectio societatis e l’imputato rivesta una funzione specifica nelle dinamiche dell’associazione (segue indicazione di giurisprudenza assolutamente univoca sul punto) e che il contributo partecipativo è “atipico”, ossia può assumere le forme più diverse e variabili ed essere minimo e limitato nel tempo (segue indicazione di giurisprudenza assolutamente univoca sul punto).
Ciò posto, sottolineava come le condotte di cessione poste in essere dal ricorrente «si inseriscono in un collaudato sistema delle cui dinamiche l’indagato mostrava profonda conoscenza, e sono pertanto sintomatici della compresenza degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto ascritto al capo 1)».
Le indagini, sul punto, evidenziavano come l’NOME si rapportasse direttamente con lo COGNOME, organizzatore del sodalizio, concordando con lui i rifornimenti e i periodici trasporti Cosenza, e gestiva la rete di pusher che presidiava le stabili piazze di spaccio di Cosenza allocate presso il parco “Villa Giulia” e la Stazione.
In tal senso, l’NOME era stabilmente impegnato nel garantire alla associazione la sua operatività e la futura proiezione verso ulteriori attività di cessione.
Tale ricostruzione è confermata dalle dichiarazioni eteroaccusatorie dello NOME (v. in fra), da ritenersi lucide e non contraddittorie.
Il motivo di ricorso, che si pone in termini meramente contestativi dell’ordinanza impugnata, senza attaccarne frontalmente le motivazioni, è inammissibile.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Quanto alle obiezioni della difesa circa la lettura fornita dai giudici della cautela de dichiarazioni intercettate, il Collegio ribadisce il principio reiteratamente espresso dalla Cor secondo cui la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650 – 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 257784 – 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, COGNOME, Rv. 239724).
È possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile ((Sez. 3, 6722 del 21/11/2017, 2018. COGNOME Maro, Rv. 272558 – 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 – 01; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252190 – 01; Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, Donno, Rv. 237994).
Tuttavia, la difesa non ha dedotto illogicità evidenti desumibili dal testo della sentenz impugnata, nè ha assolto il peculiare onere di rappresentare in modo adeguato l’eventuale vizio di travisamento della prova (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, dei. 03/10/2008, Buzi, Rv. 241023).
3.1. A pagina 5-6 dell’ordinanza, si evidenzia che l’episodio di cui al capo 2) è provato da un nutrito materiale intercettivo, in cui NOME (detto «NOME») dialoga con NOME di tipi e quantitativi di stupefacente, utilizzando un linguaggio convenzionale decrittato grazie all dichiarazioni di NOME. I due concordano il viaggio e la consegna, ma durante il viaggio in treno da Rosarno a Cosenza con lo stupefacente lo NOME viene arrestato.
3.2. A pag. 6, l’ordinanza il Tribunale del riesame evidenzia come l’episodio di cui al capo 4) della rubrica è comprovato da una serie di conversazioni che hanno quale protagonista NOME (ossia NOME) e NOME, relativi sia al tipo di stupefacente che al quantitativo. I due, dopo l’arresto dello NOME, concordano di sostituirlo, quale “corriere”, con l’odierno indagato.
3.3. Quanto al capo 8), relativo alla cessione di 960 gr. di marijuana, operata dall’odierno ricorrente e da NOME COGNOME in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, oltre alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME all’atto dell’arresto e poi in sede di interrogatorio, secondo l’ordinanza impugnata compongono il compendio indiziario le dichiarazioni rese dallo NOME, l’informativa di P.G. del 29/01/2020, il verbale di perquisizione
operata in data 29/01/202 nei confronti del NOME, nonché le intercettazioni telefoniche (progr. 1742 e 1744 R.I.T. 9/20).
Segue una dettagliata descrizione del fatto (pag. 6), insuscettibile di nuova analisi in questa sede, da cui emerge che il NOME aveva ricevuto l’incarico di consegnare lo stupefacente proprio da NOME e NOME.
Anche in questo caso il ricorrente non si confronta con l’ampia motivazione offerta dal provvedimento impugnato, limitandosi a censurare il contenuto delle captazioni e le dichiarazioni del NOME, risultando di tal guisa la doglianza inammissibile per genericità.
I profili di censura, che non si confrontano con il contenuto del provvedimento in modo realmente critico, sono pertanto aspecifici e, in definitiva, inammissibili.
4. Il terzo motivo è inammissibile.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte, le dichiarazioni spontanee che l’indagato abbia reso – in assenza di difensore ed in difetto degli avvisi di cui agli artt. 63, comma 1, e cod. proc. pen. – alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., so utilizzabili nella fase procedimentale (e dunque nell’incidente cautelare e negli eventuali rit prova contratta) alle seguenti condizioni:
che emerga con chiarezza che egli abbia scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione (Sez. 1, n. 15197 del 08/11/2019, dep. 2020, Fornaro, Rv. 279125 – 01; Sez. 2, n. 26246 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 271148 – 01);
che siano verbalizzate in un atto sottoscritto dal dichiarante, onde consentire al giudicante di verificarne i contenuti ed evitare possibili abusi, o anche solo involontari malintesi, da pa dell’autorità di polizia (Sez. 2, n. 41705 del 28/06/2023, COGNOME, Rv. 285110 – 01).
Tali dichiarazioni, che possono essere rese anche non nell’immediatezza dei fatti (Sez. 4, n. 2124 del 27/10/2020, dep. 2021, Minauro, Rv. 280242 – 01), alle condizioni sopra descritte possono essere utilizzate anche nei confronti del coimputato, chiamato in reità o in correità (Sez. 1, n. 40050 del 23/09/2008, Ponte, Rv. 241554 – 01).
In ogni caso, evidenzia il Tribunale del riesame (pag. 5) che nei successivi interrogatori, resi in data1/06/2021 e 3/06/2021, lo NOME confermava sia le dichiarazioni spontanee rese nelle due precedenti occasioni che l’individuazione fotografica degli imputati in precedenza effettuata, che riguardava, tra gli altri, anche l’Armadi.
Con tale motivazione il ricorrente non si confronta affatto in modo critico, ma meramente assertivo, destinando così il motivo all’inammissibilità.
La funzione tipica dell’impugnazione, infatti, è quella della «critica argomentata» avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli element
fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.), circostanza non verificatasi nel caso in esame.
Alla inammissibilità dei motivi di ricorso relativi al fumus consegue anche quella del profilo, appena ventilato ma non sviluppato, relativo al ridimensionamento delle esigenze cautelari: la ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in ordine al delitto di cui all’articolo 74 309/1990 determina l’automatica applicazione della doppia presunzione di cui all’articolo 275, comma 3, cod. proc. pen., la cui applicazione non risulta contestata dal ricorrente.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi pe ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 08/03/2024.