Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10882 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10882 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NICOTERA il 11/06/1966 NOME COGNOME nato a NICOTERA il 04/01/1949 COGNOME NOME nato a NICOTERA il 17/06/1965 NOME COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 14/02/1976 COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il 03/02/1977 COGNOME NOME nato a MILANO il 12/08/1965 NOME nato a VIBO VALENTIA il 19/08/1961
avverso la sentenza del 06/07/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Procuratore Generale conclude per l’inammissibilità del ricorso per NOME e il rigetto per tutti gli altri ricorrenti.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di COMO in difesa di COGNOME il quale insiste nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di VIBO VALENTIA in difesa di:NOME COGNOME che insiste nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di REGGIO CALABRIA in difesa di COGNOME il quale chiede l’accoglimento dei motivi di ricorso.
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di PALMI in difesa di COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME che si riporta ai motivi dei ricorsi e insiste nell”accoglimento.
E presente l’avvocato COGNOME del foro di PALMI in difesa di COGNOME il quale chiede l’esclusione del I comma dell’art. 74, per il resto si riporta ai motivi di ricorso.
E’ presente l’avvocato NOME del foro di VIBO VALENTIA in difesa di NOME che chiede l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’avvocato NOME del foro di VIBO VALENTIA in sostituzione ex art. 102 c.p.p., per delega orale, dell’avvocato COGNOME NOME del foro di VIBO VALENTIA in difesa di COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Tutti i ricorrenti impugnano la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, seconda sezione penale, emessa in data 06/07/2023, in parte a conferma della sentenza emessa dal Tribunale di Vibo Valentia, per il reato associativo in materia di stupefacenti con l’aggravante della transnazionalità e dell’uso del metodo mafioso per avere promosso, organizzato, costituito, finanziato, diretto e partecipato ad un’associazione per delinquere operante in Italia, Colombia, Venezuela, Repubblica dominicana, Spagna, Olanda, Marocco, anche con componenti dislocati nei citati paesi, nonché con l’aggravante della transnazionalità ex art. 4 legge n. 146 del 2006 e di quella ex art. 416-bis.1 cod. pen., nonché, in relazione a singole e diverse posizioni processuali, per una serie di altri reati fine, consumati o tentati, dell’associazione commessi nell’ambito del mercato degli stupefacenti e comunque delle attività criminali, anche contro il patrimonio e la pubblica amministrazione, poste in essere a contorno o a supporto o rafforzamento dell’attività associativa.
I singoli ricorsi presentano in parte alcuni motivi sovrapponibili riguardanti profili di censura comuni a più ricorrenti e in parte riguardanti le singole posizioni, come di seguito esposto.
Ricorso di NOME
COGNOME COGNOME impugna la decisione della Corte di appello di Catanzaro con un primo motivo di ricorso lamentando la violazione degli artt. 192, 533, 546, comma 3, cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 56 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione al capo n. 7) della rubrica. In particolare, il ricorrente lamenta la mancata concretizzazione del reato tentato di importazione di sostanza stupefacente in ragione di una presunta trattativa che rispetto alle precedenti, invece, è naufragata non raggiungendo la soglia di punibilità. Le conversazioni utilizzate per ritenere provata la sussistenza di una trattativa affidante e affidabile in ragione delle espressioni dubitative emerse nel corso dei dialoghi, a parere del ricorrente, non farebbero emergere una prova sufficiente per ritenere l’idoneità dell’azione e l’univocità degli atti posti in essere.
Osserva il ricorrente che la trattativa avente ad oggetto la partita di stupefacenti descritta nel capo n. 7) dell’imputazione è “saltata” perché le condizioni dettate dai potenziali venditori non venivano accettate tanto da giungere alla determinazione di restituire il denaro precedentemente
consegnato al Murillo ove rientravano i 10.000 euro versati da COGNOME NOME. Sulla base di tali considerazioni il ricorrente ritiene che i parametri normativi e giurisprudenziali in tema di delitto tentato non siano stati soddisfatti: il mancato raggiungimento dell’accordo in tutti i suoi elementi essenziali, avente ad oggetto la partita di stupefacenti trattata e le modalità di pagamento della stessa, nonché l’essersi recato in Spagna per avviare una trattativa non andata a buon fine, a parere del ricorrente, non dimostrerebbero il perfezionamento dell’accordo.
Con un secondo motivo di ricorso, si aggredisce la motivazione in relazione al reato ascritto al ricorrente al capo 8-bis) dell’imputazione relativo all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 concernente la cessione di cocaina da parte dei fratelli NOME a tale Luigi al prezzo concordato di euro 30.000. Rileva il ricorrente che le conclusioni fornite sia dal tribunale che dalla corte d’appello non appaiono supportate da sufficiente motivazione in quanto non spiegherebbero per quale motivo si debba considerare come concorrente nel reato di cessione di sostanze stupefacenti il soggetto che semplicemente sia intervenuto per il recupero di un credito parziale rimanendo, quindi, estraneo alla cessione. Al riguardo non soddisfa la difesa la motivazione offerta dalla Corte di appello con la sentenza impugnata attraverso un ragionamento presuntivo ed illogico fondato sul rilievo che la vicenda in esame viene alla luce quando i fratelli NOME cercavano di recuperare i crediti per consegnare il denaro alla Forgione in vista delle importazioni di stupefacente dal Venezuela. Ritiene, in breve, la difesa l’assenza di indizi da cui desumere un legame individualizzato tra il soggetto e la cessione di cocaina contestata.
Con un terzo motivo di ricorso NOME COGNOME eccepisce l’erronea applicazione degli artt. 192, 533, 546 cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 56 cod. pen., e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, con riferimento al delitto consumato di cui al capo 15) e al delitto tentato di cui al capo 13). Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe ricavato argomenti a favore della responsabilità penale di NOME COGNOME dal fatto che questi – trovatosi in difficoltà finanziarie a seguito delle precedenti esperienze fallimentari – abbia seguito le direttive del fratello NOME il quale gli prospettava ingenti guadagni così persuadendolo ad effettuare un viaggio in Marocco, finalizzato all’importazione di 3000 chilogrammi di hashish. Tale argomento non sarebbe sostenuto, a parere della difesa, dalla considerazione che il contatto avuto dal ricorrente con NOME NOME potesse effettivamente riferirsi al recupero della somma di cui al capo 8-bis) della rubrica. Circostanza che sebbene volta teoricamente all’acquisto di sostanze psicotrope, nulla provava sulla responsabilità diretta in ordine ai capi 13) e 15). Atteso che, sostiene il
ricorrente NOME COGNOME egli è venuto a conoscenza del progetto di importazione soltanto un mese dopo la sua programmazione, risalente al 4 dicembre, emerge comunque che quel viaggio effettuato nella penisola iberica non fosse stato sufficiente a definire i dettagli della spedizione in particolare la natura del viaggio in Marocco. I successivi contatti col fratello NOME non provano a parere del ricorrente che ci fosse stata una trattativa “affidante”, precedente all’arresto di NOME Costantino avvenuto il 19/02/2018 a cagione della esecutività della sentenza relativa al processo denominato “black money”. Tali argomentazioni, a parere della difesa, hanno il solo pregio di dare conto di una vera programmazione delle attività da intraprendere non anche di una messa a punto di mezzi e risorse per darvi esecuzione.
In particolare, in ordine al reato di cui al capo 15) della rubrica, la sentenza impugnata asserisce che NOME Fabio, in occasione del primo viaggio effettuato in territorio estero, avrebbe separatamente negoziato l’invio immediato di 500 chilogrammi di hashish ma il ricorrente non avrebbe potuto mettere a punto alcuna trattativa affidante in ordine a quanto indicato al capo 15) perché la mera previsione di poter realizzare affari con il fornitore marocchino non è sufficiente ad integrare la chiusura di un patto in forza del quale l’acquirente e il fornitore possono ritenere di aver raggiunto un accordo con le condizioni necessarie per addivenire all’esecutività della consegna: non essendosi compiuta l’azione non vi sono gli estremi del tentativo.
Con un quarto motivo di ricorso, il ricorrente eccepisce la violazione degli artt. 192, 533, 546, comma 3, cod. proc. pen., con riferimento al capo 1) dell’imputazione con cui si contesta la partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; in particolare, al ricorrente NOME COGNOME viene attribuito il ruolo di organizzatore ma, a parere della difesa, la sentenza impugnata ha utilizzato soltanto mere asserzioni apodittiche specie nella parte in cui sottolinea la valenza delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME il quale – evidenzia la difesa – non ha mai parlato di NOME COGNOME come soggetto coinvolto nei traffici di droga di cui il COGNOME ha asserito essere a conoscenza.
In proposito la censura rivolta alla motivazione concerne il passaggio in cui, nel qualificare i reati fini come sintomo prevalente della sussistenza di un accordo criminoso stabile, trae una conclusione automatica sulla necessaria riconducibilità dei reati fine all’associazione. Inoltre, la stessa partecipazione di NOME NOME all’associazione, secondo la difesa, avrebbe dovuto portare la motivazione della sentenza impugnata ad approfondire gli ordinari standard ed indici consolidatisi nella giurisprudenza di legittimità piuttosto che limitarsi semplicemente ad affermare che gli episodi di cui ai capi 7) e 13), per la loro
complessità e il coinvolgimento di canali esteri, denotano necessariamente l’esistenza di una consorteria specificamente dedicata al traffico di sostanze stupefacenti. In particolare, si critica la motivazione della sentenza di appello impugnata sul ruolo organizzativo svolto dal ricorrente laddove invece una serie di elementi esposti nel corpo del ricorso in appello depongono per una vera e propria condizione di fatto che darebbe drasticamente conto di una netta assenza di “affectio societatis” da parte del ricorrente, Pertanto, sarebbe stato onere della motivazione di appello esplicitare meglio gli elementi indiziari gravi, Precisi e concordanti dai quali desumere non solo il ruolo organizzativo ma la stessa mera partecipazione di NOME NOME in modo attivo e consapevole ma distinto rispetto alla volontà di concorrere a realizzare gli episodi di cui ai capi 7) e 15), non avendo i giudici di appello spiegato come il coinvolgimento di NOME NOME nei reati potesse iscriversi in un quadro sintomatico dell’esistenza di un fattivo e consapevole ruolo organizzativo in seno all’associazione.
Con un quinto motivo di ricorso, in relazione agli artt. 8, 9, 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., il ricorrente eccepisce la competenza per territorio del foro calabrese considerando che la sentenza impugnata riprende la decisione della questione sulla competenza territoriale e la pronuncia di rigetto del tribunale del riesame, confermata dalla Corte di cassazione, che ha ritenuto di individuare la competenza del giudice di Vibo Valentia e quindi in appello della Corte di Catanzaro, per avere l’associazione iniziato ad operare sul territorio Calabrese. La sentenza impugnata ritiene che la programmazione, l’ideazione, la direzione delle attività consentono di affermare che sul territorio di Vibo Valentia vi sia stata una concreta operatività dell’associazione non rilevando i luoghi di conclusione del patto criminale e nemmeno quelli di acquisto e stoccaggio delle varie partite di sostanza stupefacente anche considerato che i fratelli NOME erano nati ed erano operativi per i loro agganci nel territorio vibonese.
11. A fronte di tali motivazioni, volte a confermare la competenza del Tribunale di Vibo Valentia, e quindi della Corte d’appello di Catanzaro, il ricorrente osserva che la motivazione incentra la competenza per territorio soprattutto sul luogo di nascita e di operatività dei fratelli NOMECOGNOME trascurando che le presunte attività illecite sono state poste in essere nell’area milanese e che il collaboratore NOME ha riferito solo genericamente di presunte attività illecite occasionalmente poste in essere a partire dal 2010. Ritiene la difesa che assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il “pactum sceleris”, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata
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l’operatività della struttura associativa che ha sviluppato nel caso concreto tutta una serie di attività in Milano e nell’hinterland milanese.
12. Con un sesto motivo di ricorso la difesa lamenta l’erronea applicazione dell’art. 4 della legge n. 146 del 2006, per carenza di prove in ordine alla contestata aggravante della transnazionalità, e in quanto viola il divieto di “reformatio in peius” nella sua accezione sostanziale trattandosi di una sanzione neppure calcolata nella fase di primo grado. Il relativo calcolo di pena seppur non effettuato perché si sarebbe superato il limite massimo dei trent’anni di reclusione previsto dall’art. 78 cod. pen. deve comunque portare a quantificare la relativa pena esattamente come si è fatto in ordine ai reati fini. La pena per questi ultimi, infatti, sebbene non incide sul calcolo finale, era stata comunque individuata. Rileva in particolare che il contributo di un gruppo criminale organizzato che opera in uno stato diverso da quello dove risiede l’associazione contestata è al centro di un orientamento giurisprudenziale trascurato dalla Corte di appello nella decisione impugnata, dove non vi è prova che i diversi soggetti con i quali si sono relazionati i fratelli NOME fossero parte di un Più ampio e autonomo gruppo criminale organizzato operante all’estero.
Ricorso di Stilo Giovanni
13. Stilo NOME impugna la sentenza lamentando la mancata adozione di una motivazione cosiddetta “rafforzata”, a seguito del ribaltamento della sentenza di assoluzione di primo grado, ripercorrendo la giurisprudenza in materia di overturning in appello, laddove sussiste per il giudice della riforma in appello la necessità di comporre una motivazione più convincente rispetto a quella ribaltata e dotata di maggior forza persuasiva tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio in caso di ribaltamento dell’assoluzione pronunciata in primo grado.
14. Ritiene la difesa che la Corte di appello ha del tutto eluso tale preciso obbligo motivazionale ricorrendo ad argomentazioni apodittiche e operando un confronto meramente apparente con la ricostruzione fattuale giuridica esposta dal Tribunale di Vibo Valentia. Secondo la difesa, la Corte territoriale muove da una diversa considerazione delle vicende di cui ai capi 4) e 5) della rubrica, non avendo segnalato in che termini vi sarebbe stato un coinvolgimento del ricorrente; in particolare in ordine al reato di cui al capo 4) già dalla ricostruzione fattuale operata nella sentenza di primo grado si registra l’assenza dalle scene del crimine del ricorrente proprio nei momenti salienti della vicenda.
Inoltre, per quel che riguarda il capo 5), nella sentenza di primo grado non ricorre alcun riferimento alla persona del ricorrente.
Inoltre, per quanto riguarda il capo 7-ter) dell’imputazione, l’episodio ivi descritto è stato valorizzato in chiave associativa, a parere della difesa, in modo erroneo per un mero ragionamento ipotetico. Inoltre, lamenta la difesa che la Corte di appello ha colpevolmente eluso il confronto con le argomentazioni difensive con le quali si chiedeva di attenzionare l’istruttoria dibattimentale con riferimento alla frequentazione e anche a talune cointeressenze economiche tra il ricorrente e i fratelli NOME NOME e NOME che nulla avevano a che fare con il traffico di stupefacenti ma che si riferivano a materiale edile.
Ricorso di NOME
16. L’impugnativa di NOME COGNOME presentata dall’avv. NOME COGNOME è articolata in 15 motivi.
Con un primo motivo si lamenta l’illogicità della motivazione derivante dall’erronea applicazione dei criteri dettati dall’art. 8 cod. proc. pen., in relazione alla competenza per territorio, evidenziando che la Corte di appello nel rigettare la questione di incompetenza formulata nell’interesse del ricorrente NOME COGNOME così come per gli altri coimputati, ha ritenuto che la difesa non si sia confrontata con le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME nel corso delle indagini. Circa la competenza territoriale àsseritamente prospettata nel circondario del Tribunale di Milano, il ricorrente evidenzia che, anche a voler ritenere pacifico l’interesse dei fratelli NOME rispetto al traffico di stupefacenti, risulta del tutto illogico ritenere gli stessi coinvolti in un’associazione che secondo l’accusa avrebbe visto la luce nell’aprile 2017 sulla base di dichiarazioni del Femia pertinenti a fatti asseritamente perpetrati in epoca antecedente al 2013. Pertanto, ritiene la difesa – come già prospettato nel giudizio di merito – che i primi reati-fine attribuiti agli imputati sono stati perpetrati in Lombardia dove risiedevano ed erano operativi gran parte dei presunti associati e che il NOME NOME risiedendo stabilmente da trent’anni a Milano abbia operato, così come gli intermediari, nel capoluogo lOmbardo dove è avvenuto l’unico sequestro di stupefacente eseguito nell’ambito dell’indagine che ha portato all’identificazione degli odierni imputati.
Con un secondo motivo di ricorso anche NOME COGNOME impugna la sentenza in ordine alla configurabilità del tentativo punibile con riferimento al capo 7) dell’imputazione ritenendo la difesa che non si sia raggiunta la prova
di una condotta preparatoria, in assenza di concreti elementi da cui dedurre la probabilità dell’instaurazione della trattativa descritta nel capo di imputazione n. 7) con i reali fornitori della sostanza. In particolare, si evidenzia che la serietà della trattativa non può essere desunta, come invece ha ritenuto la Corte di appello, dal viaggio effettuato da COGNOME NOME e NOME NOME a Madrid a fine dicembre 2017. Si evidenzia in questo motivo di ricorso che allorquando la trattativa volta all’importazione di stupefacente era stata già avviata da diversi mesi gli artefici non erano ancora entrati in contatto con i fornitori e conseguentemente non avevano alcuna disponibilità di stupefacente.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la carenza di motivazione in ordine alla collocazione temporale delle presunte cessioni di stupefacente di cui al capo 8) di imputazione. Ritiene la difesa che la motivazione impugnata risulta carente rispetto alle specifiche censure che sono state prospettate in appello con riferimento al contenuto di intercettazioni telefoniche di cui la motivazione dà conto a pag. 66 della sentenza. Attesa l’impossibilità, a parere della difesa, di individuare con precisione l’epoca della presunta perpetrazione della cessione di stupefacenti, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare prescritto il reato in contestazione.
Con il quarto motivo di ricorso si prospetta il travisamento della prova e quindi l’illogicità della motivazione in ordine alle intercettazioni riguardanti il quadro probatorio del capo 9) di imputazione. Al riguardo il ricorso prospetta una diversa lettura rispetto ad alcune intercettazioni telefoniche e alla valutazione che è stata data alle stesse dalla Corte di appello la quale avrebbe travisato la prova fondando il proprio convincimento su dati del tutto inesistenti cadendo in errore sul significante e non sul significato della prova, per tradurre nell’utilizzo di una prova inesistente una errata percezione del contenuto del dato captato.
21. Con il quinto motivo di ricorso, si prospetta l’illogicità della motivazione in relazione alla condotta tenuta dal ricorrente NOME COGNOME con riferimento alla cessione di stupefacente contestata al capo 11) atteso che, a parere della difesa, la sentenza impugnata a pag. 78 ripropone la ricostruzione della vicenda già operata nella sentenza di primo grado. Ritiene la difesa che dalle intercettazioni non si può ricavare che i fratelli NOME stessero trattando di argomenti riguardanti la sostanza stupefacente e, di conseguenza, non si può ricavare la prova che NOME COGNOME avesse la disponibilità del quantitativo di 10 chilogrammi di hashish che asseritamente offriva in vendita al Pilati.
Con il sesto motivo di ricorso la difesa eccepisce l’illogicità e la carenza di motivazione in relazione alla condotta del ricorrente ascritta al capo 12)
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dell’imputazione dove si contestano due presunte cessioni di stupefacente di tipo cocaina in favore di COGNOME NOME che avrebbe consegnato una somma poco inferiore ad euro 30.000 a NOME NOME. In ordine alla seconda condotta contestata del 26.02.2018, la difesa ritiene che la motivazione sia carente in quanto l’omessa indicazione da parte del progressivo relativo alla conversazione intercorsa tra il ricorrente e il COGNOME rende impossibile verificare che vi sia una connessione tra il dato captato e l’incontro avvenuto tra i predetti in data 26.02.2018.
Il settimo motivo di ricorso aggredisce la sentenza in ordine alla configurabilità del tentativo punibile con riferimento al reato contestato al capo 13) dell’imputazione. Anche in ordine a tale fatto la difesa ritiene che la Corte di appello sia incorsa in un travisamento dei dati intercettati dai quali risulta invece che NOME NOME non abbia mai avviato una trattativa per l’importazione di chilogrammi 3000 di stupefacenti limitandosi a trattare l’acquisto di 500 chilogrammi di hashish e si è trattato quindi della mera intenzione da parte degli stessi Costantino di procedere all’importo all’acquisto all’importazione di un ulteriore carico di tre tonnellate.
L’ottavo motivo di ricorso riguarda la motivazione circa la prova della condotta di cui all’art. 319 cod. pen. contestata al capo 14) di imputazione. A parere della difesa, il reato di corruzione di cui il ricorrente risponderebbe unitamente a COGNOME NOME in qualità di istigatori per avere corrotto, per il . tramite di COGNOME NOME, dei militari della Guardia di Finanza preposti al servizio presso il porto di Genova, è priva della dimostrazione della stipulazione nel caso concreto del pactum sceleris tra corruttori e pubblico ufficiale corrotto. Le intercettazioni – e comunque le risultanze dibattimentali – non dimostrerebbero alcun elemento da cui poter inferire che effettivamente l’intermediario sia entrato in contatto con il soggetto da corrompere.
Il nono motivo di ricorso riguarda il vizio della motivazione in ordine alla contestata aggravante dell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente descritta al capo 15) dell’imputazione. La difesa lamenta che il provvedimento impugnato abbia una motivazione insufficiente o apparente atteso che pur muovendo da un dato certo ed oggettivo costituito dal peso della sostanza stupefacente sequestrata giunge ad una presunzione di elevata qualità del narcotico laddove, invece, non vi siano atti processuali da cui ricavare in maniera obiettiva ed effettiva le caratteristiche qualitative della sostanza sequestrata.
Il decimo motivo di ricorso lamenta l’assenza di motivazione con riferimento ai reati di detenzione e ricettazione di un’arma di cui ai capi 15-bis) e 15-ter). In occasione del sequestro dei 400 chili di hashish di cui al capo 15)
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INDIRIZZO
dell’imputazione la polizia giudiziaria rinveniva all’interno del box di INDIRIZZO – formalmente intestato a COGNOME NOME – una pistola marca Beretta calibro 7.65 provento di furto ma in ordine a tale possesso , considerata la formale titolarità del box in capo al COGNOME, non vi sarebbero elementi utili per ritenere il garage nell’esclusiva disponibilità del ricorrente e quindi non v’è la prova che l’arma in sequestro sia appartenuta all’odierno ricorrente.
Con l’undicesimo motivo di ricorso la difesa lamenta che la motivazione impugnata sarebbe meramente assertiva nonché manifestamente illogica in ordine alla prova dell’esistenza dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1) dell’imputazione.
28. In particolare, vi è la prova soltanto di una serie di condotte illecite ma non inserite in un quadro composito, idoneo a delineare una sincronica operatività dei singoli variamente in concorso tra loro ma senza un comune denominatore e cioè l’esistenza di un vero e proprio accordo associativo. Il processo, a parere della difesa, non ha dimostrato l’esistenza di tale accordo e quindi l’esistenza dell’associazione ipotizzata nel capo 1) dell’imputazione. A tal riguardo, la difesa mette in evidenza i dubbi circa il collegamento tra i reati fine di cui ai capi di imputazione 4), 5), 7), 13), 15) che non paleserebbe l’esistenza di un accordo se non in via occasionale e accidentale tra soggetti sempre differenti al fine di perpetrare un singolo reato fine. Inoltre, il rapporto con i trafficanti di stupefacenti stranieri e l’uso di schemi consolidati non risulterebbe sufficientemente provato e non dimostrerebbe l’esistenza di una struttura associativa dedita al narcotraffico sulla base di presunti rapporti non dimostrati che questa avrebbe intrattenuto con cartelli stranieri. La difesa evidenzia anche dei dubbi quale indice probatorio dell’esistenza dell’associazione in ordine alla prova dell’esistenza di una base logistica dell’associazione che invece sarebbe stata provata soltanto in occasione del deposito dello stupefacente presso il box in uso a Papaianni di INDIRIZZO e quindi del tutto illogico ritenere che tale luogo possa essere individuato quale area deputata stabilmente all’occultamento dello stupefacente.
Medesime perplessità avanza la difesa circa: a) la disponibilità di risorse economiche evidenziando che il complesso delle intercettazioni evidenzierebbe, invece, un quadro totalmente differente caratterizzato da difficoltà economiche certamente non temporanee; b) la capacità di riorganizzarsi dopo gli arresti dei fratelli NOME NOME e NOME avvenuto il 24.02.2018 con cui si interrompevano immediatamente tutte le attività del gruppo; c) l’arco temporale di operatività dell’associazione. Al riguardo, la difesa mette in evidenza che dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME si ricava che Io stesso dal 2013 non ha potuto avere contezza
sull’esistenza e l’operatività di una consorteria dedicata al traffico di stupefacenti che invece è contestata dall’anno 2017. In definitiva, la motivazione in esame risulta carente anche in relazione alla mancata individuazione del momento in cui è stata assunta da parte dei presunti correi l’iniziativa volta a costituire l’associazione di cui al capo 1) della rubrica.
Il dodicesimo motivo di ricorso aggredisce la motivazione della sentenza in ordine all’omessa riqualificazione della condotta scritta al ricorrente NOME COGNOME che avrebbe dovuto essere riqualificata in quella di mero partecipe dell’associazione atteso che risulta, a parere della difesa, assolutamente illogico attribuire all’odierno ricorrente la capacità direttiva solo per i numerosi contatti intrattenuti con i presunti correi, perché avere autorevolezza tra più persone è qualcosa di diverso dall’essere direttori o organizzatori di un’associazione detta al traffico di stupefacenti.
Anche il tredicesimo motivo di ricorso riguarda la contestazione del reato associativo di cui al capo 1) dell’imputazione in relazione al ritenuto ruolo di intraneo del ricorrente poiché, a parere della difesa, la sentenza impugnata fonda la dichiarazione di colpevolezza di NOME Salvatore in ordine al reato associativo esclusivamente sul concorso del medesimo nella realizzazione dei réati-fine del sodalizio ma non spiega perché, pur concorrendo in tali reati, avrebbe assicurato sotto il profilo oggettivo una stabile cooperazione all’attività del gruppo criminale. In particolare, si aggredisce quanto spiegato a pag. 117 della motivazione della sentenza impugnata ritenendo che le singole cessioni di stupefacenti riguardavano quantitativi non appartenenti al gruppo criminale ma esclusivamente al ricorrente così come gli introiti delle singole cessioni restavano di suo esclusivo appannaggio e non dell’associazione.
Il quattordicesimo motivo di impugnazione riguarda il vizio della motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante della transnazionalità. Anche a tal riguardo la difesa ritiene il travisamento della prova in cui incorre il giudicante laddove fonda la distinzione tra il gruppo organizzato transnazionale e le singole compagini operanti in diverse aree geografiche sulla presunta partecipazione del sodalizio in esame di intermediari stranieri con il compito di consentire che i singoli gruppi organizzati possano operare sinergicamente. Pertanto, l’alterità fra il gruppo e l’associazione può comportare margini di operatività dell’aggravante della transnazionalità anche rispetto al reato associativo.
Il quindicesimo motivo di ricorso di NOME COGNOME riguarda l’errata quantificazione della pena e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto la motivazione si presterebbe ad essere censurata sul piano della logicità, posto che la prognosi positiva operata sulla
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personalità del ricorrente, capace di indurre il giudicante non solo a comminargli per il reato più grave una pena attestata sui minimi edittali ma addirittura a riconoscere l’aumento per l’aggravante speciale della transnazionalità nella misura minima, avrebbe nel caso concreto giustificato il riconoscimento delle attenuanti generiche.
34. NOME COGNOME presenta con l’ufficio difensivo dell’avv. NOME COGNOME altri sette motivi di ricorso. Con il primo impugna l’ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Catanzaro in data 14/02/2023 come analizzata a pag. 24 della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 24-bis cod. proc. pen., così come introdotto dalla cosiddetta riforma Cartabia. Rileva la difesa che all’udienza del 14/02/2023 veniva avanzata richiesta di trasmettere gli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione della questione preliminare di competenza territoriale ai sensi dell’art. 24-bis cod. proc. pen., ma i giudici di appello rigettavano tale richiesta ritenendo che la nuova disposizione debba intendersi applicabile esclusivamente ai processi di primo grado per i quali, alla data di entrata in vigore della riforma Cartabia, non era stata superata la fase preliminare. Ritiene la difesa che la Corte d’appello si sia limitata ad una mera applicazione letterale della norma non considerando che è stata introdotta con legge entrata in vigore ben dopo i perimetri applicativi di riferimento. In altre parole, le parti hanno correttamente introdotto la questione preliminare sulla competenza territoriale sin dalla fase di udienza preliminare reiterandola poi nella fase dibattimentale; di conseguenza la questione all’esame dei giudici di secondo grado doveva essere l’ambito di applicabilità della norma processuale in argomento in tutti quei giudizi che al momento dell’entrata in vigore della riforma avevano già superato lo sbarramento introdotto dall’art. 24-bis cit. anche al fine di verificare l’eventuale pregiudizio che per tali situazioni certamente un rigetto avrebbe provocato in violazione degli artt. 3 e 24 cost..
35. Con il secondo motivo di ricorso NOME COGNOME lamenta la violazione dell’art. 8 cod. proc. pen. in relazione alla competenza territoriale fissata davanti al Tribunale di Vibo Valentia. Anche per il ricorso in parola gli argomenti prospettati sono pressoché sovrapponibili a quelli che sono stati esposti per altri ricorrenti con una particolare evidenza in quanto ritiene il ricorrente che i giudici di merito avevano erroneamente individuato il reato più grave da considerare ai fini dell’attribuzione alla competenza per territorio: non doveva essere la supposta collateralità al clan COGNOME ma al contrario il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. La Corte di appello ha affrontato tale tema nelle pag. da 26 a 35 della sentenza la cui motivazione non è condivisa dalla difesa che la ritiene irrazionale e in contrasto con la sentenza di primo grado sostanzialmente evidenziando anche in tale termine che l’associazione
era già sorta ed operava non in modo consolidato e stabile nel territorio Vibonese. Ritiene il ricorrente che l’ordinanza del Tribunale di Milano riguardante i capi 15) e 15-ter) di imputazione attiene alla connessione come disciplinata dall’art. 12 cod. proc. pen. e come tale presenta carattere di neutralità ai fini di indicare l’esatto foro di competenza.
Anche NOME COGNOME circa la competenza territoriale valorizza le dichiarazioni del collaboratore COGNOME e grazie al quale la Corte di appello ritiene che l’operatività dell’associazione di cui al capo 1) dovesse ritenersi provata già dal 2015, dato per il quale non vi è riscontro alcuno. L’associazione si è manifestata concretamente all’esterno soltanto nel territorio lombardo dove si sarebbe dovuta radicare la competenza per territorio.
Per il terzo motivo di ricorso NOME lamenta l’erronea applicazione dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. per avere ritenuto inammissibili i motivi nuovi proposti dalla difesa depositati presso la cancelleria centrale penale del Tribunale di Roma nell’interesse di NOME COGNOME e pervenuti a mezzo posta presso la Corte di appello di Catanzaro in data 16/11/2022. Sostiene la difesa che la Corte di appello ha aderito all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’inosservanza dell’obbligo di presentare i motivi nuovi nella cancelleria del giudice dell’impugnazione come stabilito dall’art. 585 comma 4, cod. proc. pen. comporta l’inammissibilità degli stessi a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.. Ritiene la difesa che tuttavia la ratio sottesa all’art. 585, comma 4, cit. si è prestata a diverse oscillazioni giurisprudenziali che in parte hanno evidenziato che è consentita la presentazione dei motivi nuovi nella cancelleria del giudice a quo con successiva trasmissione per posta al giudice dell’impugnazione e pur sempre nel rispetto del termine di deposito presso la cancelleria del giudice competente a riceverli. Ne consegue la pacifica applicabilità dei criteri individuati dagli artt. 582 e 583 cod. proc. pen. e la rilevata erronea applicazione delle menzionate norme processuali nella sentenza di appello.
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la violazione o l’erronea applicazione di legge in riferimento all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, con particolare riguardo a quanto esposto nella motivazione della sentenza impugnata, alla pag. 109. In particolare, la difesa evidenzia l’erronea valutazione da parte dei giudici dell’appello circa la sussistenza di vari requisiti. In primo luogo, quello riguardante la mancanza del pactum sceleris e del connesso requisito cosiddetto temporale. Ritiene la difesa che le condotte di reato analizzate nei reati fine si pongono in perfetto insanabile contrasto proprio con i requisiti tipici del reato qualificato come associativo, posto che hanno evidenziato il coinvolgimento di soggetti diversi non partecipi al presunto
sodalizio e l’insussistenza di un canale di approvvigionamento nonché la mancanza di una cassa comune; elementi che, a parere della difesa, deporrebbe contro la possibilità di delineare il vincolo associativo. Inoltre, evidenzia la difesa che dalla mera disponibilità manifestata nei confronti di un singolo associato, anche se di livello apicale, o dalla mera condivisione di intenti non è integrabile la prova del reato associativo essendo indispensabile la volontaria e consapevole realizzazione di concrete attività funzionali apprezzabili come effettivo e operativo contributo all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione. Ontologicamente connesso a tale elemento strutturale è il cosiddetto requisito temporale rispetto al quale la Corte di appello ha utilizzato una motivazione persino internamente contraddittoria, nel tentativo di dimostrare una stabilità nel tempo del vincolo sociale rispetto al quale la Corte di appello avrebbe addirittura retrodatato l’operatività del sodalizio indicandone il periodo iniziale di operatività nel 2015, attraverso uno strumentale utilizzo delle propalazioni del collaboratore COGNOME, dando l’associazione per presupposta e utilizzando strumentalmente le dichiarazioni del collaboratore di giustizia. Al riguardo, evidenzia la difesa che affinché l’associazione risulti effettivamente costituita e l’organizzazione – sia pure rudimentale – possa dirsi uscita dalla fase embrionale e, quindi, per ritenere che le attività siano state dirette a conseguire lo scopo, deve necessariamente essere decorso un apprezzabile lasso di tempo senza il quale il sodalizio non è stato idoneo ad operare validamente e costituire quindi quel pericolo per l’ordine pubblico, solo in presenza del quale può dirsi integrato e consumato il reato associativo.
39. Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta pur sempre l’erronea applicazione delle norme di legge tra cui gli artt. 192 cod. proc. pen. e 73 d. P.R. n. 309 del 1990 con riferimento ai capi dei reati-fine. Osserva la difesa che la sentenza di condanna nelle pag. 39-98 si fonda esclusivamente sulle risultanze delle conversazioni telefoniche interpretate, però, attraverso un’irrazionale ed erronea lettura del contenuto letterale delle perizie telefoniche. La Corte ha riassunto la portata significativa di varie conversazioni con deduzioni arbitrarie e collegate impropriamente ad altre conversazioni afferenti episodi diversi e distinti nel tempo. Al riguardo la difesa critica la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito attraverso l’interpretazione delle conversazioni telefoniche con particolare riferimento alla disponibilità di soggetti appartenenti alla Guardia di Finanza menzionata nella conversazione tra i fratelli NOME e NOME COGNOME riferiti a pag. 86 della sentenza. Ne consegue, a parere della difesa, l’inefficacia probatoria del dato captato anche per la mancata verifica estrinseca delle circostanze emerse da tali conversazioni.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 4, legge n. 146 del 2006 riguardante la contestazione della ritenuta aggravante della transnazionalità che presuppone la commissione di un qualsiasi reato in ambito nazionale purché punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ma determinato o anche solo agevolato, in tutto o in parte, dall’apporto di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività illecite in più di uno Stato. La Corte d’appello con motivazione del tutto apparente ha fondamentalmente dato per presupposta la sussistenza dell’aggravante qualificata in argomento laddove, invece, ritiene la difesa che sia necessario un più elevato coefficiente di coinvolgimento ossia la prestazione di un contributo causale alla commissione del reato unica condizione che legittima l’applicazione della ritenuta aggravante. Nella motivazione, invece, contrariamente agli orientamenti giurisprudenziali difetta sia la prova di un contributo causale di un’associazione ovvero di un gruppo estero e l’alterità tra le due organizzazioni ossia quella interna cosiddetta associazione comune e il gruppo organizzato cosiddetto estero.
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 anche per la erronea Motivazione. La difesa prospetta una duplice censura. In primo luogo, relativamente alla presunta importazione di tre tonnellate di sostanza stupefacente di qualità non meglio identificata e per la quale anche considerando la massima richiamata dalla Corte in sentenza, invece, non è possibile ritenere che si sia raggiunta la soglia del tentativo punibile. In secondo luogo, evidenzia la difesa che l’elemento considerato dalla sentenza della corte d’appello afferente al rinvenimento dei 429 chilogrammi di hashish non presenta la prova della supposta qualità della sostanza poiché mai sottoposta ad alcuna analisi tossicologica. Pertanto, la qualità dello stupefacente veniva ricavato in maniera capziosa facendo riferimento ai dati emergenti dalle intercettazioni ma collegati ad altri reati-fine. La Corte quindi erroneamente ha ritenuto applicabile la proporzione matematica ricavata dal mero dato quantitativo del peso lordo e dai commenti sulla qualità dello stupefacente strumentalmente collegati alla sostanza in sequestro.
Ricorso di NOME
Con un prime motivo di ricorso NOME Antonio impugna la motivazione circa la valutazione della prova captativa di cui all’intercettazione telefonica avvenuta in data 28/02/2018 tra il ricorrente e NOME COGNOME COGNOME A parere della difesa, si tratta di una intercettazione poco chiara tale
da non consentire una percepibilità della stessa in relazione alla presunta compravendita di sostanza stupefacente. La difesa, riportando l’intera trascrizione dell’intercettazione, evidenzia che la sentenza impugnata a pag. 99 riporta che era Costantino a dovere del denaro al ricorrente e pertanto cercava di tranquillizzarlo promettendogli che avrebbe adempiuto comunicandogli di volta in volta intoppi ed imprevisti fino all’incontro del 14/02/2018 nel garage che era la sede logistica in cui dopo poche settimane sarebbe stato custodito lo stupefacente. Pertanto, la Corte di appello avrebbe operato un salto logico tra la circostanza mai riscontrata della presenza dell’imputato nel garage il giorno 14/02/2018 ed il traffico di stupefacenti.
Con un secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione di legge in relazione ai criteri di valutazione della prova di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. con riferimento alla citata intercettazione che non consentirebbe di rinvenire elementi di reità riconducibili al traffico di stupefacenti. L’intercettazione in esame rimane quale unica fonte di prova della colpevolezza dell’imputato e, quindi, non idonea a fungere da indizio sufficiente per affermare la penale responsabilità dello stesso.
Ricorso di NOME
44. Il primo motivo di ricorso presentato da NOME Giuseppe riguarda la violazione di legge in relazione agli artt. 8 e 9 cod. proc. pen. e art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 per non aver osservato le norme in materia di competenza territoriale. Si tratta di un motivo di ricorso interamente sovrapponibile a quello già esposto in relazione alla posizione di NOME COGNOME al quale si può rinviare con la precisazione che, a parere del ricorrente NOME Giuseppe, lé argomentazioni prospettate in fase cautelare dal tribunale del riesame sono enfatizzate dal collegamento con quanto riferito dai collaboratori di giustizia ma si omette di rilevare che i primi luoghi in cui ebbe a concretizzarsi l’operatività della struttura sono da ricercare nella città di Milano, tant’è vero che nella ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado richiamata dalla corte di appello il NOME NOME coadiuvato da COGNOME incontrava Stilo e Stumpo proprio in Lombardia, mentre NOME NOME partiva per Milano.
45. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e, quindi, sostiene la nullità della sentenza e il vizio di motivazione con riferimento all’accoglimento dei motivi di appello che sono stati proposti dal pubblico ministero in relazione alla posizione del ricorrente, in quanto il pubblico ministero ha fornito un’impugnazione scarna limitatamente alla posizione di COGNOME Giuseppe ritenendo ultroneo sintetizzare nel gravame il corposissimo compendio investigativo atto a comprovare la regia di
NOME NOME nell’associazione. Da ciò ne conseguirebbe il vizio di motivazione laddove i giudici di appello ritengono comunque ammissibile l’atto di gravame proposto riconoscendo effettivamente che ciò sia conseguenza necessaria dell’eccessiva genericità della sentenza di primo grado.
46. Con il terzo motivo di ricorso NOME COGNOME aggredisce la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione all’accusa di partecipazione all’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La difesa ritiene che una più attenta e doviziosa lettura delle risultanze dibattimentali tra cui l’arresto dello stesso NOME Giuseppe avvenuto nel febbraio 2018 nonché la considerazione che sono risalenti nel tempo le dichiarazioni del Fimia, avrebbero dovuto condurre l’organo giudicante a escludere la partecipazione all’associazione perché non vi è alcuna individuazione specifica del ruolo rivestito da quest’ultimo, se non il rinvio alle vicende di cui ai capi 4) e 5) della rubrica per le quali contestazioni egli invece è stato assolto. Al riguardo, sostiene la difesa che la sentenza di appello non ha dato un rilievo alcuno al sopravvenuto arresto di NOME NOME in relazione al processo “black money”, circostanza invece valorizzata dai giudici di primo grado.
Con il quarto motivo di ricorso si sostiene la contraddittorietà e la manifesta illogicità con riferimento agli artt. 192, 533 e 535 cod. proc. pen. prospettando la violazione del consolidato principio giurisprudenziale che ritiene necessario per la condanna il raggiungimento di una certezza oltre ogni ragionevole dubbio. Il riferimento è sostanzialmente all’assenza di validi riscontri rispetto ad un collaboratore di giustizia come il COGNOME che intraprende la collaborazione prima del periodo di contestazione e ciò, a parere della difesa, avrebbe portato la sentenza di appello ora impugnata ad un serie di dubbi e presunzioni avendo argomentato la partecipazione delittuosa di NOME all’associazione soltanto sulla scorta del compendio dichiarativo di NOME che non può fare da riscontro ad alcun compendio emergente dalle intercettazioni relativo ad anni successivi. Pertanto, la sentenza avrebbe emesso una condanna circa il reato associativo nei confronti del ricorrente sulla base di una semplice possibilità logica ritenendo provato sotto il profilo oggettivo e soggettivo il suo coinvolgimento nella consumazione del reato associativo in contestazione.
Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione di legge in relazione all’aggravante della transnazionalità prevista dall’art. 4 della legge n. 146 del 2006. Ritiene la difesa che tale aggravante non avrebbe dovuto essere applicata al reato associativo perché il gruppo criminale organizzato
transnazionale non coincide con l’associazione a delinquere di cui al capo 1) della rubrica.
49. Con il sesto motivo di ricorso la difesa lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nonché la dosimetria della pena che non sarebbe sorretta da una adeguata motivazione che, invece, alla difesa appare lacunosa e non esplicativa, in maniera esaustiva, delle ragioni logicogiuridiche che l’hanno condotta a tale conclusione in quanto nella motivazione v’è soltanto un generico riferimento alla biografia penale del Costantino perché gravata da precedenti per usura e altri allarmanti reati, senza alcuna indicazione della ragione per cui tali precedenti siano ostativi alla concessione .
Ricorso di Mendolicchio Luigi
50. COGNOME NOME aggredisce la sentenza impugnata con tre diversi motivi di ricorso. Il primo motivo, con argomenti ampiamente sovrapponibili a quelli prospettati da altri ricorsi, riguarda la competenza territoriale del Tribunale di Vibo Valentia. Il ricorso evidenzia che la Corte di appello di Catanzaro si è limitata ad affermare che le prime manifestazioni di operatività dell’associazione all’esterno si dipanavano a partire dal territorio vibonese, basandosi sulle sole e generiche dichiarazioni del COGNOME e dei dati investigativi scaturenti dalle dichiarazioni dello stesso, salvo poi dare atto che l’istruttoria dibattimentale abbia escluso tale circostanza cadendo così in evidente contraddizione.
51. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la contraddittorietà e il travisamento della prova circa il delitto contestato al capo 7) della rubrica dove la fonte probatoria peculiare è stata costituita prevalentemente dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche con particolare attenzione a quella valutata ma, a parere della difesa, non suffragata da prova certa e logica circa la comunicazione intercorsa fra i fratelli NOME captata il 30/12/2017. Sostiene la difesa che solo dalle intercettazioni telefoniche non si può ritenere provata la sussistenza di una trattativa preordinata tra i venditori sudamericani e i compratori di stupefacente. Pertanto, ritiene la difesa che l’attività di captazione telefonica non dimostra a livello probatorio la partecipazione volontaria del ricorrente al sodalizio criminoso. Quindi la decisione di condanna pronunciata dalla Corte di appello si fonda su un mero quadro indiziario che non presenta i necessari caratteri di gravità, precisione e concordanza apparendo in tal senso la decisione irrazionale e non adeguatamente motivata.
52. Il terzo motivo di impugnativa di COGNOME ha per oggetto la violazione dell’art. 133 cod. pen. e la mancata motivazione in merito alla valutazione della richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche. La difesa lamenta che la Corte di appello si è limitata ad affermare che i motivi di gravame proposti nell’interesse di COGNOME sono in parte fondati; la pena infatti è stata adeguata atteso che per il tentativo il Collegio ha dimezzato la pena base e ha operato l’aumento per la sola recidiva e non anche per le altre aggravanti. Tuttavia, la Corte d’appello ha ritenuto di concedere le attenuanti generiche equivalenti. A tal proposito la difesa sostiene che pur a fronte di un articolato motivo di gravame in relazione alla pena in concreto erogata il passaggio della motivazione che riguarda la determinazione della pena per il ricorrente appare apodittico e quindi insufficiente perché meramente assertivo e inidoneo a rendere contezza del percorso logico seguito.
Ricorso di COGNOME NOME
53. Con il primo motivo di ricorso COGNOME NOME lamenta la violazione di legge e l’illogicità della motivazione derivante dall’erronea applicazione dei criteri dettati dall’art. 8 cod. proc. pen. e quindi dalla giurisprudenza della Corte di cassazione in ordine alla determinazione della competenza per territorio. Ritiene la difesa che l’associazione di cui al capo 1) della rubrica abbia manifestato e realizzato la propria operatività nel capoluogo lombardo con argomenti anche in proposito ribaditi da altri motivi di ricorso già esposti, perché vertono sempre sulla contestata competenza territoriale e a cui si rinvia. Evidenzia la difesa di COGNOME che i primi reati-fine attribuiti agli imputati sono stati perpetrati in Lombardia dove risiedevano e soprattutto ove risultavano operativi gran parte dei presunti associati e da dove NOME NOME, vertice dell’associazione, non si è mai allontanato risiedendovi stabilmente da trent’anni e dove tutti i fratelli NOME così come gli intermediari si recavano per trattare, per fare illeciti e dove è avvenuto l’unico sequestro di sostanza stupefacente operato nell’ambito della presente indagine. Tali motivi di ricorso sono sostanzialmente coincidenti con quelli presentati da NOME COGNOME
54. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 597 cod. proc. pen. perché la Corte, in assenza di appello del pubblico ministero, non avrebbe potuto dare una qualificazione giuridica più grave al fatto per cui il COGNOME aveva riportato condanne. In particolare, ritiene la difesa che la Corte di appello ritenendo l’odierno ricorrente un concorrente nell’ipotesi delittuosa di cui al capo 15) come originariamente contestato, abbia
operato una indebita reformatio in peius in punto di qualificazione giuridica del fatto ma in assenza di appello del pubblico ministero; conseguentemente la decisione della Corte di appello è stata assunta oltre i limiti del giudizio devoluto. Il riferimento concreto riguarda la contestazione del capo 15) di imputazione dove veniva contestato il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 1, 1-bis e 6, d.P.R. n. 309 del 1990. A tal riguardo, all’esito del giudizio di primo grado, COGNOME NOME veniva condannato ma per il reato di cui all’art. 378 cod. pen. perché così veniva riqualificato il fatto di cui al capo 15) nei suoi confronti, sebbene l’appello riguardasse la sentenza di primo grado laddove ritiene la sussistenza di elementi idonei a condannare l’imputato per il fatto di cui al capo 15) riqualificato ai sensi dell’articolo 378 cod. pen..
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’illogicità della motivazione con riferimento alla configurabilità del concorso nel reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, sempre con riferimento al capo 15) dell’imputazione. L’esistenza di un laboratorio di pasticceria accessibile all’area condominiale, dunque in prossimità del luogo in cui ricorrente avrebbe consegnato il veicolo al Costantino, rende evidente come sia assolutamente verosimile che il COGNOME vi abbia fatto accesso in attesa che il NOME effettuasse il trasbordo dello stupefacente ma non partecipando alle operazioni di scarico. La lettura delle emergenze testimoniali, a parere della difesa è incorsa in un evidente travisamento della prova, in quanto la corte ha fondato il proprio convincimento su un dato del tutto inesistente, cioè la disponibilità del box da parte dell’odierno ricorrente COGNOME NOME che invece non avrebbe avuto effettiva consapevolezza in merito agli affari di NOME.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta l’errata dosimetria della pena in quanto la motivazione risulterebbe del tutto illogica, posto che la pena base di anni tre comminata dalla corte si distanzia notevolmente dal minimo edittale nonostante la prognosi positiva operata sulla personalità del ricorrente avendo indotto i giudici a riconoscere in favore del predetto le attenuanti generiche.
Il procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per NOME e il rigetto per tutti gli altri ricorrenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH Tutti i motivi di ricorso per opportunità e linearità espositiva vengono trattati nell’ordine logico riguardante i vari ricorrenti in relazione, innanzi tutto, ai motivi riguardanti il reato associativo, nonché la competenza territoriale, e di
seguito gli altri temi ch impugnativa, relativamente alle singole posizioni processuali.
Nei ricorsi di NOME Fabio, NOME e NOME, COGNOME Giovanni si aggrediscono i temi della prova esposti nella motivazione sulla sussistenza del reato associativo di cui al capo 1) dell’imputazione. Al riguardo, il Collegio rileva che gli argomenti e le deduzioni probatorie esposti nel giudizio di merito, ancorché prospettati sotto gli esposti profili degli asseriti vizi di motivazione e di corretta valutazione della prova, resistono alle critiche dei ricorrenti sia sul piano logico sia sulla coerenza delle deduzioni.
Invero, la lettura dei motivi di ricorso, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, evidenzia in realtà la proposizione a questa Corte di legittimità di una nuova rivalutazione delle prove riservata esclusivamente al giudizio di merito. In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo.
Al Giudice di legittimità è, infatti, preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, – e resta – giudice della motivazione. è
Di conseguenza, sono inammissibili tutte le doglianze esposte nei motivi in esame che lamentano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
Al netto dei profili di ricorso che insinuano un giudizio di merito, e come tali inammissibili, la motivazione in tema di sussistenza del reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti resiste alle critiche proposte dai motivi di
ricorso che sostanzialmente sono accomunati dalla riedizione di valutazioni probatorie circa l’esistenza dell’associazione finalizzata all’importazione e alla commercializzazione di stupefacenti.
In particolare, la motivazione (da pag. 109 a 123) dimostra con coerenza e logica gli argomenti che depongono per la costituzione, l’attività e la struttura permanente del sodalizio, di certo non limitata ad un breve arco temporale. Gli argomenti probatori sono tratti sia dall’attività investigativa sia dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME per ritenere senza alcuna lacuna logica la piena operatività e l’esistenza del gruppo già prima dell’aprile 2017 (periodo a partire dal quale è mossa la contestazione).
L’arco temporale dell’attività associativa nella fattispecie non appare dirimente atteso che non è richiesta una durata minima della condotta associativa ma l’entità del vincolo instaurato, con una volontà di aggregare forze, risorse e progetti finalizzati al traffico di stupefacenti sebbene attraverso comportamenti informali, GLYPH preesistenti e progressivamente consolidati.
9. GLYPH Di tali elementi la motivazione dà conto soffermadosi sull’esito delle intercettazioni che hanno evidenziato l’esistenza del gruppo facente capo a NOME NOME e NOME, coinvolgendo anche il fratello NOME, e non certamente soltanto il suo momento costitutivo. Le captazioni intercettative offrono la rappresentazione dell’attività del gruppo che già esisteva a d aprile 2017 (per come aveva riferito già il collaboratore di giustizia COGNOME) e ha operato quantomeno fino a marzo del 2018. Tale periodo di tempo, comunque, come spiegato in motivazione, è stato sensibilmente significativo sia sul piano organizzativo, sia su quello logistico, certamente sufficientemente idoneo per progettare, organizzare e gestire l’importazione e la cessione di rilevantissime quantità di stupefacente e quindi valido per ritenere radicato il sodalizio. La Corte di appello ha spiegato, inoltre, che la consumazione dei reati–fine nell’arco di un anno, non è un limite che può evidenziare un sodalizio destrutturato ma piuttosto consente di dimostrare la pianificazione ed esecuzione di una serie indeterminata di delitti connessi all’importazione di stupefacenti.
Non solo rispetto al periodo di vita dell’associazione ma anche circa la struttura organizzativa la motivazione spiega la disponibiltà permanente di risorse, uomini, mezzi, immobili e denaro, volta all’importazione e commercializzazione di sostanze stupefacenti, con un raggio d’azione esteso anche oltre il territorio nazionale. Non si deve trascurare che la motivazione aggredita espone con lineari argomenti logico deduttivi il costrutto probatorio emerso circa l’esistenza di disponibilità finanziarie, la partecipazione di più
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soggetti che, individualmente e collettivamente, hanno consapevolmente aderito all’organizzazione medesima, apportando un convergente contributo causalmente efficiente alle finalità del sodalizio in questione, anche con l’esistenza di luoghi di deposito delle sostanze stupefacenti.
Tutti i motivi di ricorso riguardanti la motivazione sul reato associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, mettono in evidenza che la prova dell’esistenza di una struttura organizzata per il traffico nazionale e internazionale di stupefacenti non è data dalla realizzazione consumata o tentata dei reati-fine e il ruolo di organizzatore, partecipe, vertice dell’associazione non è provato dalla partecipazione e ai compiti svolti in relazioni a tali singoli reati.
Tali motivi si sottraggono al confronto con la consolidata giurisprudenza che in tema di associazione per delinquere ritiene che la varietà, unicità o diversità di scopo personale non è ostativa alla realizzazione del fine comune, in quanto l’associazione criminosa non è esclusa dalla diversità o dal carattere individuale dell’utilità che i singoli partecipi si propongono di ricavare. Il vinculum associative, in particolare, non è escluso nemmeno da contrasti interni o conflitto di interessi economici tra gli associati, essendo sufficiente che colui che opera come acquirente sia stabilmente disponibile a ricevere i beni, assumendo, così, una funzione continuativa, che trascende il significato negoziale delle singole operazioni, per costituire un elemento della complessa struttura che facilita lo svolgimento dell’intera attività criminale.
In particolare, sul punto i motivi de quibus non si confrontano con l’esposizione lineare degli elementi di prova illustrati che consentono di affermare con certezza la ricorrenza dei requisiti necessari per il riconoscimento dell’associazione capeggiata dai fratelli NOME. Al riguardo, il Collegio considera priva di lacune o contraddittorietà la linea logico deduttiva del materiale probatorio costruito su vari e solidi elementi esposti nelle citate pagine della motivazione.
Si consideri, innanzi tutto, che la motivazione espone i plurimi e comprovati delitti di acquisto-detenzione-cessione di stupefacenti, compresi i tentativi di importazione, emersi da intercettazioni, sequestri, dichiarazioni di collaboratori di giustizia, con cui è pienamente spiegata non solo l’operatività concreta dell’organizzazione sul mercato internazionale degli stupefacenti di diversa natura ma anche la capacità di smerciare lo stupefacente importato mediante una rete di stabili acquirenti, oltre che la presenza di fornitori nazionali che intervenivano quando la via estera risultava non praticabile.
Si consideri al riguardo l’esposizione della motivazione circa i solidi e diversificati rapporti con trafficanti stranieri, con frequenti viaggi all’estero dei
mediatori o degli stessi NOME; si pensi, altresì, alla presenza stabile di intermediari per il traffico con l’estero (si pensi a COGNOME), pienamente inserito nell’associazione; al ruolo della COGNOME, già condannata con sentenza irrevocabile, la quale ha ammesso le proprie responsabilità confermando la correttezza della lettura dei dati intercettivi – già di per sé inequivoci – nelle vicende che l’hanno vista protagonista; al ruolo della NOME NOME (che il collaboratore NOME ha indicato come una mediatrice utilizzata dai NOME sin dal 2010).
La motivazione impugnata evidenzia anche l’esistenza di basi logistiche, come la sede della RAGIONE_SOCIALE di Mazzaferro (condannato con sentenza irrevocabile anche per il capo 1) o il garage di Milano intestato a COGNOME e in uso a NOME, nonchè la disponibilità di considerevoli risorse finanziarie e i contatti con soggetti che, a loro volta, potevano corrompere pubblici ufficiali della Guardia di Finanza compiacenti presso il porto di Genova.
La motivazione espone, inoltre, senza le cadute argomentative lamentate dai vari ricorrenti, il costante flusso informativo circolare tra i vari soggetti coinvolti nei diversi tentativi di importazione aventi ad oggetto transazioni per quantitativi ingenti che di certo richiedevano l’esistenza di una stabile, affidabile e collaudata struttura organizzativa. I ricorsi, di contro, mettono in luce l’assenza di una cassa comune, di una base logistica e della capacità di riorganizzarsi nel caso di arresti o di imprevisti; ma è emerso che se un canale risultava non praticabile i correi riuscivano nel giro di pochi giorni a trovare altre vie o a seguirne diverse parallelamente, a dimostrazione dell’ampia disponibilità di risorse economiche e della capacità di trovare facilmente strumenti e contatti duttili o anche occasionali finanziatori.
Anche la ricostruzione analitica dei numerosi tentativi di importazione per l’approvvigionamento relativa ai capi 4-7 e 13-15 contribuisce a dimostrare la stabilità organizzativa di un complesso gerarchicamente ordinato di risorse umane e materiali utili allo scopo, finalizza te al raggiungimento degli obiettivi, utilizzando una rete di fornitori, a dimostrazione della molteplicità di rapporti del gruppo criminale.
19. In breve, la motivazione fonda in modo solido la radice della prova della responsabilità per il reato associativo ex capo 1) su quattro importanti profili: Il numero dei delitti di cui si raggiunta la prova, la capacità organizzativa di gestire più importazioni contemporanreamente, in un arco temporale non certo occasionale, mediante ripetuti e collaudati schemi organizzativi.
Tutti tali profili emergono nettamente da un materiale probatorio univoco e gli argomenti difensivi circa l’autonomia di azione di taluni sodali che
si sarebbero mossi “in ordine sparso” pare fondata su una mera asserzione, comunque insufficiente e inidonea a fungere da vizio logico della motivazione.
Ritiene il Collegio, in definitiva, che la motivazione sui punti impugnati relativi al capo 1), soprattutto laddove riassume a pag. 116 quattro serie di ordini di considerazioni probatorie appare lineare, senza cadute dell’iter logico deduttivo.
Pertanto, tutti i motivi di ricorso al riguardo vanno rigettati.
La transnazionalità dell’associazione
Circa l’affermata transnazionalità dell’associazione i motivi di ricorso di NOME COGNOME NOME e NOME non si confrontano con la giurisprudenza in forza della quale l’aggravante prevista dall’art. 4 della legge n. 146 del 2006, è applicabile anche al reato associativo, sempre che il gruppo criminale organizzato transnazionale non coincida con l’associazione a delinquere (Sez. U, n. 18374 deI31/01/2013, COGNOME, Rv. 255035).
Al riguardo, diversamente da quanto sostenuto nei motivi di ricorso, la sentenza impugnata – non soltanto a pag. 117-118 ma in tutti i punti in cui tratta delle importazioni di stupefacenti – ha spiegato in modo convincente, con argomenti deduttivi basati sulla mole di materiale probatorio riguardante l’attività e i contatti all’estero dell’associazione, l’esistenza di rapporti di collaborazione con organizzazioni criminali estere. Si considerino le risultanze istruttorie relative ai capi 4, 5, 7 e 13 da cui emerge chiaramente la presenza di diversi gruppi, con strutture variamente organizzate, operanti all’estero, con i ‘quali l’associazione si è rapportata per l’approvvigionamento delle sostanze stupefacenti, rimanendone autonoma e distinta.
La motivazione impugnata dedica spiega con logica chiarezza che seppur non siano stati rilevati rapporti di esclusiva commerciale o circostanze sintomatiche dell’esistenza di uno scopo comune e di un vincolo di stabile solidarietà reciproca tra i soggetti coinvolti in una rete commerciale diversificata e articolata capace di operare in diversi continenti – già soltanto l’organizzazione dell’importazione di cui al capo 13), rivelava come il marocchino incontrato da NOME agisse come il capo autorevole di un sodalizio autonomo ben radicato anche in Spagna.
Vanno rigettati, pertanto, tutti i motivi di ricorso riguardanti l’applicazione dell’aggravante del carattere transnazionale dell’associazione.
Competenza territoriale
Un tema comune ai ricorsi di NOME COGNOME, NOME Fabio e NOME, COGNOME, COGNOME, riguarda sostanzialmente il luogo della prima manifestazione dell’associazione asseritamente ritenuto dalle difese da ricondurre non al territorio Vibonese (Comerconi, Nicotera e Vibo) e ai territori limitrofi della ionica catanzarese (Soverato, Catanzaro, Cutro e San Leonardo di Cutro), ma a quello lombardo e in particolare milanese.
Tale tema è stato affrontato e deciso in senso reiettivo sia in fase cautelare (con intervento confermativo della Corte di cassazione) sia in fase di merito con osservazioni che devono condividersi. Gli argomenti spesi dalla difesa non aggiungono nulla a quanto già prospettato in quelle diverse sedi di giudizio e comunque non si confrontano con tali univoche e chiare deduzioni dei giudicanti in merito al primo radicamento del sodalizio in Calabria e non in Lombardia. Tutti i provvedimenti univocamente confluiscono nell’affermazione della naturale costituzione e primo radicamento del sodalizio nel contesto sociocriminale del vibonese.
Si evidenzi quanto deciso nell’udienza preliminare sulla base delle dichiarazioni che avevano reso i collaboratori di giustizia COGNOME NOME e COGNOME NOME. Il primo, infatti, dopo aver ricostruito l’organigramma del sodalizio, GLYPH rivelava di aver intrattenuto, GLYPH dal 2010 in poi, rapporti connessi al narcotraffico con NOME NOME, e che aveva avuto rapporti anche con gli altri due fratelli NOME NOME e NOME, ai quali si era rapportato per gestire alcuni affari sempre legati al commercio di stupefacenti.
30. Si noti che le dichiarazioni di COGNOME in questione davano avvio al procedimento presso la Procura di Catanzaro e venivano riscontrate dalle indagini intercettive, dall’attività di osservazione e pedinamento, che confermavano che a Vibo Valentia si era avuta la radice genetica del sodalizio costituito dai fratelli NOME, a fianco della GLYPH cosca GLYPH di GLYPH ‘ndrangheta facente capo alla famiglia COGNOME di Limbadi.
Le emergenze illustrate in motivazione senza alcuna lacuna logica depongono univocamente per confermare che i Costantino, in un’ascendenza familiare-territoriale, GLYPH partendo GLYPH dalla GLYPH calabria, GLYPH avevano GLYPH solo successivamente espanso i confini dell’attività illecita fino a radicarsi anche (ma non innanzi tutto) nel capoluogo lombardo, senza che venissero mai meno rapporti, contatti e affari con il territorio di provenienza. Indubbiamente, come dimostra anche la sentenza impugnata, trattasi, di una ininterrotta continuità con il quadro riferito dal collaboratore di giustizia COGNOME
A fugare ogni dubbio la motivazione ben evidenzia che il trasferimento a Milano di NOME COGNOME COGNOME e lo spostamento dei suoi interessi nel territorio lombardo si collocano pacificamente in epoca successiva alla nascita e all’operatività, anzi sono indice dell’incremento ed espansione geografica e operativa della preesistente associazione, pur sempre mantenendo i contatti e gli affari con il territorio di provenienza.
Appartiene al consolidato orientamento giurisprudenziale, oltre che a comuni nozioni criminologiche, che il delitto associativo si consuma nel luogo in cui prende le mosse la programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; quindi dove viene avviata la concreta operatività GLYPH dell’associazione RAGIONE_SOCIALE in GLYPH quanto GLYPH struttura GLYPH che GLYPH permane indipendentemente dai successivi sviluppi commerciali, decentramenti organizzativi ed eventuali reati fine, dai luoghi di conclusione di accordi di compravendita o di stoccaggio della sostanza GLYPH stupefacente GLYPH che non costituiscono operazioni ideative o generative ma esecutive, operative, concrete del sodalizio criminale.
Al riguardo Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Rv. 278166- 01, ha ribadito il principio dell’irrilevanza della coincidenza o meno del luogo di istituzione dell’associazione con quello di commissione dei reati-fine del sodalizio, che rileva solo se consente di individuare il luogo in cui si svolgono le attività di programmazione, ideazione e direzione del gruppo nonché, in subordine, quando è impossibile accertare l’ubicazione di quest’ultimo, a norma dell’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., come luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione.
I promotori e organizzatori dell’associazione venivano individuati nella fase delle indagini nei fratelli NOME, nati e operativi per i loro agganci nel territorio vibonese che partendo dalla Calabria, avevano solo successivamente espanso i confini dell’attività illecita fino a radicarsi anche nel capoluogo lombardo, senza che venissero mai meno i contatti e gli affari con il territorio di provenienza, in linea con una ininterrotta continuità strategica con il quadro riferito dal collaboratore di NOME COGNOME (il quale ha riferito dell’esistenza, già prima della sua collaborazione, di una struttura associativa operante a livello nazionale con base in Calabria e, in particolare, nel territorio del vibonese, collocando in Puglia e Lombardia alcune ramificazioni della struttura associativa).
La motivazione del provvedimento impugnato evidenzia con coerenza logica e convincente come le emergenze probatorie depongano del tutto indubbiamente per il radicamento nel territorio vibonese delle attività ideative, direttive, organizzative e programmatiche dell’associazione contestata al capo
N
1), sulla base di numerosi elementi. Si consideri, al riguardo, che l’associazione era connotata da ramificazioni in vari continenti e in varie parti d’Italia, collegata a centri di comando unitari anche in rapporto ai singoli comparti o collegamenti territoriali, senza trascurare, proprio ai fini della decisione sulla competenza, il coinvolgimento negli affari illeciti della consorteria, nelle vesti di stabile finanziatore secondo l’accusa (anche se ritenuta poi, nel merito, insufficiente a fondare la sua partecipazione stabile all’associazione), di NOME COGNOME attivo anch’egli nel territorio vibonese.
37. Gli elementi in questione sono stati ritenuti dalla suprema Corte come convalidanti la persistenza della base ideativa e gestionale della consorteria criminosa in Calabria. Si noti inoltre che in fase cautelare, della questione di competenza con riferimento al delitto associativo si è occupato della questione di competenza in sede di incidente cautelare con riferimento alle posizioni dei Costantino il Tribunale del riesame con riferimento proprio alla posizione di NOME COGNOME COGNOME con pronuncia pienamente confermata sul punto dalla suprema Corte di cassazione (cfr. Sentenza n. 44395/2019). Il Tribunale del riesame, avuto riguardo al reato associativo, ha ritenuto che gli esiti delle indagini – in allora valutate ma successivamente confermate dall’emergenze dibattimentali – attestassero che il sodalizio contestato al capo 1) avesse ramificazioni in varie parti del mondo (Olanda, Marocco, Colombia e Venezuela) e dell’Italia (Calabria, Lombardia, Piemonte), secondo una struttura complessa ed articolata con il primo livello di “comando” individuato nei fratelli NOME e in Campisi NOME gravitanti nel territorio di Vibo Valentia e con importanti collegamenti con l’hinterland milanese. La Corte di cassazione, investita in sede di impugnazione cautelare, ha confermato le valutazioni espresse sul punto dal Tribunale del riesame di Catanzaro nelle decisioni nn. 44395 e 47885/2019 (quest’ultima relativa a NOME NOME).
38. Non si trascuri un’altra univoca decisione sulla competenza adottata dal Tribunale di Milano in composizione collegiale n. 13033 in data 30.10.2019 nei confronti di NOME Salvatore Antonio e COGNOME NOMECOGNOME su sollecitazione delle stesse difese, in relazione ai reati riguardanti armi e stupefacenti (ora oggetto dei capi 15, 15-bis e 15-ter di questo processo), con la quale è stata dichiarata l’incompetenza per territorio in ordine a quei delitti, proprio in ragione della connessione con il reato di associazione finalizzata al narcotraffico consumata, a termini dell’art. 8 cod. proc. pen., nel distretto catanzarese, alla cui autorità giudiziaria sono stati trasmessi gli atti (per poi essere riuniti in questo processo).
39. Tutte le questioni riguardanti la competenza territoriale riproposte
nuovamente in sede di legitimità, quindi, appaiono del tutto infondate e devono essere rigettate.
Al riguardo, anche il primo motivo di ricorso dell’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME concernente l’applicabilità del nuovo art. 24-bis, cod. proc. pen., deve essere rigettato, in quanto il rinvio pregiudiziale per la competenza territoriale è consentito esclusivamente per i processi di Primo grado per i quali alla data di entrata in vigore non era superata la fase preliminare. Tale inequivoco dato letterale ha specificamente la funzione di delimitare la fase in cui è ammissibile l’incidente per i processi in itinere al momento di entrata in vigore della nuova figura di incidente processuale. Pertanto dalla necessaria sincronia applicativa tra nuova norma e processi in corso non si rileva alcuna violazione degli artt. 3 e 24 cost. e risulta condivisibile la piana interpretazione dell’art. 24-bis cod. proc. pen. adottata dalla Corte di appello.
Ricorso di Stilo Giovanni
L’unico motivo di ricorso presentato da COGNOME Giovanni riguarda la motivazione c.d. rafforzata a seguito del ribaltamento in appello dell’assoluzione di COGNOME emessa in esito al processo di primo grado. Per motivazione rafforzata nel giudizio di appello si intende l’esposizione compiuta delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale in modo da conferire alla decisione una spiccata forza persuasiva.
Nella motivazione impugnata riguardante il ricorrente COGNOME Giovanni, a pag. 130-133, si espone la critica radicale alla motivazione di primo grado, oggettivamente lacunosa e superficiale su molteplici segmenti del costrutto probatorio, e sviluppa compiutamente la logica argomentativa che supera l’assoluzione per la contestazione associativa sostanzialmente priva di motivazione.
Il Tribunale, invero, ha fondato sostanzialmente la pronuncia assolutoria sul fatto che l’imputato non avesse fornito alcun contributo nell’organizzazione dei tentativi di importazione. La motivazione impugnata, con coerenza rispetto al costrutto probatorio, osserva, invece, che la decisione di primo grado trascura di considerare i numerosi incontri tra i fratelli NOME, capi saldi e comunque preposti a governare e mantenere le fila dell’associazione, e il ricorrente COGNOME, evidenziandone i collegamenti funzionali
iv
col traffico di stupefacenti, i contatti telefonici e l’apporto dello stesso COGNOME per risolvere richieste e necessità dei Costantino.
Vengono richiamati in motivazione una serie di importanti elementi probatori convergenti che evidenziano le sbrigative lacune della sentenza di primo grado e potenziano le ragioni e gli elementi che depongono per la condanna. Si evidenzia che Stilo è intervenuto in importanti momenti della vita associativa fornendo supporto logistico, venendo coinvolto nell’organizzazione e rendendosi disponibile a trovare capitali. Sebbene la difesa ritenga che la frequentazione tra i fratelli NOME e NOME si basava su cointeressenze nel commercio di materiale edilizio e non nel traffico di stupefacenti e, peraltro, non finanziando alcuna importazione, le GLYPH conversazioni evidenziate nella motivazione impugnata dimostrano la stabile disponibilità di Stilo ad assecondare richieste provenienti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME in relazione ai delitti programmati dall’associazione; finanche arrivando a favorire il noleggio dell’auto da parte di NOME Giuseppe a nome della moglie rivolgendosi a un proprio amico e riferendo immediatamente a NOME Fabio del controllo della Guardia di finanza all’autonoleggio dell’amico dopo che NOME aveva riconsegnato l’auto.
La motivazione espone anche che NOME aveva numerosi incontri con i fratelli NOME e si prestava a portare a NOME NOME il messaggio mandato da NOME NOME al fratello sull’incontro che lo stesso avrebbe dovuto avere con Visconti in Puglia di ritorno dal Sudamerica (nell’ambito della programmata importazione di cui al capo 4). Messo al corrente di quanto accadeva, era anche colui che aveva ricevuto il denaro che NOME NOME doveva restituire all’associazione e che poi recapitava a NOME E’ evidenziato altresì come NOME abbia assicurato per lungo tempo a NOME NOME la corresponsione di importanti introiti settimanali.
La motivazione supera anche l’argomento per cui il “materiale” che NOME chiedeva a NOME NOME per poterlo rivendere a un terzo era materiale edile, considerando che il termine “materiale” era stato utilizzato più volte in termini criptici per riferirsi allo stupefacente e che le ragioni dei rapporti con i NOME non si riferivano certamente a questioni edilizie.
La motivazione impugnata analizza anche la linea della difesa che ha escusso diversi testimoni nel corso del dibattimento di primo grado al fine di dimostrare che COGNOME trattava anche materiale edile la cui origine poteva non essere lecita, ma la possibilità di rapporti relativi anche a tale tipologia di materiale provento di reati o di ricettazione – evidenzia la motivazione impugnata – non confligge con i diversi rapporti intrattenuti in seno all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, rispetto alla cui attività
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NOME ha svolto una funzione servente, fornendo supporto logistico, aiutando NOME nel noleggio dell’autovettura, facendo da mediatore per la consegna di denaro a NOME da parte di NOME.
48. Pertanto, lo sviluppo argomentativo della sentenza impugnata, per l’analitica ricostruzione logico deduttiva delle prove trascurate o trattate superficialmente dalla sentenza di primo grado, soddisfa i principi dettati dalla giurisprudenza in tema di motivazione rafforzata, come già evidenziato con specifico riferimento al reato sub capo 1) supra ai §§. 2-21. Il motivo di ricorso di Stilo si riduce in definitiva al tentativo di insinuare una richiesta di rivalutazione nel merito di prove spiegate e coerentemente allineate nella motivazione impugnata; deve essere rigettato.
Reati fine dell’associazione
Esaminati i motivi di ricorso che attengono al contesto criminoso associativo anche nella sua radice territoriale ed attività transnazionale, si deve procedere all’esame dei ricorsi presentati dai ricorrenti in ordine ai reati fine dell’associazione, come variamente circostanziati.
NOME COGNOME sebbene distribuito in vari motivi addotti nei ricorsi dei due codifensori, lamenta le deduzioni probatorie in ordine ai fatti di cui ai capi 7, 8, 9, 11, 12, 13 (ivi compresa l’aggravante ex art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990), 14, 15, 15-bis; NOME COGNOME con i motivi 1, 2 e 3 quelli riguardanti i capi 7, 8-bis, 13, 15. Tali motivi possono trattarsi contestualmente attenendo alla medesima tematica della valutazione e della motivazione circa il materiale probatorio raccolto e posto a fondamento di entrambe le sentenze di condanna.
Al riguardo, deve osservarsi che i ricorsi di NOME, NOME e NOME, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, anche in ordine a tali fatti rivolge a questa Corte di legittimità sostanzialmente la richiesta di un nuovo giudizio di merito, sebbene al giudice di legittimità sia preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio. Questa Corte è giudice della motivazione e anche con riguardo alle criticità lamentate nei motivi de quibus non sembrano dedotte censure attinenti a. vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato
quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo.
In particolare, in relazione al secondo motivo di ricorso con cui si impugna la sentenza in ordine alla configurabilità del tentativo punibile con riferimento al capo 7) dell’imputazione, la prova di una condotta non soltanto preparatoria ma effettivamente esecutiva è spiegata analiticamente in motivazione (pag. 39 ss.) con riferimento a concreti elementi da cui deriva la deduzione probatoria dell’instaurazione della trattativa descritta nel capo di imputazione n. 7) con i reali fornitori della sostanza. In motivazione, con coerenza logica si evidenzia la serietà e la concretezza della trattativa, lo svolgimento della stessa per circa sei mesi, gli incontri per finanziare l’operazione di importazione, gli incontri tra NOME e NOME COGNOME, il ruolo di COGNOME, della COGNOME NOME e della COGNOME (come descritto dal collaboratore COGNOME), il viaggio della COGNOME e NOME NOME a Madrid a fine dicembre 2017. Non ultimo, la motivazione allinea gli esiti delle numerose intercettazioni – ivi compresa quella in auto del 29 novembre 2017 da cui si desume che venivano contati i soldi dai due fratelli NOME – riportate a pag. 42 ss della motivazione, da cui emerge univocamente un complesso esecutivo di atti volti all’importazione di stupefacente, avviato da diversi mesi, con la partecipazione di vari protagonisti dell’associazione, con la predisposizione di denaro, mezzi, contatti, garanzie, copertura e strategia logistica internazionale tra Italia, Spagna, Venezuela.
Il Collegio ritiene che tali elementi sono stati ben concatenati nel costrutto probatorio esposti in motivazione da cui si può evincere non una mera trattativa affidante ma una costruzione criminosa di atti concreti, rilevanti, posti in essere da personaggi di un certo calibro criminale, in contatto con i fornitori nella non ipotetica ma concreta disponibilità di stupefacente.
La lettura della motivazione (pag. 64-67) della sentenza depone per il rigetto anche del terzo motivo di ricorso con cui si lamenta la carenza di motivazione in ordine alla collocazione temporale delle presunte cessioni di stupefacente di cui al capo 8) di imputazione.
La motivazione impugnata risponde con coerenza logico probatoria alle specifiche censure che sono state prospettate con l’appello in riferimento al contenuto di intercettazioni telefoniche di cui la motivazione pur dà conto. La genericità degli elementi prospettati dalla difesa al fine di individuare con precisione le date di consumazione non si confrontano con l’individuazione temporale descritta in imputazione ove comunque le epoche di consumazione vengono individuate come antecedenti al 21 dicembre 2017 e al 5 gennaio 2018 e quindi fino a quella data. Del resto, sarebbe stato onere della difesa
prospettare e provare nel giudizio di merito un’eventuale diversa data per a presunta perpetrazione della cessione di stupefacenti; in assenza di tale prova non avrebbe potuto certo la Corte di appello dichiarare prescritto il reato in contestazione.
Il quarto motivo di ricorso sempre in ordine alle intercettazioni riguardanti il quadro probatorio del capo 9) di imputazione prospetta una diversa lettura di alcune intercettazioni telefoniche. Al netto del tentativo di dare in questa sede una valutazione diversa da quella data alle stesse dalla Corte di appello, il Collegio ritiene che non v’è alcun vizio motivazionale o travisamento della prova. In motivazione non si coglie alcun erroneo sviluppo logico deduttivo che sarebbe stato commesso dalla Corte di appello, attesa la genericità della critica del ricorrente circa il significante e il significato della prova nella percezione del contenuto del dato captato.
Anche in ordine al quinto motivo di ricorso, con cui si prospetta l’illogicità della motivazione in relazione alla cessione di stupefacente contestata al capo 11), si deve osservare la genericità del motivo laddove ritiene in modo assertivo, non specificamente argomentato, che la sentenza impugnata a pag. 78 ripropone la ricostruzione della vicenda già operata nella sentenza di primo grado. Invece, la motivazione spiega con coerenza logica come dalle intercettazioni si evince che i fratelli NOME stessero trattando di argomenti riguardanti la sostanza stupefacente e, di conseguenza, la prova che NOME COGNOME avesse la disponibilità del quantitativo di 10 chilogrammi di hashish offerti in vendita al Pilati.
Con analoghe considerazioni il Collegio ritiene infondato anche il sesto motivo di ricorso di NOME con cui la difesa eccepisce l’illogicità e la carenza di motivazione in relazione alla condotta del ricorrente ascritta al capo 12) dell’imputazione dove si contestano due presunte cessioni di stupefacente di tipo cocaina in favore di NOME NOME che avrebbe consegnato una somma poco inferiore ad euro 30.000 a NOME NOME. Ininfluente appare che, circa la seconda condotta contestata del 26.02.2018, la motivazione abbia omessa l’indicazione del progressivo relativo alla conversazione intercorsa tra il ricorrente e il COGNOME, ciò non costituendo di certo un limite al significato probatorio del dato captato anche laddove lo mette in connessione con l’incontro avvenuto tra ú predetti in data 26.02.2018, elemento storico di particolare riscontro.
I motivi di ricorso 7, 8, 9 e 10, integrati dai motivi 5 e 7 presentati dall’avv. COGNOME in difesa di NOME COGNOME non si confrontano specificamente con il complessivo costrutto probatorio esposto nella motivazione impugnata dalle pagine 80 e ss.
60. Ivi si espone con chiarezza e logica coerenza la complessiva attività istruttoria inerente ai reati sub capi 13,14,15,15-bis così come circostanziati. In particolare, in ordine alla configurabilità del tentativo punibile con riferimento al reato contestato al capo 13) dell’imputazione, la Corte di appello non ha travisato i dati intercettati dai quali risulta evidente che NOME NOME ha avuto un ruolo tutt’altro che secondario nella trattativa per l’importazione di chilogrammi 3000 di stupefacenti; la trattativa circa l’acquisto di 500 chilogrammi di hashish non era di certo una mera ipotetica intenzione da parte degli stessi Costantino ma l’obiettivo strategico commerciale per procedere all’importazione di un ulteriore carico di tre tonnellate.
61. Anche in ordine alla prova della condotta di cui all’art. 319 cod. pen. contestata al capo 14) di imputazione circa il reato di corruzione di cui il ricorrente risponde unitamente a COGNOME NOME in qualità di istigatori per avere corrotto, per il tramite di COGNOME NOME, dei militari della Guardia di Finanza preposti al servizio presso il porto di Genova, la motivazione recependo quella di primo grado offre ampia e logica dimostrazione della stipulazione nel caso concreto del pactum sceleris tra corruttori e pubblico ufficiale corrotto. Basti considerare le intercettazioni di COGNOME – e comunque le risultanze dibattimentali – in cui si rappresenta (rassicurandolo del buon esito) a NOME COGNOME il percorso dello stupefacente, il canale spagnolo e i contatti diretti coi finanzieri da cui le due conformi decisioni ricavano come effettivamente l’intermediario sia entrato in contatto con i soggetti da corrompere.
62. I motivi di ricorso di entrambi i difensori riguardanti il vizio della motivazione in ordine alla contestata aggravante dell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente descritta al capo 15) dell’imputazione lamentano che il provvedimento impugnato avrebbe una motivazione insufficiente o apparente. Ma la lettura delle due motivazioni allineate sul piano logico argomentativo muovono dal dato certo ed oggettivo costituito dal peso della sostanza stupefacente sequestrata per giungere ad una affermazione condivisibile sulla oggettiva ingente quantità. L’assenza di evidenza sull’elevata qualità del narcotico non costituisce evidenza di assenza, se viene considerato il quantitativo di oltre quattro quintali, dato che non può che indicare un serio, concreto elemento che depone a favore di una quantità di sostanza sequestrata, sufficiente a caratterizzare il mercato vibonese e non solo, nonché a influire sulle condizioni di compravendita nei vari passaggi commerciali illeciti, non soltanto nel vibonese. Al riguardo la motivazione in modo convincente a pag. 97/98 spiega che, pur in assenza di esami analitici che consentano di calcolare il complesso dei principi attivi, il calcolo aritmetico alla luce della proporzione
matematica e dei commenti intercettati depone per un dato approssimato per difetto di 2 kg. di principio attivo, idoneo ad alterare sensibilmente qualsiasi area di mercato illecito.
Anche il decimo motivo di ricorso di NOME COGNOME è inammissibile in quanto lamenta l’assenza di motivazione con riferimento ai reati di detenzione e ricettazione di un’arma di cui ai capi 15-bis) e 15-ter) rinvenuta in occasione del sequestro dei 429 chili di hashish di cui al capo 15) dell’imputazione.
Si noti che la polizia giudiziaria rinveniva all’interno del box di INDIRIZZO formalmente intestato a COGNOME NOME una pistola marca Beretta calibro 7.65 provento di furto. Il coinvolgimento diretto e inequivoco di NOME COGNOME in ordine a quanto ivi in possesso, è spiegato nelle motivazioni pur considerata la formale titolarità del box in capo al COGNOME, che non depone, come pur sostiene la difesa, per ritenere il garage nell’esclusiva disponibilità del ricorrente, ma di certo è sufficiente per ritenere la prova che l’arma in sequestro sia stata costì custodita dall’odierno ricorrente.
65. In breve, sono infondate tutte le doglianze finora esposte che aggrediscono la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa sufficienza e logicità della decisione quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove, in particolare alle intercettazioni, o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
NOME COGNOME attraverso il terzo motivo di ricorso presentato dall’avv. COGNOME lamenta l’erronea applicazione dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. per avere ritenuto inammissibili i motivi nuovi proposti dalla difesa depositati presso la cancelleria centrale penale del Tribunale di Roma nell’interesse di NOME COGNOME e pervenuti a mezzo posta presso la Corte di appello di Catanzaro in data 16/11/2022. Ritiene la difesa che la ratio sottesa all’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. consentirebbe la presentazione dei motivi nuovi nella cancelleria del giudice a quo con successiva trasmissione per posta al giudice dell’impugnazione.
Al riguardo la Corte di appello, invece, ha aderito all’orientamento giurisprudenziale, condiviso da questo Collegio, secondo il quale l’inosservanza dell’obbligo di presentare i motivi nuovi nella cancelleria del giudice dell’impugnazione come stabilito dall’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. comporta l’inammissibilità degli stessi a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen..
Il Collegio condivide tale uniforme linea giurisprudenziale adottata dalla Corte di appello (pag. 36/37 della motivazione) ove ritiene che in tema di impugnazioni, sono inammissibili i motivi nuovi depositati nella cancelleria del giudice a quo, anziché in quella del giudice dell’impugnazione, in quanto la specifica disposizione di cui all’art. 585, comma quarto, cod. proc. pen., volta a consentire al giudice l’immediata conoscenza delle ragioni integrative dedotte dalle parti, non è derogabile applicando analogicamente le previsioni speciali di cui agli artt. 582, comma secondo, e 583, comma primo, cod. proc. pen. che attengono, rispettivamente, alle modalità di presentazione o di spedizione dell’atto di impugnazione. (Sez. 6, n. 27603 del 18/03/2016, Nocera, Rv. 267263-01; COGNOME Sez. 2, n. 1381 del 12/12/2014, COGNOME dep. COGNOME 2015, COGNOME COGNOME, Rv. 261862-01). Di conseguenza, emergendo dal relativo motivo di ricorso argomenti essertivi di un’alternativa interpretativa, di certo inidonei e insufficienti per superare il citato consolidato orientamento, il Collegio ritiene infondato il motivo di ricorso de quo.
In ordine al quindicesimo motivo contenuto nel ricorso dell’avv. Contestabile in difesa di NOME COGNOME riguardante l’errata quantificazione della pena e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il Collegio rileva che la motivazione non merita alcuna censura, né sul piano della logicità né su quello della coerenza intrinseca nell’adozione dei criteri di commisurazione della pena e di valutazione delle attenuanti generiche, a fronte di generici, superficiali e essertivi motivi di ricorso. La gravità dei fatti e la caratura criminale del ricorrente NOME COGNOME consentono di rendere coerente l’aumento per l’aggravante speciale della transnazionalità nella misura minima, con il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche che possono essere concesse sulla base di altri presupposti concernenti profili oggettivi e soggettivi del fatto residualmente valutabili rispetto alle circostanze ordinarie.
Circa la posizione processuale di NOME COGNOME esaminati i motivi di ricorso nn. 1,2,3,4 e 6, presentati dall’avv. COGNOME unitamente agli analoghi motivi addotti dall’avv. Contestabile, rimane il motivo n. 5, riguardante l’erronea applicazione delle norme sull’istruzione probatoria con riferimento ai reati fine come esposti nelle pagine 39-98 della motivazione.
. 71. Anche a tal riguardo, sebbene il quinto motivo di ricorso tocchi punti specifici dei passaggi motivazionali, gli argomenti offerti dalla difesa rimangono aspecifici e tendono a richiedere una sostanziale rivalutazione del merito delle risultanze probatorie. In particolare, la lettura della motivazione non evidenzia alcuna lacuna argomentativa e/o logico-deduttiva riguardante le intercettazioni captate la cui interpretazione è rimessa ai giudici del merito che, invero, hanno
tenuto conto del linguaggio criptico, allusivo, ma indicativo da cui hanno avuto impulso vari segmenti investigativi, ampiamente riscontrati anche dai sequestri e dalle dichiarazioni di COGNOME. Si consideri che complessivamente dal motivo di ricorso de quo non emergono utili, concreti, effettivi argomenti idonei a inficiare il . costrutto probatorio che nel tessuto motivazionale ha sviluppato una vera e propria rete di elementi che convergono a favore della prova dei vari reati fine, nel grave contesto associativo di cui al capo 1), con le circostanze contestate, di cui si è già esposto nei §§ 2 ss. l’univoco materiale probatorio.
, 72. Non si deve, infatti, trascurare che la rete probatoria che tiene complessivamente la motivazione impugnata non deve essere letta atomisticamente ma complessivamente per tutti i reati esecutivi, tentati o consumati, del programma associativo volto a realizzare il traffico internazionale di stupefacenti. Di talché anche il motivo di ricorso in parola non considera la complessità univoca e convergente della mole probatoria, ed è pertanto infondato.
NOME
Al netto dei motivi di ricorso presentati da NOME nei nn. e 5 dell’atto di impugnazione, già trattati, il Collegio ritiene che anche gli altri motivi siano da rigettare.
Il secondo motivo di ricorso, in particolare, è infondato in quanto lamenta la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. poiché il pubblico ministero ha fornito un’impugnazione scarna limitatamente alla posizione di COGNOME NOME ritenendo ultroneo sintetizzare nel gravame il corposissimo compendio investigativo atto a comprovare la regia di NOME NOME nell’associazione. Il Collegio non ritiene che l’impugnativa della sentenza di primo grado articolata con riferimenti al compendio probatorio complessivo sia per ciò solo claudicante o omissiva dell’onere motivazionale dell’impugnativa. Nessuna disposizione o argomentazione porta ad escludere che le prove riguardanti anche un correo siano utilizzabili ai fini di dimostrare che esiste una complessa realtà probatoria di cui avrebbe dovuto tenere conto il giudice di primo grado.
75. Quindi, il Collegio non rileva alcuna nullità della sentenza e/o vizio di motivazione con riferimento all’accoglimento dei motivi di appello che sono stati proposti dal pubblico ministero in relazione alla posizione del ricorrente soprattutto se ciò sia conseguenza necessaria dell’eccessiva genericità della sentenza di primo grado.
Aspecifico e superficiale deve essere ritenuto il quarto motivo di ricorso di NOME Giuseppe ove sostiene la contraddittorietà e la manifesta illogicità
con riferimento agli artt. 192, 533 e 535 cod. proc. pen. prospettando la violazione del principio giurisprudenziale che ritiene necessario per la condanna il. raggiungimento di una certezza oltre ogni ragionevole dubbio.
Non pare al Collegio che nella fattispecie ci sia l’assenza di validi riscontri rispetto ad un collaboratore di giustizia come il COGNOME. Anche nel ricorso in oggetto si evidenzia che la collaborazione di COGNOME è iniziata prima del periodo di contestazione e ciò, a parere della difesa, avrebbe portato la sentenza di appello ora impugnata ad un serie di dubbi e presunzioni avendo argomentato COGNOME la GLYPH partecipazione GLYPH delittuosa GLYPH di COGNOME NOME COGNOME NOME all’associazione soltanto sulla scorta del compendio dichiarativo di COGNOME che non può fare da riscontro ad alcun compendio emergente dalle intercettazioni relativo ad anni successivi.
Tale argomentazione non è condivisibile perché la sentenza di primo grado e la conferma di secondo grado danno atto della coerenza e credibilità di COGNOME le cui dichiarazioni non sono le sole fonti di prova a carico degli imputati ma sono corroborate dalla mole di atti istruttori che convergono univocamente per la prova del reato associativo nei confronti del ricorrente sulla base di una serie di sviluppi investigativi logici che hanno dimostrato la prova sotto il profilo oggettivo e soggettivo del coinvolgimento non secondario, attivo, cosciente, utile del ricorrente nella consumazione del reato associativo in contestazione.
Con il sesto motivo di ricorso, infine, la difesa lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nonché la dosimetria della pena. Anche in tale segmento la motivazione non appare lacunosa ma esplica, in maniera esaustiva, le ragioni logico-giuridiche che l’hanno condotta a tale conclusione. Si noti che la caratura criminale, l’attività partecipativa, la biografia penale del Costantino, gravata da precedenti per usura e altri allarmanti reati, sono indicati in motivazione quale ragione che depone contro la concessione delle attenuanti generiche. La motivazione non presenta alcuna caduta logica laddove giustappone tali elementi per dedurne l’incompatibilità con il beneficio attenuante.
Ricorso di NOME
80. Entrambi i motivi di ricorso presentati da NOME possono essere trattati unitariamente in quanto volti a impugnare la motivazione circa là valutazione della prova captativa di cui all’intercettazione telefonica avvenuta in data 28/02/2018 tra il ricorrente NOME e NOMECOGNOME
La difesa chiede sostanzialmente una rilettura dell’intercettazione a suo dire poco chiara che, invero, nella sentenza impugnata a pag. 99 riceve una coerente collocazione nel costrutto probatorio della motivazione. La difesa ritiene che era Costantino a dovere del denaro al ricorrente e pertanto cercava di tranquillizzarlo promettendogli che avrebbe adempiuto comunicandogli di volta in volta intoppi ed imprevisti fino all’incontro del 14/02/2018 nel garage che era la sede logistica in cui dopo poche settimane sarebbe stato custodito lo stupefacente. La Corte di appello in linea con la conforme decisione di primo grado ha spiegato (pag. 99-104) che l’evidente rapporto di debito-credito tra i due interlocutori dimostra una sorta di accordo per una datio in solutum, avente ad oggetto 100 kg di stupefacente per pagare un vecchio debito accettato da NOME. Accordo che deve ritenersi sufficiente per integrare il reato di cessione se per oggetto e modalità esecutive è chiaro il commercio di stupefacente, deduzione inequivocabilmente spiegata a pag. 104 della motivazione senza alcun salto logico, a prescindere dalla circostanza della presenza dell’imputato NOME nel garage il giorno 14/02/2018. Non si trascuri infine che la prova dell’inserimento di NOME COGNOME nel traffico di stupefacenti costituisce un solidissimo riscontro dell’argomento trattato nell’intercettazione in esame che quindi è fonte di prova della colpevolezza dell’imputato, e non soltanto un indizio, dell’accordo, dell’oggetto dello stesso, delle modalità di estinzione del debito mediante la consegna dei 100 kg di stupefacente. Al netto di tale interpretazione il ricorso tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito, precluso in sede di controllo della motivazione, circa la rilettura degli esiti captativi.
La spiegazione del contenuto captato data in entrambe le sentenze consente di considerare i motivi di ricorso meramente assertivi e quindi manifestamente infondati.
Ricorso di Mendolicc:hio NOME
83. Il Collegio ritiene infondati anche i motivi di ricorso presentati da COGNOME Luigi.
In disparte il primo motivo, riguardante la competenza territoriale del Tribunale di Vibo Valentia, già esaminato, con il secondo motivo di ricorso si lamenta la contraddittorietà e il travisamento della prova circa il delitto contestato al capo 7) della rubrica.
Al riguardo occorre richiamare quanto già esposto circa la prova per il reato sub capo 7), cui ora deve aggiungersi che la difesa chiede sostanzialmente la rivalutazione della fonte probatoria costituita dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche. In particolare, si chiede di rivalutare il significato
probatorio della comunicazione intercorsa fra i fratelli NOME captata il 30/12/2017. Sostiene la difesa che solo dalle intercettazioni telefoniche non si può ritenere provata la sussistenza di una trattativa preordinata tra i venditori sudamericani e i compratori di stupefacente, trascurando però che l’attività di captazione telefonica non è certo l’unica a infirmare il quadro accusatorio confermato nei due gradi di giudizio circa la partecipazione volontaria del ricorrente al sodalizio criminoso.
La generica asserzione difensiva per cui la decisione di condanna pronunciata dalla Corte di appello si fonderebbe su un mero quadro indiziario Che non presenta i necessari caratteri di gravità, precisione e concordanza apparendo in tal senso la decisione irrazionale e non adeguatamente motivata, in termini dubitativi e generici non è condivisibile da questo Collegio a cui si sarebbe dovuta sottoporre un’analisi più approfondita delle prove (non uniche) ed eventualmente anche a discarico, di cui non v’è traccia.
Infine, risulta generico e tendente a riproporre valutazioni riservate al giudice del merito anche il terzo motivo di impugnativa di COGNOME imperniato sulla violazione dell’art. 133 cod. pen. e sulla mancata motivazione in merito alla valutazione della richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche.
88. La Corte di appello sebbene sinteticamente ha sviluppato i motivi di gravame proposti nell’interesse di Mendolicchio e per il tentativo ha dimezzato la pena base e ha operato l’aumento per la sola recidiva e non anche per le altre aggravanti. La difesa non spiega perché tale sviluppo del calcolo della pena urterebbe sul piano logico con la decisione di concedere le attenuanti generiche equivalenti e non prevalenti. Non basta affermare che, pur a fronte di un articolato motivo di gravame in relazione alla pena in concreto erogata, il passaggio della motivazione che riguarda la determinazione della pena per il ricorrente appare apodittico e quindi insufficiente perché meramente assertivo e inidoneo a rendere contezza del percorso logico seguito. Infatti, il Collegio evidenzia che la motivazione complessiva, in punto di pena ma anche di definizione del quadro criminoso e di complessiva valutazione del ruolo svolto dal ricorrente, ha un coerente sviluppo logico deduttivo che non è incrinato da una generica asserzione sulla equivalenza delle attenuanti generiche rispetto al quadro circostanziale.
Ricorso di COGNOME NOME
89. Sul primo motivo di ricorso di COGNOME NOMECOGNOME circa l’erronea applicazione dei criteri dettati dall’art. 8 cod. proc. pen. in ordine alla determinazione della competenza per territorio, del tutto sovrapponibile agli
altri ricorsi sul medesimo motivo, si è già motivato nel senso dell’inammissibilità, pertanto si deve rinviare a quanto già esposto.
Il Collegio ritiene inammissibile anche il secondo motivo di ricorso con cui si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 597 cod. proc. pen. perché la Corte, in assenza di appello del pubblico ministero, non avrebbe potuto dare una qualificazione giuridica più grave al fatto per cui il COGNOME aveva riportato condanne. Si osserva, però, che la Corte di appello nell’ipotesi delittuosa di cui al capo 15) non ha operato una indebita reformatio in peius. Nel capo 15) di imputazione veniva contestato il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 1, 1-bis e 6, d.P.R. n. 309 del 1990. All’esito del giudizio di primo grado, COGNOME NOME veniva condannato ma per il reato di cui all’art. 378 cod. pen. perché così veniva riqualificato il fatto di cui al capo 15) nei suoi confronti.
La riqualificazione giuridica del fatto costituisce una doverosa prerogativa del giudicante che deve adattare la veste giuridica al fatto e ciò prescinde dai contenuti dell’appello che hanno vocato il secondo giudizio. L’effetto devolutivo – nel caso concreto riguardante la sentenza di primo grado laddove ritiene la sussistenza di elementi idonei a condannare l’imputato per il fatto di cui al capo 15) – non limita il potere-dovere di riqualificare il fatto che corrisponde al giudizio sul fatto in se considerato, non a un giudizio sui motivi. Una volta investito il giudice d’appello, a prescindere dall’accoglimento dei motivi di impugnazione, deve ricondurre la fattispecie concreta nel corretto alveo normativo, e ciò non confligge col principio del ne bis in idem.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’illogicità della motivazione con riferimento alla configurabilità del concorso nel reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, sempre con riferimento al capo 15) dell’imputazione. Gli argomenti della difesa sul punto tendono a un giudizio sulla valutazione della prova riservata al giudice di merito.
In particolare la motivazione ha spiegato con coerenza logica che l’accesso al laboratorio di pasticceria in prossimità del luogo in cui il ricorrente avrebbe consegnato il veicolo al Costantino rende evidente come sia assolutamente verosimile che il COGNOME vi abbia fatto accesso in funzione e in attesa che il Costantino effettuasse il trasbordo dello stupefacente.
Non v’è alcun evidente travisamento della prova, in quanto la corte ha fondato il proprio convincimento su un dato del tutto logico e materiale: la disponibilità del box da parte di COGNOME NOME con un’evidente effettiva consapevolezza in merito ai movimenti delittuosi di NOME. Avendo la Corte sviluppato una mera deduzione logica, le osservazioni della difesa sul punto sono assertive e dubitative ma non superano il vaglio di ammissibilità.
Altrettanto inammissibile appare il quarto motivo di ricorso con cui si lamenta l’errata dosimetria della pena. La considerazione che la pena base di anni tre comminata dalla Corte si distanzi notevolmente dal minimo edittale nonostante la prognosi positiva operata sulla personalità del ricorrente (avendo indotto i giudici a riconoscere in favore dello stesso le attenuanti generiche) non presenta alcun conflitto logico né è in contraddizione con le risultanze Processuali. La motivazione spiega il ragionamento circa il trattamento sanzionatorio coerente con le risultanze in punto di pena da attenuare ex art. 62-bis, cod. pen. per i motivi esposti in motivazione e ciò non significa che il giudicante avrebbe dovuto rivedere la pena base che invece viene determinata prioritariamente in base ai criteri ex art. 133 cod. pen. che nella fattispecie risultano correttamente applicati.
Di talché anche questo motivo risulta palesemente infondato e quindi inammissibile.
In conclusione, Il Collegio rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10 settembre 2024
il Consigliere estensore