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Associazione a delinquere stupefacenti: i ricorsi

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di diversi imputati condannati per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Suprema Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare le prove, ma di verificare la corretta applicazione della legge, confermando le decisioni dei giudici di merito che avevano escluso la configurabilità di reati di ‘lieve entità’ per l’associazione e respinto le questioni di costituzionalità.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere stupefacenti: limiti e inammissibilità del ricorso in Cassazione

Con la sentenza n. 42615 del 2024, la Corte di Cassazione affronta il tema dell’associazione a delinquere stupefacenti, delineando i confini del giudizio di legittimità e chiarendo importanti principi sulla qualificazione del reato. La decisione conferma la linea rigorosa della giurisprudenza nel dichiarare inammissibili i ricorsi che, di fatto, mirano a una nuova valutazione delle prove già esaminate nei gradi di merito.

I fatti del processo

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Lecce, che aveva confermato la responsabilità penale di numerosi imputati per aver partecipato a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, principalmente marijuana e hashish. Agli imputati erano contestati sia il reato associativo previsto dall’art. 74 del d.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti), sia diversi reati fine di spaccio (art. 73 dello stesso decreto).

I motivi del ricorso e le doglianze degli imputati

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni. Le principali doglianze si concentravano su:

* Errata valutazione delle prove: Molti ricorsi contestavano l’interpretazione delle intercettazioni telefoniche e ambientali, sostenendo che i giudici di merito avessero travisato il significato delle conversazioni, attribuendo un carattere illecito a dialoghi che, a loro dire, erano di natura lecita o comunque non provavano una partecipazione stabile al sodalizio criminale.
* Mancata qualificazione come associazione di ‘lieve entità’: Una censura comune riguardava la mancata applicazione dell’art. 74, comma 6, del T.U. Stupefacenti. Tale norma prevede una pena più mite per le associazioni finalizzate esclusivamente a commettere fatti di ‘lieve entità’ (art. 73, comma 5). Secondo i ricorrenti, poiché alcuni dei reati fine erano stati riqualificati come lievi, anche l’associazione avrebbe dovuto subire la stessa sorte.
* Questione di legittimità costituzionale: Alcuni difensori hanno sollevato il dubbio di costituzionalità dell’art. 74, nella parte in cui non prevede un trattamento sanzionatorio diverso per le associazioni dedite al traffico di droghe leggere rispetto a quelle che trattano droghe pesanti.
* Assorbimento dei reati fine: In un caso specifico, si sosteneva che la condotta di detenzione di stupefacenti dovesse essere ‘assorbita’ nel reato associativo, in quanto espressione del ruolo ricoperto all’interno del gruppo.

La decisione e le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, fornendo una serie di motivazioni che consolidano principi cardine del processo penale e del diritto degli stupefacenti.

Il divieto di rivalutazione dei fatti in sede di legittimità

Il punto centrale della decisione è il richiamo alla natura del giudizio di Cassazione. I giudici hanno ribadito che la Corte non è un ‘terzo grado di merito’ e non può procedere a una nuova e diversa valutazione delle prove. L’interpretazione del contenuto delle intercettazioni è un’attività tipica del giudice di merito, e il suo apprezzamento può essere censurato in Cassazione solo se manifestamente illogico o irragionevole, cosa che nel caso di specie non è stata ravvisata. I ricorsi, invece, proponevano una lettura alternativa delle prove, tentando di sostituire la propria valutazione a quella, congrua e logica, dei giudici d’appello.

La corretta qualificazione dell’associazione a delinquere stupefacenti

La Corte ha respinto con fermezza la richiesta di riqualificare l’associazione come ‘di lieve entità’. Ha chiarito che, secondo un principio ormai consolidato, la fattispecie attenuata dell’art. 74, comma 6, è applicabile solo a condizione che il programma criminale del sodalizio sia volto esclusivamente alla commissione di fatti di lieve entità. Se l’associazione, come accertato nel caso concreto, ha una struttura e un’operatività tali da poter commettere anche reati di maggiore gravità, la fattispecie attenuata non può essere riconosciuta, anche se alcuni episodi specifici sono stati qualificati come lievi.

La manifesta infondatezza della questione di costituzionalità

Anche la questione di legittimità costituzionale è stata ritenuta manifestamente infondata. La Corte ha spiegato che rientra nella discrezionalità del legislatore scegliere di non differenziare le pene per il reato associativo in base al tipo di droga. Questa scelta si giustifica con la natura unitaria del fenomeno organizzativo criminale, che viene punito in sé, a prescindere dalla specifica natura delle sostanze trafficate.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma dei limiti del ricorso per cassazione in materia di criminalità organizzata. Emerge chiaramente che non è possibile utilizzare questo strumento per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti compiuto nei primi due gradi di giudizio, se la motivazione della sentenza impugnata è logica e coerente. Inoltre, la pronuncia ribadisce i rigorosi presupposti per l’applicazione della più lieve fattispecie di associazione a delinquere stupefacenti, legandola a un programma criminoso esclusivamente orientato verso illeciti minori, e conferma la legittimità costituzionale del quadro sanzionatorio previsto dal T.U. Stupefacenti.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come le intercettazioni, per dimostrare la propria innocenza?
No, la Corte di Cassazione non riesamina le prove nel merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Tentare di offrire una diversa interpretazione delle prove, come le intercettazioni, è un’attività riservata ai giudici di primo e secondo grado e rende il ricorso inammissibile.

Quando un’associazione a delinquere per spaccio può essere considerata di ‘lieve entità’ con una pena inferiore (art. 74, comma 6 T.U. Stupefacenti)?
Secondo la sentenza, questa qualificazione più favorevole è possibile solo quando il programma criminale dell’associazione è finalizzato esclusivamente alla commissione di reati di lieve entità. Se l’organizzazione è strutturata per commettere anche reati di maggiore gravità, la fattispecie attenuata non si applica, anche se alcuni singoli episodi di spaccio sono stati ritenuti lievi.

Perché è stata respinta la questione di incostituzionalità dell’art. 74 T.U. Stupefacenti che non distingue le pene tra droghe leggere e pesanti?
La Corte ha ritenuto la questione manifestamente infondata perché rientra nella legittima discrezionalità del legislatore punire il fenomeno organizzativo criminale in modo unitario. La scelta di non differenziare la pena per l’associazione in base al tipo di sostanza stupefacente non viola i principi costituzionali, poiché si punisce la pericolosità della struttura criminale in sé.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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