Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 42615 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 42615 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a FRANCAVILLA FONCOGNOME il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a FRANCAVILLA FONCOGNOME il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a FRANCAVILLA FONCOGNOME il DATA_NASCITA
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COGNOME NOME NOME a FRANCAVILLA FONCOGNOME il DATA_NASCITA
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COGNOME NOME NOME NOME FRANCAVILLA FONCOGNOME il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME NOME FRANCAVILLA FONCOGNOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/10/2022 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e ijricors1) udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi proposti negli interessi di COGNOME
NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché,
quanto ai ricorsi proposti negli interessi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’affermazione di responsabilità per il delitto di cui al capo 1) e per l’inammissibilità nel resto; udito l’avvocato COGNOME NOME, del Foro di Brindisi, in difesa di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, che insiste nell’accoglimento delle doglianze; udito l’avvocato COGNOME NOME, in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME, difensore di COGNOME NOME, nonché in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME, difensore di COGNOME NOME, e dell’avvocato COGNOME NOME, difensore di COGNOME NOME, il quale chiede l’accoglimento dei rispettivi ricorsi; udito l’avvocato COGNOME NOME, del Foro di Brindisi, IN DIFESA DI COGNOME NOME, che insiste nell’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato COGNOME NOME, quale sostituto processuale dell’avvocato COGNOME difensore di COGNOME NOME, il quale chiede l’accoglimento dei rispettivi
COGNOME NOME difensore di COGNOME NOME, dell’avvocato COGNOME NOME difensore di COGNOME NOME, e dell’avvocato COGNOME NOME ricorsi;
ei
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Lecce, con la pronuncia indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato, ha confermato la responsabilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati in materia di stupefacenti, aventi a oggetto quasi esclusivamente marijuana ma anche hashish, agli stessi rispettivamente ascritti, nei termini di seguito specificati nella trattazione de singole posizioni, ex artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (c.d. «T.U. stup.»), con esclusione delle aggravanti previste dai commi 3 e 4 (cui si aggiunge la fattispecie in materia di armi contestata solo a NOME COGNOME al capo 2).
Avverso la sentenza sono stati proposti ricorsi negli interessi degli imputati, con articolazione dei motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.)
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su un motivo, avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il reato di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990 (c.d. «T.U. stup.»), ascrittogli al capo 1, e per plurime fattispecie di cui all’art. 73 del medesimo decreto, previa riqualificazione in fatti di «lieve entità» di diverse contestazio ma non di quelle ascritte ai capi 5, 6, 7, 10, 11, 12 e 26.
3.1. Con il motivo unico di ricorso si deducono la violazione di legge e l’illogicità manifesta della motivazione nella parte in cui, pur riqualificati div reati fine del sodalizio ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, anche nei confronti di altri sodali, la Corte territoriale ha escluso la sussumibili dell’accertata associazione nell’astratta previsione di cui all’art. 74, comma 6, del medesimo «T.U. stup.». Nonostante l’assenza di appello in merito al capo 1 da parte di NOME NOME COGNOME, il ricorrente, evidenziando la proposta impugnazione sul punto da parte di altri sodali (anche con successivo ricorso per cassazione), deduce l’errore nel quale sarebbe incorso il giudice d’appello nel ritenere inconfigurabile la diversa fattispecie nel caso in cui l’attività associat si sia manifestata, come accertato nella specie, con condotte non tutte rientranti della previsione del detto comma 5.
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su quattro motivi, avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il reato di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, ascrittogli al capo 1, e per plurime fattispecie di cui all’art. 73 del medesimo decreto, previa riqualificazione in fatti di «lieve entità» delle sole contestazioni mosse ai capi 14 19, 20 e 22 (e non di quelle ascritte ai capi 10 e 12).
4.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge per aver ritenuto sussistente l’associazione di cui al capo 1, in luogo di un mero concorso di persone in reato continuato, oltre che la partecipazione dell’imputato a essa, quale sodale deputato allo spaccio al dettaglio, sulla base della sola commissione di reati fine.
Al netto delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME in merito all’utilizzo di u circolo quale luogo di spaccio e di raccolta del denaro, dagli elementi emergenti dalle intercettazioni di comunicazioni e conversazioni emergerebbero solo contatti con NOME COGNOME, ricoprente un ruolo organizzativo e verticistico nel sodalizio, al più apprezzabili come singole cessioni in favore dell’imputato. Quest’ultimo, comunque, si sarebbe servito anche di altri canali di approvvigionamento, per quanto emergerebbe anche dalla captata conversazione dell’8 aprile 2017 a cui farebbe riferimento la stessa sentenza impugnata. I colloqui tra i ritenuti sodali, peraltro, evocherebbero rapporti di contrapposizione tra gli appartenenti e, differentemente da quanto sostenuto dai giudici di primo e di secondo grado, non evidenzierebbero l’accertata fungibilità di ruoli oltre che la stabilità del vincolo e l’adesione a esso da parte de ricorrente, in considerazione anche della permanenza contestata con riferimento a un limitato arco temporale (da gennaio a ottobre 2017).
4.2. In violazione di legge, oltre che immotivatamente, la Corte territoriale, per la seconda censura, non avrebbe sussunto l’accertata associazione nella diversa fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, nonostante l’operata riqualificazione di diversi reati fine in ipotesi di «lie entità».
4.3. Per il terzo motivo di ricorso, pur trattandosi di «droga parlata», giudici di merito avrebbero motivato la responsabilità dell’imputato in merito agli ascritti fatti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 sulla base di conversazio non apprezzabili ai fini di un giudizio di condanna «al di là di ogni ragionevole dubbio». Per il ricorrente (pag. 15 e ss. del ricorso) il tenore dei dialoghi s presterebbe anche ad altre interpretazioni, tra cui l’uso personale dello stupefacente ovvero la detenzione a fini di spaccio ma limitata a un’unica fattispecie ancorché, in ipotesi, emergente da più intercettazioni.
4.4. La Corte territoriale, infine, per il quarto motivo, avrebbe errat nell’escludere la sussumibilità dei fatti di cui ai capi 10 e 12 nell’ipotesi di «l entità», non incompatibile con un’attività continuativa di spaccio di stupefacenti, senza procedere a una valutazione complessiva degli elementi caratterizzanti la fattispecie e ritenendo determinante solo il dato quantitativo ma in assenza di sequestri che rendessero possibile la quantificazione dello stupefacente.
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su due motivi, avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il reato di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 ascrittole al capo 1, con i ruolo di soggetto deputato, dopo l’arresto del marito NOME COGNOME, vertice del sodalizio, a provvedere alla raccolta dei proventi dello spaccio (utilizzati anche per sostenere in carcere il detto soggetto di vertice) e ha fungere da tramite delle disposizioni impartite ai sodali, utilizzando il sistema dei colloqui in carcer tra NOME COGNOME e l’altro organizzatore-direttore dell’associazione, NOME COGNOME.
5.1. Con il primo motivo si deducono la violazione di legge e l’illogicità della motivazione quanto alla ritenuta partecipazione dell’imputata al sodalizio.
Per la ricorrente, in particolare, anche violando il criterio di giudizio dell’ di là di ogni ragionevole dubbio», la Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere la mera connivenza dell’imputata e nel ritenere invece sussistente la cosciente condotta partecipativa, quindi funzionale all’associazione. La responsabilità sarebbe stata accertata in ragione del solo pregiudizio derivante dal rapporto di coniugio con il vertice, dal quale, peraltro, all’epoca, l’imputata sarebbe di fatto separata. Non vi sarebbe stato confronto alcuno con la mancata partecipazione della prevenuta ai reati fine e l’accertamento delle responsabilità sarebbe fondato su esiti conversazioni e comunicazioni captate che, per converso, diversamente valutati, avrebbero condotto a un differente giudizio.
5.2. La ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, in termini di violazione di legge e omessa motivazione sul punto da parte della Corte territoriale, riprospetta in sede di legittimità l’incostituzionalità dell’art. 74 d.P.R. n. 309 1990, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost. (in considerazione, quindi, anche del principio interno e sovranazionale di proporzionalità del trattamento sanzioNOMErio), nella parte in cui non prevede per l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al comma 4 dell’art. 73 (c. «droghe leggere») un trattamento sanzioNOMErio meno grave rispetto all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di cui al comma 1 del citato art. 73 (c.d. «droghe pesanti»).
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su plurimi motivi e sostenuto da memoria, avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il reato di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, ascrittogli al capo 1, e per la fattispecie di cui all’art. 73 del medesimo decret contestata al capo 26.
6.1. Con una prima serie di censure (articolate nelle prime 23 pagine del ricorso) si deducono violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione in merito alla ritenuta responsabilità per il reato associativo, quanto a condotta partecipativa funzionale al sodalizio e alla consapevole adesione al programma criminoso.
In sintesi, i giudici di merito, tanto di primo quanto di secondo grado, avrebbero fondato l’accertamento della responsabilità dell’imputato, in termini di partecipazione quale soggetto deputato alla vendita al dettaglio dello stupefacente per il gruppo riconducibile a NOME COGNOME ed NOME COGNOME, solo sul coinvolgimento di NOME COGNOME nella fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 ascrittagli al capo 26 in concorso con il citato COGNOME. Non emergerebbero in particolare gli elementi probatori in concreto conducenti nel senso dell’insussistenza di una mera ipotesi di concorso nel reato di cessione di stupefacenti e fondanti la ritenuta consapevolezza del prevenuto in merito all’esistenza dell’organizzazione e alla funzionalità della sua condotta rispetto al relativo programma criminoso, neanche eventualmente in termini di stabile e duraturo rapporto tra il fornitore e il cessionario rivenditore al dettaglio. A ciò aggiungerebbe, sempre per il ricorrente, la ritenuta insussistenza da parte degli stessi giudici di merito di contatti e rapporti con altri sodali da pa dell’imputato, comunque solito rifornirsi di stupefacente anche da altri soggetti, e in considerazione del ristretto lasso temporale della ritenuta condotta partecipativa, sostanzialmente iniziata, per lui, solo nel luglio 2017 e concretizzatasi nella sola fattispecie di cui al capo 26. Sarebbe altresì manifestamente illogica la motivazione nella parte in cui i giudici di merito avrebbero ritenuto accertata la cosciente partecipazione da parte dell’imputato anche muovendo dai fatti di cui al capo 25, per i quali è stato invece assolto per l’insufficienza probatoria in merito all’uso non esclusivamente personale dello stupefacente ricevuto dal citato COGNOME, e dal successivo arresto di NOME COGNOME perché rinvenuto in possesso di stupefacente (fatto dal quale comunque l’imputato sarebbe stato assolto all’esito di altro processo). Gli stessi elementi probatori emergenti dalle captate conversazioni, con riferimento alle quali, peraltro, l’imputato, a eccezione di una sola circostanza, sarebbe mero «terzo conversato», porterebbero, infine, a dire del ricorrente, a escludere la consapevolezza del prevenuto circa l’esistenza della stabile organizzazione Corte di Cassazione – copia non ufficiale
funzionale alla realizzazione del programma delittuoso in materia di traffico di stupefacenti.
6.2 Con gli altri motivi di ricorso si deducono violazioni di legge e viz cumulativi di motivazione per aver la Corte escluso la sussumibilità del reato di cui al capo 26 nella fattispecie di «lieve entità» senza una valutazione globale della vicenda storica ma solo in ragione del ritenuto non limitato dato quantitativo, peraltro argomentato tramite mere supposizioni dall’importo emergente dalle intercettazioni (pari a 135,00 euro). Per il ricorrente, sostanzialmente, diretta conseguenza della «lieve entità», che i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere accertata, sarebbe stato l’accertamento della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., che invece sarebbe stata esclusa solo in ragione dello stabile inserimento nel contesto associativo.
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su due motivi, avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il solo reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 ascrittogli al capo 11, co assoluzione dalla partecipazione al sodalizio contestata al capo 1.
Si deducono violazioni di legge e vizi motivazionali: a) in ordine alla mancata derubricazione della fattispecie accertata nell’ipotesi di «lieve entità», invece sollecitata dall’appellante, in assenza di una valutazione globale della vicenda storica quanto a mezzi, modalità, circostanze dell’azione oltre che qualità e quantità della sostanza; b) in merito alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 1, lett. b, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto motivata in ragione del solo concorso nel reato di un soggetto minorenne,
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su due motivi, avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il reato di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, ascrittogli al capo 1, e per la fattispecie di cui all’art. 73 del medesimo decreto contestata al capo 13 (riqualificata in appello quale fatto di «lieve entità»).
8.1. Con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione in merito alla ritenuta responsabilità per il reato associativo, quanto a condotta partecipativa funzionale al sodalizio e alla consapevole adesione al programma criminoso.
In sintesi, i giudici di merito, tanto di primo quanto di secondo grado, avrebbero fondato l’accertamento della responsabilità dell’imputato, in termini di partecipazione quale soggetto deputato alla vendita al dettaglio per il gruppo riconducibile a NOME COGNOME ed NOME COGNOME, solo sul coinvolgimento di NOME COGNOME nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5,
d.P.R. n. 309 del 1990 ascrittagli al capo 13, commessa in concorso con il citato COGNOME e per il quale l’imputato avrebbe eseguito la cessione a terzo soggetto di un quantitativo di – marijuana al prezzo di 20,00 euro. Non emergerebbero in particolare gli elementi probatori in concreto conducenti nel senso dell’insussistenza di una mera ipotesi di concorso nel reato di cessione di stupefacenti e fondanti la ritenuta consapevolezza del prevenuto in merito all’esistenza dell’organizzazione e alla funzionalità della sua condotta rispetto al relativo programma criminoso, neanche eventualmente in termini di stabile e duraturo rapporto tra il fornitore e il cessionario rivenditore al dettaglio. A ciò aggiungerebbe, sempre per il ricorrente, l’assenza di riferimenti in sentenza a contatti e rapporti con altri sodali da parte dell’imputato, oltre che il ristr lasso temporale della ritenuta condotta partecipativa, sostanzialmente limitata, per lui, al periodo di consumazione del reato ascritto al capo 13 e concretizzatasi nella commissione solo di tale fattispecie. Sarebbe altresì viziata la motivazione nella parte in cui i giudici di merito avrebbero ritenuto accertata la coscient partecipazione da parte dell’imputato in forza dell’ipotesi, solo prospettata al prevenuto da COGNOME ma non attuata, di adibire un circolo a base di spaccio con riferimento al quale NOME COGNOME avrebbe operato come riscossore del denaro. Gli stessi elementi probatori emergenti dalle captate conversazioni, infine, porterebbero, a dire del ricorrente, a escludere la consapevolezza in capo all’imputato dell’esistenza della stabile organizzazione funzionale alla realizzazione del programma delittuoso in materia di traffico di stupefacenti.
8.2. In violazione di legge, oltre che in termini contraddittori manifestamente illogici, la Corte territoriale, per la seconda censura, non avrebbe sussunto l’accertata associazione nella diversa fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, nonostante l’operata riqualificazione di diversi reati fine in ipotesi di «lieve entità».
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su due motivi, avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il reato di partecipazione al sodalizio di cui al capo 1, con il ruolo di depositario dell stupefacente, e per le fattispecie di cui all’art. 73 del medesimo decreto, contestate ai capi 7 e 10.
Con le articolate censure si deducono violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione in merito alla ritenuta responsabilità per i reati di cui ai capi 7 10, accertati come commessi in esecuzione del programma associativo e in concorso anche con il coimputato NOME COGNOME, ritenuto soggetto di vertice del sodalizio.
Le doglianze si appuntano sull’apparato motivazionale inerente alla valutazione degli elementi probatori sottesi all’accertata condotta concorrente nella commissione dei reati fine, confermata in appello con percorso logicogiuridico sostanzialmente sovrapponibile a quello fondante la decisione di primo grado. Si prospettano vizi relativi alla corretta interpretazione degli element probatori e in particolare degli esiti delle conversazioni e comunicazioni captate (riportate in ricorso), che, per il ricorrente, se coerentemente e logicamente valutate (al pari delle emergenze dei rilevatori GPS), avrebbero condotto verso un diverso esito decisorio. In particolare, i detti elementi probatori: a) avrebbero evidenziato il mero ruolo passivo assunto dall’imputato in ordine alla fattispecie di cui al capo 7, trovandosi egli solo a bordo della vettura del sodale COGNOME ed essendosi limitato a esaudire le richieste di quest’ultimo circa la verifica dell stato di conservazione dell’imballaggio dello stupefacente (comunque relativo a fatto che, a giudizio del ricorrente, sarebbe di «lieve entità»); b) avrebbero fondato un ragionevole dubbio cica la condotta ascritta all’imputato al capo 10, sostanziatasi, per i giudici di merito, in esecuzione del proprio ruolo assunto in seno al sodalizio, nella detenzione dello stupefacente, poi consegNOME a COGNOME per la cessione a terzi.
Quanto a tale ultimo reato (ascritto al capo 10), infine, si deduce altresì l’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale nel valutare la cessione a terzi come fattispecie autonoma rispetto alla detenzione e alla partecipazione al sodalizio. Per il ricorrente la cessione sarebbe assorbita dalla detenzione dello stupefacente e questa, a sua volta, sarebbe assorbita dal reato di partecipazione all’associazione o, al più, integrerebbe circostanza aggravante dell’associazione, avendo l’imputato assunto in seno a essa proprio il ruolo di detentore dello stupefacente per il sodalizio.
10. Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su tre motivi, avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il reato (come riqualificato con la sentenza di primo grado) di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, ascritto al capo 1, e per le fattispecie di cui all’art. 73 medesimo decreto, contestate ai capi 12 e 18.
10.1. Con i primi due motivi si deducono violazioni di legge (anche in termini di motivazione apparente o apodittica) e vizi cumulativi di motivazione in merito alla ritenuta partecipazione al reato associativo. Essa sarebbe stata accertata solo in considerazione della partecipazione ai reati fine e in ragione della valutazione degli esiti di comunicazioni e conversazioni captate che, se letti in una visione non atomistica e valutati coerentemente e logicamente e non in termini travisanti, non avrebbero condotto all’accertata responsabilità.
10.2. In termini manifestamente illogici, la Corte territoriale, per la ter censura, non avrebbe sussunto l’accertata associazione nella diversa fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, nonostante l’operata riqualificazione di diversi reati fine in ipotesi di «lieve entità».
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su quattro motivi, avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il reato di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, ascritto al capo 1, e per le fattispecie di cui all’art. 73 del medesimo decreto contestate ai capi 6 e 12.
11.1. Con il primo motivo di ricorso si riprospetta in sede di legittimit l’incostituzionalità dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, in termini sostanzialmente sovrapponibili e quelli con i quali è stata riprospettata la medesima questione dalla difesa della coimputata NOME COGNOME.
11.2. Con il secondo motivo si deducono la violazione di legge e l’omessa motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dell’associazione, quanto a stabilità e permanenza del relativo programma, e all’accertata posizione verticistica assunta in seno a essa dal prevenuto.
La Corte territoriale, con motivazione sostanzialmente solo per relationem, non avrebbe considerato le deduzioni difensive fondanti sull’intervenuto arresto dell’imputato eseguito il 22 marzo 2017 con riferimento a una condotta associativa protrattasi, quindi, solo per meno di tre mesi (a decorrere dal gennaio del medesimo anno) in quanto interrotta dall’arresto. A ciò si aggiungerebbe la mancata considerazione da parte dei giudici di merito della ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa sulla base degli esiti dell conversazioni captate (anche all’interno del carcere). Per essa, i rapporti di credito emergenti dalle varie interlocuzioni tra i coindagati, in particolare tra prevenuto e i familiari NOME COGNOME e NOME COGNOME, sarebbero non inerenti allo spaccio di stupefacente ovvero, in alternativa, afferirebbero alla detta attività illecita ma riconducibili non a un sodalizio bensì a mere ipotesi d reati ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, eventualmente in continuazione tra loro e commessi da più persone in concorso.
11.3. In violazione di legge e con motivazione omessa, la Corte territoriale, per la terza censura, non avrebbe sussunto l’accertata associazione nella diversa fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, nonostante l’operata riqualificazione di diversi reati fine in ipotesi di «lieve entità».
11.4. Per la quarta doglianza, la sentenza impugnata sarebbe affetta da violazione di legge e da vizio cumulativo di motivazione in merito all’accertata partecipazione dell’imputato ai reati fine ascritti ai capi 6 e 12, in quanto frut della mera opinabile interpretazione degli esiti delle intercettazioni di
comunicazioni e conversazioni. Per il ricorrente, dal contenuto delle captazioni non sarebbe emersa la cosciente partecipazione dell’imputato all’attività di spaccio. Si aggiunge l’assunto per cui i riferimenti al termine «cavallo» e l’espressione «ferratura di un cavallo», interpretati dai giudici di merito qual linguaggio allusivo circa le sottese attività illecite, avrebbero potuto condurre ne senso di rapporti leciti, in considerazione dell’attività lavorativa di maniscalc svolta da uno degli interlocutori.
12. Le parti hanno discusso e concluso nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
L’analitica esplicitazione dei singoli motivi di ricorso nell’esposizione dei fatti processuali (di cui al precedente «ritenuto in fatto»), in uno con la tecnic argomentativa della sentenza d’appello che, con dovizia di particolari, ha anche confutato le singole deduzioni difensive, peraltro in ipotesi di c.d. «doppia conforme», consente in questa sede di evidenziare comuni profili di inammissibilità, trasversali alle varie questioni dedotte con le diverse doglianze, in termini funzionali rispetto all’esposizione delle ragioni sottese alla present decisione.
2.1. Premesso quanto innanzi occorre evidenziare che, in primo luogo, i ricorsi, ove sindacano l’apparato motivazionale inerente all’accertamento dei fatti e alle responsabilità degli imputati sono inammissibili ai sensi dell’art. 606 comma 3, cod. proc. pen., salve eccezioni di seguito specificate ma comunque inerenti a censure caratterizzate da altri profili d’inammissibilità. Ove non meramente ripetitive dei motivi fondanti gli appelli, cui la Corte territoriale risposto con motivazione esente da critiche in quanto congrua, coerente e non manifestamente illogica (ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01), trattasi di censure dedotte per motivi diversi da quelli proponibili in sede di legittimità in quanto costituite da doglianze in fat con le quali si prospettano anche erronee valutazioni probatorie da parte dei giudici di merito (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, cit., tra le più recenti; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584 – 01; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01, in ordine ai motivi d’appello ma sulla base di principi pertinenti anche al ricorso per cassazione).
2.2. Il riferimento di cui innanzi deve intendersi altresì al ricorrente tentati di sostituire a quella del giudice di merito una diversa valutazione degli esiti dell comunicazioni captate, in ordine a un apparato motivazionale che non si mostra manifestamente illogico.
In materia di intercettazioni, difatti, costituisce questione di fatto, rimess all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolez della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, cit., tra le più recenti; Sez. 4, n. 29076 del 22/07/2022, COGNOME; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 – 01). Ne consegue che la prospettazione di un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito, come sostanzialmente propongono tutti i profili di ricorso che si appuntano sugli esiti delle indagini tecniche ammissibile in sede di legittimità solo in presenza del travisamento della prova, ossia nel caso, non ricorrente nella specie, in cui sia stato indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (ex plurimis, oltre alle sentenza da ultimo citate: Sez. 3, n. 34439 del 02/07/2019, dep. 2020, COGNOME; Sez. n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME Maro, Rv. 272558 – 01).
2.3. Diverse censure, invece, si mostrano inammissibili in ragione del mancato confronto con la ratio decidendi sottesa alla decisione.
Come costantemente affermato dalla Corte di legittimità, la funzione tipica dell’impugnazione è difatti quella della critica argomentata, avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza attraverso la presentazione di motivi i quali, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Ne consegue che, se il motivo di ricorso, come nella specie in ordine a diversi profili di censura, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, cit.).
Orbene, passando alla disamina degli specifici ricorsi, deve evidenzi l’inammissibilità del motivo unico proposto nell’interesse di NOME COGNOME, deducente violazione di legge e vizio motivazionale per aver i giudic merito ritenuto non sussumibile l’accertata associazione nell’astratta fatti
di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, pur essendo stati riqua quali ipotesi di «lieve entità» taluni dei plurimi accertati reati fine.
La censura è manifestamente infondata, al netto dell’inammissibilità essere il motivo nuovo in quanto, come emerg,idalla sentenza impugnata su punto non sindacata, dedotto per la prima volta in sede di legittimità nonos l’appello avesse avuto a oggetto solo la qualificazione giuridica dei reati f commisurazione giudiziale della pena.
Il ricorrente difatti non si confronta con il consolidato principio govern materia per cui la fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma 6, d. 309 del 1990, autonoma dall’altra di cui al medesimo articolo (ex plurimis: Sez. 6, n. 10685 del 19/01/2023, Moccia, Rv. 284466 – 01), è configurabile condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incomp con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, diversamente da qu accertato nella specie, l’attività associativa si sia manifestata con condot rientranti nella previsione dell’art. 73, comma 5, del medesimo «T.U. stup.» (ex plurimis: Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Degli Angioli, Rv. 278098 01).
Inammissibili sono le censure nelle quali si articola il ricorso pr nell’interesse di NOME COGNOME; in particolare, quella di cui al secondo m deducente la mancata derubricazione dell’associazione nella fattispecie di all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, è manifestamente infondata ragioni sovrapponibili a quelle sottese alla manifesta infondatezza dell’ana doglianza mossa da NOME COGNOME (si veda il precedente paragra n. 3).
4.1. I motivi primo e terzo, che si appuntano, rispettivamente, sull’acce responsabilità per il reato associativo di cui al capo 1 e per i reati fin essere reiterativi dei motivi d’appello, nella loro manifesta infondatezza mir sostituire a quelle dei giudici di merito, in ipotesi di c.d. «doppia conf proprie valutazioni anche di natura probatoria circa gli elementi emergenti d intercettazioni.
I giudici di merito, con motivazione non sindacabile in sede di legittimi quanto coerente e non manifestamente illogica, in considerazione delle deduzio difensive, hanno accertato la sussistenza del sodalizio diffondendosi sulla genesi, sul contesto in cui sorge e opera, compresa la compresenza di più gru criminali tra cui hanno transitato vari soggetti, e sui ruoli verticistici di COGNOME, svolto, dopo il suo arresto, tramite il padre NOME COGNOME e la p moglie NOME COGNOME, e di NOME COGNOME COGNOME. Lo specifico ru
assunto da NOME COGNOME in seno all’associazione, quale soggetto deputato allo spaccio al dettaglio, è stato accertato all’esito della valutazione degl elementi emergenti dalle intercettazioni, posti anche a base della responsabilità per i reati fine, oltre che delle dichiarazioni di NOME COGNOME, gestore del circo utilizzato da COGNOME per la cessione dello stupefacente e per il ritiro del denaro, ritenute utilizzabili in quanto rese da soggetto non indiziato di reato. I giudici merito, infine, facendosi sul punto carico delle deduzioni difensive, in ragione dello stabile rapporto con l’organizzazione capeggiata da NOME COGNOME hanno ritenuto irrilevante la circostanza per cui l’imputato si rifornisse anche da alt soggetti.
4.2. Non si confronta con la ratio sottesa alla decisione impugnata, infine, il quarto motivo, deducente l’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale nel non sussumere i fatti di cui ai capi 10 e 12 nell’ipotesi di «lieve entità» nonostante l’assenza di sequestri e quindi di circostanze afferenti al dato quantitativo.
Orbene, il ricorrente mira a sostituire all’evidenziato apparato motivazionale una propria ricostruzione fattuale frutto di una personale lettura degli elementi emergenti dalle intercettazioni, peraltro prospettata in termini perplessi e dubitativi. Dalle captazioni, a dire del ricorrente, emergerebbero solo contatti dell’imputato con NOME COGNOME, ricoprente un ruolo organizzativo e verticistico nel sodalizio, al più apprezzabili come singole cessioni in favore dell’imputato. I colloqui tra i sodali, peraltro, evocherebbero, sempre per le inammissibili valutazioni di merito del ricorrente, rapporti di contrapposizione tra gli appartenenti, che potrebbero essere letti nel senso dell’inesistenza del sodalizio, e, differentemente da quanto sostenuto dai giudici di merito, non evidenzierebbero l’accertata fungibilità di ruoli oltre che la stabilità del vincolo l’adesione a esso da parte del ricorrente. Quanto ai rati fine, sempre per la valutazione di merito propugnata dal ricorrente, il tenore dei dialoghi si presterebbe a interpretazioni alternative rispetto a quella’ a cui sono giunti i giudici, quali, l’uso personale dello stupefacente da parte dell’imputato ovvero la detenzione a fini di spaccio ma limitata a un’unica fattispecie ancorché, in ipotesi, emergente da più intercettazioni. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
I giudici di merito, per converso, all’esito di una valutazione globale del fatto e con motivazione non sindacabile in sede di legittimità in quanto coerente e non manifestamente illogica, evidenziano, quale circostanza ritenuta preponderante ai fini dell’esclusine della «lieve entità», proprio il dato quantitativo argomentano dagli elevati corrispettivi delle cessioni e del rapporto debitorio.
Parimenti inammissibili sono i motivi nei quali si articola il ricorso di NOME COGNOME.
5.1. La prima censura, che si appunta sulla ritenuta partecipazione dell’imputata al sodalizio è reiterativa dei motivi d’appello e non si confronta con la ratio decidendi sottesa al loro rigetto, mirando peraltro a una diversa ricostruzione fattuale quale esito di una personale interpretazione delle conversazioni e comunicazioni captate.
I giudici di merito sono lungi dal motivare in forza del mero rapporto di coniugio con il vertice del sodalizio, NOME COGNOME, e dal non considerare l’assenza di coinvolgimento dell’imputata nei reati fine. Si valorizzano, nonostante l’evidenziata assenza di coinvolgimento nei reati fine, gli esiti delle intercettazioni ritenuti tali da evidenziare il ruolo dell’indagata quale soggett deputato, dopo l’arresto del marito, a provvedere alla raccolta dei proventi dello spaccio (utilizzati anche per sostenere il detenuto COGNOME) e ha fungere, utilizzando il sistema dei colloqui in carcere, da tramite delle disposizioni impartite ai sodali e veicolate agli stessi mediante l’altro organizzatore-direttore dell’associazione (NOME COGNOME).
5.2. È manifestamente infondato il secondo motivo, con il quale sostanzialmente si mira a dedurre una violazione di legge in ragione dell’incostituzionalità dell’art. 74 d.P.R. 309 del 1990 (questione già prospettata in sede di merito).
Come ribadito da Sez. 6, n. 11526 del 16/02/2022, Arena, Rv. 283049 – 01, è manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel parte in cui non configura un distinto reato associativo, meno gravemente sanzioNOME, per il caso di gruppi finalizzati al traffico di sostanze riconducibili a II e alla IV delle tabelle previste dall’art. 14 del medesimo T.U. stup. costituendo legittimo esercizio della discrezionalità legislativa la scelta di non differenziare le pene per l’associazione, riguardata nella sua essenza unitaria di fenomeno organizzativo per scopi criminali, a seconda della natura dello stupefacente che ne costituisce l’oggetto, quanto alle specifiche condotte di narcotraffico (in senso conforme anche Sez. 3, n. 25789 del 29/04/2021, COGNOME). Trattasi di scelta ritenuta non contrastante con il più mite trattament sanzioNOMErio previsto dal sesto comma dello stesso art. 74 per le associazioni finalizzate alla commissione di fatti di «lieve entità», poiché per esse è logicamente prospettabile una minore rilevanza criminale proprio sotto il profilo organizzatorio, quale diretta implicazione delle circostanze delineate al comma quinto del precedente art. 73 (Sez. 6, n. 4445 del 02/12/2004, dep. 2005, Messaoudi, Rv. 230758 – 01).
Nell’interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso, fondato su plurimi motivi (sostenuti da memoria), avverso sentenza che ha confermato la sua responsabilità per il reato di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, ascrittogli al capo 1, e per la fattispecie di cui all’art. 73 del medesimo decret contestata al capo 26.
6.1. Le censure che si appuntano sulla ritenuta partecipazione al sodalizio, quale soggetto deputato alla vendita dello stupefacente i cui proventi, trattenuta la quota a sé spettante, venivano consegnati a COGNOME, sono manifestamente infondate, avendo la Corte territoriale confermato l’accertata responsabilità dell’imputato in considerazione delle deduzioni difensive che il ricorrente reitera, peraltro sostenendole con proprie valutazioni probatorie, senza confrontarsi con la ratio sottesa alla decisione. Il riferimento è, in particolare, alla valorizzazione da parte dei giudici di merito del passaggio di NOME COGNOME da un gruppo dedito al traffico di stupefacenti all’organizzazione facente capo a COGNOME, accertato in ragione degli esiti di una conversazione che vede l’imputato diretto interlocutore, oltre che all’apprezzamento degli elementi emersi da intercettazioni tra il sodale COGNOME e COGNOME, quale soggetto di vertice dell’associazione, nel corso delle quali il primo evidenzia al secondo che necessita lo stupefacente anche per NOME COGNOME. In tale contesto, diversamente da quanto dedotto dalla difesa, i giudici di merito evidenziano la contestazione di cui al capo 25, dalla quale il prevenuto è stato assolto, ma non la pongono a fondamento della ritenuta responsabilità per il capo 1, e valorizzano gli intercettati apprezzamenti negativi nei confronti di NOME da parte di uno dei vertici del sodalizio (NOME COGNOME), con i quali, dunque, la Corte d’appello si confronta, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente. 6.2. Non si confrontano con la ratio decidendi i restanti motivi di ricorso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
I giudici di merito, all’esito di una valutazione globale del fatto e co motivazione non sindacabile in sede di legittimità in quanto coerente e non manifestamente illogica, evidenziano, quale circostanza ritenuta preponderante ai fini dell’esclusine della «lieve entità», oltre al grado di inserimento nel mercat illecito, il dato quantitativo emergente dalla natura di mero acconto dell’importo di 135,00 euro emergente dalle conversazioni captate.
Quanto all’ultimo profilo di censura deve evidenziarsi, come sintetizzato in sede di ricostruzione del fatto processuale, che per il ricorrente diretta conseguenza della «lieve entità», che i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere accertata, sarebbe stato l’accertamento della sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., invece esclusa. Sicché, il venir meno dell premessa che il ricorrente pone a fondamento della critica mossa alla ritenuta
insussistenza dell’attenuante, cioè l’essersi trattato di fatto di «lieve entit rende la doglianza manifestamente infondata.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile per il mancato confronto con la motivazione della sentenza impugnata, quanto alla censura che si appunta sulla omessa derubricazione del capo 11 in ipotesi di «lieve entità», e per manifesta infondatezza del secondo motivo.
7.1. Dall’apparato argomentativo della sentenza d’appello, anche laddove si richiamano le considerazioni del giudice di primo grado in merito alle modalità dell’azione, coinvolgente anche un minorenne, emerge l’implicita motivazione del rigetto delle deduzioni difensive circa la richiesta derubricazione.
7.2. Quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante, oggetto di cesura con il secondo motivo, i giudici di merito hanno fatto perno sul concorso con il minorenne nella detenzione dello stupefacente finalizzata allo spaccio, con conseguente corretta sussunzione della fattispecie accertata nell’astratta previsione di cui all’art. 80, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 112, n ultima parte, cod. pen., e conseguente manifesta infondatezza della doglianza.
Il primo motivo nel quale si articola il ricorso di NOME COGNOME, con il quale si sindaca la ritenuta responsabilità per la partecipazione al sodalizio, presenta profili di inammissibilità sostanzialmente simili a quelli caratterizzanti il rico proposto nell’interesse di NOME COGNOME (nei termini già emergenti dalla sintesi della doglianza di cui al precedente «ritenuto in fatto»). Il ricorrente, difatti, individua specifici vizi del sotteso apparato motivazionale se non procedendo, previamente, a un’inammissibile personale ricostruzione dei fatti all’esito di una propria valutazione degli elementi probatori acquisiti al processo. Il riferimento è in particolare alla diversa e personale interpretazione degli esiti dell intercettazioni, con la quale si mira anche a privale di valenza una circostanza invece valorizzata dai giudici di merito: la volontà del vertice del sodalizio manifestata al prevenuto, di adibire l’imputato alla gestione di un circolo da istituire all’apposito fine di occultare l’attività di spaccio dell’associazione.
La seconda censura, deducente la mancata derubricazione dell’associazione nella fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, è invece manifestamente infondata per ragioni sovrapponibili a quelle sottese alla manifesta infondatezza delle analoghe doglianze mosse da NOME COGNOME e da NOME COGNOME (di cui ai precedenti paragrafi nn. 3 e 4).
Nell’interesse di NOME COGNOME si articolano censure inerenti alla responsabilità per i reati di cui ai capi 7 e 10 di rubrica, accertati come commessi
in esecuzione del programma associativo e in concorso anche con il coimputato NOME COGNOME (soggetto di vertice del sodalizio).
Le doglianze sono in fatto in quanto fondanti sulla soggettiva interpretazione degli elementi probatori e in particolare degli esiti delle conversazioni e comunicazioni captate. Per il ricorrente, difatti, se coerentemente e logicamente valutati (al pari delle emergenze dei rilevatori GPS), i detti elementi avrebbero condotto verso un diverso esito decisorio (nei termini già sintetizzati in sede di esposizione dei fatti processuali di cui al precedente «ritenuto in fatto»).
Costituisce inammissibile motivo nuovo, implicante valutazioni in fatto, quello inerente alla mancata derubricazione del capo 7 in ipotesi di «lieve entità», non emergendo dalla sentenza d’appello, sul punto non sindacata, una specifica doglianza dell’appellante in argomento.
Manifestamente infondato è infine il dedotto «assorbimento» del reato di cui al capo 10 (ritenuto dai giudici di merito in termini di mera detenzione da parte dell’imputato e non anche di cessione) nella partecipazione dell’imputato al sodalizio di cui al capo 1. L’accertata condotta di detenzione di stupefacente, ancorché quale reato fine dell’associazione, integra difatti fattispecie autonoma rispetto alla partecipazione al sodalizio, ancorché con il ruolo di soggetto deputato allo stoccaggio dello stupefacente.
Sonp inammissibili i primi due motivi sottesi al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, sindacanti la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la responsabilità dell’imputato per la partecipazione al sodalizio.
Il ricorrente non confronta il proprio dire con la . motivazione della sentenza impugnata, al netto dell’inammissibile tentativo di sostituire proprie valutazioni probatorie a quelle dei giudici di merito anche prospettando un travisamento delle intercettazioni non quanto al significante ma circa il significato attribuitog dal giudicante con motivazione coerente e non manifestamente illogica (nei termini già sintetizzati in sede di esposizione dei fatti processuali di cui precedente «ritenuto in fatto»).
La Corte d’appello è difatti lungi dall’aver accertato la condotta partecipativa dell’imputato, anche in termini soggettivi, dalla mera commissione dei reati fine ascrittigli ai capi 12 e 18. Per quanto emerge dal diffuso apparato motivazionale (di cui a pag. 32 e ss.), il giudice di secondo grado, richiamata altresì la sentenza di primo grado e con iter logico-giuridico sovrapponibile, valorizza gli elementi emergenti dai captati colloqui in carcere con il vertice del sodalizio, suo figli NOME COGNOME, per ritenere accertato il ruolo del prevenuto di soggetto deputato
alla riscossione dei crediti dell’associazione e alla gestione dei spacciatori di riferimento della stessa.
La terza censura, deducente la mancata derubricazione dell’associazione nella fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, è invece manifestamente infondata per ragioni sovrapponibili a quelle sottese alla manifesta infondatezza delle analoghe doglianze mosse da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (di cui ai precedenti paragrafi nn. 3, 4 e 8).
È infine inammissibile il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME,
11.1. Le censure dedotte in merito all’accertata sussistenza del sodalizio e alla posizione verticistica assunta in seno a esso dall’imputato sono manifestamente infondate.
La Corte territoriale ha considerato le deduzioni difensive in favore dell’imputato in termini diffusi, in sede di trattazione dei motivi d’appello propos dagli altri imputati, nonché confermato la struttura dell’organizzazione, come articolata dallo stesso NOME COGNOMECOGNOME e la di lui direzione e organizzazione anche successiva all’arresto, assicurata, mediante il sistema dei colloqui in carcere, per il tramite di suo padre (NOME COGNOME), di sua moglie (NOME COGNOME) e dell’altro soggetto di vertice (NOME COGNOMECOGNOME. Al netto di quanto evidenziato, le censure sono in fatto, riproponendo la difesa in sede di legittimità la tesi alternativa, invero prospettata anche in formula dubitativa e perplessa, frutto di una soggettiva lettura degli esiti delle intercettazioni, conducenti, per ricorrente, verso l’accertamento di meri rapporti lavorativi leciti, fonti dei cred risultanti dalle intercettazioni, ovvero nel senso di un mero concorso di persone in reato continuato ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
11.2. Parimenti in fatto sono le censure che si appuntano sull’accertata responsabilità per i reati fine di cui ai capi 6 e 12, in quanto, a dire ricorrente, frutto di opinabile interpretazione degli esiti delle intercettazioni comunicazioni e conversazioni. Dal contenuto delle captazioni, secondo la lettura offertane dal ricorrente, che, in quanto tale, non può avere considerazione in sede di legittimità, non sarebbe emersa la cosciente partecipazione dell’imputato all’attività di spaccio. I riferimenti al termine «cavallo» e l’espressione «ferratu di un cavallo», interpretati dai giudici di merito nel senso di linguaggio allusiv circa le sottese attività illecite, per il ricorrente sarebbero conducenti vers attività lecite, in considerazione dell’attività lavorativa di maniscalco svolta d uno degli interlocutori.
11.3. COGNOME La terza COGNOME censura, COGNOME deducente la COGNOME mancata COGNOME derubricazione dell’associazione nella fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del
1990, è invece manifestamente infondata per ragioni sovrapponibili a quel sottese alla manifesta infondatezza delle analoghe doglianze mosse da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (di cui a precedenti paragrafi nn. 3, 4, 8 e 10).
11.4. Il primo motivo di ricorso, con il quale sostanzialmente si mi dedurre una violazione di legge in ragione dell’incostituzionalità dell’ d.P.R. 309 del 1990, sconta il medesimo profilo di manifesta infondatez caratterizzante la stessa doglianza articolata nell’interesse di NOME (di cui al precedente paragrafo n. 5.2.2).
In conclusione, all’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’8 ottobre 2024
Il Pre idente